mons. Bettazzi scrive al capo del governo

lettera aperta all’on. Giuseppe Conte,
presidente del consiglio dei ministri italiano
Scrivo questa lettera sul tema scottante degli immigrati (e la scrivo da un edificio diocesano che ne ospita). Lo faccio non come antica autorità religiosa al Presidente di un Governo “laico” (anche se un autorevole membro del Suo Governo ha sbandierato, sia pure in campagna elettorale, simboli apertamente religiosi, anzi cristiani, quindi compromettenti) soprattutto dopo i costanti, appassionati appelli di Papa Francesco e le autorevoli istanze dei responsabili della CEI.
Lo faccio come cittadino dell’Italia che, nella Costituzione, garantisce il diritto d’asilo a quanti, nel loro paese, sono impediti di esercitare le libertà democratiche; lo faccio come cittadino dell’Europa che, nella Carta dei diritti fondamentali, afferma: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.
Ci siamo resi conto che Lei, al recente vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce dell’Italia; ma siamo stati delusi dalla sordità della maggioranza dei rappresentanti dell’Europa (me lo lasci notare, anche delle nazioni tradizionalmente più “cristiane”) e dell’incapacità dell’insieme di mantenere le tradizioni “umane” del nostro Continente e dell’ispirazione iniziale della sua unità. Mi lasci dire che siamo – parlo di tanti di cui ho colto il pensiero – altrettanto delusi che, nella difficoltà di ottenere consensi più ampi, l’Italia rimanga su posizioni di chiusura, forse (ma solo “forse” se guardiamo al nostro passato coloniale o ci proiettiamo sul nostro futuro demografico) comprensibili sul piano della contrattazione, non su quello del riferimento a vite umane. Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili.
Non ignoriamo che i problemi sono immensi, dai rapporti con Paesi che noi – Europa tutta – abbiamo contribuito a divenire ciò che essi spesso sono (costruttori di lager e tutori di brigantaggi), a quelli con i Paesi di partenza degli immigrati (con cui già i Governi precedenti avevano progettato iniziative, sempre fermate al livello di progetti).Vorremmo davvero che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia, che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere.
Al di là di un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio ( “prima gli italiani” – quali italiani? – o “prima l’umanità”?!), credo che, nell’interesse della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere – per sé e per tutta l’Europa – pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa.
Con ogni augurio e molta solidarietà.
Albiano d’Ivrea, 2 luglio 2018 + Luigi Bettazzi
vescovo emerito di Ivrea



il sostegno di C. Barros ai quattro preti in tenda

profeti del nostro tempo

lettera aperta ai quattro preti bergamaschi

Barros 
  Adista Segni Nuovi n° 11 del 19/03/2016
Il sostegno di Marcelo Barros, teologo della Liberazione brasiliano, all’iniziativa dei quattro preti bergamaschi che, in solidarietà coi migranti, hanno deciso di passare la Quaresima in tenda sul sagrato della chiesa di Ambivere

Emanuele, Alessandro, Andrea e Gianluca, carissimi fratelli e compagni di cammino, prima di tornare in Brasile, dove mi attendono incontri teologici e diversi ministeri, vorrei ringraziarvi di tutto cuore per questo vostro gesto ministeriale e profetico durante la Quaresima. Senza dubbio, come la Dabar biblica, parola che si fa vita, questo vostro gesto è un’anticipazione dell’Exultet, l’annuncio della Pasqua di Gesù, che oggi si esprime come Crocifisso-Risorto nelle tante tende dei migranti, dei rifugiati e dei profughi di questo mondo così segnato dalla crudeltà.Barros 1

La rapida visita che ho avuto modo di farvi è stata per me una grazia divina e mi ha confermato nel cammino della fede e della speranza. Ho potuto constatare il vostro coraggio nell’affrontare il freddo delle notti invernali, la sfida dei tanti lavori pastorali che continuate a svolgere, anche in questo periodo speciale, e principalmente la chiarezza della vostra opzione evangelica, che è alla base di tutto questo cammino. Porterò al Brasile e ai miei compagni/e dell’Associazione dei Teologi del Terzo Mondo la vostra profezia che ci anima tutti/e.

Ringrazio Dio per il fatto che, come mi avete detto, il vostro vescovo è stato in grado di rispettare la vostra decisione e di comprenderla. Grazie a Dio, questo pastore ha ascoltato la parola che Gesù ha detto a Pietro: «Simone, ho pregato per te, perché tu confermi i tuoi fratelli» (Lc 22,32). Purtroppo, non si può contare sulla solidarietà umana e cristiana da parte di tutti i fratelli nel ministero presbiterale. Sembra che si sentano più eredi dei dottori della legge e dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme che dei profeti biblici. Infatti, Amasia, sacerdote di Betel, nei confronti del profeta Amos e i sacerdoti del tempio di Gerusalemme nei riguardi di Geremia hanno iniziato una “tradizione”. E secondo Giovanni, dopo l’inizio del ministero di Gesù, i sacerdoti e i dottori di Gerusalemme inviarono leviti e funzionari del tempio per interrogare, vigilare e bloccare la profezia di Gesù (Gv 1,19 ss).

Ancora oggi, funzionari ecclesiastici che vivono in un sistema poco democratico usano argomenti democratici quando si tratta di soffocare la profezia. Certamente, pensano che Gesù avrebbe dovuto consultare almeno i discepoli e gli amici prima di cenare con persone considerate di malaffare o ricorrere a una votazione comunitaria se si dovesse o meno perdonare la donna adultera o comunicare con la samaritana…  È importante per tutti noi, in ogni momento, valutare se non stiamo cadendo nella tentazione del clericalismo. Siamo ecclesiastici e clericali quando ci fermiamo su posizioni di potere e di privilegio. Il vostro cammino non è questo. La vostra lettera rivela una visione del mondo; è un grido profetico importante. Non preoccupatevi se non avete condotto un lavoro scientifico o uno studio sociologico documentato sulla realtà. Non è questo il linguaggio dei profeti. Sono uomini e donne di Dio che gridano quello che vedono.

Alcuni vi criticano dicendo che volete mettervi in mostra. Non siete voi che lo avete scelto. È lo stesso Spirito di Dio. Paolo ha scritto ai Corinzi: Dio ha messo noi apostoli come «spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1 Cor 4,9).

Mantenetevi saldi nel vostro cammino. In altri tempi, i dottori della legge hanno rivolto le stesse accuse e obiezioni a mons. Oscar Romero in El Salvador, a Don Hélder Câmara, il mio vescovo in Brasile, e a Samuel Ruiz, il vescovo degli indios in Chiapas, un profeta che in questi giorni è stato riabilitato da papa Francesco nel suo viaggio in Messico. State tranquilli. Siete in buona compagnia.

«Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli» (Ebrei 13,20-21).

