il commento al vangelo della domenica

Giovanni

l’uomo mandato da Dio

il commento di E. Ronchi al vangelo della terza domenica di Avvento – Anno B

(…) Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». (…)

Venne Giovanni, mandato da Dio, per rendere testi-monianza alla luce. Il profeta del Giordano è il testimone che la pietra angolare su cui si fonda la storia di Dio non è il peccato ma la luce, non il male ma la grazia. Ad ogni credente è affidata la stessa profezia: avere occhi così limpidi da vedere Dio dovunque, sandali da pellegrino e cuore di luce; essere anche noi rabdomanti del buono e del bello seminato anche nei nostri deserti.

In mezzo a voi sta Uno che voi non conoscete, è così vicino da poterci inciampare: “cercatore verace di Dio / è solo chi inciampa / su di una stella…. e, tentando strade nuove,/ si smarrisce nel pulviscolo / magico del deserto (D. M. Montagna).

Sacerdoti e leviti sono scesi da Gerusalemme, una commissione d’inchiesta istituzionale e clericale, scesa non per capire ma per affermare il loro potere e ribadire il primato del sacerdozio su quel libero profeta, non allineato, senza autorizzazione. Giovanni era, per nascita, un levita, apparteneva a quella casta sacerdotale maschile, ereditaria e autoreferenziale, che era di suo padre Zaccaria. Sacerdoti si nasceva, si era tali di generazione in generazione. Ma Giovanni, il figlio del miracolo, ha abbandonato il tempio e rinnegato il sacerdozio, diventati il silenzio di Dio, e aveva scelto di essere voce. Tu chi credi di essere? Elia? Il profeta che tutti aspettano? Lo affrontano con sei domande sempre più incalzanti. Ad esse Giovanni risponde “no”, per tre volte, con risposte sempre più brevi; e anziché affermare “io sono” , preferisce dire “io non sono”, svestendosi di proiezioni e attese prestigiose, che forse sono perfino pronti a riconoscergli, se…. Risponde non per addizione di titoli, ma per sottrazione, indicandoci il cammino verso l’essenziale: non si è profeti per accumulo, ma per spoliazione. Davanti al sole, come davanti a Dio, non c’è nulla di meglio che essere nulla, aria, pura trasparenza. Io sono solo voce, parlo parole non mie, che vengono da prima di me, che vanno oltre me.

“Giovanni venne per dare testimonianza alla luce”. Il profeta roccioso e selvatico, l’uomo della sabbia e delle acque, è il testimone del sole. Come Isaia testimonia che la terra non è orfana di Dio, che in qualche parte del mondo, già ora, il lupo e l’agnello pascolano insieme; testimonia che Dio viene, guaritore delle vite, cercatore di prigionieri da rimettere nel sole. “Venne un uomo mandato da Dio” è detto per Giovanni e per me; ognuno è uomo mandato, sillaba pronunciata da Dio chiamandoci all’esistenza, unica e che non ripeterà mai più. Ognuno testimone che Dio c’è, è qui, ed ha un cuore di luce. E il tuo cuore ti dirà che anche tu sei fatto per la luce.

(Letture: Isaia 61,1-2.10-11; Salmo Luca 1,46-50.53-54; Prima Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28)




il commento al vangelo della domenica

è il Battista che sussurra al mio cuore che Dio viene


È il Battista che sussurra al mio cuore che Dio viene

a cura di padre Ermes Ronchi al vangelo della seconda  domenica di Avvento – Anno B

(…) Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. (…)

Due profeti, due voci narranti un Dio camminatore dei secoli, viaggiatore dell’anima, orma sulla sabbia, piede che si ferma alla tua porta (cf. Ap 3,20), fremito nel grembo di Maria ( Lc 1,41), passione nella voce di Giovanni, miele nella voce di Isaia: «viene il tuo Dio». Due testimoni, che usano lo stesso verbo, al presente, semplice, diretto, sicuro: “viene”. Non probabilmente, non simbolicamente, non apparentemente, ma “veramente” Dio viene. Non parlano di un domani: “ecco, sta per venire, verrà tra poco”, e ci sarebbe bastato. Ma giorno per giorno, instancabilmente, continuamente Dio viene. L’Infinito prende corpo perché la nostra vita prenda corpo.

