il ‘Gesù ribelle’ di un musulmano

croce

 
é un musulmano Reza Aslam ma si è appassionato alla figura di Gesù, essendo cresciuto, tra l’altro’ alla scuola dei gesuiti
è appassionato più al Gesù storico più che al Gesù ‘religioso’ e racconta nel suo libro che sta diventando un vero best seller in America ( in Italia esce coi tipi della Rizzoli e col titolo: Gesù il ribelle)” un Cristo attento soprattutto ai poveri, alla loro liberazione, alla loro salvezza”
per Reza Gesù e “la persona più importante degli ultimi 2000 anni ed è alla base della civiltà occidentale
qui sotto Reza Aslan risponde ad alcune domande:

L’altro Gesù

intervista a Reza Aslan

a cura di Massimo Vincenzi
in “la Repubblica” del 3 dicembre 2013

Fine luglio, studi di Fox News: Lauren Green uno dei volti più noti della televisione incalza un uomo dall’aria disarmata e dalla voce tranquilla. Lei chiede: «Perché un musulmano scrive un libro su Gesù?». Lui, un po’ stupito: «È il mio lavoro, sono un professore, uno studioso di religioni». Ma lei ancora, senza ascoltarlo, come un disco rotto: «Sì, ok, ma perché ti sei interessato al fondatore del cristianesimo? ». Così per dieci, infiniti, minuti che sono il manifesto perfetto di una frattura culturale, della totale incapacità di comunicare. Il video “dell’intervista peggiore mai vista”, come viene subito definita, diventa virale su Internet, spopola nei talk show e sui giornali. Lui si chiama Reza Aslan, 41 anni, insegna all’Università della California, scrittore e giornalista nato in Iran, arriva in America con la famiglia dopo la rivoluzione di Khomeini. Il libro sul banco degli imputati esce ora in Italia con il titolo Gesù il ribelle (Rizzoli) e negli Usa domina per mesi le classifiche dei bestseller, a partire da quella del New York Times, che si schiera in difesa dell’autore. L’idea è quella di raccontare la figura di Cristo separando la verità storica dal mito successivo.
Un’operazione, ampiamente sfruttata da altri in passato, ma avvincente, con una narrazione che scorre fluida, senza mai urtare la sensibilità del lettore, anche quello più religioso. Non c’è provocazione, non c’è sarcasmo: ma solo voglia di capire. Come spiega lui a Repubblica (con, alla fine, una postilla personale).
Immagino che lei sia stufo, ma bisogna per forza partire dall’intervista cult alla Fox News.
Come è andata?
«È anche colpa mia, me lo dovevo aspettare: quella rete tv ha costruito il suo successo su posizioni molto conservative e radicali: la paura dell’Islam è uno dei loro marchi di fabbrica. Ma quello che mi ha colpito è stata la maniera inesorabile con cui sono stato attaccato. La conduttrice non passa mai a parlare del libro, non riesco mai ad esporre le mie tesi: non le interessano, lei vuole solo mettermi in difficoltà, rendermi ridicolo. Ed è lo stesso modo con cui vengo colpito sui social network: nessuno entra mai nel merito delle mie idee: solo insulti basati su stereotipi».
L’America ha vissuto l’Undici settembre, da allora per i musulmani tutto è stato più
complicato. Com’è la situazione adesso? C’è ancora molta intolleranza?
«Non penso che il problema derivi dagli attentati alle Torri Gemelle: quelli sono un fatto, era persino naturale ci fosse risentimento e diffidenza. Il peggio è venuto dopo, intorno al 2004-2005, quando uomini politici, imprenditori, scrittori, predicatori hanno iniziato a finanziare l’industria dell’islamofobia perché hanno scoperto che paga in termini di popolarità. È più facile parlare alle paure della gente che alla loro intelligenza, poi però ricostruire la convivenza diventa complicato ».
Perché, da studioso, ha scelto di occuparsi di Gesù Cristo, sul quale c’è già una sterminata produzione letteraria?