Il vostro fratello Marcelo Barros




la solidarietà di M. Barros ai quattro preti in tenda

profeti del nostro tempo

lettera aperta ai quattro preti bergamaschi

di Marcelo Barros
in “www.adista.it” Barros 1

Barros

 

Emanuele, Alessandro, Andrea e Gianluca, carissimi fratelli e compagni di cammino, prima di tornare in Brasile, dove mi attendono incontri teologici e diversi ministeri, vorrei ringraziarvi di tutto cuore per questo vostro gesto ministeriale e profetico durante la Quaresima

Senza dubbio, come la Dabar biblica, parola che si fa vita, questo vostro gesto è un anticipazione dell’Exultet, l’annuncio della Pasqua di Gesù, che oggi si esprime come Crocifisso-Risorto nelle tante tende dei migranti, dei rifugiati e dei profughi di questo mondo così segnato dalla crudeltà. La rapida visita che ho avuto modo di farvi è stata per me una grazia divina e mi ha confermato nel cammino della fede e della speranza. Ho potuto constatare il vostro coraggio nell’affrontare il freddo delle notti invernali, la sfida dei tanti lavori pastorali che continuate a svolgere, anche in questo periodo speciale, e principalmente la chiarezza della vostra opzione evangelica, che è alla base di tutto questo cammino. Porterò al Brasile e ai miei compagni/e dell’Associazione dei Teologi del Terzo Mondo la vostra profezia che ci anima tutti/e. Ringrazio Dio per il fatto che, come mi avete detto, il vostro vescovo è stato in grado di rispettare la vostra decisione e di comprenderla. Grazie a Dio, questo pastore ha ascoltato la parola che Gesù ha detto a Pietro: “Simone, ho pregato per te, perché tu confermi i tuoi fratelli” (Lc 22,32).

preti in tenda Purtroppo, non si può contare sulla solidarietà umana e cristiana da parte di tutti i fratelli nel ministero presbiterale. Sembra che si sentano più eredi dei dottori della legge e dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme che dei profeti biblici. Infatti, Amasia, sacerdote di Betel, nei confronti del profeta Amos e i sacerdoti del tempio di Gerusalemme nei riguardi di Geremia hanno iniziato una “tradizione”. E secondo Giovanni, dopo l’inizio del ministero di Gesù, i sacerdoti e i dottori di Gerusalemme inviarono leviti e funzionari del tempio per interrogare, vigilare e bloccare la profezia di Gesù (Gv 1,19 ss). Ancora oggi, funzionari ecclesiastici che vivono in un sistema poco democratico usano argomenti democratici quando si tratta di soffocare la profezia. Certamente, pensano che Gesù avrebbe dovuto consultare almeno i discepoli e gli amici prima di cenare con persone considerate di malaffare o ricorrere a una votazione comunitaria se si dovesse o meno perdonare la donna adultera o comunicare con la samaritana… È importante per tutti noi, in ogni momento, valutare se non stiamo cadendo nella tentazione del clericalismo. Siamo ecclesiastici e clericali quando ci fermiamo su posizioni di potere e di privilegio. Il vostro cammino non è questo. La vostra lettera rivela una visione del mondo; è un grido profetico importante. Non preoccupatevi se non avete condotto un lavoro scientifico o uno studio sociologico documentato sulla realtà. Non è questo il linguaggio dei profeti. Sono uomini e donne di Dio che gridano quello che vedono. Alcuni vi criticano dicendo che volete mettervi in mostra. Non siete voi che lo avete scelto. È lo stesso Spirito di Dio. Paolo ha scritto ai Corinzi: Dio ha messo noi apostoli come «spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini» (1Cor 4,9). Mantenetevi saldi nel vostro cammino. In altri tempi, i dottori della legge hanno rivolto le stesse accuse e obiezioni a mons. Oscar Romero in El Salvador, a don Hélder Câmara, il mio vescovo in Brasile, e a Samuel Ruiz, il vescovo degli indios in Chiapas, un profeta che in questi giorni è stato riabilitato da papa Francesco nel suo viaggio in Messico. State tranquilli. Siete in buona compagnia.

«Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un’alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria
nei secoli dei secoli» (Ebrei 13,20-21).

Il vostro fratello Marcelo Barros Pinerolo, 27 febbraio 2016




è un vescovo o un faraone?

lettera aperta all’arcivescovo Luigi Negri

di STEFANO SCANSANI

faraone

Arcivescovo. Risale dal greco episkopo, composto da epi e da skopeo, vedere sopra. Arci viene invece dal latino. È un superlativo: di più. Più che vescovo.

Caro Monsignore,

io non scrivo al Papa, come lei ha annunciato di voler fare per rinnovargli totale obbedienza. Non scriverò al Papa come hanno fatto i ferraresi di Pluralismo e Dissenso per farle cambiare aria e città. Scrivo  a lei attraverso questa rubrica che, neanche farlo apposta, si chiama La Domenica.

Ecco, in questi due anni e nove mesi di suo episcopato a Ferrara, non c’è stata festa comandata nella quale l’attesa di una sua parola rombante, di un suo attacco fulminante, di una sua posizione spiazzante non abbia alimentato l’attesa: chissà che cosa dirà? Con chi se la prenderà, oggi, monsignor Luigi Negri? Mi creda, non si tratta di un’ansia giornalistica, ma di un’abitudine al suo ritmo, al suo profilo, alla sua maniera di affrontare le cose, anzi, i tre-quattro argomenti che sono il centro gravitazionale della sua missione pastorale. Che non sto qui ad elencare, ma che la stagliano dentro la gerarchia ecclesiastica come un gagliardo conservatore, un inesauribile ratzingeriano, un inossidabile oppositore al vento che è cambiato.Un arcivescovo controvento. Questa sua coerente collocazione è incisa nei sui scritti, nelle sue omelie, nei suoi libri. Ed era robusta ben prima della vicenda delle frasi che secondo il Fatto Quotidiano lei avrebbe pronunciato sul Frecciarossa Roma-Bologna il 28 ottobre scorso: sulla fine che dovrebbe fare questo Papa come quell’altro; sul miracolo che potrebbe compiere la Madonna; sulla scelta inaspettata dei nuovi vescovi di Bologna e Palermo; sulla sua promessa al cardinale Caffarra di far vedere i sorci verdi al successore, il prete di strada Zuppi…

La metto così: io non credo lei abbia pronunciato queste frasi. Ma è inevitabile che lei attragga il sospetto, la calunnia, la tentazione che monsignor Negri e quei pensieri siano sovrapponibili. Perché lei è lei: ha modellato un tale personaggio di sostanza e di ingombro da essere divenuto, oggi, il più straordinario critico della novella linea papale, addirittura libero, perché non sta nel recinto vaticano. Quindi consapevolmente inseguibile.

MANCATA PORPORA.

C’è chi bisbiglia che sue aspirazioni si sarebbero incrinate con il conclave del 2013 e l’elezione di Francesco. Pensi, deambula la mormorazione che il cardinale di Milano, Scola, avrebbe potuto divenire Papa e lei, di conseguenza, arcivescovo della sua città d’origine. Immagino la sua risposta. Qui, adesso. Mi sta mandano a quel paese. Lei è schietto, non ama la mediazione, ha passione per l’antibarricata alla milanese, dalle parole ai fatti.