Come seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia che ingoia la notte. Anche se non lo vedi, anche se non ti accorgi, Dio viene, e ogni strada del mondo è Galilea. È bello immaginare il creato come un reticolo, un calpestio di orme di Dio.

Alzate il capo, guardate in alto e lontano, perché la vostra liberazione è vicina. Uomini e donne in piedi, eretti, occhi alti e liberi: così vede i discepoli il profeta Isaia, come veggenti dalla vita verticale e dallo sguardo profondo. Viene dopo di me uno più forte di me. Gesù è “il forte” perché ha il coraggio di non prendere niente e di dare tutto. Di innalzare speranze così forti che neppure la morte di croce ha potuto far appassire, anzi ha rafforzato. È “il più forte” perché è l’unico che parla al cuore. E chiama tutti a essere “più forti”, a fare come Isaia e Giovanni: a essere voce che grida e poi sussurra al cuore che Dio viene. Ci chiama tutti a gridare, a dire con passione, quella che è la nostra passione per Cristo e per l’uomo, inscindibilmente. Il vivere appassionato è ciò che rende forte la vita. E poi ci invita a semplicemente sussurrare il vangelo al cuore della terra, testimoni della luce, rabdomanti del buono sepolto. Inizio di una notizia buona. Il nostro é il Dio degli inizi, il Dio creativo che avvia processi, intraprende percorsi, innamorato di orizzonti e non di recinti, che ci porta a pienezza e poi a sconfinamento; un Liberatore, esperto di nascite, che viene, è qui, si è radicato, si arrampica in noi come un germoglio, «un fiore di luce nel nostro deserto» (Turoldo). «Inizio del vangelo di Gesù», che è Gesù, la buona notizia è lui, i suoi occhi che guariscono quando accarezzano, e la sua voce che atterra i demoni tanto è forte, e che incanta i bambini tanto è dolce; il guaritore del disamore del mondo, il seduttore dietro cui ho perso il cuore, che fa ripartire la vita ogni volta si è ferma, fino a che inciampi in una stella.

(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; Seconda lettera di san Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)




il commento al vangelo della domenica

quella nuova creazione che passa nelle storie di chi vive ai margini


San Giovanni in prigione

il commento di E. Ronchi al vsngelo della terza domenica di Avvento – Anno A

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna, non ha più le idee chiare. Lui, “più che un profeta”, dubita e chiede aiuto. Non so voi, ma io credo e dubito al tempo stesso; e Dio gode che io mi ponga e gli ponga delle domande. Non so voi, ma io credo e non credo, in duello, come il padre disperato del racconto di Marco, che ha un figlio che lo spirito butta nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo, e confessa a Gesù: “io credo, ma tu aiutami perché non credo” ( Mc 9,23). E Gesù risponde in modo meraviglioso: non offre definizioni, pensieri, idee, teologia, neppure risponde con un “sì” o un “no”, prendere o lasciare. Racconta delle storie. C’era una volta un cieco… e nel paese vicino viveva uno zoppo dalla nascita. Racconta sei storie che hanno comunicato vita, così come era accaduto nei sei giorni della creazione, quando la vita fioriva in tutte le sue forme. Sei storie di nuova creazione.

Gesù parte dagli ultimi della fila, non comincia da pratiche religiose, ma dalle lacrime: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi, morti, poveri…; da dove la vita è più minacciata. E fa per loro un vestito di carezze. Non guarisce gente per rinforzare le fila dei discepoli, per farne degli adepti, per tirarli alla fede come pesci presi all’amo della salute ritrovato, ma per restituirli a umanità piena e guarita, perché siano uomini liberi e totali. E non debbano più piangere.

La Bibbia è fatta soprattutto di narrazioni, Le storie dicono che senso diamo al mondo, cioè “che storia ci stiamo raccontando?” Tutte le grandi narrazioni dicono questo: come si affronta la morte, raccontano di come si fa a non morire, a ripartire. Sono iniziazione alla vita. Ai discepoli inviati da Giovanni Gesù chiede di entrare in una nuova narrazione del mondo. Entrano e vedono nascere la terra nuova e il nuovo cielo. E chiede loro di continuare il racconto: raccontate ciò che vedete e udite.

