morire da soli è disumano anche in tempi di covid – una riflessione del teologo G. Piana

disumano continuare a

morire da soli

e non si dica che non si poteva fare diversamente

di G. Piana

l’assenza di una persona amica che ti sta accanto, che ti prende per mano o ti fa il dono di una carezza rende tutto molto più tragico e desolante

ANADOLU AGENCY VIA GETTY IMAGES
Ponte San Pietro, Bergamo. La prima fase dell’emergenza Covid (4 aprile 2020)

una riflessione di Giannino Piana, scrittore, teologo, già docente di Etica cristiana all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Libera Università di Urbino e di Etica ed economia alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino

Tra gli aspetti più gravi della pandemia da coronavirus nella quale siamo tuttora immersi quello più drammatico è stato (ed è) senz’altro costituito dallo stato di abbandono in cui si sono venuti a trovare negli ospedali e nelle case di riposo malati gravi ed anziani costretti a vivere le ultime ore della loro esistenza senza l’accompagnamento dei propri familiari o delle persone care che avrebbero voluto avere accanto.

Abbiamo tutti negli occhi – e non potremo a lungo cancellarla – l’immagine di quel macabro corteo di camion militari che portavano in cimiteri lontani dal paese di origine le casse di una serie di persone decedute senza poter ricevere l’ultimo saluto da parte dei propri congiunti ai quali, per un certo periodo, è stato persino impedito di partecipare a un rito di commiato.

Si sa che la morte è un’esperienza individuale, che comporta un livello marcato di solitudine, ma le modalità con cui è stata vissuta (ed è tuttora vissuta) da molti anziani (e non solo) in questo tempo di pandemia ha qualcosa di inquietante. L’assenza di una persona amica che ti sta accanto, che ti prende per mano o ti fa il dono di una carezza rende tutto molto più tragico e desolante. Per non dire del trauma non facilmente rimarginabile di chi è venuto a sapere della gravità della situazione del proprio congiunto di cui apprendeva in seguito, magari a distanza dal momento in cui era avvenuta, la notizia della scomparsa.

Si è toccato qui con evidenza il livello più basso di disumanizzazione di cui è capace la nostra civiltà tecnologica. E non si dica che non si poteva fare diversamente. Certo l’esigenza di salvaguardare dal rischio del contagio ambienti delicati come quelli che ospitano malati e anziani, evitando il diffondersi del virus, era una giusta precauzione alla quale occorreva far fronte. Ma forse una maggiore inventività avrebbe potuto trovare vie praticabili per combinare le misure necessarie a tutela della salute con le esigenze non meno importanti di garantire la vicinanza delle persone sofferenti ai propri affetti, non dimenticando che anche questo fa parte (e in misura rilevante) del processo di cura.

Per questa ragione merita un plauso particolare la giunta della Regione Toscana che, sollecitata dall’Associazione “Tutto è vita onlus” e dalla Fondazione Meyer, nonché dal parere della Commissione regionale di bioetica (CRB), ha approvato all’unanimità su proposta degli assessori alla Sanità Simone Berrini e agli Affari sociali Serena Spinelli una serie di dispositivi concreti che consentono ai pazienti ricoverati in ospedali, case di cura e residenze sanitarie di poter ricevere visite da parte dei loro familiari, pur nel rispetto delle norme anti-Covid.

Le misure previste, che riguardano in maniera prioritaria (ma non esclusiva) le persone affette da patologia grave o con prognosi infausta e che sono già in parte esecutive, sono la chiara testimonianza della possibilità di fare un passo avanti sul terreno della umanizzazione delle cure, e meritano di essere segnalate nella speranza che possano essere assunti provvedimenti analoghi anche nell’intero Paese. È in gioco il livello di civiltà della nostra società.




al di là dello ‘ius soli’ – una cittadinanza ampia come il mondo

la cittadinanza globale

 

