la teologia verso il superamento dell’idea di laicato come paternalistica concessione a dei ‘sudditi’

non laici ma cristiani testimoni

di Franco Giulio Brambilla
in “Avvenire” dell’8 novembre 2017

una riflessione del vescovo di Novara sul saggio di Vergottini dedicato al superamento dell’attuale idea di laicato

Marco Vergottini

Edb, pagine 302, euro 25,00

Durante il Concilio il laico è stato il convitato di pietra per un profondo ripensamento della missione della chiesa nel mondo. ‘Accelerare l’ora dei laici’: questo è stato il Leitmotiv del postconcilio, tanto retoricamente proclamato, quanto praticamente poco esplorato. La ‘teologia del laicato’ del Novecento ha cercato di custodire lo ‘spazio del laico’ all’interno dello schema della teologia dei due ordini (natura e soprannatura), rimanendone in qualche modo imbrigliata. Il lavoro di Marco Vergottini (Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato; Edb, pagine 302, euro 25,00) disegna tale parabola per cavarne il ‘sugo della storia’. Dopo averla praticata per molto tempo, ne ha raccolto il guadagno. Bisogna dichiarare esaurita la ‘teologia del laicato’ proprio per ereditare lo ‘spazio del laico’ nella missione della Chiesa. La questione del laico cristiano ha oscillato tra la rivendicazione di uno spazio nella Chiesa accanto ai chierici e ai religiosi e la concessione di un compito nel mondo che riconosca la sua ‘indole secolare’. Pare che il laico per trovare la sua specificità nella chiesa debba traslocare nel mondo per ‘animarlo cristianamente’ o, secondo l’altra formula, per «ordinare le cose del mondo secondo Dio». In tale slittamento consiste la questione del laico, ma la sua soluzione non sta nel déplacement del laico nel mondo. Questo è il filo rosso nella ricostruzione di Vergottini lungo il secolo XX. I capitoli dispari formano come un trittico che aiuta a leggere il plesso laico-laicato-laicità con una freschezza che toglie la discussione dalle secche dei poteri e pone la questione del laico come asse per ripensare il rapporto chiesa-mondo, e più ancora radicalmente la relazione cristologiaantropologia. L’avventura della ricerca parte mettendo in discussione la polisemia del rapporto laico-laicità-laicato nella storia, dichiarando sia l’indeterminatezza della cifra linguistica (laikós, idiótes, laicus, plebeius, rispettivamente in greco e latino), sia la diversità del referente storico. Mette in guardia da ogni intelligenza teologica solo a partire dall’analisi dei campi linguistici. Per non parlare dell’utilizzo moderno e odierno della semantica laico-laicità, tra cui emerge l’uso francofono di laïcité, che significa neutralità pubblica nei confronti della religione e marginalizzazione della religione nello spazio privato. Merita una sosta nel terzo capitolo sul pensiero di alcune personalità (G.B. Montini – J. Guitton). Si tratta di due figure che promuovono lo ‘spazio del laico’ oltre la sua univoca codificazione teologica. Si legge con vero diletto questa parte che mostra come la teologia del laicato non può non considerare la mutazione storica della presenza civile del laico. Il percorso si concentra, infine, sull’episodio più rilevante del postconcilio, che porta alla riapertura del dossier sui laici intorno al Sinodo dell’87 (Christifideles Laici). Qui la discussione entra nel conflitto delle interpretazioni: a) la ‘secolarità’ come indole peculiare dei laici; b) la ‘teologia dei ministeri’ nel quadro del binomio comunità- ministeri; c) la ‘laicità’ come dimensione caratteristica di tutto il popolo di Dio; d) il superamento della figura del ‘laico’ in quella del ‘cristiano’. È un dibattito tutto italiano sulla cui scena sfilano i protagonisti del Novecento (Lazzati, Forte, Dianich, Canobbio, la ‘scuola di Milano’). È stato il momento più alto del postconcilio nella discussione ecclesiologica sul laico. I capitoli pari del racconto presentano una disamina della ‘teologia del laicato’ nel maggiore dei suoi rappresentanti (Y. Congar) e nel momento epocale del Vaticano II. Vergottini qui non fa solo un’opera di compilazione, ma esercita la sua maestria proponendo una vera decostruzione del
lavoro pionieristico di Congar e una ricostruzione della teologia conciliare. Senza la pretesa di appiattirla in una visione omogenea. Il ‘prendere congedo’ dalla teologia sui laici comporta «la ricomprensione in una prospettiva più originaria della loro identità cristiana e della condizione in cui versano». La proposta finale è secca: non bisogna parlare del cristiano laico, ma del cristiano testimone. Che ci si guadagna? Vergottini innesta il principio ‘distintivo’ del concetto di laico (l’indole secolare) nella struttura ‘unificante’ del cristiano (l’essere testimone). La ‘definizione tipologica’ conciliare del laico faticava a coordinare la necessità del suo rapporto al mondo (suo carattere secolare) e del suo riferimento a Cristo (da ordinare secondo Dio). Andando al di là di una definizione essenziale o di un compito funzionale del laico, l’essere testimoni è la modalità ‘spirituale’ con cui Cristo è donato al mondo e il mondo entra in comunione con Cristo. Ciò accade in una pluralità di figure cristiane, di cui la categoria di laico ha finora difeso lo spazio, ma non ne ha esaltata la missione. Tale definizione ha sospinto il laico in un luogo separato dalle altre figure cristiane, senza mostrare che anch’esse (chierici e religiosi) erano connotate dalla stessa dinamica della testimonianza. Liberata da questa strettoia, la testimonianza del laico si potrà attuare in una pluralità infinita di figure, così ricche per il contributo dell’immersione del credente nella storia del mondo, ma anche così diverse per la genialità dello Spirito nel ricondurre questa storia a Cristo. Alla fine resta la domanda cruciale: la riflessione sul laico può ereditare la ‘teologia del laicato’ mettendo al centro la questione del ‘cristiano testimone’? Forse è necessario abbozzare il profilo del cristiano sotto l’aspetto teologico-pratico. Solo il cimento pratico del cristiano nella storia e la configurazione a Cristo delle vicende umane nella vita di ogni battezzato possono diventare il luogo di uno scambio simbolico che accade nella carne viva della testimonianza del cristiano. La vita della Chiesa è a servizio di tale ‘meraviglioso scambio’ che brilla nella testimonianza del credente. Del cristiano testimone!

