muri, muri, muri – lo scandalo dei muri che fanno dell’Europa un grande lager per i profughi

il contagio dei muri 

Jacques Gaillot


in “www.garriguesetsentiers.org” del 1° dicembre 2021 (traduzione: www.finesettimana.org)


Avete notato il contagio dei muri nel mondo? Muri che separano popoli e impediscono loro di circolare. Muri della vergogna. Muro tra Israeliani e Palestinesi, tra Americani e Messicani, tra Spagnoli e Africani…
Alla televisione, guardavo con indignazione quel muro di fili spinati innalzato dalla Polonia per impedire ai migranti provenienti dalla Bielorussia di entrare. Oggi, è la volta della Lituania di elevare il suo muro di filo spinato.
Quando il muro di Berlino è stato distrutto il 9 novembre 1989, non immaginavo che l’Europa sarebbe diventata una fortezza! I muri non sono forse fatti per essere distrutti un giorno?
Ma ci sono in noi muri che ci separano gli uni dagli altri.
Il muro del denaro tra ricchi e poveri.
Il muro dei pregiudizi e della diffidenza che divide tante famiglie e gruppi!
Il muro dell’indifferenza che fa sì che ci si ignori.
Il muro dell’oblio che a cadere una cappa di piombo su ciò che si è vissuto con altri.
Il muro dell’odio soprattutto, che crea una separazione apparentemente insuperabile tra gli umani.
L’uomo di Nazareth ha passato la vita a far cadere muri.
Mi piace pensare che sia nato fuori le mura e che sia morto fuori le mura. Con la sua morte sulla croce, ha distrutto il muro di odio che ci separava gli uni dagli altri.
Il pianeta appartiene alla famiglia umana. Siamo fatti per circolare e vivere insieme. Non si fa la pace con del cemento e dei fili spinati che imprigionano le persone.




Gaillot – un vescovo profetico

la testimonianza di un vescovo profetico

mons. Jacques Gaillot

dichiarazioni di Jacques Gaillot, raccolte a cura di Patrice Sauvage
in “www.baptises.fr” dell’8 marzo 2017 (traduzione: www.finesettimana.org)

estratti dell’intervento di Jacques Gaillot al gruppo di lavoro della CCBF “Ecclesia Nova” sul tema del ministero presbiterale. La sua testimonianza luminosa è infatti un insegnamento per ogni battezzato, chiamato alla fraternità con i poveri, e per tutta la chiesa, chiamata ad irradiare attorno a sé la diaconia

Una sera, prendendo la metropolitana all’ora di punta, ero in piedi, stretto da tutte le parti e senza la possibilità di aggrapparmi ad un sostegno. A seconda delle scosse del metrò, mi dovevo appoggiare agli uni o agli altri. Qualcuno mi aveva identificato e sorrideva della mia situazione precaria. Siccome siamo scesi alla stessa stazione, non ho potuto fare a meno di dirgli: “Vede che cosa tiene in piedi un vescovo? Le persone!” Partire dall’umano Mettendoci al seguito di Padre Foucault, siamo toccati dalla spiritualità di Nazareth; uno stile di vita semplice, povero, in mezzo alla gente e alla vita ordinaria. Gesù, l’uomo di Nazareth, ha vissuto tante esperienza con il suo lavoro, le ingiustizie della sua epoca, i suoi rapporti con i poveri, la sua presenza nelle famiglie, condividendo le loro gioie e i loro dolori, la sua preghiera al Padre nella solitudine. Il suo cuore, modellato da tutti questi incontri, bruciava del fuoco del suo amore per il suo popolo. Questa lenta maturazione lo preparava alla sua missione profetica che inaugurerà in maniera sorprendente nella sinagoga di Nazareth. La sua ora era venuta: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19). Tutta la vita pubblica di Gesù sarà la messa in atto di questa predicazione di Nazareth. Non è un discorso religioso che parla della legge: è un discorso che parla solo dell’essere umano.