Poi il racconto si fa domanda: Cosa siete andati a vedere nel deserto? Un bravo oratore? Un trascinatore di folle? Un leader carismatico? Forse una canna sbattuta dal vento? Un opportunista che piega la schiena pur di restare al suo posto? Che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti?

Preoccupato dell’abito firmato? Del macchinone da far vedere? Che cosa siete andati a vedere? Perché Dio non si dimostra, si mostra. Nel deserto hanno visto un corpo marchiato, scolpito, inciso dalla Parola. Giovanni ha offerto un anticipo di corpo, un capitale di incarnazione e la profezia è diventata carne e sangue.

Noi tutti ci nutriamo di storie, e questa è la narrazione di cui la terra ha più bisogno per nutrirsi: storie di credenti credibili.

(Letture: Isaia 35,1-6a.8a.10; Salmo 145; Lettera di Giacomo 5,7-10; Matteo 11,2-11)



il commento al vangelo della domenica

l’annuncio del Battista

il regno dei cieli è vicino


L’annuncio del Battista: il regno dei cieli è vicino
il commento di E. Ronchi al vangelo della seconda domenica di avvento

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». (…)

Nel deserto della Giudea e sulle rive attorno al lago di Galilea, per Giovanni e per Gesù le parole generative sono le stesse : “convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2). Tre annunci in uno: a) esiste un regno, cieli nuovi e terra nuova, un mondo nuovo che preme per venire alla luce.. b) Un regno incamminato. I due profeti non dicono cos’è il Regno, ma dove è. Lo fanno con una parola calda di speranza “vicino”. Dio è vicino, è qui. Seconda buona notizia: il Pellegrino eterno ha camminato molto, il suo esodo approda qui, alla radice del vivere, non ai margini della vita, si fa intimo come un pane nella bocca, una parola detta sul cuore portata dal respiro: infatti “vi battezzerà nello Spirito Santo”, vi immergerà dentro il soffio e il mare di Dio, sarete avvolti, intrisi, impregnati della vita stessa di Dio, in ogni vostra fibra. c) Convertitevi, ossia mettetela in cammino la vostra vita, non per una imposizione da fuori ma per una seduzione. La vita non cambia per decreto-legge, ma per una bellezza almeno intravista: sulla strada che io percorro, il cielo è più vicino e più azzurro, la terra più dolce di frutti, ci sono più sorrisi e occhi con luce. Convertitevi: giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. Infatti viene uno che è più grande di me. I due profeti usano lo stesso verbo e sempre al tempo presente: «Dio viene». Non: verrà, un giorno; oppure sta per venire, sarà qui tra poco. E ci sarebbe bastato. Semplice, diretto, sicuro: viene. Come un seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia, piccolo buco bianco che ingoia il nero della notte. Giorno per giorno, continuamente, Dio viene. Anche se non lo vedi, viene; anche se non ti accorgi di lui, è in cammino su tutte le strade.​

È bello questo mondo immaginato colmo di orme di Dio. Isaia, il sognatore, annuncia che Dio non sta non solo nell’intimo, in un’esperienza soggettiva, ma si è insediato al centro della vita, come un re sul trono, al centro delle relazioni e delle connessioni tra i viventi, rete che raccoglie insieme, in armonia, il lupo e l’agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente, uomo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, russo e ucraino, per il fiorire della vita in tutte le sue forme.

Dio viene. Io credo nella buona notizia di Isaia, Giovanni, Gesù. Lo credo non per un facile ottimismo. Il cristiano non è ottimista, ha speranza. L’ottimista tra due ipotesi sceglie quella più positiva o probabile. Io scelgo il Regno per un atto di fede: perché Dio si è impegnato con noi, in questa storia, ha le mani impigliate nel folto di questa vita, con un intreccio così scandaloso con la nostra carne da arrivare fino al legno di una mangiatoia e di una croce.

