l’eterno scontro tra religione e vangelo

adista

la chiesa divisa tra la dottrina e la memoria di Gesù

Claudia Fanti    

da: Adista Documenti n° 29 del 03/09/2016

Vi è un colossale fraintendimento all’origine di tutti i problemi della Chiesa: la sovrapposizione della religione al Vangelo, se non una vera identificazione tra i due, ignorando o volendo ignorare il fatto elementare che Gesù non intese affatto fondare una religione, con la quale, al contrario, visse un conflitto radicale e dalla quale venne brutalmente respinto e assassinato. Un conflitto, quello tra il progetto di Gesù e il progetto dei sacerdoti, in cui la Chiesa ha finito per schierarsi con la religione, costituendosi in religione, e quindi scegliendo la via del potere, del privilegio e della sicurezza al posto di quella pericolosa e sovversiva del Vangelo. Cosicché, per dirla con il teologo francese Alfred Loisy, «Gesù annunciò il Regno, ma quello che è venuto è stata la Chiesa». Una posizione, questa, ampiamente condivisa nell’ambito della teologia progressista, e ultimamente ripresa dal teologo spagnolo Evaristo Villar, nell’intervento pronunciato durante l’incontro organizzato il 25 aprile dal Caum (Club de Amigos de la Unesco de Madrid) proprio sul tema “Si può essere cristiani e difensori della laicità?” (pubblicato da Redes Cristianas il 4 maggio), di cui vi proponiamo alcuni stralci, in una nostra tradizione dalllo spagnolo.

Cristiani e laici

Cristiani e laici

Evaristo Villar    

da: Adista Documenti n° 29 del 03/09/2016

 

(…). Si può essere cristiani senza difendere la laicità? E si può essere laici senza essere cristiani?

Poiché questa seconda domanda può apparire provocatoria, intendo partire da questa. (…). Non è una domanda ingenua o priva di senso. La mia generazione, le nostre generazioni, sono cresciute in Spagna in una cultura cristiana, nazionalcattolica. Tutti noi, volontariamente o forzatamente, abbiamo una certa cultura cristiana. (…).

In più, diversi autori, non solo spagnoli, hanno affermato esplicitamente che “la laicità ha radici cristiane”. Uno scrittore al di sopra di ogni sospetto, Fernando Savater – il quale attribuisce al cristianesimo due grandi contributi alla storia delle idee: la concezione della persona e la separazione tra religione e Stato – afferma espressamente che «i cristiani hanno inventato la laicità». E già prima Max Weber (storico, filosofo e sociologo) aveva disseppellito le radici giudaico-cristiane della secolarizzazione. (…).

Su questa linea, il filosofo tedesco di origine ebrea Ernst Bloch, che non era credente, scrive nel 1968 un libro assai interessante dal titolo Ateismo nel cristianesimo. Chi vede me vede il Padre, in cui afferma che «la cosa migliore della religione è il fatto di creare eretici» (…). E afferma, inoltre, riguardo al nostro tema, che «solo un ateo può essere un buon cristiano», completando così la frase: «sebbene solo un cristiano possa essere un buon ateo».

A sostegno di tali affermazioni, in un certo modo, si pone la posizione assunta 50 anni prima dal leader socialista francese Jean Jaurés, in risposta alla richiesta di suo figlio, nel 1919, di essere esentato dallo studio della religione. Tra le ricche motivazioni su cui fonda il suo rifiuto, voglio evidenziare queste: «Ho assunto l’impegno a garantire che la tua istruzione e la tua educazione siano complete, e non potranno esserlo senza uno studio serio della religione… (Perché) la religione è intimamente legata a tutte le espressioni dell’intelligenza umana; è la base della civiltà… Sono realmente liberi di non essere cristiani solo coloro che hanno la facoltà di esserlo, in quanto in caso contrario, l’ignoranza li obbligherà all’irreligione». Riconosco che la risposta alla domanda sulla possibilità di essere laici senza essere cristiani, in virtù della galoppante secolarizzazione attuale, non può avere oggi la stessa eco che in decenni passati. Ogni giorno può risultare più irrilevante; ma ciò non deve cancellare la storia.

SI PUÒ ESSERE CRISTIANI SENZA DIFENDERE LA LAICITÀ?