Non è un discorso su Dio, è un discorso sull’Uomo. Non è un discorso di restaurazione, è un grande messaggio di liberazione che cambia la vita. Che discorso sorprendente! La spiritualità di Nazareth non può trascurare questa proclamazione. È quella che infonde una dimensione profetica al nostro ministero e alla nostra vita di preti. Mi capita, come capita a voi, di sentire persone che dicono: “Non sono più praticante” o “È da tanto tempo che non pratico più!”. Per queste persone, è evidente che si tratta della pratica religiosa. Ma la pratica fondamentale dell’evangelo, è quella della giustizia e dell’amore dovuti al prossimo. Non è la pratica religiosa! Al giudizio finale, non mi sarà chiesto quante messe ho celebrato, quanti matrimoni ho benedetto. Mi si dirà: “Che cosa ha fatto del tuo prossimo, che era straniero, prigioniero, malato, affamato…” La cosa essenziale è la “pratica del fratello”, la pratica della solidarietà. Nessuno ne è dispensato, neanche una volta andati in pensione. Come mai tanti cristiani non hanno scoperto l’importanza della pratica della giustizia e dell’amore dovuti al prossimo? Nella sinagoga di Nazareth, Gesù annuncia di essere venuto a portare la Buona Notizia ai poveri. Non dice ai ricchi, ai potenti… Fa la scelta dei poveri. Comincia da loro. Si pone a fianco degli oppressi e non degli oppressori. A fianco delle vittime e non dei potenti. A fianco degli umiliati e non di coloro che li sfruttano. Gesù è andato subito verso i rifiutati, i dimenticati. Facendo questa scelta di cominciare dai poveri, si apre a tutti. Non rifiuta nessuno. Come è raro, tanto nella società come nella nostra Chiesa, che si scelga di cominciare dai poveri! Sono tanto contento che papa Francesco abbia deciso di canonizzare Mons. Romero che è una figura profetica della lotta per la giustizia […]: “Non c’è alcun onore per la Chiesa nell’intrattenere buone relazioni con i potenti. L’onore della Chiesa, è che i poveri la sentano propria” (Salvador, omelia del 17 febbraio 1980).

Essere una speranza per i poveri
Una frase di Dom Helder Camara mi aveva colpito, un tempo: “Se non sono una speranza per i poveri, non sarò un prete di Gesù Cristo”. Oggi, lì dove vivo, che mantiene viva la speranza dei poveri? Alla mia partenza da Evreux nel 1995, in un ultimo sermone in cattedrale, mi sono rivolto alla folla: “Ogni cristiano, ogni comunità, ogni Chiesa che non sceglie, prima di tutto, il cammino della miseria degli uomini, non ha nessuna chance di essere ascoltato come portatore di una Buona Notizia. Ogni uomo, ogni comunità, ogni Chiesa che non diventa, prima di tutto, fraterna con ogni uomo, non potrà trovare il cammino del cuore, il luogo segreto dove può essere accolta la Buona Notizia”. Gesù è stato una grande speranza per i poveri. Si è avvicinato a loro con misericordia, senza escludere nessuno. I poveri si sono sentiti amati da Dio. I più diseredati hanno scoperto con meraviglia di essere i preferiti da Dio. Siamo precipitati in un mondo nuovo. Siamo testimoni della fine di un mondo. Testimoni anche della nascita di un altro mondo, di cui non si sa ancora che cosa sarà. Il nostro cammino svela nuovi orizzonti e apre alla novità. In Francia, quando con fedeltà ci riuniamo ogni mese in fraternità, è commovente vederci arrivare carichi di anni, handicappati, stanchi… Qualcuno ci crede già morti. Ma coloro che lo dicono, hanno dimenticato che eravamo semi… Semi di vita! Il domani è tutto da fare.




papa Francesco incontra il vescovo mons. Gaillot esiliato da papa Giovanni Paolo secondo

mons. Jacques Gaillot:

“vi auguro di crescere in umanità”Gaillot2

colloquio con Jacques Gaillot,

a cura di Silvana Bassetti
appunti tratti da un intervento a Versoix del 25 marzo 2016 (traduzione: www.finesettimana.org)