Un godiolo per i giornalisti. Un disorientamento per i fedeli, che lei stesso ammette dichiarando a caldo, nella sua prima comunicazione del 25 ottobre: “Se a causa di quanto accaduto, si fosse determinato uno scandalo, soprattutto nei più deboli, ne chiederemo perdono a tutti”.

SCANDALO

La parola scandalo mi affascina. La utilizzo anch’io per dire che i suoi anni ferraresi hanno certamente prodotto spaesamento, sospensione, increspature. Come la sua intenzione di chiedere udienza al Santo Padre per rimettersi al suo consiglio, perché lei “possa camminare spedito verso il compimento della fede”. Al di là della sua intenzione enigmatica, è fuori da qualsiasi prassi che un vescovo immagini un’udienza dal Papa attraverso una comunicazione giornalistica. La prassi (e lei è un uomo di prassi) pretende che l ’“incontro” con il Sommo Pontefice si chieda e si ottenga attraverso linee riservate, tutte interiori la Chiesa. Perché sventolare questa richiesta sul comunicato?

Provo a esibire due risposte: l’eventualità di un consenso immediato da parte di Francesco considerati i suoi gesti fuori dal protocollo; la prova del nove per monsignor Negri, perché se il Papa davvero la convocherà lei sarà in grado di annunciare che tutto è stato chiarito e risolto. Si tratta di finissima strategia, anche se mi sfugge il senso che connette i suoi due comunicati.

DUE COMUNICATI

Il primo è appunto del 25 novembre, all’indomani dell’uscita del Fatto Quotidiano, che ha un’intonazione suasiva puntata direttamente sulla Santa Sede.

Il secondo è del giorno immediatamente successivo e s’abbatte sui detrattori, sferza i giornalisti e chiama in causa il loro ordine professionale minacciando querele e invitando “la comunità ecclesiale e civile di non rendersi complice di tali operazioni”.

BRACCIO SECOLARE

Mi pare la rievocazione dell’antica pratica di Santa Romana Chiesa: la totale obbedienza di Negri al Santo Padre (lo spirito) e il braccio secolare di Negri (il mondo). Va chiarito che – me lo permetta, monsignore – questa linea pressoché diretta fra l’arcivescovo e il Papa è un poco anomala.

Di mezzo, in verticale e orizzontale, vi stanno altri organismi come e la Conferenza Episcopale Italiana di cui è presidente il cardinale Bagnasco, un sopravvissuto della vecchia guardia di Benedetto XVI, e segretario monsignor Galantino progressista di punta di nomina bergogliana.

C’è di mezzo la Congregazione per i vescovi (il ministero dedicato) e anche la novità di Zuppi a Bologna, che è metropolita della regione ecclesiastica emiliano-romagnola. E che credete, che in questa folla di soggetti, spettatori e interpreti non circolino pareri, schede, lettere, pressioni, voci sul caso Ferrara? Come quella incontrollata che è girovagata nell’estate scorsa su un trasferimento di Negri non so dove?

IL TEMPO

L’udienza col Papa e il chiarimento sono dunque una semplificazione di un questione che è da tempo sul tavolo. E per tempo va considerato che Negri ha compiuto 74 anni proprio giovedì scorso, e fra un anno dovrà rinunciare alla diocesi nell’osservanza del diritto ecclesiastico, canone 401, e che poi spetterà al Papa decidere se accogliere immediatamente le dimissioni o abbonare un altro anno a sua eccellenza (consuetudine che Francesco sta estinguendo: lui ha i suoi vescovi da ricollocare nel complesso scacchiere episcopale italiano). Caro monsignore, lei è una persona aguzza e intrepida. Anch’io apprezzo la sua compagnia sanguigna e di forte struttura, immediata e salace. Non è vero che la maggioranza dei ferraresi poco la ama, perché predilige vescovi pastori tranquilli, consolanti, pacificatori, dal pulpito dolce. Al contrario, parecchi fedeli le sono fedeli. Davvero.

DEPISTAGGIO STORICO

Mi ha fatto tenerezza, ad esempio, l’ipotesi di Francesco Fersini – anche lui di Comunione e liberazione e già candidato sindaco a Ferrara del Nuovo Centrodestra – che nel commentare la presinta captazione sul Fracciarossa, e difenderla, attraverso Facebook ha provato a sgranare ipotesi sulla frase che le è stata attribuita: “Speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come con quell’altro Papa…”.

Il riferimento alla morte di Papa Luciani è purtroppo automatico.

Al riguardo monsignor Negri nel suo comunicato del 26 novembre aveva spiegato: “Questa è un’altrettanto assoluta, arbitraria interpretazione, completamente opposta al mio pensiero, che faceva riferimento a ben altre vicende della Chiesa, che esporrò nei luoghi e tempi opportuni”. L’arcivescovo, par di capire, che non smentisce. Chissà se la sua giustificazione allora coincide con quella esibita da Fersini.

L’ipotesi di quest’ultimo è carambolesca. Scrive: “Io, per esempio, ho pensato di più a Pio IX e, a differenza del Fatto Quotidiano, spiego il perché dal testo e dal contesto ho fatto questa deduzione… Chi conosce, anche approssimativamente, le opere di monsignor Negri sa benissimo che è uno studioso appassionato di quegli anni, che su Pio IX ha scritto un libro e che é un esegeta de ’Il Sillabo’ che, se non ricordo male, colloca come documento iniziale della dottrina sociale della Chiesa (prima della Rerum Novarum come comunemente si ritiene). Probabilmente al Fatto Quotidiano non hanno fatto quest’ipotesi perché non sanno nemmeno chi è Pio IX”.

LUCIANI E PIO IX

Lo sforzo di Fersini è encomiabile. Se non è Luciani è Pio IX? Andiamo più in là? Allora l’allusione all’intervento della Madonna perché non riguarda l’attentato a Giovanni Paolo II nel 1981, a Urbano VIII nel Seicento, a Gregorio VII nel Mille. Questo si chiama depistaggio storico.

SUA E VOSTRA SANTITÀ

Infine, anche la lettera-petizione proposta da Pluralismo e Dissenso per far traslocare Negri da Ferrara è fragile, e irricevibile da Francesco. È impensabile che un Papa scardini un vescovo a seguito di una raccolta di firme che lo accusa di creare disagio.

I primi firmatari sapranno tutto sulla presa di Porta Pia e del loro essere anticlericali, ma devono essere più protocollari. Attaccano la lettera con un “Sua Santità Papa Francesco”. Sua di chi? Consiglio un “Vostra Santità”. E poi Zamorani è un radicale mangiapreti. Che fa, si genuflette?