“Il riconoscimento dello ius soli non è che il primo passo (per alcuni addirittura superato) di un processo, già in atto nei fatti, di universalizzazione della cittadinanza. I cittadini del terzo millennio hanno infatti una percezione dell’appartenenza che ha come orizzonte il mondo”

di Giannino Piana
in “Rocca” n. 21 del 1 novembre 2017

Il dibattito che si è sviluppato nel nostro Paese, in questi ultimi mesi, attorno allo ius soli ha visto la presenza di una serie variegata di opinioni, che vanno dal suo pregiudiziale respingimento alla richiesta di clausole mortificanti che tendono a limitarne di molto la possibile applicazione, fino alla sua piena ammissione, da parte di un numero, purtroppo non molto ampio, di forze politiche e di cittadini. Rifiuto e diffidenza ascrivibili a motivazioni di ordine diverso – dai rigurgiti xenofobi e razzisti a paure indotte dal confronto con la diversità, dall’incremento della malavita e dalla minaccia sempre incombente del terrorismo – manifestano l’esistenza di uno stato di disagio diffuso, che non può essere sottaciuto. Sono comprensibili alcune delle ragioni di tale disagio, ma non si può negare che la reazione negativa nei confronti dell’approvazione dello ius soli costituisce una forma di grave anacronismo; rivela, in altri termini, la presenza di un atteggiamento miope, l’incapacità di comprendere i cambiamenti in atto sullo scenario mondiale e di fare i conti con l’inarrestabilità dei processi in corso. Il fenomeno della globalizzazione, che procede con ritmo accelerato, e la caduta delle distanze fisico-geografiche, dovute ai nuovi mezzi di locomozione, favoriscono rapidi trasferimenti di intere popolazioni, soprattutto dal Sud del mondo, e danno luogo a veri e propri esodi dovuti a situazioni di guerra o a condizioni di estrema povertà. contraddizioni e dati preoccupanti L’area dell’interscambio sociale e culturale si è dunque sempre più dilatata fino a raggiungere dimensioni mondiali, sia per l’avanzare di un unico mercato sia per l’affermarsi di un sistema informativo che, grazie alle reti telematiche e al web, dà origine a una società multietnica e multiculturale. Non può pertanto che sorprendere la crescita di forme esasperate di particolarismo e di provincialismo, di settarismo e di nazionalismo, che coinvolgono una parte consistente della popolazione italiana, spesso influenzata dagli interventi scandalistici dei media, che indulgono nella descrizione di episodi incresciosi, alimentando le paure e suscitando atteggiamenti e comportamenti ispirati a una forma di chiusura corporativa e caratterizzati dal respingimento di ogni diversità. Un ruolo particolare riveste, in questo quadro, la politica, che non esita a cavalcare gli istinti meno nobili della gente, in vista della ricerca del consenso. L’attuale periodo preelettorale costituisce un’occasione propizia per il perseguimento di questo obiettivo. Questo spiega la volgarità delle prese di posizione di alcuni partiti – la Lega in particolare (ma, in certa misura, l’intero centrodestra) – nei confronti dello ius soli. I toni apocalittici adottati da uomini politici – Salvini in primis – che insistono sulle ricadute catastrofiche dell’approvazione della legge in questione risentono di questo clima; sono dettate cioè da fini elettoralistici. La scorrettezza morale di questo comportamento è evidente: in gioco vi è la stessa credibilità della politica, già fortemente minata da episodi scandalistici (e non solo), che ne hanno gravemente compromessa l’immagine. La violenza con cui in alcuni strati della popolazione si è reagito (e si reagisce) alla proposta di riconoscimento dello ius soli non è esente, d’altronde, da evidenti contraddizioni. Non sono pochi coloro che danno personalmente scarso rilievo alla cittadinanza, non riconoscendone l’importanza e non assumendosi soprattutto doveri e responsabilità che da essa derivano, e si oppongono, nello stesso tempo, alla condivisione di questo diritto, rifiutando di estenderlo ad altri cittadini nati nella stessa nazione. l’importanza della cittadinanza L’acquisizione del diritto di cittadinanza riveste una grande importanza per la vita della persona: si tratta infatti della dimensione politica della vita personale. Chi non è riconosciuto come cittadino, nei suoi diritti e nei suoi doveri, dalla comunità in cui vive è come se non esistesse nello spazio pubblico. A subentrare è dunque una condizione di marginalità, che, oltre ad impedire ogni forma di partecipazione civile per l’impossibilità di esercitare alcuni fondamentali diritti – in primo luogo quello di voto – genera uno stato di disagio esistenziale, che si traduce nel rifiuto di ogni forma di integrazione e può talora sfociare in forme di violenza. Al di là delle motivazioni di ordine morale, che hanno senz’altro il primato – il diritto di