C’è un’immagine di Cristo che papa Francesco ama molto: quella di Cristo che bussa alla porta della Chiesa. Si pensa sempre che Cristo venga dall’esterno, invece no, lui è all’interno e bussa alla porta della Chiesa per poter uscire e arrivare alle periferie del mondo. Questa immagine è stata affidata dal Santo Padre a Mons. Jacques Gaillot durante il loro incontro privato a Casa Santa Marta, in Vaticano, nel settembre scorso. Il vescovo francese Jacques Gaillot, invitato dall’Università pastorale del Giura durante il triduo pasquale, ha mostrata questa immagine all’inizio di un bell’incontro con una sessantina di persone venute ad ascoltarlo il 25 marzo, Venerdì santo, nella Chiesa di Saint-Loup a Versoix in occasione di un “café-croissant”: “Mi sono permesso di aggiungere alle parole del papa: «Non rinchiudiamo Colui che è venuto a liberarci». I presenti in sala ascoltano, affascinati.
Quando gli è stato tolto l’incarico di vescovo di Evreux, Mons. Jacques Gaillot è stato nominato vescovo della diocesi di Partenia (Algeria), scomparsa nel V secolo. Non ha perso nulla della sua verve, del suo umorismo e delle sue convinzioni. Riguardo ai suoi 80 anni, confida: “Quello che mi interessa, è aggiungere vita agli anni”. Afferma che le prove “ci aiutano a comprendere meglio coloro che sono provati. Ognuno di noi si rivela nelle difficoltà”, ha detto insistendo sulla scelta di Gesù di rivolgersi prima di tutto ai poveri. “Dio comincia dai poveri, per poi aprirsi a tutti, senza eccezione”, ha esclamato. Con serenità e generosità, ha risposta alle domande, numerose, delle persone presenti in sala, raccontando episodi, aneddoti e parabole.

Gaillot

Come ha fatto per restare in piedi, per non lasciarsi andare?

“Un giorno, nel metrò, a un’ora di punta, ero in piedi e non riuscivo a trovare dove appoggiarmi. A seconda delle scosse del metrò, mi appoggiavo agli uni o agli altri. Un viaggiatore mi aveva identificato e sorrideva della mia situazione precaria. Scendendo insieme alla stessa stazione, non ho potuto impedirmi di dirgli: “Quello che tiene in piedi un vescovo sono le persone!”. Ma c’è anche la preghiera “che è una respirazione, un ‘cuore a cuore’ con Dio. La preghiera ci rende solidali. Quando prendo il metrò di buon mattino, soprattutto il lunedì, guardo i volti di tutte quelle persone che vanno a ricominciare il loro lavoro. Volti stanchi, o addormentati, o preoccupati, o attenti alla musica… Comincio la preghiera del Padre Nostro. È padre di tutti noi, un padre che ama tutte quelle persone del metrò. Rimango su quelle parole, senza andare oltre nella preghiera. È l’amore che ci rende più umani, che ci permette di dare il meglio di noi stessi”. “Ci sono persone che sono capaci di fare gesti di generosità incredibile”, ha detto il vescovo raccontando l’episodio di un educatore ateo che non ha dormito per tutta la notte per poterlo accompagnare a Parigi, poi la straordinaria fiducia in Dio di un uomo accusato di omicidio e poi assolto. “Nel vangelo ci sono molti di questi gesti di sovrabbondanza fatti da Gesù, ma nessun uomo ne ha fatti, solo delle donne! Quella di Betania, o la povera vedova che dà tutto quello che possiede. Vi auguro di crescere in umanità”.

E che cosa pensa del posto dei laici nella nostra Chiesa?

“Ci sono molte risorse nel popolo cristiano: il dono dello Spirito Santo, la Parola di Dio, l’Eucaristia, la presenza di Dio in noi, la preghiera di Gesù, di Maria, dei santi… Siamo ricolmi di doni. Forse siamo noi che non accogliamo a sufficienza i doni di Dio (…). I doni sono tanti, diversi, bisognerà che questa ricchezza serva alla Chiesa”. Ma bisogna permettere ai laici di fare l’omelia?, insiste qualcuno. “So che in certe occasioni, dei laici fanno l’omelia. A mio avviso, non è solo una questione di permesso, ma prima di tutto di formazione e di attitudine a dire la fede in rapporto con la vita. Con parole semplici”.Gaillot3

I laici, le donne, hanno un loro ruolo da svolgere?