UNA GELIDA CL

A inserirsi nel quadro anche la nota di Comunione e Liberazione, inviata al direttore del Fatto Quotidiano, Travaglio. Gelido il distinguo: “Qualora l’arcivescovo di Ferrara avesse pronunziato tali affermazioni, esse sarebbero unicamente espressione della sua personale opinione e non certo di Comunione e Liberazione, nella quale monsignor Negri non riveste alcun ruolo di responsabilità dal 2005”.

BOMBE INNESCATE

Ha intuito, vostra eccellenza monsignor Negri? Ormai ogni suo passo e parola sono bombe innescate. Teologiche, dottrinali, politiche. Lei consapevolmente le dissemina perché nel suo animo è un minatore di Dio, e immediatamente chi fa informazione ci mette le mani e le fa brillare. È una forma di collaborazione indiretta.

La sua attività pastorale, inesorabilmente, è segnata dal suo essere inflessibile e fedele alle sue battaglie, e dalla sua concezione di Chiesa che confligge con le dinamiche nuove. Non so come lei stia vivendo questa perturbazione. La sente? E che cosa ne pensa del prepensionamento?

Stefano Scansani




un non credente scrive al papa una lettera di sostegno alla sua attività di pulizia dentro la chiesa

lettera aperta (e dura)

a papa Francesco

Papa Francesco

di PAOLO ERCOLANI

 

San­tità,

chi scrive non pos­siede il dono della fede. In que­sto senso fatico non poco anche a defi­nirmi ateo, per­ché ritengo la posi­zione di chi esclude cate­go­ri­ca­mente l’esistenza di un’entità supe­riore, biso­gnosa di un’altra fede quan­to­meno equi­va­lente alla prima.

In buona sostanza, insomma, la que­stione prin­ci­pale non è tanto l’esistenza o meno di un’eventuale divi­nità, quanto la mia pro­pen­sione ad affi­darmi alla ragione evi­tando atteg­gia­menti fideistici.

Que­sta ragione, e non la fede, mi sug­ge­ri­sce due ele­menti ben precisi.

FEDE E RAGIONE

Il primo riguarda l’impossibilità dell’uomo di con­se­guire una posi­zione certa rispetto all’esistenza o meno di una o più divi­nità (agnosticismo).

Certo, gli atei scien­ti­sti si oppon­gono a que­sta posi­zione, soste­nendo che un atteg­gia­mento scien­ti­fico richiede che si por­tino prove per soste­nere l’esistenza di una pre­sunta verità affer­mata. Men­tre non è richie­sto nulla di simile per negarla, quella pre­sunta verità.

Ma, dall’altra parte, biso­gna pur dire che una ragione «ragio­ne­vole» (o una scienza umana e quindi uma­ni­stica) deve fare i conti con il dato rile­vato dallo stesso Car­te­sio: ossia l’originaria, insop­pri­mi­bile, costante idea che alberga nell’uomo di «per­fe­zione», ovvero di divi­nità, che da qual­che parte deve pur provenire.

E qui arri­viamo al secondo dato sug­ge­ri­tomi dalla ragione. Cioè che l’essere umano, dalla notte dei tempi, è un «homo reli­gio­sus», ossia costi­tu­zio­nal­mente por­tato a cer­care rife­ri­menti ulte­riori, appi­gli meta­fi­sici, con­forti ultramondani.

Certo, in virtù del primo dato egli non potrà mai pos­se­dere la cer­tezza di un’effettiva esi­stenza di tale divi­nità, ma cio­non­di­meno sarà comun­que spinto a cer­care rispo­ste e con­forto rispetto a un’esistenza in cui è stato get­tato dispe­ra­ta­mente privo di quelle mede­sime rispo­ste e di quel conforto.

Il fatto è che quelle rispo­ste e quel vano motivo di con­forto l’uomo con­ti­nua a cer­carli imper­ter­rito. E spesso, spe­cie nei momenti di crisi delle grandi reli­gioni, fini­sce per tro­varli in entità terrene.

Che sia un Par­tito, un Lea­der, il Mer­cato o per­sino la Tec­nica, quando ciò è avve­nuto sono seguiti sem­pre degli eventi dram­ma­tici e sanguinosi.

Por­tare Dio in terra, o illu­dersi di costruire il Para­diso nel nostro mondo, para­fra­sando Pop­per, ha sem­pre avuto come seguito ine­vi­ta­bile la crea­zione di un inferno terreno.

CIELO E TERRA

La dei­fi­ca­zione, con con­se­guente ido­la­tria, di qual­che essere umano o di qual­che entità ter­rena, ha sem­pre finito per con­sen­tire a un grande dit­ta­tore e alla sua ple­tora di cor­ti­giani di assur­gere a un potere tal­mente incon­tra­stato da rive­larsi distrut­tivo per il genere umano.

In un modo molto simile, la Chiesa, lad­dove ha ope­rato un pro­gres­sivo e ine­so­ra­bile allon­ta­na­mento dal rife­ri­mento divino (e da que­gli stessi Coman­da­menti e dogmi di cui essa stessa è stata l’indiscussa testi­mone in terra), si è costi­tuita sem­pre più alla stre­gua di una potenza ter­rena volta alla gestione del potere e del denaro, non­ché allo sfrut­ta­mento dei poveri e degli oppressi (e della loro difesa a parole) per otte­nere finan­zia­menti pub­blici e pri­vati di dimen­sioni esor­bi­tanti e oscene.

Quando il cielo è «vuoto», la terra si popola e riem­pie delle bestie peg­giori. Anche porporate.

Fondi, è appena il caso di dirlo, che anche in que­sti giorni sco­priamo essere stati uti­liz­zati all’interno della Chiesa per fini per­so­nali di qual­che alto pre­lato, per inve­sti­menti finan­ziari di enorme por­tata, per la costi­tu­zione di un patri­mo­nio immo­bi­liare di dimen­sioni inimmaginabili.

Sì, ha letto bene San­tità, ho scritto «anche in que­sti giorni», gra­zie alla docu­men­ta­zione pre­cisa e inquie­tante for­nita dai libri in uscita di Emi­liano Fit­ti­paldi («Ava­ri­zia», Fel­tri­nelli) e Gian­luigi Nuzzi («Via cru­cis», Chiarelettere).

Da cui emerge un uti­lizzo dell’enorme denaro pub­blico ita­liano (Otto per mille, in par­ti­co­lare) per fina­lità e in quan­tità tali da ren­dere risi­bile l’accusa di pecu­lato rivolta nei con­fronti dell’ex Sin­daco Marino.

Curioso il fatto che il «pecu­lato» (cioè il reato di appro­pria­zione inde­bita di denaro pub­blico), nel diritto romano come nel Dige­sto di Giu­sti­niano, fosse acco­stato al «sacri­le­gio», il reato di appro­pria­zione inde­bita di cose sacre. Per entrambi era pre­vi­sta la pena capitale.