(Letture: Isaia 11,1-10; Salmo 71; Romani 15,4-9; Matteo 3,1-12)




il commento al vangelo della domenica


📖 Giovanni, il Signore fa grazia 
24 giugno 2018 
Natività di san Giovanni il Battista 
commento al vangelo 
di ENZO BIANCHI 


Lc 1,57-66.80

In quel tempo per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.
Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.
La solennità della Natività di san Giovanni il Battista prevale sul lezionario domenicale. All’inizio dell’estate si celebra questa grande festa, una ricorrenza antichissima, già attestata da sant’Agostino in Africa. Accanto a Maria, la madre del Signore, Giovanni il Battista è il solo santo di cui la chiesa celebri non solo il giorno della morte, il dies natalis alla vita eterna, ma anche il dies natalis in questo mondo: di fatto, Giovanni è il solo testimone di cui il Nuovo Testamento ricorda la nascita, così intrecciata con quella di Gesù. Ed è proprio questo intersecarsi di vicende che ha portato alla scelta della data del 24 giugno per celebrarne la memoria: se la chiesa ricorda la nascita di Gesù il 25 dicembre, non può che ricordare quella di Giovanni al 24 giugno, essendo essa avvenuta, come testimonia il vangelo secondo Luca, sei mesi prima.
Il parallelismo di queste date contiene anche una simbologia, almeno nel bacino del Mediterraneo che è stato il crogiolo della fede ebraico-cristiana: se il 25 dicembre, solstizio d’inverno, è la festa del sole vincitore, che comincia ad accrescere la sua declinazione sulla terra, il 24 giugno, solstizio d’estate, è il giorno in cui il sole comincia a calare di declinazione, proprio come è avvenuto nel rapporto del Battista con Gesù, secondo le parole dello stesso Giovanni: “Egli deve crescere e io diminuire” (Gv 3,30). Giovanni è il lume che decresce di fronte alla luce vittoriosa; è la lampada preparata per il Messia (cf. Sal 132,17 e Gv 5,35); è il suo precursore nella nascita, nella missione e nella morte; è il maestro di Gesù, suo discepolo che lo segue; è l’amico di Gesù, lo Sposo veniente, come dice giustamente il quarto vangelo (cf. Gv 3,29).
Potremmo addirittura dire che il vangelo è la storia sincronica di due profeti, Giovanni e Gesù, con la loro profondissima singolarità, la loro specifica chiamata, ma anche con la loro sostanziale unanimità nel perseguire i disegni di Dio, con la stessa risolutezza a servizio del Regno. Sì, purtroppo oggi la figura del Battista non ha più il posto che merita nella memoria e nella consapevolezza dei cristiani: dopo il primo millennio e la metà del secondo – in cui Giovanni il Battista e Maria insieme rappresentavano il legame tra antica e nuova alleanza e insieme come intercessori stavano accanto al Veniente, il Signore glorioso, nella liturgia come nell’iconografia – la crescita del culto di molti santi diventati più popolari ha sopravanzato il Battista finendo per oscurarlo, avviando una deriva rischiosa per l’equilibrio della consapevolezza cristologica. Se la chiesa, ancora oggi, celebra come solennità la nascita del Battista è perché resta cosciente della centralità rivelativa di questa figura: nei sinottici la buona notizia dell’annuncio del Regno si apre sempre con Giovanni, così come il vangelo dell’infanzia di Gesù secondo Luca si apre con l’annuncio dell’angelo a Zaccaria (cf. Lc 1,5-25) e con il racconto della nascita prodigiosa di Giovanni.
Meditiamo dunque sul primo capitolo del vangelo secondo Luca. L’angelo del Signore si era presentato al sacerdote Zaccaria mentre questi nel tempio celebrava l’offerta dell’incenso e gli aveva rivelato la nascita di un figlio come esaudimento della preghiera sua e di sua moglie Elisabetta. Zaccaria, infatti, era vecchio e sua moglie sterile. Per tutta la vita avevano atteso un figlio e lo avevano invocato con fede, ma ora erano giunti a una vecchiaia senza futuro. Questo angelo, Gabriele, il messaggero della liberazione di Israele (cf. Dn 8,15-27; 9,20-27) e dell’ora messianica, rivela a Zaccaria il compimento di tutta l’attesa di Israele: il nascituro, ripieno di Spirito santo, camminerà davanti al Signore veniente e preparerà il popolo dei credenti ad accogliere la sua venuta.
