il volto ‘politico’ della misericordia e del giubileo

il giubileo non deve essere fatto di devozioni e di porte sante

la misericordia deve avere una dimensione “politica” e mobilitare il popolo cristiano contro il disordine e l’iniquità diffuse nel mondo

papa Lesbo

 

le riflessioni delle associazioni cattoliche Comunità ecclesiale di S.Angelo, Noi Siamo Chiesa, Il Graal, la Rosa Bianca,  Centro Helder Camara, Coordinamento 9 marzo sui problemi attuali della chiesa e dell’attualità:

tempo di Giubileo : la misericordia deve avere un volto e una pratica politica, deve costruire reti, mobilitare l’opinione pubblica e le Chiese, fare cultura ed educazione 

Nell’incontro del 16 aprile le associazioni firmatarie di questo documento hanno messo a fuoco alcune constatazioni:
– anzitutto, che il Giubileo della misericordia non può che essere un tempo aperto e permanente, non provvisorio nè limitato all’emergenza, ma continuo e puntuale,
– che l’agire con, per e nella misericordia, nel drammatico e minaccioso contesto attuale assume un aspetto deliberato ed esige concordia e fermezza,
– che alla base di ogni comportamento ci deve essere il riconoscerci tutti, provenienti da un’unica famiglia umana,
– e che di fronte ad un essere umano, la cui vita è minacciata, esiste una obbligazione primaria nei confronti della cura dell’altro.

Per questo, più che risposte o ulteriori approfondimenti sulle tematiche, ci sembra utile ed interessante proporre delle domande su cui confrontarci nella concretezza ed anche nella realizzazione delle molteplici iniziative; le domande infatti presuppongono una ricerca, un coinvolgimento, una prospettiva di senso.

papa lesbo 2

Domande che partono da alcune sottolineature forti emerse dall’incontro del 16 aprile:

1) la responsabilità collettiva della misericordia, su cui bisogna insistere, nel proporla e praticarla, superando i sottili steccati dei particolarismi e delle personali empatie verso chi soffre, per giungere ad una denuncia pubblica delle indifferenze e delle riserve, e ad una pubblica, concorde assunzione di responsabilità al fine di snidare le inadempienze, le corruzioni, le ipocrisie, i privilegi che, come dovremmo sapere, contribuiscono a rendere sempre più ricche e prepotenti le classi dominanti e sempre più povere e vessate le parti deboli delle popolazioni.

Ma, proprio per andare oltre il sapere e il parlare, il blaterare improduttivo, le domande sono:

se e che cosa siamo disposti a rinunciare e a mettere in gioco insieme per creare una mentalità comune e un comune cammino di crescita in umanità tale da superare indifferenze, cautele, barriere e recinti?
c’è e qual è una comune visione di futuro, che tenga presente non interessi e privilegi particolari, anche benefici, ma l’accorata globale situazione del mondo, in cui la maggior parte della popolazione è in balia di chi la sfrutta e la massacra costringendola alla fame, ai soprusi e ai forzati esodi di massa, in un contesto di sfruttamento incontrollato delle risorse e di un eco-sistema sbilanciato e pericolante?
ce la sentiamo di iniziare un cammino di responsabilità collettiva, in ogni ambito sociale e comunitario? E di provocarci su questo, come persone, cittadini, credenti?

2) Il volto politico della misericordia: se misericordia è coinvolgimento, lotta, occorre che assuma un deciso risvolto sociale, disturbando i poteri ai vari livelli, individuando e focalizzando alcune situazioni forti di risonanza nazionale e mondiale, come il commercio di esseri umani, la vendita di armamenti, le ondate di profughi, le mafie –tra noi il caporalato-, la violenza sulle donne e i bambini, ecc., senza desistere dal denunciare e intervenire concretamente in situazioni specifiche. Il volto politico della misericordia dovrebbe fondarsi su una comune concezione del bene comune, cioè di quel bene plurale cui può e deve accedere ogni persona, perché comporta la dignità e il rispetto per ogni uomo e ogni donna, come soggetti portatori di diritti umani e capaci di laicità, cioè di autonomia critica, responsabilità e libertà decisionale.

Le domande sono:

ci sentiamo di operare per il bene comune? Che significato vi diamo come prospettiva comune da condividere? Ci rendiamo conto che il bene comune oggi non è più qualcosa da garantire e tutelare a priori, ma è un dato di partenza di ogni ricerca e azione sociale, politica ed economica, su cui verificarci e orientarci in una visione globale concorde?