cittadinanza è conseguenza diretta (e necessaria) dal riconoscimento della uguaglianza e della pari dignità di ogni persona umana e riveste dunque il carattere di un vero imperativo etico – esistono pertanto anche ragioni di opportunità politica che non vanno sottovalutate, se si considera, ad esempio, che molti degli autori delle recenti stragi di matrice islamica sono emigrati di seconda generazione, che, nonostante siano nati nei vari Paesi europei, sperimentano una situazione di estraneità, la quale favorisce la coltivazione di sentimenti di ostilità e di odio nei confronti della nazione, in cui si sono trovati, fin dall’inizio della loro esistenza, inseriti. verso una cittadinanza universale Il riconoscimento dello ius soli non è, d’altronde, che il primo passo (per alcuni addirittura superato) di un processo, già in atto nei fatti, di universalizzazione della cittadinanza. I cittadini del terzo millennio hanno infatti una percezione dell’appartenenza che ha come orizzonte il mondo. La sfida da affrontare è dunque la costruzione di una nuova democrazia cosmopolitica, nella quale prenda forma una cittadinanza, che separi il popolo (demos) dall’etnia di appartenenza (ethnos); che sappia, in altri termini, coniugare popolo multietnico e cittadinanza globale. Le resistenze sono, in proposito, molte e di grande entità. La causa principale è costituita dal persistere del concetto di Stato-nazione, che provoca una situazione di chiusura astorica, non soltanto negativa ma anche inefficace. Negativa, perché l’assolutismo nazionalista preclude la possibilità di uno scambio allargato tra i vari ambiti della vita sociale e lo sviluppo di un confronto arricchente tra culture diverse. Inefficace, perché in realtà i processi in atto, tanto in campo economico che informativo e culturale, scavalcano ampiamente le frontiere delle singole nazioni e rendono del tutto impotenti gli interventi da esse assunti per regolarne il flusso. l’esempio negativo dell’Europa A riprova di questa situazione è sufficiente richiamare qui la condizione di stallo in cui versa oggi l’Europa. La difficoltà a creare condizioni di effettiva convergenza sul terreno sociopolitico è dovuta all’assenza della volontà da parte degli Stati che compongono l’Unione di identificare una piattaforma di obiettivi comuni e di rinunciare a parte del loro potere per consegnarlo a una autorità superiore – quella europea – e fare fronte insieme ai numerosi e complessi problemi emergenti che esigono prese di posizione allargate, le sole in grado di incidere sul tessuto internazionale e mondiale. Non si può che condividere, al riguardo, il giudizio di Donald Sassoon, il quale non manca di segnalare il paradosso che caratterizza l’atteggiamento di molti nei confronti del progetto europeo. «Al momento – egli scrive – lo Stato-nazione è ancora il riferimento principale in materia di identità politica per la maggior parte degli europei, anche se esiste un rigetto crescente verso i politici nazionali. Il paradosso è che sarebbe legittimo aspettarsi che gli europei, delusi della politica nazionale, guardino all’Unione Europea; invece succede che la collera contro la classe politica si trasforma in opposizione contro l’Europa e in sostegno alle destre nazionaliste» (Stati-nazione d’Europa, Il Sole 24 ore, 19 marzo 2017, p. 29). L’assenza di un patriottismo europeo e la scarsa attenzione delle istituzioni europee alla dimensione sociale, con l’inevitabile accentuarsi delle diseguaglianze tra le nazioni, sono fattori che spiegano senza dubbio in parte questa diffidenza, ma non si può negare che, accanto ad essi, sussistano forme pericolose di particolarismo e di provincialismo, che denunciano l’incapacità di prendere consapevolezza di quanto già succede e di guardare, con lungimiranza e coraggio, in avanti. Ben venga, dunque (senza troppe restrizioni) lo ius soli, «l’offerta di cittadinanza – come ha ricordato di recente papa Francesco – slegata da requisiti economici e linguistici». È un primo importante passo dal quale non si può, nella situazione attuale del nostro Paese, prescindere. Ma l’obiettivo a cui tendere, e che appare sempre più necessario, stante la presenza indiscussa di un universalismo inarrestabile, è l’affermarsi di un «orizzonte postnazionale» – come lo definisce Habermas – che ha quale sbocco la realizzazione di una cittadinanza globale volta a garantire a tutti gli uomini e a tutti i popoli una positiva convivenza in una società mondiale solidale e pacifica.