Zaccaria, uomo giusto e irreprensibile davanti al Signore, è però turbato e pieno di timore, dunque chiede all’angelo come sia possibile questo, vista la sua vecchiaia e la sterilità della moglie: egli dunque resta incredulo, secondo il racconto evangelico, quindi non riesce più a parlare. “Ho creduto, per questo ho parlato”, dice il salmo (115 [116] LXX,10), perché la parola umana rivolta a Dio deve sempre scaturire dalla fede. Perciò Zaccaria non può benedire l’assemblea in preghiera nel tempio, e questa benedizione resterà interrotta fino a quando Gesù risorto la donerà alla sua comunità, salendo al cielo (cf. Lc 24,50-51).
Ma ecco che i giorni della gravidanza di Elisabetta si compiono e la sterile partorisce un figlio, destando gioia in tutti i suoi parenti e conoscenti, perché quel figlio appare un segno inconfutabile della misericordia di Dio. Il padre Zaccaria è però ancora nella condizione di non eloquenza, così la madre, con grande audacia e contro ogni consuetudine di quel tempo, impone al figlio della grazia il nome di Jochanan, che significa proprio “il Signore fa grazia”. La sterilità è diventata fecondità, l’umiliazione si è mutata in fierezza, l’attesa piena di fede vede il compimento da parte di Dio di ciò che era impossibile agli umani. Zaccaria ed Elisabetta erano degli ‘anawim, quei poveri curvati dalla vita che sperano solo nel Signore, ma ora proprio loro sono strumento, testimoni dell’azione di salvezza che Dio compie in favore di tutto Israele.
Non può passare inosservata la forza di Elisabetta la quale, contro la contestazione dei parenti, dà al figlio il nome designato dall’angelo Gabriele per indicare la missione affidata da Dio al nascituro. Se il nome Elisabetta significa “Dio ha promesso”, con la grazia manifestatasi nella nascita di Giovanni la promessa si è compiuta. E ora che la madre ha imposto il nome al bambino, si scioglie la lingua di suo padre Zaccaria, il quale pronuncia il famoso Benedictus, un salmo di benedizione al Dio di Israele che ha visitato e riscattato il suo popolo (cf. Lc 1,67-79).
Questa nascita prodigiosa testimonia che Giovanni è un uomo che soltanto Dio poteva dare a Israele: dono della misericordia di Dio, risposta a quanti, nella povertà, nell’umiltà e nella fede, avevano atteso con perseveranza per secoli la venuta del Messia, del Salvatore inviato da Dio. Ormai i tempi della nuova alleanza sono inaugurati, il precursore del Messia è presente e lo precede. Di più, lo riconosce al primo incontro, come avviene nella visita che Maria, gravida di Gesù, fa a Elisabetta, gravida di Giovanni (cf. Lc 1,39-45). Il Battista nasce dunque in una famiglia di ebrei credenti, ma la sua vocazione gli chiederà di lasciarla fin dall’adolescenza, per andare nel deserto fino al giorno della sua manifestazione a Israele. Giovanni si prepara alla missione perché fin dal concepimento la “mano di Dio” sta con lui.
Tutta la sua vicenda si interseca con quella di Gesù, e gli eventi della sua vita narrati nel vangelo non sono solo prefigurazioni di quelli che accadranno a Gesù, ma sono a essi sincronici, contemporanei, fino a sovrapporsi e a confondersi gli uni con gli altri: Giovanni e Gesù hanno vissuto insieme! E anche quando Giovanni sarà ucciso violentemente, la sua vita e la sua missione appariranno in pienezza in quella di Gesù. Non è certo un caso che il vangelo registri l’opinione del re Erode riguardo a Gesù: “È Giovanni Battista risorto dai morti” (cf. Mc 6,16), né che i discepoli riportino a Gesù il giudizio di alcuni contemporanei che dicevano di lui: “È Giovanni il Battista” (cf. Mc 8,28 e par.).
Quando Giovanni morirà, anticiperà la morte di Gesù e la prefigurerà come passione del profeta perseguitato e ucciso nella propria patria. Ma come nella sua morte anche Gesù muore, così nella resurrezione di Gesù anche Giovanni il Battista risorge.