3) La misericordia e l’opinione pubblica
Occorre sfatare i luoghi comuni della misericordia, quelli che la limitano alla devozione e alla pratica rituale, alla beneficienza e alle campagne martellanti che tranquillizzano le coscienze, per esprimere invece a voce alta le denunce di tutto ciò che sfigura l’umano, ribadendo la necessità di un cambiamento di mentalità e di stili di vita.

Le domande sono:

Dove e con chi parliamo e testimoniamo che la misericordia comporta un capovolgimento di comportamenti e di prospettive?
Ci interessa renderci e rendere conto che non si possono vivere superficialmente o in disparte i problemi e le emergenze che toccano tutti gli umani, di cui facciamo parte anche noi? Che ciò che siamo ed abbiamo appartiene a tutti?
Ce ne prendiamo a cuore insieme?

4) La necessità di costruire reti, non soltanto di comunicazione, ma di solidarietà.
E’ importante e necessario trovare i modi e le sedi per farlo; ad esempio, stabilendo e pubblicizzando contatti, non settorialmente o sporadicamente, ma permanenti, con le diverse iniziative di misericordia, e intrecciando reti visibili di conoscenze e di interventi, di solidarietà e azioni comuni dirette o di sostegno, richiami pubblici e condivisi a nuovi modelli di vita.Ci vuole una nuova lingua, che capiscano tutti, che esprima un nuovo modo di guardare l’altro, la stessa sete e ricerca del bene comune, e parole e gesti che abbiano la sostanza del presente e il respiro del futuro.

Le domande sono:

Siamo convinti che sia importante, anzi necessario, abbattere i canali a senso unico per allargarci ad una rete espansiva e condivisa di misericordia, in tutte le sue manifestazioni di creatività e di azione?
Stiamo valorizzando il patrimonio collettivo e individuale di un bene comune attuato nelle sue molteplici sfaccettature, di competenze, di sapienze, di tempo e risorse disponibili che le diverse reti particolari possono mettere a disposizione?
C’è spazio per far emergere limiti e potenzialità della ricchezza di culture e di vissuti, pur consapevoli della fatica della mediazione culturale, sociale e politica richiesta?

5) La mobilitazione delle Chiese: la comunità dei credenti cristiani, declinata in tutte le sue forme e confessioni storiche, chiamata a vivere più consapevolmente la misericordia, che è il perno dell’evangelo, deve ritrovarsi più unita e manifestarsi più apertamente e visibilmente in questo denominatore comune della misericordia, rivedersi nei suoi rapporti con i poteri e usare più decisamente e ampiamente le sue istituzioni, per essere in prima linea nella lotta per la costruzione di un mondo basato su nuovi rapporti di umanità riconciliata.

Le domande sono:

c’è il coraggio di superare le confessionalità (liberandoci da pregiudizi storici tuttora esistenti) per far diventare solidarietà comune le singole iniziative, che pur ci sono e anche numerose?
C’è la volontà di mettere globalmente (e non lasciate a livello di decisioni laterali) a disposizione dell’accoglianza istituzioni risorse, spazi, organizzazioni, competenze, ecc.?
C’è la consapevolezza di dare delle priorità e delle scelte, senza voler conciliare a tutti i costi aspetti diversi, alla concretezza della misericordia, anche a scapito della ritualità e della pratica devozionale?

6) L’importanza del fattore culturale ed educativo
A nessuno dovrebbe sfuggire quanto sia importante ed impellente creare canali culturali capaci di contrastare l’analfabetismo e la scivolosa mentalità indotta da modelli legati all’economia, al consumismo e al predominio del denaro, per coltivare la dignità e intelligenza umana per tutti, specialmente per coloro a cui viene sistematicamente lesa o tolta.

Le domande sono:

ci sta veramente a cuore lo sviiuppo delle capacità umane e il superamento dell’analfabetismo non solo letterale, ma soprattutto mentale ed interiore?
In un mondo i cui criteri a livello di mentalità comune e di opinione circolante sono prevalentemente quelli del divertimento, del piacere, dell’evasione, di un eventuale successo di immagine ottenuto con ogni mezzo, quanto conta sostenere il valore della scuola e dello studio?