LA STORIA CHE SI RIPETE

Ver­rebbe anche da chie­dersi som­mes­sa­mente, ma temo che nes­suno lo farà, se lo Stato ita­liano (nelle cui vicende la Chiesa entra con legit­tima ma discu­ti­bile auto­rità), non pos­segga gli stru­menti per rivol­gersi alle vie legali, visto che le abbon­danti elar­gi­zioni che esso fa alla Chiesa sono pre­vi­ste dal Con­cor­dato, ma per fina­lità che non sono pro­pria­mente quelle mala­vi­tose emerse in que­sti giorni.

Già, in que­sti giorni. Ma è una sto­ria che si ripete.

Lei ricor­derà cer­ta­mente, infatti, l’articolo del quo­ti­diano inglese «Guar­dian» (How the Vati­can Built a Secret Pro­perty Empire Using Mussolini’s Mil­lions, 21 gen­naio 2013), in cui si par­lava di un capi­tale immo­bi­liare di dimen­sioni ecce­zio­nali tra Fran­cia e Inghil­terra (in aggiunta a quello, ster­mi­nato, in Ita­lia), uffi­cial­mente inte­stato a una società off-shore (con tutti i bene­fici fiscali del caso, quindi).

L’ingente somma di denaro con cui il Vati­cano aveva potuto costi­tuire que­sto capi­tale immo­bi­liare immenso (circa 650 milioni di euro, per l’epoca), era stato il frutto di soldi ancora una volta ver­sati dallo Stato ita­liano, nella per­sona di Benito Mus­so­lini, nel 1929 (per inciso, anno della fune­sta crisi eco­no­mica che ridusse sul lastrico milioni di fami­glie), con lo scopo di «risar­cire la Chiesa della per­dita del potere temporale».

Ovvero, fuori dal buro­cra­ti­chese: lo Stato ita­liano pagava per la sua nascita (avve­nuta nel 1861), che era costata alla Chiesa la per­dita dello Stato Pon­ti­fi­cio e del potere tem­po­rale su buona parte del ter­ri­to­rio italiano.

QUALI VALORI?

Da que­sto punto di vista susci­tano ila­rità que­gli ana­li­sti (spesso legit­ti­ma­mente e ben com­pren­si­bil­mente appog­giati dalla Chiesa stessa), che sosten­gono di voler difen­dere l’identità nazio­nale, non­ché di voler com­bat­tere (a chiac­chiere) un capi­ta­li­smo che si è dato l’obiettivo di uni­for­mare il genere umano ope­rando la distru­zione dei valori, dei dogmi e delle isti­tu­zioni cri­stiane (a comin­ciare dalla famiglia).

Per­ché que­sti ana­li­sti nulla dicono di un’istituzione, la Chiesa appunto, che in buona parte non solo si fa beffe dello Stato ita­liano uti­liz­zando per fini per­so­nali, mala­vi­tosi e impro­pri i tanti soldi che esso gli elar­gi­sce ogni anno; ma che anche dimo­stra di essere ben inse­rita in quelle logi­che per­verse e anti­so­ciali (per non dire anti­u­mane) del capi­ta­li­smo finan­zia­rio più spinto. Igno­rando (o comun­que depo­ten­ziando for­te­mente), per fare ciò, la piena assi­stenza ai poveri, agli emar­gi­nati non­ché a quelle fami­glie sul cui valore la Chiesa insi­ste tanto e giustamente?!

Abbiamo apprez­zato in molti, San­tità, e io fra quelli, la Sua corag­gio­sis­sima enci­clica (la «Lau­dato si’»), in cui fra molte cri­ti­che al capi­ta­li­smo finan­zia­rio emerge una pro­po­sta forte affin­ché la poli­tica (e quindi l’etica, il bene comune) torni a eser­ci­tare un «governo» sull’economia e sugli inte­ressi egoistici.

Ma que­sto apprez­za­mento sem­bra stri­dere con la Sua rea­zione di que­sti giorni, appa­ren­te­mente volta a con­dan­nare non tanto il dato ogget­tivo (di una Chiesa gra­ve­mente preda della cor­ru­zione) quanto la fuga di noti­zie (si parla per­sino di una pos­si­bile richie­sta di ritiro dal com­mer­cio dei due libri summenzionati).

Con­cludo là dove ho ini­ziato. L’uomo è sostan­zial­mente «homo reli­gio­sus», biso­gnoso di tro­vare un legame con la dimen­sione trascendente.

La cura di que­ste anime dal desi­de­rio più che legit­timo (e sono la stra­grande mag­gio­ranza), spet­tano a una Chiesa che sap­pia essere dav­vero «povera», «umile», dalla parte degli ultimi e degli emarginati.

Che essa rie­sca in tale obiet­tivo (se non vogliamo che venga sosti­tuita da divi­nità ter­rene assai più fune­ste), è inte­resse di tutti noi. Cre­denti e non credenti.

Per que­sto mi sento di appog­giare la dif­fi­cile bat­ta­glia che Lei, San­tità, sostiene di com­bat­tere con ama­rezza e vigore per espel­lere ser­penti e fari­sei dal con­sesso ecclesiastico.

Credo che siamo in tanti a farlo, cre­denti e non, pra­ti­canti e non.

Sol­tanto, San­tità, abbiamo biso­gno di mag­giore tra­spa­renza e coe­renza, di una Chiesa che non tenta di oscu­rare le pro­prie debo­lezze ma che piut­to­sto le affronta con forza e aper­ta­mente, per­ché come inse­gnava San Tom­maso, l’anima dell’uomo richiede un nutri­mento che dia forza alla sua fede ma anche alla sua ragione.

E quest’ultima, se sa di non poter cono­scere con cer­tezza le cose divine, è tut­ta­via molto abile a com­pren­dere le mise­rie terrene.




un invito al sinodo ad una maggiore audacia e discernimento

 

 

“Osate discernere con noi”

lettera aperta ai “Padri” sinodali

lettera del giornalista René Poujol pubblicata sul sito renepoujol (Francia) il 6 febbraio 2015

Cari Padri, eccoci ancora agli inizi di questo anno 2015 che conoscerà il completamento del sinodo sulla famiglia voluto dal nostro papa Francesco. Ne ho applaudito l’intuizione, felice di ritrovarvi la generosità dello sguardo del Concilio Vaticano II che ha segnato la mia giovinezza. Ho seguito da vicino i preparativi poi i lavori della prima sessione, applaudito alla franchezza dei dibattiti, tremato per le tensioni suscitate dalla relazione intermedia del cardinale Peter Erdo, mi sono disperato per il ripiegamento timoroso testimoniato dalla redazione finale dei Lineamenta che vi sono stati inviati in vista della sessione dell’ottobre 2015. So quanto saranno decisivi i prossimi mesi. Come invita a fare la Lettera del cardinal Baldisseri, segretario generale del sinodo, mi prendo quindi la libertà di inviarvi questa “lettera aperta” (1).Sono nato cattolico, da una famiglia molto credente, e lo sono rimasto fino ad oggi, non avendo mai trovato motivi sufficienti per rimettere in discussione questa appartenenza e scardinare la mia fede in Cristo. Cos’altro dire che, senza rischiare di cadere in una forma di esibizionismo, esprima tuttavia il mio impegno costante all’interno della Chiesa da mezzo secolo (2) e precisi quindi il luogo da cui vi parlo? Perché è proprio da questo mio profondo attaccamento ecclesiale che vorrei esprimervi, per il passato recente, la mia delusione, e per il futuro, che è nelle vostre mani, la mia fiducia e la mia speranza. .