“L’avvenire è aperto”, ha detto Mons. Gaillot citando il titolo di un seminario. “Partiamo dalle risorse del popolo cristiano. Andiamo avanti insieme. Prendiamo iniziative (…) Non dimentichiamoci che il prete è un battezzato in mezzo a dei battezzati”. Un’altra domanda, un altro tema: la tradizione dell’accoglienza della Chiesa e la situazione dell’asilo in Occidente. Si tratta di una tradizione “viva e positiva che continua. Dopo l’appello del papa, molti si sono mostrati sensibili all’accoglienza. Nella nostra comunità (la Congregazione dello Spirito Santo a Parigi) abbiamo accolto diversi migranti. Due afghani e un curdo iracheno di Mossul. Tutti e tre musulmani. L’accoglienza degli stranieri è una benedizione per coloro che li ricevono. La comunità dove vivo è stata trasformata dalla presenza di questi migranti: la loro umanità, la loro disponibilità, il loro senso del servizio e anche il loro coraggio! Quello che mi rattrista è vedere che oggi nell’Unione Europea abbiamo più rispetto per le frontiere che per gli stranieri. Si innalzano muri, fili spinati, eppure non è vero che siamo invasi”, ha osservato esprimendo la sua ammirazione per la cancelliera tedesca Angela Merkel e per quello che fanno i greci. Interrogato sulla misericordia, ha risposto con un’immagine: “Se dovessi disegnare la misericordia, disegnerei qualcuno con le braccia spalancate che si avvicina all’altro per accoglierlo. La misericordia esprime un eccesso, la gratuità dell’amore, il perdono. È una provocazione, ci fa uscire dalla logica del do ut des. Il ‘dopo tutto quello che ho fatto per loro, vedi che scarsa ricompensa’, non ha nulla a che fare con la misericordia, che non conosce questa delusione, che precede la richiesta. Ma è una grazia da domandare. Oggi, allora, per rimanere nella speranza, seminiamo la solidarietà, la fraternità, la pace, la misericordia… ‘Non fatevi rubare la speranza’, dice papa Francesco”. Lo stesso messaggio lo ha rivolto ai genitori: “Ciò che è importante per i figli, è il modo di vivere dei genitori, la loro scelta di vita, il loro impegno nei confronti dei migranti. Nella sua vita, Gesù va fino in fondo. Fino in fondo nel servizio, fino in fondo nell’amore. Talvolta, ci si dice: ‘ho dato abbastanza, adesso basta’.” Racconta l’aneddoto di una donna che va regolarmente a messa e che un giorno, alla fine della celebrazione, va in sacrestia per fare una domanda al prete: “Padre – dice – alla fine della messa, lei dice sempre ‘Andate in pace’, ma non dice mai dove andare!’ Un po’ sorpreso, il prete riflette qualche istante e le dice in maniera in po’ solenne: ‘Signora, vada fino in fondo’. È una risposta su cui riflettere!”.

Parlando più tardi al Courrier pastoral, Mons. Gaillot ha detto di sé: “Sono un uomo in cammino e in ricerca. È un cammino che non avevo previsto. Anche oggi non so cosa mi aspetta. Rendo grazie per ciò che vivo e che mi è donato ogni giorno”.Gaillot1