Comunità ecclesiale di S.Angelo, Noi Siamo Chiesa, Il Graal, la Rosa Bianca,
Centro Helder Camara, Coordinamento 9 marzo

Milano, 29 giugno 2016




papa Francesco celebra la messa con quasi 1500 frati cappuccini

messa

alle ore 7.30 del 9 febbraio 2016, all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro, il Santo Padre Francesco ha celebrato la Santa Messa con i Frati Minori Cappuccini di tutto il mondo, convenuti in occasione della traslazione delle spoglie di San Pio da Pietrelcina e San Leopoldo Mandić

riporto qui di seguito l’omelia (anche in video) che il Papa ha pronunciato nel corso della celebrazione eucaristica:

capp2

Nella liturgia della Parola di oggi si riscontrano due atteggiamenti. Un atteggiamento di grandezza davanti a Dio, che si esprime nell’umiltà di re Salomone, e un altro atteggiamento di meschinità che viene descritto da Gesù stesso: come facevano i dottori della legge, che tutto era preciso, lasciavano da parte la legge, per osservare le loro piccole tradizioni.

La tradizione vostra, dei Cappuccini, è una tradizione di perdono, di dare il perdono. Tra di voi ci sono tanti bravi confessori: è perché si sentono peccatori, come il nostro fra Cristoforo. Sanno che sono grandi peccatori, e davanti alla grandezza di Dio continuamente pregano: “Ascolta, Signore, e perdona” (cfr 1 Re 8,30). E perché sanno pregare così, sanno perdonare. Invece, quando qualcuno si dimentica la necessità che ha di perdono, lentamente si dimentica di Dio, si dimentica di chiedere perdono e non sa perdonare. L’umile, colui che si sente peccatore, è un gran perdonatore nel confessionale. L’altro, come questi dottori della legge che si sentono “i puri”, “i maestri”, sanno soltanto condannare.

cappuccini

Vi parlo come fratello, e in voi vorrei parlare a tutti i confessori, specialmente in quest’Anno della Misericordia: il confessionale è per perdonare. E se tu non puoi dare l’assoluzione – faccio questa ipotesi – per favore, non “bastonare”. La persona che viene, viene a cercare conforto, perdono, pace nella sua anima; che trovi un padre che lo abbracci e gli dica: “Dio ti vuole bene”; e che lo faccia sentire! E mi spiace dirlo, ma quanta gente – credo che la maggioranza di noi l’abbia sentito – dice: “Io non vado mai a confessarmi, perché una volta mi hanno fatto queste domande, mi hanno fatto questo…”. Per favore…

io

Ma voi Cappuccini avete questo speciale dono del Signore: perdonare. Io vi chiedo: non stancatevi di perdonare! Penso a uno che ho conosciuto nell’altra diocesi, un uomo di governo, che poi, finito il suo tempo di governo come guardiano e provinciale, a 70 anni è stato inviato in un santuario a confessare. E quest’uomo aveva una coda di gente, tutti, tutti: preti, fedeli, ricchi, poveri, tutti! Un gran perdonatore. Sempre trovava il modo di perdonare, o almeno di lasciare in pace quell’anima con un abbraccio. E una volta andai a trovarlo e mi disse: “Senti, tu sei vescovo e puoi dirmelo: io credo che pecco perché perdono troppo, e mi viene questo scrupolo…” – “E perché?” – “Non so, ma sempre trovo come perdonare…” – “E cosa fai, quando ti senti così?” – “Vado in cappella, davanti al tabernacolo, e dico al Signore: Scusami, Signore, perdonami, credo che oggi ho perdonato troppo. Ma, Signore, sei stato Tu a darmi il cattivo esempio!”. Ecco. Siate uomini di perdono, di riconciliazione, di pace.

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Ci sono tanti linguaggi nella vita: il linguaggio della parola, anche ci sono i linguaggi dei gesti. Se una persona si avvicina a me, al confessionale, è perché sente qualcosa che gli pesa, che vuole togliersi. Forse non sa come dirlo, ma il gesto è questo. Se questa persona si avvicina è perché vorrebbe cambiare, non fare più, cambiare, essere un’altra persona, e lo dice con il gesto di avvicinarsi. Non è necessario fare delle domande: “Ma tu, tu…?”. Se una persona viene, è perché nella sua anima vorrebbe non farlo più. Ma tante volte non possono, perché sono condizionati dalla loro psicologia, dalla loro vita, dalla loro situazione… “Ad impossibilia nemo tenetur”.