Ho amato e apprezzato lo spirito della “relazione intermedia”

Della relazione intermedia, tanto criticata, ho amato e apprezzato proprio quello spirito di libertà che portava la Chiesa a decentrarsi da se stessa come la invita a fare papa Francesco. Sicura della Buona Notizia di cui è portatrice, per la coppia e la famiglia, poteva offrirsi uno sguardo ottimista e generoso sul mondo. Il testo ci invitava a “percepire le forme positive della libertà individuale”, a “riaffermare il valore e la consistenza propria del matrimonio naturale” e “riconoscere elementi positivi nelle forme imperfette” del matrimonio civile, della coabitazione e del concubinaggio, tipi di unioni in cui si potevano “vedere valori familiari autentici” quando vi trovavano spazio: “la stabilità, l’affetto profondo, la responsabilità verso i figli, la capacità di resistere nelle prove” (2). Ho trovato bella, a proposito dei divorziati risposati, l’idea che un approfondimento teologico possa aiutarci a superare la solo apertura fatta a quelle coppie di una “comunione spirituale”; così come ho apprezzato il riconoscimento che “le persone omosessuali hanno dei doni e delle qualità da offrire alla comunità cristiana” e l’invito a “prendere atto che esistono (tra loro) casi di sostegno reciproco fino al sacrificio”… (3). Come giornalista, ne ero stato testimone, negli anni 80 in cui molti malati di aids, abbandonati dalla loro famiglia (magari anche cattolica), morivano nella solitudine, avendo, nel momento di rendere il loro ultimo respiro, il solo sguardo amante di quell’uomo o di quella donna che condivideva la loro vita.

. Quando guardo attorno a me…

Ed ecco che la sintesi finale, adottata dai partecipanti al Sinodo romano, che oggi serve da documento preparatorio al Sinodo ordinario dell’ottobre 2015, a cui siete chiamati a partecipare,rivedeva le espressioni coraggiose della relazione intermedia. Come se, al termine dei lavori: “i padri sinodali (volessero) invece trovare i mezzi per riproporre la bellezza del matrimonio cristiano piuttosto che insistere sugli aspetti positivi delle situazioni problematiche”(4). Al punto da tornare a concentrarsi sull’uno rinunciando all’altro.

Cari Padri, quando guardo attorno a me: i miei stessi figli e figlie, nipoti, figliocci e figliocce, tutti in età per vivere in coppia, osservo una bella diversità di matrimoni religiosi o civili, di pacs (ndr.: unioni civili) o di semplice convivenza. Tra di loro, ce n’è perfino uno che ha osato la scelta radicale di una vita monastica… ortodossa! Dei loro figli, alcuni sono battezzati, altri no, alcuni hanno ricevuto in municipio un battesimo repubblicano. Quando guardo nella mia famiglia e tra i miei amici, vi scopro vecchie coppie sposate, come noi, ma anche persone sole, o in seconda unione dopo un divorzio. E, tra i nostri parenti o conoscenti omosessuali: coppie libere da qualsiasi legame giuridico, altre con un pacs, altre recentemente sposate. È in mezzo a loro che vivo. Con felicità e riconoscenza. Alla domenica, a messa, li presento tutti indifferentemente nella mia preghiera. Vedo ciò che testimoniano: fedeltà nella loro coppia, affetto reciproco e sostegno, responsabilità verso i loro figli, capacità di resistere nelle prove della vita, apertura agli altri… insomma, quelle qualità percepite come costitutive del matrimonio cristiano da coloro che accettano che Dio abbia qualcosa a che vedere con il loro amore! Sanno che provo per loro: rispetto, stima e affetto. E vorrei tanto farli partecipi della mia Chiesa.

. Quelle “periferie” in cui sembra che si voglia dissuadervi dall’avventurarvi

Sicuramente sono accampati in quelle “periferie” che papa Francesco ci invita a visitare e in cui, improvvisamente, sembra che si voglia dissuadervi dall’avventurarvi. A meno che non ci sia qualche anima da riportare all’ovile. “Bisogna accogliere le persone con la loro esistenza concreta, sapersostenere la loro ricerca, incoraggiare i l loro desiderio di Dio e la loro volontà di fare pienamente parte della Chiesa”(5). “Tutte queste situazioni devono essere affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in occasioni di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo…”(6). Ma, vedete, cari Padri, coloro di cui vi parlo, non esprimono necessariamente, oggi, un desiderio di Dio che li porterebbe a voler fare pienamente parte della Chiesa. Vivono e sono felici di vivere, apparentemente senza Dio e senza Chiesa. Eppure, come laico credente, camminando accanto a loro da molto tempo, per alcuni da sempre, ho il desiderio di continuare ad incarnare presso di loro quell’“arte dell’accompagnamento” costitutiva del mio battesimo, che presuppone “di imparare sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro” (7), quale che sia la sua appartenenza e il suo progetto di vita.

. Quando la Chiesa si rifiuta di vedere Dio all’opera nel cuore degli uomini

Della situazione dei divorziati risposati, osservo che vi è ora proposto “un approfondimento ulteriore” (8) e della situazione delle persone omosessuali, la ricerca di un’attenzione pastorale che si riferisca all’insegnamento della Chiesa secondo il quale: “Non c’è nessun fondamento per assimilare o stabilire delle analogie, anche lontane, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio su matrimonio e famiglia”(9). Il che ci porta al paradosso che la Chiesa si rifiuta di vedere Dio all’opera nel cuore delle persone quando ciò non corrisponde al suo modo di intendere il piano di Dio, senza neanche chiedersi se tale modo di intendere continui ad essere pertinente!

Cari Padri, a pochi mesi dall’evento che segnerà sicuramente la vita della nostra Chiesa, sento quanto è grande la vostra responsabilità e non dubito neanche per un attimo della vostra determinazione a volerla assumere in fedeltà alla Parola di Dio. So quanti e quali cambiamenti di civiltà abbiano effetti sulle nostre società e le lacerazioni che nascono dai nostri desideri contraddittori di libertà individuale e di servizio del Bene comune. Comprendo la vostra preoccupazione di ricordare alle giovani generazioni quanto il cammino d’amore, di fedeltà e di fecondità che viene loro proposto risponda al più profondo delle loro attese e che Dio può aiutarli ad assumerlo attraverso le prove della vita. Aderisco allo sguardo pastorale a cui invitano i Lineamenta affinché, nelle nostre comunità cristiane, nessuno si senta escluso, emarginato, disprezzato a causa del suo fallimento, della sua sofferenza, della sua differenza e del suo semplice desiderio di ritrovare la felicità.