Uno sguardo alla storia del cristianesimo ci darà risposte contraddittorie. Ma la risposta, per essere corretta – e questa è la tesi tesi principale che intendo sostenere -, ha a che vedere con la visione che si ha di Gesù di Nazareth, che è il riferimento principale o la fonte essenziale dell’ispirazione cristiana. Il cristiano costruisce la propria identità come seguace della persona, del messaggio e delle cause di Gesù. Ma di che Gesù si tratta? Se si considera Gesù come il fondatore di una religione, di una Chiesa, avremo una risposta; se si vede in lui l’origine di un movimento sovversivo, rivoluzionario, alternativo, fonte di una società alternativa, ne avremo un’altra ben diversa. (…).

1. Partendo dal riferimento a Gesù, dalla sua identità 

Fino al XVIII secolo non c’è stato problema: a Gesù si arrivava attraverso i Vangeli, in base alla convinzione che fossero racconti autentici, tali da riflettere fedelmente il Gesù della storia (…). Lo scetticismo si diffuse quando, a partire dal XVIII e dal XIX secolo, diversi esegeti e scienziati dimostrarono il vuoto di quasi 40 anni che esiste tra i fatti narrati e il Vangelo di Marco, considerato il più antico. R. Bultmann giunse a sostenere che, per quanto non si potesse negare l’esistenza storica di Gesù, era impossibile arrivare ad essa partendo dalle fonti evangeliche. (…).

L’ermeneutica attuale sta collocando finalmente il Gesù della storia laddove viene indicato dal contesto socioculturale, politico e religioso che emerge dai Vangeli e dalle poche testimonianze antiche al di fuori di essi. In definitiva, potremmo concludere che, se c’è qualcosa che risulta chiaro, dopo l’esaustivo studio esegetico condotto negli ultimi due secoli, è questo: Gesù non ha fondato alcuna religione, né ha fatto parte della classe dirigente del paese; apparteneva al popolo ed era laico. E laico è il termine che hanno utilizzato i traduttori della Bibbia ebraica (secoli III-II a.C.) per tradurre in greco la parola “am”, che si riferisce al popolo, cioè alla gente che non è di classe sacerdotale o levitica.

È interessante, per il nostro scopo, approfondire un po’ di più questo aspetto. Gesù era un laico, e si mostrava assai critico nei confronti della religione e delle istituzioni del suo tempo. Il suo messaggio delegittimava la teocrazia di Israele (Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, Mc 12,17), il fondamentalismo religioso ebraico (I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio, Mt 21,31), l’etnicismo e l’etnocentrismo di un popolo che si considerava eletto (Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare, Mt 21,43) e il nazionalismo escludente (Lasciate che i bambini – e gli stranieri, i poveri, gli infermi – vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio, Mc 10,14). In virtù di tali posizioni e delle sue “cattive compagnie”, venne scomunicato dalla sinagoga. La sua condotta e il suo discorso destarono scandalo rispetto a quelle che erano considerate colonne intoccabili per le istituzioni religiose e sociopolitiche degli ebrei: violò il sabato (Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!, Mc 3,1 e ss.), venne meno al rispetto sacro del tempio (Non rimarrà qui pietra su pietra, che non sia distrutta, Mc 13,2 ed espulse i mercanti, Gv 2,16), considerò sorpassata  la legge (La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi, Lc 16,16). Da qualunque parte lo si guardi, lo scontro di Gesù con le istituzioni ebraiche fu diretto e frontale. (…). È ciò che lo condusse alla morte.

Quello che è avvenuto dopo lo sappiamo: «Gesù annunciò l’avvento del regno di Dio – ha detto Alfred Loisy – ed è venuta la Chiesa». Per prima cosa ci fu la teologizzazione del Nuovo Testamento da parte di Paolo e degli altri scrittori, più preoccupati per il destino delle comunità che per la storia di Gesù. La Chiesa dei secoli successivi formulò tutto ciò in concetti, ripresi particolarmente dalla filosofia greca, creò una dottrina e una religione e la impose in forma dogmatica. (…).

È a partire da qui che si può intendere la tensione dialettica che scorre nelle vene della storia cristiana tra la memoria e il ricordo di Gesù e la dottrina che la Chiesa ha accumulato su di lui. Questa tensione possiamo immaginarla perlomeno su due piani alternativi o due forme di comprensione di ciò che è cristiano dopo Gesù: una si conforma meglio alle risposte date, alla cultura delle certezze; l’altra nasce dalle domande, da ciò che si sta facendo e scoprendo. Una, come il mito, considera la sua origine ab initio, in illo tempore, ritenendosi depositaria di una rivelazione chiusa, di un’eredità da conservare; l’altra va sorgendo a partire dalla prassi, dal qui e ora, configurandosi più che come un’eredità, come una perpetua novità, una continua scoperta. Una comporta la sottomissione a una dottrina; l’altra implica sempre una decostruzione, una liberazione da tutto ciò che è assimilabile a un’ideologia, da tutto ciò che rende schiavi. Una è sacra, rituale e dogmatica; l’altra è profana, storica, creativa, sempre in cerca della verità. Una, come Ulisse, è sempre un ritorno alla sicurezza del focolare (eterno ritorno); l’altra, come Prometeo, è sempre una lotta per superare i limiti dell’umano. Una è una religione, un potere; l’altra è un Vangelo, con la debolezza di una poesia che sta nascendo. (…).