Dopo la sua scelta di diventare prete, maturata in lui per il fascino che esercitava su di lui la bellezza della liturgia e il rispetto dell’Eucaristia, ha viaggiato molto e esercitato molti incarichi. In Algeria, prima di tutto, durante la guerra. “Dopo la guerra d’Algeria, sono diventato non-violento, e mi sono posto la domanda: perché i religiosi non fanno voto di non-violenza?”. Di fronte ai terrorismi che ritengono di agire in nome di Dio, il vescovo ritiene che, soprattutto, bisogna evitare di “rispondere con l’odio, la violenza, il razzismo. La violenza porta sempre con sé altra violenza”. Se dei giovani scelgono la via del terrorismo “lo fanno forse perché manca loro l’avventura, un senso, un ideale… Sono dei giovani che vorrebbero donarsi, fare qualcosa della loro vita, ma non hanno orizzonti, né avventura. La società appare loro piatta”.
Monsignor Gaillot continua ad essere molto attivo, soprattutto con le persone più emarginate. È presidente dell’associazione Droit devant! per le persone senza permesso di soggiorno, presidente onorario di Relais logement per i senzatetto e continua a visitare i detenuti: “per testimoniare il Vangelo, abbiamo bisogno che l’altro ci riconosca come un fratello per lui. La Chiesa è una speranza per i poveri?”. Nel passato, osserva, “la Chiesa in Francia ha avuto una posizione forte, vicina al potere.
Abitavamo in un castello ed ora viviamo in una casa popolare. Abbiamo perduto il piedistallo che avevamo e con la globalizzazione ci sono altre religioni presenti. Siamo diventati più umili accettando di essere aiutati dalle altre religioni, dai non credenti. Il ruolo della Chiesa non è di dominare, ma di essere umilmente a servizio dei più poveri”.




intervista a mons. Gaillot dopo l’incontro col papa

 “il futuro è aperto!”

intervista a Jacques Gaillot a cura di Agnès Willaume e Jean-Baptiste Willaume
in “temoignagechretien.fr” del 10 settembre 2015 (traduzione: www.finesettimana.org)

Gaillot

quando, nel 1995, gli strali del Vaticano caddero su Jacques Gaillot, Témoignage chrétien, su iniziativa del suo direttore Georges Montaron, fu in prima linea per sostenere il vescovo di Évreux. Oggi, l’invito fraterno di papa Francesco a colui che è diventato “il vescovo degli esclusi” è un vero riconoscimento per tutto coloro per i quali si è impegnato da vent’anni e una buona notizia per coloro che credono che Cristo è per i poveri. Diciamo grazie a Jacques Gaillot per aver accettato di condividere con noi la sua gioia suscitata da quel bell’incontro
Può raccontarci che cosa è successo martedì 1 settembre?

Tutto è cominciato con un messaggio. Papa Francesco mi aveva telefonato diverse volte, ma ogni volta ero assente. Trovavo sulla mia segreteria telefonica il seguente messaggio: “Sono papa Francesco!”. Voleva incontrarmi. E, poco tempo dopo, ho ricevuto questo biglietto, molto coerente con il suo modo di essere. Mi sono quindi recato martedì scorso alla Casa Santa Marta con il mio amico Daniel Duigou. Quando siamo arrivati, un laico ci ha accompagnati nella sala d’attesa, una stanza molto semplice, senza comfort, e ci ha detto che sarebbero venuti a chiamarci. Meno di due minuti dopo, si è aperta la porta ed era lui, il papa, da solo, senza quei “monsignori” che assistono tradizionalmente ai colloqui pontifici. Entra e si siede accanto a noi, prendendo la prima sedia che trova. Gli suggerisco di prendere la mia, più comoda. Rifiuta gentilmente la mia offerta, ricordandomi che “siamo fratelli”. Allora mi butto: “Ci tengo a ringraziarla di accoglierci qui e a dirle che quelli che sanno che sono venuto qui sono veramente molto felici. Sono sicuramente ancor più felici di me! Trovano che la cosa sia meravigliosa, perché mi dicono che li rappresento. Tutti: i senzatetto, i ‘sans-papiers’, i rifugiati… Io non ho niente da chiederle, ma loro hanno moltissime cose da dirle!”. Il papa ha sorriso. Gli ho parlato di quel ragazzo in un ospedale psichiatrico che si rallegrava tanto: “Quando ti riceverà, sarà come se io fossi riconosciuto!”. “Vede, ricevendomi, lei fa del bene a tanta gente”. Il papa si è mostrato molto interessato all’esperienza di Daniel, parroco di SaintMerry, una parrocchia pilota nell’accoglienza dei migranti. Ha ripetuto con forza un’espressione che per lui è essenziale: “I migranti sono la carne della Chiesa”. Ha ricordato che anche lui è un immigrato. E io ho annuito: Francesco è lontano dal suo paese, lontano dal suo popolo, come loro. Non è facile, ma resiste. Gli ho spiegato che sono vent’anni che sono stato allontanato, escluso… “Ma, escludendomi, la Chiesa mi ha dato un buon passaporto per andare verso gli esclusi!”. Ha riso e ci ha ricordato quell’immagine dell’Apocalisse che aveva usato al conclave prima di essere eletto: “Cristo bussa alla porta della Chiesa, ma bussa dall’interno! Vuole che si spalanchino le porte! Per lasciarlo uscire! Per andare a incontrare il mondo e l’umanità”. Gli ho risposto che, in effetti, non bisognava rinchiudere Colui che è venuto a liberarci. Quando lo abbiamo lasciato e siamo usciti da Santa Marta, Daniel mi ha detto: “Voltati, è ancora lì!”. Ed effettivamente, era in piedi sulla soglia e ci guardava andar via, aspettando, come se non volesse rientrare. Forse non è molto rispettoso, ma gli faccio un piccolo cenno con la mano allontanandomi. Lo abbiamo lasciato come si lascia un amico, un amico che si trova in una situazione un po’ peggiore della nostra: lui è un po’ il prigioniero del Vaticano! Era visibilmente contento del tempo passato con noi. Non lo abbiamo stancato! Gli abbiamo portato la speranza. Un bell’incontro con un uomo molto semplice, autentico, assolutamente libero. È così che dovrebbe essere la Chiesa.