Un cuore largo… Il perdono… Il perdono è un seme, è una carezza di Dio. Abbiate fiducia nel perdono di Dio. Non cadere nel pelagianesimo! “Tu devi fare questo, questo, questo, questo…”. Ma voi avete questo carisma dei confessori. Riprenderlo, rinnovarlo sempre. E siate grandi perdonatori, perché chi non sa perdonare finisce come questi dottori del Vangelo: è un grande condannatore, sempre ad accusare… E chi è il grande accusatore, nella Bibbia? Il diavolo! O fai l’ufficio di Gesù, che perdona dando la vita, la preghiera, tante ore lì, seduto, come quei due [san Leopoldo e san Pio]; o fai l’ufficio del diavolo che condanna, accusa… Non so, non riesco a dirvi un’altra cosa. In voi lo dico a tutti, a tutti i sacerdoti che vanno a confessare. E se non se la sentono, che siano umili e dicano: “No, no, io celebro la Messa, pulisco il pavimento, faccio tutto, ma non confessare, perché non so farlo bene”. E chiedere al Signore la grazia, grazia che chiedo per ognuno di voi, per tutti voi, per tutti i confessori, anche per me.




un giubileo che non rinuncia alle spettacolarizzazioni

Ermanno Olmi

“il Giubileo? poteva essere quello dei pellegrini, mentre è stato quello dei fotografi”

ERMANNO OLMI

 “Avrei voluto vedere più un Giubileo di pellegrini, piuttosto che di fotografi”. È questo il commento del regista Ermanno Olmi – in un’intervista al Fatto Quotidiano – alla cerimonia di inaugurazione del Giubileo tenutasi a Roma l’8 dicembre. Olmi fu il regista dell’apertura del Giubileo voluto da Giovanni Paolo II nella notte di natale del 1999

 

“Avrei desiderato il vero Giubileo dei pellegrini. Avrei chiesto di aprire contemporaneamente tutte le porte di San Pietro, assieme a quella di Papa Francesco, per fare entrare la gente. Quelli partiti da chissà dove, non i cardinali, i vescovi, i politici. Nel ’99, dentro la Chiesa di San Pietro c’erano già i fedeli, non soltanto i fotografi come accaduto stavolta. Ma era molto suggestivo il fascio di luce che ha avvolto Bergoglio”.

 
Il momento più apprezzato da Olmi è stato il saluto tra Bergoglio e Ratzinger.

“È qualcosa di straordinario. Ho notato che la telecamera ha indugiato su Francesco, ormai vicino agli scalini che precedono l’ingresso in Basilica. Invece di leggere il testo che annuncia il Giubileo, Bergoglio è andato verso Ratzinger, che aspettava in piedi con un’aria contenta e rilassata. Mi è sembrata quasi una maniera per splanacare la porta assieme. Non è avvenuto e questo mi dispiace”.

Il regista ha spiegato di essere stato colpito dall’emotività di Francesco.

“Era molto emozionato. Come gli uomini che nei giorni fondamentali si sentono inadeguati: è un eccezionale sintomo di umiltà. Mi è piaciuto molto scoprire il rapporto di amicizia con Benedetto XVI, esibito in piazza, ripetuto all’Angelus, fatto di stima reciproca e complicità”.

 
E Ratzinger?

“Con le dimissioni ha compiuto un atto eroico. Si è posto nella storia del pontificato come un punto di riferimento per il coraggio dimostrato e il valore spirituale”.

 




sulla misericordia …

“misericordia voglio e non sacrifici”