2. Partendo dal riferimento alla storia dei cristiani/e

Il cristianesimo non è mai stato esente dalla tensione tra il tentativo di trasformarsi in una religione pronta all’uso – in competizione o complicità con la forma politica dominante – e la difesa di una alternativa umanista, rispettosa della dignità e dei diritti dell’essere umano. (…). Mi riferisco, in particolare, a tre momenti a mio giudizio determinanti (…).

1º La tensione tra il cattolicesimo e il cristianesimo, che sorge in Spagna già nel XVI secolo e va avanti, con varie sfumature, durante il XVII e il XIX secolo, tra i difensori di una linea dogmatica, imperiale e sostenitrice dell’antico regime e gli intellettuali, gli scrittori e i teologi favorevoli a una linea umanista: i seguaci di Erasmo, quelli di Bartolomé de las Casas e i mistici (Teresa di Gesù e Giovanni della Croce). (…).

2º La tensione tra religione e cristianesimo (…), che ha sullo sfondo la condanna del modernismo, del liberalismo e del socialismo da parte della gerarchia ecclesiastica, come pure il Concilio Vaticano I (quello dell’infallibilità) e il Giuramento Antimodernista di Pio X. La esplicita, in modo quasi drammatico, Miguel de Unamuno: «Il cattolicesimo attuale è uno spazio impraticabile per un’esperienza religiosa e per la coerenza tra fede e ragione» (…). Una persona così sensibile alla modernità e all’esperienza religiosa come Unamuno inorridisce constatando l’alleanza stabilita tra il trono e l’altare e la perdita del filone mistico che, a partire dal XVI secolo, attraversava la cultura spagnola. (…).

3º La tensione attuale tra una società pluriculturale e multireligiosa e l’immobilismo strutturale della Chiesa cattolica. La pulsione laica (…) torna ora con forza, riprendendo la migliore tradizione emancipatoria che, dal XVI secolo, ha attraversato in una linea di continuità la storia di questo Paese.

Se intendiamo la laicità come un diritto essenziale, sociale e politico il cui obiettivo è instaurare (…) l’autonomia dello Stato e la libertà di coscienza, i modi di accedere a questi nobili fini sono differenti. Ma al di là delle divisioni (…) questa nuova spinta laica si contrappone al monolitismo della Chiesa gerarchica, incapace di superare il nazional-cattolicesimo alimentato da gruppi fondamentalisti e anacronistici (…). Di fronte a questo immobilismo gerarchico si va consolidando, con forza sempre maggiore, un discorso critico e liberatore, di impronta laica, tanto all’interno della Chiesa quanto nella società civile. (…).

All’interno della Chiesa, i movimenti liberatori affondano le loro radici non solo nel Gesù della storia e nella tradizione eterodossa e anche eretica del cristianesimo storico, ma anche in fonti più recenti come il Vaticano II e le Teologie della Liberazione. La lista di questi gruppi, generalmente messi a tacere, sarebbe interminabile. (…).

ALCUNE QUESTIONI PER LA RIFLESSIONE E IL DIBATTITO

1. Ogni giorno va crescendo l’evidenza dell’incapacità delle grandi istituzioni (UE, Stati nazionali, ecc.) di mantenere la promessa di uguaglianza e benessere per i cittadini. Di fronte a tale realtà (…), la gente cerca la propria identità in istituzioni minori, legate all’etnia o alla religione. È il caso allora di domandarsi quali trasformazioni dovrebbe compiere il movimento laico democratico per assicurare alla popolazione la possibilità di continuare a vivere insieme. O, detto diversamente, come far sì che il diritto alla differenza possa trasformarsi in principio di appartenenza.

2. (…). Una volta separato il trono e l’altare, stabilita la laicità con tutto ciò che questa deve superare (gli accordi con la Santa Sede, il finanziamento della Chiesa, la religione confessionale nella scuola pubblica, i simboli religiosi nei luoghi pubblici, la presenza ufficiale in atti religiosi, ecc.), resterà ancora in sospeso il problema dello Stato. Come dovrà essere lo Stato laico per offrire un’identità a tutte quelle persone che oggi non ce l’hanno: nuovi e vecchi poveri, disoccupati e pensionati, giovani precari e senza tetto (…), emigrati, immigrati, rifugiati




è possibile un ripensamento a fondo dell’Islam?