Lei è sempre rimasto fedele e leale verso la Chiesa in tutti questi anni. Come ci è riuscito?

Al primo posto, c’è comunque Cristo, la persona di Gesù! È per lui che ho dato la mia vita. La Chiesa, d’accordo, ma non è un assoluto! L’istituzione non è al primo posto nella mia vita. Ho sempre detto che ciò veniva prima era interessarsi alla storia delle persone, alle trasformazioni della società. Non siamo fatti prima di tutto per la Chiesa, ma per la gente. Un giorno ero nel metrò all’ora di punta e c’era talmente tanta gente che non sapevo più dove attaccarmi. Mi appoggiavo quindi alle persone, a seconda delle scosse, sballottato a destra e a sinistra. Scendendo, ho detto ad un uomo che rideva della mia situazione precaria: “Vede, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la gente!” Allora, è vero che non sono più stato invitato dalla Chiesa, ma sono stato invitato altrove, da credenti, da non credenti, da musulmani, massoni, detenuti, iraniani, baschi, nelle grandi città e nelle periferie, in piccoli collettivi e in associazioni in lotta. Sempre per incontrare persone ai margini. Quando andavo da qualche parte, era sempre in nome della solidarietà, dei diritti umani, della pace… Ed è evidente che non avrei potuto fare tutti quegli incontri se fossi rimasto un vescovo classico. Sono stato sollevato da tutto ciò che è istituzionale. Ringrazio Roma! Da quando sono vescovo di Partenia, ho imparato a “predicare fuori”. È una cosa diversa, ma è talmente bello. Mi piace andare ad incontrare le famiglie del DAL1 (1) a Place de la République. Le donne mi vogliono bene: mi accolgono come se andassi a dar loro chissà che cosa e applaudono quasi prima che io parli! Oggi, faccio Chiesa con persone come loro, con la gente di Place de la République. In un certo senso, è una benedizione. L’ho detto al papa: “Se lei potesse leggere nel mio cuore, vedrebbe migliaia di persone!”.

Lei pensa che il papa sia in grado di trasformare l’istituzione, di liberare la parola della Chiesa?