un libro sulla profonda teologia di papa Francesco

la teologia di papa Francesco

di Bruno Scapin
in “Settimana-News”

Alberto Cozzi – Roberto Repole – Giannino Piana,

Papa Francesco. Quale teologia?,

Cittadella Editrice, Assisi 2016, pp. 210, € 13,90.

 

 

«Tre saggi che, muovendo da prospettive diverse e con metodi diversi, offrono uno spaccato significativo della “teologia” di papa Francesco…, smentendo le critiche, talvolta aspre e preconcette, di quanti lo accusano di scarsa profondità dottrinale».

È quanto si legge al termine della Prefazione a questo volume che raccoglie i contributi di Alberto Cozzi, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, di Roberto Repole, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (sezione di Torino) e presidente ATI, e di Giannino Piana, già docente di etica cristiana presso le università di Urbino e di Torino ed ex presidente ATISM. Cozzi riconosce a papa Francesco un modo originale di esprimere la sua teologia sia nel linguaggio sia nel modo di argomentare. Luogo privilegiato della teologia bergogliana è il nucleo essenziale dell’annuncio evangelico. Centrale rimane la figura di Gesù che ha assunto nella sua carne tutto l’umano. Per questo papa Francesco ama in particolare il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Accanto ad esso, gli altri due pilastri della teologia di papa Bergoglio sono il mistero della croce e il mistero trinitario. In quest’ultimo, particolare rilievo viene data alla persona del Padre come fonte di ogni tenerezza e misericordia e allo Spirito Santo come artefice di fantasia e di novità nella vita della Chiesa. La teologia di papa Francesco nell’analisi di Cozzi – si legge nella Prefazione – «è una teologia robusta, fortemente ancorata alla tradizione e legata al contesto latinoamericano, più interessata all’azione pastorale che alla speculazione teorica». Roberto Repole, nel suo contributo, sottolinea la fedeltà di papa Francesco all’ecclesiologia conciliare, della quale riprende con vigore alcuni temi, come la Chiesa “popolo di Dio” e il sensus fidelium. Accentuazioni caratteristiche del pontefice sono la Chiesa “in uscita” e la Chiesa che risponde alle urgenze della società di oggi non rifuggendo dal mondo ma incarnando, in particolare nelle “periferie esistenziali”, l’amore di Dio per l’uomo. Non vanno dimenticate altre dimensioni dell’ecclesiologia bergogliana, come la centralità delle Chiese locali e la riforma del papato e della curia in senso sinodale. Bastano questi cenni per capire come questo pontificato segni «una nuova, importante tappa nella ricezione del Concilio» (dalla Prefazione). Il terzo contributo è di Giannino Piana su un tema a lui congeniale: “Il magistero morale di papa  Francesco. Tra radicalità e misericordia”.