 

il cristiano testimone

 

intervista a Marco Vergottini

a cura di Redazione Azione Cattolica Ambrosiana

Marco Vergottini

“Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato”

Il testo consiste in una vera e propria ricerca, che affonda le sue origini nell’interesse dell’autore stesso per la figura del laico, maturata in Azione Cattolica a Milano. Il volume presenta in apertura una Prefazione del vescovo di Novara, mons. Franco Giulio Brambilla, che così apre il contributo: «L’opera di Marco Vergottini, che abbiamo tra le mani, si presenta con la veste di una quaestio disputata su uno dei temi che ha maggiormente marcato l’ecclesiologia del Vaticano II ed è stato ripreso più volte nella teologia seguente. Il laico, infatti, è stato il convitato di pietra per un profondo ripensamento della dottrina del concilio sulla Chiesa, nonostante sia noto che le discussioni più accanite siano avvenute sul rapporto tra primato ed episcopato. Nel post-concilio, il Leitmotiv è stato “accelerare l’ora dei laici”, uno slogan tanto retoricamente proclamato, quanto praticamente poco esplorato».

Ne parliamo con l’autore.

Il mio primo studio sulla bibliografia dei laici è comparso in una raccolta di contributi dal titolo Laicità e vocazione dei laici nella Chiesa e nel mondo, pubblicato 30 anni fa, a cura del Centro Studi dell’Azione Cattolica milanese, coordinato da Antonietta Cargnel. Don Franco Giulio coglie puntualmente il “cuore” della proposta. Il mio intento è proprio di mettere a fuoco la figura del fedele laico ‒ categoria su cui l’Ac durante i suoi 150 anni di storia ha dedicato con passione la sua riflessione teologica e il suo apostolato. Basti pensare al contributo di Giuseppe Lazzati, Vittorio Bachelet, Alberto Monticone, Paola Bignardi, per fare solo alcuni nomi. Ebbene, la mia sollecitazione – un po’ provocatoria ‒ è che forse i molti studi sul laicato hanno privilegiato il IV capitolo della Lumen gentium, dedicato ai fedeli laici e il decreto sull’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem), mettendo un po’ la sordina sul capitolo II della Lumen gentium, in cui è messa a fuoco la realtà della Chiesa come popolo di Dio. In questo senso, ho cercato di mostrare come la nozione di cristiano risulti più radicale e pregnante rispetto a quella di laico.