di José María Castillo

Castillo
in “www.periodistadigital.com” del 10 dicembre 2015

Il vangelo di Matteo cita due volte il testo del profeta Osea (6, 6) che ho messo come titolo di questa riflessione. Lo ricorda quando riferisce che Gesù mangiava con pubblicani e peccatori (Mt 9, 13). E lo ripete nello spiegare perché i discepoli, quando avevano fame, violavano le norme religiose sul riposo del sabato (Mt 12, 7). Se l’evangelista Matteo ripete due volte la stessa massima sul tema della misericordia, senza alcun dubbio questo si deve al fatto che l’evangelista pensava che in questo punto si dice qualcosa di molto importante. In cosa consiste questa importanza? Come è logico, Gesù in questo passo afferma che Dio vuole che noi esseri umani abbiamo viscere di bontà e di misericordia con gli altri, anche se sono gente cattiva e persino quando la pratica della bontà comporti la violazione di una legge religiosa. Questo – benché risulti scandaloso per i più puritani – è quello che dice il Vangelo. Ma non si tratta solo di questo. Quello che dice Gesù è molto più forte. Perchè stabilisce una “antitesi” tra la “misericordia” ed il “sacrificio” (Ulrich Luz). Ossia, quello che Gesù dice è che, se bisogna scegliere tra l’“etica” ed il “culto” (tra la “giustizia” e la “religione”), la prima cosa è l’etica, l’onestà, la difesa della giustizia ed i diritti delle persone. Se questo non si antepone a tutto il resto, Dio non vuole che tranquillizziamo le nostre coscienze con messe, preghiere, devozioni e cose simili. È decisivo ricordare questo proprio ora. Quando celebriamo l’anno della misericordia. E quando vediamo che la corruzione, la sfrontatezza, le disuguaglianze e la prepotenza sui più indifesi gridano al cielo. Io non so perché, ma di fatto molto frequentemente la gente che accumula più denaro, più potere e più privilegi è allo stesso tempo la gente che ha le migliori relazioni con la Chiesa, che difende con le unghie e con i denti i privilegi della religione e le migliori relazioni possibili con il clero. Termino ricordando che, come è ben dimostrato, i rituali religiosi (osservati e compiuti nei minimi dettagli) di solito producono due effetti: 1) tranquillizzano la coscienza dell’osservante che li compie; 2) nella maggior parte dei casi si trasformano in abitudine, ma non modificano il comportamento, soprattutto quando si vede che questo comportamento è mal visto dalla religione. Da quello che raccontano si vangeli, Gesù andava “con cattive compagnie” e non era un modello di “osservanza religiosa”. Ed è in questo modo che in Gesù si è rivelato a noi Dio. Se questo ci risulta strano e anzi ci scandalizza, probabilmente è perché assomigliamo più ai farisei che ai veri seguaci di Gesù. Se non pensiamo a questo seriamente, praticheremo poca misericordia.

I




un anno della misericordia per aprire un’età della misericordia

dove sono i leoni

di Raniero La Valle

La Valle

il papa va a Bangui ad aprire l’anno santo della misericordia e siccome le grandi idee hanno bisogno di simboli concreti il papa, per significare l’ingresso in questo anno di misericordia, aprirà una porta. Ma per lo stupore di tutte le generazioni che si sono succedute dal giubileo di Bonifacio VIII ad oggi, la porta che aprirà non sarà la porta “santa” della basilica di san Pietro, ma la porta della cattedrale di Bangui, il posto, ai nostri appannati occhi occidentali, più povero, più derelitto e più pericoloso della terra.

ma si tratta non solo di cominciare un anno di misericordia. Che ce ne facciamo di un anno solo in cui ritorni la pietà? Quello che il papa vuol fare, da quando ha messo piede sulla soglia di Pietro, è di aprire un’età della misericordia, cioè di prendere atto che un’epoca è finita e un’altra deve cominciare

Perché, come accadde dopo l’altra guerra mondiale e la Shoà, e Hiroshima e Nagasaki, abbiamo toccato con mano che senza misericordia il mondo non può continuare, anzi, come ha detto in termini laici papa Francesco all’assemblea generale dell’ONU, è compromesso “il diritto all’esistenza della stessa natura umana”. Il diritto!

Di fronte alla gravità di questo compito, si vede tutta la futilità di quelli che dicono che, per via del terrorismo, il papa dovrebbe rinunziare ad andare in Africa (“dove sono i leoni” come dicevano senza curarsi di riconoscere alcun altra identità le antiche carte geografiche europee) e addirittura dovrebbe revocare l’indizione del giubileo, per non dare altri grattacapi al povero Alfano.

Ma il papa, che ha come compito peculiare del suo ministero evangelico di “aprire la vista ai ciechi”, ci ha spiegato che il vero mostro che ci sfida, che è “maledetto”, non è il terrorismo, ma è la guerra. Il terrorismo è il figlio della guerra e non se ne può venire a capo finché la guerra non sia soppressa. La guerra si fa con le bombe, il terrorismo con le cinture esplosive. Non c’è più proporzione, c’è una totale asimmetria, le portaerei e i droni non possono farci niente. Possiamo nei bla bla televisivi o governativi fare affidamento sull’”intelligence”, ma si è già visto che è una bella illusione.