È chiaro come il papa attuale coniughi l’ideale con la realtà, il dato oggettivo con il dato soggettivo, tenendosi lontano sia dal rigorismo sia dal lassismo e puntando, con l’aiuto della grazia, al “bene possibile”. Al mondo dell’economia papa Bergoglio chiede di non inseguire il feticismo del denaro e la logica spietata del mercato, che generano esclusione e “inequità”. E alla politica domanda la tutela dei diritti umani, la ricerca del bene comune e l’attenzione ad un’ecologia integrale. Non poteva mancare, nelle pagine di Giannino Piana, la trattazione dei temi della famiglia e della sessualità, comprese le “situazioni irregolari”. Qui – secondo il teologo – il pontefice mostra di avere a cuore la bellezza dell’ideale evangelico declinato, però, realisticamente, sulle diversità soggettive e situazionali. Preziosa, per interpretare i testi di papa Francesco, si rivela la Postfazione firmata dal card. Ravasi. Egli, infatti, sottolinea come il pontefice ami lo stile omiletico e il linguaggio simbolico. Il primo gli permette quell’approccio dialogico e immediato che crea una relazione coinvolgente con l’ascoltatore. Il secondo (pensiamo ad alcune espressioni come “Chiesa ospedale da campo”, “l’odore delle pecore”, “la mafia (s)puzza”…) gli permette di scolpire in immagini assai efficaci il concetto che intende trasmettere. Un testo che fa giustizia delle riserve che anche qualche influente ecclesiastico ha manifestato sullo spessore e sull’ortodossia della teologia di papa Francesco.

 




si può parlare di ‘gender’ senza farne una caricatura

Sesso e genere: oltre l’alternativa

di Giannino Piana

in “Viandanti (www.viandanti.org) del 12 luglio 2014

Piana

La questione del “genere” (gender in inglese) ha assunto negli ultimi decenni, in particolare nel mondo anglosassone, grande attualità. Con essa ci si riferisce a una serie di teorie orientate ad accentuare la pluralità di identità delle persone, facendo riferimento a una serie di fattori che vanno oltre il semplice dato biologico originario. In realtà, a ben vedere, il problema non è del tutto nuovo. E’ infatti esistita anche in passato la tendenza a considerare l’identità soggettiva come frutto di un processo complesso, che coinvolge le dinamiche psicologiche ed educative, le varie forme di socializzazione e il contesto culturale entro il quale avviene lo sviluppo della personalità.

Un ribaltamento di posizione

A contraddistinguere, tuttavia, l’attuale svolta è un vero e proprio salto qualitativo, che comporta il ribaltamento della posizione tradizionale, mettendo in primo piano i fattori ambientali e riducendo di molto (fino talora a negarlo totalmente) il peso della differenza biologica, con la conseguenza di superare i modelli relazionali tradizionali e di aprire la strada a nuove forme di incontro e di mutuo riconoscimento. A determinare questa svolta hanno concorso, da un lato, l’ideologia liberale, che è venuta affermando con forza il rispetto dell’individuazione soggettiva e la libertà della propria autocostruzione, e, dall’altro, il pensiero femminile, che nella sua fase più recente è passato (almeno in alcune aree della propria elaborazione) dal teorizzare il valore delle differenze, proponendo come modello quello della reciprocità tra i sessi, alla negazione delle stesse differenze, perciò al rifiuto  della catalogazione dei generi in ragione dell’apertura a un intreccio indefinito di   possibilità espressive.

L’interazione tra natura e cultura

E’ naturale che si accentui, in questo quadro, la contrapposizione tra chi – come il magistero tradizionale della Chiesa cattolica (ripreso peraltro in tempi piuttosto recenti da papa Benedetto XVI) – tende a ricondurre l’identità di genere anzitutto alla differenza legata al sesso biologico, riducendola pertanto all’essere-uomo e all’essere-donna, e chi invece attribuisce la preminenza ai fattori ricordati che esercitano un ruolo decisivo nel costituirsi della coscienza di sé, dilatando pertanto le modalità di attuazione. Lo scontro non è tuttavia necessariamente inevitabile. Sesso e Il rapporto tra queste due ultime grandezze o, più precisamente l’equilibrio tra di esse, è dunque la vera soluzione del problema. Non si tratta di optare per l’una rinunciando all’altra, ma di ridefinire i livelli sui quali vanno rispettivamente ricondotti il dato naturale e i dati di ordine sociale e culturale. Si tratta di non rinunciare all’importanza fondamentale che riveste la differenza uomo-donna, che ha anzitutto la sua radice nel sesso biologico e che costituisce l’archetipo da cui ha origine l’umano, ma di non esitare, al tempo stesso, a mettere in luce il ruolo della cultura e delle strutture sociali,  riconoscendo che è merito delle teorie del gender l’aver dato maggiore rilevanza nella definizione dell’identità di genere ai vissuti personali e concorrendo così al superamento di alcuni pregiudizi, fonte di gravi discriminazioni, come quelle che hanno a lungo determinato (e in parte tuttora determinano) l’emarginazione di alcune categorie, quelle degli omosessuali e dei transessuali in primis.