La tua proposta provoca in positivo l’Azione Cattolica, che da sempre, fin da prima del Concilio, ha insistito con forza sulla cifra del laico e sulla sua indole secolare.

Se si scorre la monumentale produzione letteraria del cardinale Martini, ci si imbatte in un uso tutto sommato parco e trattenuto dell’espressione laici, per indicare i comuni fedeli cristiani. La qual cosa – va da sé – è un segnale di una scelta intenzionale, niente affatto accidentale. In un intervento del 1969, padre Martini si poneva un duplice interrogativo «Che cosa vuol dire essere cristiani? Che cosa significa testimoniare Cristo nel mondo di oggi?», istituendo una perspicace corrispondenza fra cristiano e testimone (ora in C.M. Martini, Cristiani coraggiosi. Laici testimoni nel mondo di oggi, Milano, In Dialogo 2016, 35). In breve, si potrebbe concludere che il laico altri non è che il “cristiano testimone”.

Ritorniamo al Vaticano II. Come giustifichi il fatto che la categoria di laico possa essere inverata in quella di “cristiano testimone”, se è vero che nel Concilio il termine laico ritorna in ben 14 dei 16 testi promulgati?

Nel mio libro cerco di mostrare che l’effettivo incremento della prospettiva del Vaticano II sull’argomento non dev’essere ritrovato nel cap. IV di Lumen Gentium, laddove la “secolarità” è presentata come nota qualificante del fedele laico (un’impostazione che di fatto costituisce una ripresa mitigata delle tesi della tradizionale “teologia del laicato”) e neppure nel decreto sui laici, Apostolicam actuositatem. La vera novità del Vaticano II è costituita piuttosto dall’insistenza con cui i padri conciliari hanno inteso propiziare nei fedeli laici la consapevolezza di dover fuoriuscire da una condizione di effettiva minorità rispetto ai ministri ordinati e a quanti hanno abbracciato la vita religiosa: da un lato, infatti, col Concilio si assiste a una reintegrazione di ogni battezzato entro il quadro di un’appartenenza ecclesiastica più egualitaria e partecipata; dall’altro, in ogni momento e situazione del vivere ordinario ‒ sul piano delle relazioni familiari, professionali, civili e politiche ‒ i comuni credenti sono chiamati a riscoprire la qualità spirituale dell’esperienza di fede. Coerentemente, c’è da chiedersi se un’autentica ermeneutica della lezione conciliare ‒ il cui nocciolo è costituito dall’insegnamento del carattere storico della rivelazione, della dimensione esperienziale del credere, del processo di inculturazione che contraddistingue la realtà della fede cristiana e della Chiesa come popolo (storico) di Dio ‒ non solleciti la coscienza credente a smettere i panni di quella rappresentazione essenzialistica, fissistica, intellettualistica del dato cristiano, entro cui si origina l’illusione di poter quasi isolare in vitro la “quintessenza” del laico.

Quindi tu proponi di superare la stagione della “teologia del laicato” e “archiviare” l’espressione laico?

Precisamente! Basti solo pensare che dalla ricerca etimologica sui primi secoli del cristianesimo, emerge come il termine laikos non designi affatto il «membro del popolo di Dio», bensì il suddito, colui che è sottoposto alla gerarchia. La novità del mio studio ‒ che certo amerei potesse essere fatto oggetto di discussione non soltanto da parte della stretta cerchia degli specialisti, ma anche nell’ambito dell’Azione cattolica, di cui mi vanto di essere aderente da sempre ‒ risiede nella proposta di “storicizzare” il termine e la figura del laico, per innescare un ripensamento radicale della questione, in vista di un fattivo riassestamento della sistematica teologica e della teologia pratica, lasciando affiorare un promettente e suggestivo rilancio nella nozione teologicofondamentale di cristiano-testimone.