Questo vuol dire che per battere il terrorismo occorre di nuovo ripudiare quella guerra di cui, dal primo conflitto del Golfo in poi, l’Occidente si è riappropriato mettendola al servizio della sua idea del mercato globale, e che da allora ha provocato tormenti senza fine, ha distrutto popoli e ordinamenti, suscitato torture e vendette, inventato fondamentalismi e trasformato atei e non credenti in terroristi di Dio.

E che cosa è rimasto di tutte queste guerre?, ha chiesto il papa nella sua omelia del 19 novembre, la prima dopo le stragi di Parigi. Sono rimaste “rovine, migliaia di bambini senza educazione, tanti morti innocenti: tanti! E tanti soldi nelle tasche dei trafficanti di armi”; ed è rimasto che perfino le luci, le feste, gli alberi luminosi, anche i presepi del Natale che ci apprestiamo a celebrare, sarà “tutto truccato”.

E’ rimasto il grande movente della guerra e l’inesauribile riserva del terrorismo: il commercio delle armi, sia per incrementare le ricchezze private che per migliorare un po’ i bilanci pubblici. “Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’ – ha ironizzato papa Francesco – e andiamo avanti con il nostro interesse”.

Rendiamo le armi beni illegittimi se non per le legittime esigenze di difesa di Stati sovrani, disarmiamo il dominio, l’oppressione, l’ingiustizia, l’ineguaglianza, la discriminazione e finiranno non solo le guerre ma finirà anche il mondo di guerra “questo mondo che non è un operatore di pace”, e così anche il terrorismo si inaridirà e diverrà sempre più residuale.

E se decideremo di smetterla con i bombardamenti e la guerra, potremo promuovere una vera operazione di polizia internazionale, non solo autorizzata, ma eseguita dall’ONU, e non sotto un comando nazionale, per ristabilire il diritto nelle terre devastate dall’ISIS e dunque ripristinare l’integrità territoriale dell’Iraq e della Siria, lasciando ai siriani di decidere cosa fare con Assad. Il papa aveva detto, già dopo Charlie Hebdo, tornando dalla Corea del Sud, che “l’aggressore ingiusto ha il diritto di essere fermato, perché non faccia del male”. Non è solo nostro dovere è suo diritto; e anche i giovani estremisti che vengono reclutati per andare in Siria a indottrinarsi e poi tornare in Europa a suicidarsi hanno il diritto di essere salvati da noi e di non avere alcuna Siria in cui andare a buttare la vita. Questo è ciò che richiede il diritto internazionale se finalmente si darà attuazione al capitolo VII della Carta dell’ONU, ed è la cosa più “nonviolenta” che si può fare per neutralizzare e battere l’ISIS.

Raniero La Valle




un giubileo universale

il Giubileo della misericordia

e il nuovo disordine mondiale


GIUBILEO

nel giorno numero mille dalla sua elezione, Papa Francesco apre il Giubileo, che rappresenta, assieme al Sinodo dei vescovi del 2014-2015, uno dei momenti forti del pontificato: un anno dedicato alla parola chiave scelta da Jorge Mario Bergoglio, “misericordia”. Si annuncia come un Giubileo in buona parte diverso dal Grande Giubileo del 2000 di Giovanni Paolo II

In primo luogo, la chiesa di Francesco sta andando incontro a un radicale “aggiornamento” aperto al futuro, molto più che verso un piano di oculate “riforme”: un aggiornamento di roncalliana memoria e di sapore conciliare. La scelta dell’apertura del Giubileo il giorno 8 dicembre, a cinquanta anni esatti dalla conclusione del concilio Vaticano II, non è casuale. Francesco ha le capacità dello stratega, ma non è un pianificatore: il concetto di “discernimento” ha molto più a che fare con un processo spirituale aperto alle novità e alle sorprese, come fu il Vaticano II, che con la razionalità burocratica. Invece il Giubileo di Giovanni Paolo II del 2000 arrivò dopo un lungo periodo di preparazione che era iniziato con la lettera apostolica “Tertio Millennio Adveniente” del 1994. Il Giubileo del 2000, in altre parole, fu pensato e programmato da Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato, rimase centrato sulla Roma del Papa, e cambiò alcune coordinate del rapporto tra la chiesa e la dimensione ad extra come con l’ebraismo (le conferenze di studio sponsorizzate dalla Santa Sede sulla storia dell’antigiudaismo, il documento Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah del 1998 legato alla “purificazione della memoria”) e l’ecumenismo (l’apertura della Porta Santa con leader di altre chiese), ma non ebbe grandi effetti all’interno della chiesa cattolica in quanto tale.