«È la persona più importante degli ultimi duemila anni, è alla base della civiltà occidentale. Io volevo separare la sua realtà storica dal mito religioso, che è successivo. Volevo spiegare come un contadino povero e analfabeta fosse riuscito a fondare un movimento rivoluzionario in difesa dei diseredati e degli emarginati, arrivando a sfidare in maniera diretta il potere romano e delle gerarchie ebraiche. Mi interessava immergere Cristo nella sua epoca, vedere le sue azioni collegate agli eventi di quel periodo: azioni e reazioni. Perché se pensiamo alla sua dimensione religiosa è ovvio che non esiste il tempo, le sue parole e le sue azioni sono eterne, valgono sempre e per sempre. Io volevo raccontare l’uomo, non Dio».
Come ha lavorato?
«Ho iniziato le ricerche vent’anni fa: prima da studente e poi da professore. Ho usato tutte le fonti dirette dell’epoca, ho tradotto le versioni originali del Nuovo Testamento: mi sono mosso secondo i criteri scientifici che usiamo di solito all’università per qualsiasi ricerca. Poi ho messo tutto quello che ho trovato nel racconto, cercando di affascinare il lettore, di portarlo dentro la fantastica vita di Gesù. Ma ogni riga che ho scritto è documentata».
Che rapporto ha con la religione?
«La studio da sempre, è la mia vita. Credo in Dio, lo scopo delle religioni è fornire un linguaggio per aiutare le persone a definire la propria fede. Dopo essere stato educato al cristianesimo, adesso mi sento più vicino all’Islam. Io non penso che sia più giusto o che annunci verità più forti, semplicemente sento i suoi miti, le sue metafore più consone al mio mondo ».
Lei è nato in Iran, come è stato crescere negli Stati Uniti?
«Sono arrivato nel pieno dello scontro con Teheran: l’epoca degli ostaggi, delle tensioni e qui c’erano tantissime persone ostili agli iraniani. Io, come è ovvio, come fanno tutti i bambini, ho cercato di integrarmi il più possibile nel nuovo ambiente, volevo essere americano al cento per cento e così mi sono dimenticato delle mie origini: a scuola fingevo di essere messicano per venire accettato dai compagni di classe. Poi dopo il college ho iniziato a riscoprire la mia cultura e ho recuperato il passato».
Cosa pensa dell’accordo sul nucleare?
«È una novità bellissima, penso sia il primo passo verso una svolta molto importante. Se si riesce a portarlo avanti potrebbe aprire una nuova era nei rapporti tra gli Usa e l’Iran e portare così finalmente un po’ di pace in Medio Oriente».
Segue l’azione di Papa Francesco?
«Certo, ne sono entusiasta. Io sono stato cresciuto dai gesuiti e il metodo che mi hanno insegnato mi ha portato ad appassionarmi al Gesù storico, prima ancora che a quello religioso. Il mio libro è in linea con la loro formazione: racconta un Cristo attento soprattutto ai poveri, alla loro liberazione, alla loro salvezza. Se il Papa riesce, come sta riuscendo, a rimanere fedele alle sue origini porterà nella chiesa una trasformazione mai vista prima. È il ritorno ad una vita nel segno della vocazione, lontano dalla burocrazia del potere: il suo esempio sarà rivoluzionario. Ne sono sicuro».
Sta già lavorando ad un nuovo libro?
«Vorrei scrivere sulle origini di Dio, su come si è evoluta la sua figura nel corso della storia dell’umanità, come è cambiata la concezione che hanno gli uomini di lui».
Andrà alla Fox a presentarlo?
«Di sicuro. Secondo lei mi invitano?».
È passata quasi un’ora. Ma, prima dei saluti, come per rispondere ad una domanda mai fatta aggiunge: «Mia mamma è cristiana, così come mia moglie e mio fratello. A 15 anni, dopo essermi imbattuto in Gesù ascoltando la sua storia in un campo estivo, ne sono rimasto talmente rapito che andavo in giro per le strade fermando gli sconosciuti narrando loro la buona novella: tipo giovane predicatore. Mi prendevano per matto, i miei genitori si preoccupavano. Io non avrei mai potuto scrivere un libro contro i miei valori, contro le persone che amo e in cui credo. Volevo solo capire.
Solo capire».

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