. Trasformeremo il mondo se non lo amiamo? Ma gli altri, cari Padri? Tutti quegli altri che, per ragioni che sfuggono sia a voi che a me, si trovano oggi indifferenti alla Chiesa e alla sua religione? Tutti quegli altri in mezzo ai quali viviamo nel quotidiano perché sono i nostri figli, amici, vicini… non avremmo null’altro da offrire loro se non un impossibile invito alla conversione? Trasformeremo il mondo se non lo amiamo già così com’è, se non gli diciamo che è amato da Dio, se non sappiamo già rallegrarci con lui di più umanità, di più solidarietà, se decidiamo di riservare il nostro sguardo e il nostro cuore solo alle persone suscettibili di giungere nel grembo della santa Chiesa cattolica, apostolica e romana? E saremmo allora ancora fedeli al Vangelo di Matteo 25, allo spirito delle Beatitudini? Cari Padri, non voglio abusare del vostro tempo che è prezioso. La XIV Assemblea generale ordinaria del sinodo a cui siete invitati a partecipare ha come oggetto: “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Osate discernere con noi, generosamente, in questo mondo contemporaneo tanto denigrato, la moltitudine e la diversità dei semi del Verbo, per farli crescere insieme, sapendo che spetta solo a Dio decidere le condizioni per entrare nel Regno. _______________

1. Un amico mi fa osservare che l’invito del cardinale è di rispondere ad alcune delle 46 domande formulate nei Lineamenta, non a “fare petizioni per far pressione” sul sinodo. È vero, ma non è questo il mio intento. 2. Ho presieduto, in gioventù, l’associazione degli studenti cattolici di Tolosa, prima di entrare come giornalista, dal 1974 al 2009, nel gruppo editoriale Bayard, anch’esso cattolico, di cui ho diretto per dieci anni la testata Pèlerin. Sono stato barelliere a Lourdes, catechista nella mia parrocchia, capo scout, responsabile dipartimentale poi membro dell’équipe nazionale degli Scout di Francia. Oggi membro del Consiglio delle Settimane sociali francesi, e della Conférence catholique des baptisés francophones (CCBF), sono oggi amministratore dell’Abbazia di Sylvanès (Aveyron), insieme origine della Liturgie chorale du peuple de Dieu, e centro del dialogo tra fede e cultura. Ho dedicato dei libri a tre preti, l’incontro con i quali ha profondamente segnato la mia vita: Mons. Jacques Delaporte, arcivescovo di Cambrai, il mio amico fratel André Gouzes op. e l’abbé Pierre. Mentre, ancora per due anni, partecipo alla missione del Segretariato generale del sinodo diocesano di Créteil, cerco di preservare un po’ di tempo per la scrittura di un blog dove mi presento come “giornalista, cittadino e ‘catho en liberté’”, blog essenzialmente dedicato alla vita della mia Chiesa e al suo dialogo con la società, e dove la presente lettera è inserita. 3. Relazione intermedia § 5, 18, 38 e 22 4. ibid.§ 48, 50 e 52 5.Imedia, ripreso il 16 ottobre sul sito di Famille Chrétienne 6. Lineamenta § 11 7. ibid § 43 8. ibid § 46 9. ibid domanda n° 38 10. ibid § 55




un prete italiano scrive al papa sul celibato

Francesco papa
Un prete aquilano scrive a Papa Bergoglio “Il celibato non è dogma, concedici il matrimonio” Un sacerdote affida ad una ‘lettera al direttore’ de ‘il centro’ il suo appello: “Caro Francesco, modernizza la Chiesa di Roma”
Caro direttore, chieda al Papa a nome mio e di tanti altri preti, quando la Chiesa si sveglierà nell’approvare il celibato facoltativo dei sacerdoti! il Cardinale Martini aveva ragione a dire che la Chiesa è indiet…ro di 200 anni. Apprezzo il celibato, ma la Bibbia, soprattutto le lettere pastorali di Paolo, ci fa capire che il celibato non va imposto. San Paolo attacca chi vieta il matrimonio definendolo falso profeta…. San Paolo scrive che i preti, vescovi e diaconi dovevano essere uomini di una sola moglie. Quindi sposati una sola volta. Rimasti vedovi, penso potevano risposarsi. Così mi insegnò pure un mio prof della facoltà teologica. La chiesa cattolica di rito bizantino e maronita permette ai seminaristi di sposarsi, ma devono decidere prima del diaconato. Abbiamo infatti preti bizantini e maroniti sposati! Caro Papa Francesco, ti voglio bene e mi commuovi perché parli col cuore libero…allora ti chiedo: perché la chiesa cattolica romana di rito latino non rivede la norma sul celibato obbligatorio? La trovo una norma stupida, anti biblica! Il celibato deve essere facoltativo.
Alcuni miei amici preti bravissimi sono stati costretti a lasciare il sacerdozio perché si sono innamorati seriamente di una donna. Ora hanno famiglia, figli e sanno cosa è il sacrificio e la gioia di guidare la famiglia piccola chiesa domestica. Sono preti che potrebbero benissimo essere reinseriti nella Chiesa vista la crisi grave di vocazioni. Preti omosessuali, che rispetto e stimo, possono invece continuare a fare i preti. Convivono pure col compagno e nessuno dice nulla. Se invece ti vedono con una donna, subito la gente bigotta e fissata inizia a pensare male quando invece non c’è nulla di male se c’è amore vero!! Siamo indietro di 200 anni…
Caro cardinal Martini dal Cielo, aiuta Papa Francesco insieme allo Spirito Santo a portare la Chiesa verso nuovi orizzonti. Basta liberarsi dai pensieri farisaici e ipocriti. Il bello è che Papa Giovanni Paolo II parlò bene del matrimonio dei preti quando approvò il codice di diritto canonico per le chiese orientali. Bellissimo il libro di Donald Cozzens “Verso un volto nuovo del sacerdozio” (Queriniana). Cozzens, prete psicologo americano, scrisse questo libro dopo gli scandali dei preti pedofili. Il vescovo don Tonino Bello, morto in concetto di santità, nel libricino intervista “Chiesa di parte”, scrisse che il celibato è un dazio e ciò non va bene. Profetizzò che in futuro uomini sposati sarebbero diventati preti! Don Tonino Bello vescovo ha la stessa tempra del Papa. Peccato che pure don Tonino è salito al Cielo, ma Dio sa come fare. Don Andrea Gallo, nel suo libro “Come un cane in Chiesa” ci aiuta a riflettere su temi che danno fastidio a certi uomini di Chiesa ultra moralisti e retrogradi.
Non voglio fare polemica, ma questa mia lettera vuole essere una critica rispettosa e costruttiva verso la Santa Sede. L’Abbe Pierre, nel suo libro “Mio Dio perché”, ci aiuta come don Gallo ad aprire gli occhi pure sulla castità repressa e bloccante. Ben venga la castità, ma ben vengano pure i rapporti sessuali fatti con amore vero e vita! Ci vuole equilibrio e ci vuole una morale più aperta se no la scienza teologica viene meno! Ben vengano i valori e i principi! Ma sono stufo di difendere una teologia morale obsoleta e fossilizzata.Credo nell’amore infinito di Dio. Dio ci ama e questo è il tempo della Misericordia Infinita di Dio. Poi sarà la Fine!
Cara Chiesa, ritorna alle origini e apri gli occhi!! Caro Papa Francesco, grazie per aver scelto mons. Parolin come nuovo segretario di Stato: ha già detto che il celibato non è un dogma! E bravo pure il cardinale Hummes, ex prefetto della Congregazione per il clero che fu messo a tacere perché pure lui disse che il celibato dei preti non È un dogma.
Caro Papa Francesco grazie per aver parlato delle lobby gay del Vaticano. Sei un Papa eccezionale e senza peli sulla lingua. Non sono arrabbiato con i gay, li rispetto e li accolgo come fratelli. Sono arrabbiato con gli ipocriti e li affido alla potenza rinnovatrice di amore dello Spirito Santo.
Caro Papa se mi vuoi contattare chiama il direttore del giornale, ma non punirmi. Anzi ti chiedo scusa se mi sono sfogato così apertamente. Prega per me caro Papa e se mi chiami non dirò di questa nostra mail perché ho paura di certi monsignori, vescovi e cardinali che sono indietro di 200 anni. Ma di te caro Papa non ho paura e ti voglio tanto bene. Prega per me perché sono un po’ in crisi, ma ho tanta voglia di amare, di evangelizzare, di celebrare con amore e gioia L’Eucarestia fonte e culmine della vita cristiana. Sono in crisi perché non esiste più una Fede matura. Poca gente frequenta i sacramenti con sincerità. Gli altri lo fanno solo per tradizione ma i loro cuori sono lontani da Dio. Ogni giorno nella mia parrocchia e altrove devo lottare contro i farisei ipocriti o contro un certo fanatismo deviante. I cristiani veri sono pochi. Pazienza, meglio pochi ma buoni.
Un sacerdote aquilano
(ilcentro)