Islam

religione e laicità

di Michele Martelli

un Islam europeo non può che nascere da un confronto aperto e spregiudicato, questo sì «senza se e senza ma», con la moderna cultura europea. Quindi con la laicità. Il che implica la necessità dell’avvio (o della ripresa) sia di un processo di reinterpretazione del Corano sia di un dibattito pubblico sul suo rapporto con la laicità

«L’Isis non è l’Islam e l’Islam non è l’Isis», «il Corano è un libro di pace», «l’Islam è religione di pace»: questi e simili gli slogan principali dei manifestanti islamici nelle piazze di Roma e Milano. Simile il messaggio trasmesso dalle coraggiose orazioni dei rappresentanti della comunità islamica di Venezia alla cerimonia laica dei funerali di Valeria Solesin. Questo anche il contenuto essenziale dei numerosi interventi e interviste di fedeli e imam italiani in vari programmi radio, nei talk show televisivi e sui maggiori quotidiani nazionali. Dunque una dissociazione netta, precisa, inequivocabile, dai terroristi jihadisti del Bataclan emissari dell’Isis, a smentita della campagna mediatica dei nostrani islamofobi fallaciani, che di tutt’erba fanno un fascio.

La condanna pubblica del terrorismo da parte delle comunità islamiche italiane dopo le stragi di Parigi sono il sintomo di una svolta decisiva nella storia dell’Islam in Occidente. Forse si sta assistendo in Italia ad un’efficace strategia di isolamento degli stragisti («Not in my name», lo slogan più diffuso), ma forse anche ad un tentativo di ripensare a fondo l’Islam per adattarlo alle democrazie europee, per europeizzarlo.

Ma un Islam europeo non può che nascere da un confronto aperto e spregiudicato, questo sì «senza se e senza ma», con la moderna cultura europea. Quindi con la laicità. Il che implica la necessità dell’avvio (o della ripresa) sia di un processo di reinterpretazione del Corano sia di un dibattito pubblico sul suo rapporto con la laicità.

A) L’Islam religione di pace? Il Corano libro di pace? Sì, ma purtroppo anche il contrario. Innanzitutto una questione metodologica: può osare, chi non è né arabo né islamico né credente, leggere criticamente e in una buona traduzione il Corano, ritenuto dai fedeli un libro sacro dettato da Allah a Muhammad per tramite dell’Arcangelo Gabriele nell’arabo coreiscita, ritenuto a sua volta la lingua di Dio?

Io penso di sì. Altrimenti perché tante traduzioni in tante lingue del mondo, tra cui quelle occidentali, tra cui quella italiana (tra le varie edizioni italiane del Corano, quella fatta dal dirigente dell’Ucoii Hamza Roberto Piccardo è stata riconosciuta come «traduzione ufficiale» dall’Arabia Saudita, custode dell’ortodossia salafita).

Del resto, poiché solo il 10 per cento dei musulmani (ne sono 1 milione e 600 mila nel mondo) conosce l’arabo, del Corano sono state fatte traduzioni più o meno ufficiali in varie e numerose lingue nazionali. Deassolutizzando di fatto la stessa sacralità del testo, adattato alle diverse culture nazionali. E prefigurando, paradossalmente, non uno, ma molti Islam. Come è avvenuto sin dalle origini nell’Islam arabo, ben presto dilaniato dal conflitto tra sunnismo e sciismo.

Dunque l’Islam predica solo la pace? No. Proviamo a rifarci al concetto di Jihad. Nel Corano, che, come tutti i testi religiosi, è complesso, prismatico, il concetto, che equivale a «sforzo sulla via di Allah», ha, come è noto, almeno tre significati: a) di sforzo interiore, fatto di meditazione e preghiera, di lotta con se stesso per la purificazione dal peccato (Sura 25, v. 52); b) di guerra di difesa («Combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono», Sura 2, v. 190); c) infine di guerra di espansione dell’Islam contro gli infedeli («Uccidete gli idolatri dovunque li troviate, prendeteli, circondateli, appostateli ovunque in imboscate», Sura 9, v. 5): da qui la divisione (nella tradizione giuridica musulmana) del mondo in due parti contrapposte: Dar al-Islam, o «dimora dell’Islam», e Dar al-Harb, o «dimora della guerra», quella degli infedeli, miscredenti e idolatri da conquistare e assoggettare con la spada.