In altre parole, il Giubileo del 2000 faceva parte di un complesso piano teologico e spirituale di Giovanni Paolo II, in cui gli elementi ad extra (l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, le richieste di perdono nei confronti del mondo esterno) erano molto più importanti degli sforzi di Giovanni Paolo II per riconciliare la Chiesa ad intra e per ricondurre ad unità le tensioni interne alla chiesa che già allora erano percepibili e che ora Francesco si trova a gestire. Quello di Giovanni Paolo II fu anche un Giubileo con alcuni elementi di contraddizione tipici di quel lungo pontificato. Il Giubileo del 2000 fu molto più romano che universale, in tutte le chiese locali, come sarà quello di Francesco. La logistica degli eventi giubilari del 2000 fu anche una grande opportunità per cementare il già poco trasparente rapporto tra il Vaticano, l’Italia, e la città di Roma: il Giubileo venne utilizzato non solo per spostare pellegrini a Roma, ma anche per spostare ingenti somme di denaro. La ferma intenzione di tenere a debita distanza i politici e la politica italiana è tipica di Papa Francesco e rende diverso il rapporto tra il Papa e l’Italia anche durante il Giubileo. La dislocazione del centro di gravità della cattolicità dal Vaticano alle periferie ha conseguenze anche per Roma e l’Italia.

In secondo luogo, il Giubileo del 2000 occupò la scena di una Chiesa cattolica che era allora molto più sicura di sé. Da questo punto di vista sembrano essere passati molto più di quindici anni. La chiesa cattolica dell’anno 2000 era molto più sicura di sé non solo a causa della popolarità della star globale Giovanni Paolo II, ma perché era una Chiesa in cui, per esempio, la stragrande maggioranza dei cattolici non era a conoscenza della dimensione della tragedia degli abusi sessuali commessi del clero in tutto il mondo (molti vescovi, cardinali, avvocati e canonisti sapevano ma non agirono). Nel 2000 la questione della corruzione in Vaticano era materia per pochi esperti o per gli storici, e non era sulle pagine dei giornali tutti i giorni come oggi. Il Giubileo della misericordia si apre invece in una Chiesa che negli ultimi anni, con Papa Francesco, ha visto preti in prigione, vescovi condannati dalla giustizia secolare, e in un caso anche un vescovo del servizio diplomatico della Santa Sede arrestato per ordine del Papa e condotto nelle prigioni del Vaticano. È finita l’epoca dei prelati (anche cardinali) sottratti alla giurisdizione, come accadde sotto Giovanni Paolo II.

Terzo elemento di differenza: la chiesa vive e opera nel mondo reale, e il mondo del 2015 è molto diverso dal mondo di soltanto quindici anni fa. Il mondo del 2000 era molto più ottimista e pieno di speranza: l’Unione europea stava preparando la transizione dalle monete nazionali all’Euro, e l’Unione europea era ancora un potente attore per l’unità e la stabilità del vecchio continente; in Medio Oriente la “seconda Intifada” iniziò solo verso la fine del 2000 e c’erano ancora speranze per la “soluzione dei due Stati” tra Israele e palestinesi; nel mondo occidentale gli Stati Uniti avevano ancora un ruolo di leadership, non offuscata dalle catastrofiche decisioni strategiche prese nel decennio successivo da Bush prima e da Obama poi; la questione ambientale non sembrava così disastrosa e potenzialmente apocalittica come oggi. Soprattutto, il giubileo del 2000 venne celebrato in un mondo pre-11 settembre, un mondo in cui il rapporto tra religione e violenza era importante in alcune aree geografiche del globo ma non pervasivo come oggi: il problema del legame tra religione e violenza sembra ora dominare l’immaginario sul ruolo delle fedi nel mondo globale.