Lettera aperta a papa Francesco di un vescovo

abbracio papale

Lettera aperta di Claude Dagens, vescovo di Angoulême a papa Francesco: grazie di averci consigliato non solo una pastorale dell’accoglienza ma del cammino, per formare una chiesa “capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme”
in “La Croix” del 30 settembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

Caro papa Francesco, l’indomani della sua elezione, nel marzo 2013, il nostro amico cardinale francese Roger Etchegaray le ha inviato una poesia nella quale esprimeva con finezza la sua gioia e la sua fiducia. Mi permetta di esprimerle oggi la mia viva riconoscenza per le riflessioni che ha voluto affidare alle rivista dirette dai suoi fratelli gesuiti. Tutti percepiscono due insistenze particolarmente forti nelle sue parole: la priorità del rinnovamento della vita cristiana rispetto alla riforme istituzionali e l’appello a non mettere i problemi morali e le soluzioni disciplinari al posto dell’essenziale, che si trova nella Rivelazione di Gesù Cristo Salvatore. Queste due insistenze sono profondamente rivelatrici e anche molto tradizionali. Tutti coloro che hanno letto Vera e falsa riforma della Chiesa di padre Yves-Marie Congar  sanno bene che, in tutto il corso della storia, le riforme nella Chiesa sono inseparabili da un lavoro in profondità che ridà a Gesù Cristo il suo posto centrale nella fede e nella vita cristiana. Benedetto, Francesco, Ignazio e molti altri, sono stati donati da Dio per suscitare quel rinnovamento spirituale che prepara le trasformazioni di strutture. Grazie di ripeterci che “la prima riforma deve essere quella del modo di essere” e che “i ministri del Vangelo devono essere degli uomini capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi”. Che belle scoperte e che begli incontri ci aspettano allora, su quelle strade aperte! Quanto alla morale cristiana, a partire dal Vangelo e come nelle lettere dell’apostolo Paolo, essa deriva dalla Rivelazione di Cristo che “viene a cercare e a salvare ciò che era perduto” (Luca 19,10). Grazie, papa Francesco, di avercelo detto che chiarezza: “ Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi”, e “dobbiamo trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo”. Ma possiamo fin d’ora, come ha consigliato ai vescovi del Brasile, praticare la pastorale non solo dell’accoglienza, ma del cammino, alla luce della racconto dei pellegrini di Emmaus, formando “una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme”. Grazie, caro papa Francesco, di incoraggiarci a questo lavoro continuo di presenza e di discernimento. Ma la cosa più bella delle sue riflessioni mi sembra ancor di più, non nell’apertura al mondo, come abbiamo detto talvolta in maniera ingenua, ma nel suo appello all’apertura esigente del cuore e dell’intelligenza, che impedisce ogni propensione al ripiegamento e alla diffidenza, e anche al sogno “occupare spazi di potere”. Mi auguro che il suo avvertimento sia ascoltato: “Le lamentele mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo ‘barbaro’ finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi”. Questa concezione così tradizionale della presenza di Dio nella storia mi fa pensare a padre de Lubac e alla sua Meditazione sulla Chiesa, scritta verso il 1953, in un’epoca in cui era messo a dura prova. Quell’uomo di cuore e di intelligenza ha attinto allora nelle fonti cristiane questo modo aperto di intendere la fede, che lascia spazio all’incertezza umana per dare tutte le sue chances a ciò che Dio ci rivela e ci dà. Caro papa Francesco, avrei ancora molte cose da dirle, ringraziandola per aver parlato di quei pittori, di quei musicisti e di quegli scrittori che lei ama. Spesso ho contemplato il quadro di Caravaggio a San Luigi dei Francesi, e quel raggio di luce che va da Gesù al pubblicano Matteo, “quel peccatore su cui si è posato lo sguardo di Gesù”. Mi piace anche molto, a poca distanza, nella chiesa di Sant’Agostino, la Madonna dei pellegrini, sempre di Caravaggio. Nelle braccia di
sua madre, il Bambino Gesù irradia luce, e Maria si rivolge a quell’uomo e a quella donna anziani che sono inginocchiati davanti a lei. L’uomo e la donna pregano entrambi, ma in modi diversi. L’uomo è curvo, implorante e si vedono i suoi piedi nudi a terra. La donna, invece, è come in dialogo con la Madonna, la guarda, la ringrazia, mentre l’uomo si rivolge piuttosto al Bambino che lo benedice. Il mistero della nostra umanità è lì rappresentato: la presenza illuminante di Gesù, l’amore di sua madre e quel bell’abbandono dell’uomo e della donna che vivono un momento di eternità. Ecco il mistero della Chiesa: nella notte da cui sorge la luce, continuiamo a camminare, e Dio è lì, e la sua benedizione ci accompagna! Grazie, caro papa Francesco, di essere con noi su questo cammino aperto! Che lo Spirito Santo le conceda di aprirlo ancor di più, in nome della misericordia di Cristo!