In tutti e tre i sensi il profeta promette la santificazione e il paradiso dopo la morte. Se nel primo senso la teologia del Jihad contempla e incoraggia il rapporto diretto interiore, spirituale del fedele con Allah, nel secondo (difficile stabilire sempre, in una guerra armata, la difesa dall’aggressione) e soprattutto nel terzo autorizza l’espansionismo religioso, politico e militare, e quindi la «missione» dell’islamizzazione del mondo, che ha caratterizzato nei secoli prima la storia araba dei Califfi (=successori, vicari, luogotenenti di Muhammad), poi quella turca dell’Impero ottomano. Non si appellano al Jihad, pur in parte distorcendolo (nel Corano c’è sì la figura del martire combattente, ma non quella del terrorista suicida), sia i criminali drogati jihadisti delle stragi di Parigi sia Al-Baghdadi, appeso al folle sogno della rinascita del Califfato? Una Guerra santa che vede oggi contrapporsi nel Medio Oriente musulmano, in Libia, Siria, Yemen e Iraq, con armi, attentati terroristici e bombardamenti indiscriminati, in nome dello stesso dio unico Allah e dello stesso libro sacro, Stati comunità e tribù sunnite e sciite, in una complicata guerra politico-religiosa, che dura ininterrotta da decenni, almeno dalla nascita dell’Iran khomeinista nel 1979?

«Not in my name» dovrebbe significare per i musulmani d’Italia anche l’inizio (o la ripresa) di una lettura storico-critica del Corano, per dissociarsi dalla Teologia politica del Jihad che oggi più che mai ha assunto, in vari paesi e continenti, l’aspetto di una vera e propria Teologia del Terrore. So bene che il processo di storicizzazione, reinterpretazione e relativizzazione dei testi sacri riguarda anche, e tuttora, gli altri due monoteismi ebraico e cristiano. Ma questo non è una scusante per nessuno.

B) L’Islam e la laicità. In che cosa consiste la laicità delle moderne democrazie? In due principî fondamentali e complementari, a cui l’Islam arabo ed extraeuropeo è rimasto quasi ovunque estraneo e/o ostile: a) la separazione tra Stato e religione; b) l’uguaglianza dei diritti umani e civili. Se l’Islam è religione di Stato, unica o privilegiata che sia, è evidente che chi non è musulmano (l’altrimenti credente o il non credente) o non gode della cittadinanza o è un cittadino di serie b; e perciò o è privo di diritti o i suoi diritti sono limitati e ristretti.

Il Corano non è solo un libro di preghiera, ma contiene (al pari della Bibbia ebraica) una minuta precettistica sull’intera vita del credente, privata e civile, da cui è nata la sharia, ossia la tradizione giuridica musulmana presunta interprete della Legge di Dio. La Carta araba dei diritti dell’uomo (che sanciva l’uguaglianza dei cittadini, la libertà di pensiero, coscienza e religione, la parità uomo-donna, ecc.), sottoscritta dalla Lega araba nel 2004 e modellata sulla Dichiarazione del 1948 dell’Onu, è rimasta pressoché lettera morta, mera dichiarazione di intenti. Perché? Perché incompatibile con molti aspetti, regole, divieti e prescrizioni della sharia (che prevede l’inferiorità della donna, la lapidazione dell’adultera, la pena di morte per l’apostasia e la blasfemia, la condanna dell’omosessualità, l’esclusione e la repressione del pensiero critico, ecc.).

Molti credenti dell’Islam d’Italia, compresi imam e altre autorità religiose, hanno in questi giorni affermato pubblicamente di essere e sentirsi senza contraddizione musulmani e cittadini laici, rispettosi della Costituzione. Mi chiedo se ciò sia possibile senza dissociarsi dalla lettura, interpretazione e applicazione acritica (e talvolta distorsiva) del Corano e della sharia, che è tipica dell’estremismo terroristico, ma anche dell’integralismo religioso premoderno di tanta parte del mondo musulmano.




papa Francesco: “la laicità dello stato favorisce il dialogo fra le religioni”

così papa Francesco sulla laicità dello stato e sul rapporto corretto tra stato e chiesa, tale da favorire di fatto la convivenza e i rapporti positivi tra le religioni, in questo dando dei numeri anche ai nostri politici

(vedi link qui sotto)

Bergoglio a Rio: “La laicità dello Stato favorisce la convivenza tra religioni” – Il Fatto Quotidiano.