Certo ne ha la volontà. Ne ho avuto la certezza appena ho visto che aveva preso il nome di Francesco d’Assisi, riformatore radicale che viveva nella povertà, impregnato di Vangelo! Nessun papa prima di lui aveva osato prenderlo. Il papa vuole davvero andare avanti, ho perfino la sensazione che voglia farlo in fretta. Non si concede periodi di vacanza, lavora fino allo sfinimento. Ci tenevo a fargli coraggio, a dirgli di continuare: “Siamo con lei, siamo un popolo numeroso! Lei ha suscitato ovunque una speranza enorme, non bisogna deluderla! Lei è una delle rare persone, o forse la sola, la cui parola può essere ascoltata su tutto il pianeta, da tutti gli uomini. Credenti o no”. Abbiamo parlato del Sinodo, e del fatto che ci si trova oggi di fronte ad una molteplicità di configurazioni familiari. Gli ho detto che pensavo che occorre raggiungere le persone così come sono e non come si vorrebbe che fossero! Siccome mi piacciono i casi concreti, gli ho raccontato di aver benedetto quest’estate una coppia di divorziati risposati. Era il 15 d’agosto, all’aperto, con attorno un centinaio di persone. Che bel matrimonio! Ero in abiti civili e ho benedetto quegli sposi. Ho anche benedetto, sempre quest’estate, una coppia di omosessuali. Erano insieme da nove anni, si erano sposati civilmente e desideravano, essendo cristiani praticanti, essere benedetti dalla Chiesa. Tutti i preti avevano rifiutato. Allora mi hanno scritto una lettera così bella che non ho potuto fare altro che andare a benedirli. Eravamo all’aperto, c’erano 80 persone, ed era molto bello! Si benedicono le case… perché non le persone? Il papa ha annuito: “La benedizione è esprimere la bontà di Dio a tutti!”. Avrebbe potuto fare delle puntualizzazioni, farmi dei rimproveri. E invece no. Non mette al primo posto le regole, ascolta, si accontenta di dire che la benedizione di Dio è per tutti. Questo fa pensare che è favorevole all’apertura, che vuole liberare le persone, liberare la parola. Dove ci porterà questo? Non lo so!

Per quanto riguarda lei, si può interpretare questo incontro con papa Francesco come una
  DAL: Associazione Droit au logement, cioè: Diritto alla casa.

 
Sì, possiamo dirlo. Personalmente non ci ho pensato troppo, perché il semplice fatto di incontrarlo mi sembrava importante. Non immaginavo che l’annuncio di questo incontro avrebbe avuto tali ripercussioni. Il mio telefono trabocca di chiamate e di messaggi. Ricevo moltissime lettere di persone che si rallegrano per me. Ma molte di loro sono deluse: “Come? Non ti ha detto niente? Non ti ha proposto niente?” Si aspettavano cose concrete! Mi è difficile spiegare loro l’atmosfera di quell’appuntamento con papa Francesco: non ci sono stati annunci particolari, ci si è limitati a parlare in tutta semplicità Eppure, sono molto felice del nostro colloquio. Non cambia la mia vita, ma sono contento di constatare che la Chiesa, al suo massimo livello, accoglie tutto ciò che ho potuto vivere in questi ultimi vent’anni e manifesta che c’è una comunione con il successore di Pietro. È importante e senza dubbio meno per me che per molte persone che mi conoscono.

Ma che cosa l’ha colpita di più in questo incontro?

È bello constatare che, in un’istituzione come la Chiesa, papa Francesco resta un uomo libero. Non è un uomo d’apparato, non è assorbito dalla sua funzione, è semplice, è esattamente come è. È uno che ascolta. Non fa puntualizzazioni, non giudica. Si mette in ascolto della realtà così com’è, in qualsiasi ambito. La notte successiva al nostro incontro, nella mia camera al terzo piano di Monte Mario, nel convento degli Spiritani, ho guardato attraverso la finestrella che dà sulla cupola di San Pietro e ho realizzato che c’era qualcuno accanto a me, che il papa vegliava, come un custode dell’umanità.

Che cosa vorrebbe dire a tutti coloro che l’hanno sostenuta in questi vent’anni, tra cui anche i lettori di Témoignage chrétien?

Vorrei dire loro che il futuro è aperto. Non penso molto al passato. Sembra che neanche il papa lo faccia. È il futuro che ci attende. È il domani che è da costruire, e tocca a noi scrivere il futuro. Ai cristiani che possono perdere la speranza nei confronti della Chiesa francese, dirò che non bisogna gettare la speranza alle ortiche! La speranza è in noi, bisogna andare avanti, perché Cristo ci precede. Forza, andiamo




ritorna ‘fratello’ il vescovo esiliato perché benediceva i gay


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Papa Francesco abbraccia il «fratello» Gaillot, vescovo che sfidò il magistero

papa Francesco abbraccia il «fratello» Gaillot

il vescovo che sfidò il magistero

«Noi siamo fratelli»

 è con queste parole che papa Francesco ha accolto a Santa Marta, il 1° settembre, mons. Jacques Gaillot, il vescovo rimosso nel 1995 dalla guida della diocesi di Évreux, in Francia, e “spostato” a Partenia, una diocesi algerina che esiste solo sulla carta, a causa delle sue opinioni divergenti dal magistero in materia di preti sposati, uso del preservativo per combattere l’aids, relazioni omosessuali.