Pochi mesi dopo la conclusione del Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II potè visitare i luoghi santi dei musulmani a Damasco. La Siria era già allora e da lungo tempo sotto una dittatura terribile e sanguinaria, ma quel paese era un modello di convivenza interreligiosa in Medio Oriente, un luogo sicuro per i cristiani, e non l’incubo odierno di una guerra apparentemente senza via di uscita. Diversa dal 2000 è la percezione di un cristianesimo che oggi è tornato all’epoca delle persecuzioni – “l’ecumenismo del sangue” di cui ha parlato Francesco: non solo le immagini delle decapitazioni trasmesse via internet, ma anche le conseguenze delle persecuzioni (guerre civili, rifugiati, minacce alla stabilità dell’intera area euro-mediterranea) fanno impallidire la memoria delle persecuzioni che i cristiani subirono nell’Impero romano prima della legalizzazione del cristianesimo da parte di Costantino nel quarto secolo. La pressione esercitata su di noi da quelle immagini e da quelle notizie rendono l’enfasi di Papa Francesco sul Dio della misericordia tanto psicologicamente paradossale quanto teologicamente necessaria.

Il Giubileo di Papa Francesco va a far parte della storia dei giubilei. Ma questo Giubileo della misericordia non è solo l’ennesima puntata di una storia già vista, e quello di Francesco non è un pontificato di transizione. Quello che si apre l’8 dicembre è un Giubileo con un ruolo significativamente ridotto per Roma e il Vaticano, paradossalmente in una chiesa che si affida oggi a un uomo solo, Papa Francesco, più di quanto i cattolici liberal e gli atei illuminati alla Scalfari siano disposti ad ammettere. È un giubileo che esprime la teologia e la visione di chiesa del primo Papa non euro-mediterraneo e post-Vaticano II. Tipica di Francesco è una ridefinizione mistica dei rapporti tra la Chiesa e il mondo. La decisione di Francesco celebrare il Giubileo della misericordia non si basa solo su considerazioni teologiche ed ecclesiali, ma esprime una profonda comprensione da parte del Papa di quello che è il mondo di oggi. Ed è un mondo più complicato di quello di soltanto pochi anni fa




una lettera a papa Francesco da parte di 600 ergastolani

caro papa: c’è speranza anche per noi?

seicento ergastolani italiani scrivono al Papa in vista del Giubileo straordinario della Misericordia, denunciando che il carcere a vita “è disumano”. L’iniziativa è stata presa dall’ergastolano Giovanni Lentini, 41 anni, un calabrese di Crotone, che sta scontando la pena per omicidio a Fossombrone

 insieme a Lentini, hanno apposto la firma centinaia di persone, detenute in diversi carceri della Penisola, sul cui certificato appare il “12/12/9999” come fine pena: praticamente mai

la lettera, con le adesioni raccolte con l’aiuto di un altro ergastolano, Carmelo Musumeci, è stata recapitata a papa Francesco, che ha risposto tramite l’ispettore generale dei cappellani del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, don Virgilio Balducci. Il sacerdote, rivolgendosi al cappellano di Fossombrone, don Guido Spadoni, ha così scritto: “Testimonia a Giovanni Lentini che papa Francesco prega per lui, perché la giustizia migliori, anche per lui sarà possibile gustare la misericordia del Padre

Nella lettera i carcerati esprimono tutta la loro amarezza:

Neanche se riuscissimo a sopravvivere per altri cinquant’anni e quindi per i prossimi Giubilei – scrivono  – potremmo avere la possibilità di partecipare personalmente all’indulgenza plenaria poiché siamo condannati ad una pena perpetua. La cosa peggiore è che nelle condizioni in cui ci troviamo non possiamo offrire opere meritorie per ottenere l’indulgenza, ma nonostante i nostri limiti, le nostre debolezze, vogliamo partecipare seppure a distanza a questo evento straordinario inviandoti questo nostro scritto, questa nostra preghiera”. 

Gli ergastolani concludono con un appello:

Santo Padre –  scrivono – auspichiamo che nell’anno del Giubileo, tu possa rinnovare l’invito agli uomini del potere affinché aboliscano questa pena assurda che si espande anche a chi ci sta vicino, i nostri figli e i nostri familiari. Secondo noi non esiste un male maggiore ed un male minore, uno da punire ed uno no. Il male è male, è una caduta, un distacco dall’amore divino, tutti cadiamo in un modo o in un altro. La cosa più importante però è riuscire a rialzarci con la certezza che siamo già stati salvati da Cristo”.