La questione della “legge naturale”

La posizione della Chiesa e della stessa teologia cattolica – lo si è già ricordato – è apparsa in passato arroccata nella difesa ad oltranza del dato biologico, ascrivendolo all’ordine della  creazione e considerando pertanto la critica che ad esso si rivolge come un attentato alla sovranità divina. Non si può negare che dietro a tale posizione vi sia un aspetto di verità che non va eluso: l’impegno a difendere cioè la base dell’umano, che finirebbe per essere gravemente compromessa dalla radicale decostruzione dell’identità biologica quale risulta da alcune teorie del gender. Questo non significa tuttavia (e non può significare) rifiuto di sottoporre a revisione una riflessione sulla “natura umana”, e di conseguenza sulla “legge naturale”, che ha assunto per molto tempo connotati rigidamente fisico-biologici. La storia del pensiero cristiano è, a tale riguardo, ricca di preziose indicazioni. La stessa teologia scolastica, reagendo nei confronti del pensiero patristico, che, influenzato dal dualismo platonico e neoplatonico e dal naturalismo stoico, aveva accentuato la fissità del dato biologico, ha introdotto l’attenzione al fattore culturale, mettendo in evidenza come la specificità della natura umana consiste anzitutto nella “razionalità – natura ut ratio è la definizione che ne dà Tommaso d’Aquino – e rimarcandone di conseguenza l’aspetto dinamico ed evolutivo. Tale prospettiva è oggi ampiamente ripresa dalla riflessione di stampo personalista, che considera l’umano nella sua globalità, includendo quale elemento costitutivo (e ultimativamente decisivo) il dato culturale e sociale.

La via del confronto

Le teorie del gender, i cui presupposti antropologici, oltre che dall’ideologia liberale e dal pensiero femminista, come si è ricordato, traggono origine da alcuni importanti pensatori di area francese  da Michel Foucault a Gilles Deleuze fino a Jacques Derrida – rappresentano una significativa provocazione a prendere consapevolezza della ricchezza dell’umano e a pensare l’identità partendo da una maggiore coscienza di sé e della propria libertà, nonché dall’importanza delle decisioni soggettive e degli stili di vita personali, evitando in tal modo forme di appiattimento della realtà attorno a paradigmi universalistici, che non rispettano le diversità individuali. L’etica in generale, e quella di ispirazione cristiana in particolare, devono trarre da questa nuova interpretazione del mondo umano la sollecitazione a fondare i propri orientamenti su basi più ampie, prestando maggiore attenzione alle complesse dinamiche che presiedono alla costruzione dei comportamenti e che sono legate ai processi strutturali e culturali della società in cui si è immersi. La rivelazione biblica offre, al riguardo, importanti suggestioni, invitando a riflettere sulla dialettica esistente tra la postulazione di un “principio” (l’archetipo) al quale non si può rinunciare – la differenza originaria dei sessi – e il costante riferimento alle forme culturali, che modellano, di volta in volta, l’identità e le preferenze sessuali, configurandole, nella loro dimensione storica, come fenomeni in costante divenire. L’abbandono di ogni preclusione ideologica e l’apertura a un confronto sereno tra le posizioni delineate – confronto incentrato sul riconoscimento della dignità della persona umana e dell’uguaglianza dei diritti, e dunque su una piattaforma di valori condivisi – è la via da percorrere per contribuire allo sviluppo di una convivenza civile nella quale le differenze, lungi dall’essere demonizzate o emarginate, si traducano in ricchezza per la vita di tutti.

Giannino Piana

(già docente di etica cristiana alla Libera Università di Urbino e di etica ed economia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino)

socio fondatore di Viandanti