Durante l’incontro, durato 45 minuti, il papa e mons. Gaillot hanno parlato, secondo quanto raccontato alla stampa francese dallo stesso vescovo, di divorziati risposati, migranti e coppie omosessuali. «Gli ho detto che non ero lì per chiedergli qualcosa, ma che un intero popolo di emarginati è contento che lui mi abbia ricevuto, perché si è sentito riconosciuto», ha raccontato Gaillot all’Afp (1/9). «Gli ho detto che mi è capitato di benedire coppie di divorziati risposati e coppie omosessuali. E ho aggiunto: benediciamo perfino le case, possiamo dunque benedire le persone! Questa frase lo ha fatto sorridere e mi ha risposto che la benedizione di Dio è per tutti» (Le point, 1/9).

All’incontro Gaillot era accompagnato da p. Daniel Duigou, parroco presso la chiesa di Saint-Merri a Parigi: il papa ha colto l’occasione per felicitarsi del fatto che il card. André Vingt-Trois, alla guida della diocesi parigina, abbia chiesto a questa parrocchia di consacrarsi ai migranti i quali, ha detto il papa, sono «la carne della Chiesa».

L’incontro fa seguito alla lettera che Gaillot, nel novembre dello scorso anno, aveva scritto al papa ringraziandolo per gli sforzi compiuti affinché la Chiesa stia al passo coi tempi (v. Adista Segni Nuovi n. 1/15). Anche in quella occasione il vescovo non aveva mancato di spendere una parola per i divorziati risposati e per gli omosessuali, sottolineando la delusione suscitata dal testo adottato alla fine dell’Assemblea sinodale dell’ottobre 2014 in merito alle proposte avanzate nei loro confronti.
Una vita spesa per gli ultimi

Ordinato prete nel 1961, dopo aver svolto il servizio militare in Algeria, Gaillot si vede sin da subito affidare diverse responsabilità pastorali: dal 1965 al 1972 è professore al Seminario Regionale di Reims, nel 1973 viene nominato parroco a Saint-Dizier, la sua città natale, e nel 1977 è nominato vicario generale della diocesi di Langres. Finché nel 1982 viene scelto per guidare la diocesi di Évreux.

Il giovane vescovo diventa subito famoso per una serie di prese di posizione piuttosto scomode. Nel 1983 vota contro il testo dell’episcopato sull’utilizzo del nucleare come forza di dissuasione; due anni dopo prende posizione a favore della sollevazione palestinese dei Territori occupati ed incontra Yasser Arafat a Tunisi; nel luglio 1987 parte per il Sudafrica per incontrare un giovane militante anti-apartheid di Évreux, condannato a quattro anni di carcere dal regime di Pretoria, e per compiere questo viaggio rinuncia ad accompagnare il pellegrinaggio diocesano a Lourdes, attirandosi diverse critiche. Nel novembre 1988 interviene nell’ambito del dibattito a porte chiuse dell’assemblea plenaria a Lourdes per proporre l’ordinazione di uomini sposati. Nel 1991 proclama la sua opposizione alla guerra del Golfo pubblicando il libro Lettera aperta a coloro che predicano la guerra e la fanno fare agli altri.

La sua rimozione, nel 1995, dalla guida della diocesi di Évreux scatena moltissime reazioni a livello internazionale ma non costituisce per il vescovo una battuta d’arresto.

Gaillot, 80 anni il prossimo 11 settembre, non è infatti mai venuto meno alla sua missione a fianco degli ultimi, viaggiando in lungo e in largo per mostrare un altro volto della Chiesa e rendendo Partenia uno spazio virtuale e insieme reale di libertà (www.partenia.org) per dare voce a quanti nella società e nella Chiesa sentono di non esistere