la preghiera non come fuga ma come fonte e fuoco …

rupe inaccessibile

«Non è degno di fede indirizzare parole buone contro l’alienazione economica dell’uomo finché non si lotta contro l’alienazione religiosa che l’uomo stesso crea»

J. Moltmann

 

Dovremmo sentire il dolore degli altri nelle nostre viscere e la loro sventura appartenerci, essendo simile a quella che tocca a noi.

Dovremmo evitare di somministrarci i potentissimi anestetici che le istituzioni ci mettono a disposizione e leggere le cose da dentro, indossandone i panni.

Dovremmo ricordare di non profanare, con l’indifferenza e la superficialità, il luogo sacro più importante: la sofferenza.

Dovremmo camminare sulla stessa strada della disperazione, scrivere la storia degli sconfitti vivendola e subendola, calarci nell’abisso in cui sono stati relegati gli invisibili.

Dovremmo rifiutare cattedre e pulpiti, incoronazioni e riconoscimenti.

Dovremmo chiedere consigli agli esclusi e dare voce agli inascoltati.

Dovremmo spezzare schemi e rigidità, togliere la sordina alla profezia, spostare gli orizzonti.

Dovremmo ri-convertire le strutture impolverate dalla burocratizzazione dei carismi e incrostate dall’autoreferenzialità delle gerarchie.

Dovremmo denunciare e combattere i sistemi economici e politici che valutano le persone in termini di utilità, rifiutare collaborazioni e soprattutto finanziamenti in cambio di una “pacifica” (nel senso di connivente) convivenza.

Dovremmo, ma non ne abbiamo la forza.

E allora preghiamo Dio che ci guidi «su rupe inaccessibile» (1) per insegnarci le sue vie e per liberarci da tre invincibili paure: del condividere, del nulla, della libertà.

(1) Salmo 61




il venti per cento della popolazione rom in fuga dai paesi balcanici – circa un milione di persone oggi ai margini della società

la grande fuga dei rom verso l’ovest europeo

di Stefano Giantin 

in otto anni oltre 200 mila persone hanno cercato di lasciare la regione balcanica dove sono spesso escluse dal sistema sanitario e devono frequentare scuole separate

 Cinque rapporti che analizzano le condizioni della comunità nei Balcani. E una storia individuale che ne simboleggia l’esistenza. Un calvario che è quello dei rom balcanici, circa un milione di persone oggi ai margini della società in Serbia, Montenegro, Bosnia, Kosovo – dove ne sono rimasti circa 30mila, mentre prima della guerra se ne contavano almeno 150mila, tanti scacciati dopo il 1999 perché considerati filoserbi – Macedonia, Albania. Il tutto malgrado decine e decine di piani d’azione e strategie governative. E «milioni di euro» investiti in questi anni.

Sono loro i protagonisti della “collana” intitolata “The Wall on Anti-Gypsyism”, una serie di relazioni sulle loro condizioni di vita e sulle violazioni dei loro diritti prodotti dalla Ong Civil Rights Defenders e da poco resi pubblici. Ne esce un quadro fosco, che segnala come «il muro dell’anti-gypsismo» – il titolo della raccolta – è ben lontano dall’essere abbattuto. C’è qualche luce, come un aumento «di rom che finiscono le scuole secondarie e le università», meno rom apolidi, la costruzione di «centinaia di case per le famiglie più vulnerabili».

Ma non basta. Secondo i rapporti dell’Ong «le condizioni di vita della stragrande maggioranza dei rom» rimangono «inalterate», in fondo della piramide sociale. Lo confermano i numeri. Dal 2008 al 2016, un vero esercito ha tentato di andarsene dai Balcani per costruirsi una vita migliore nell’Ue. Secondo le stime, precisano i rapporti del Civil Rights Defenders, sono stati «più di 200mila rom» a scegliere questa strada, chiedendo «asilo politico» in Paesi dell’Europa occidentale, «circa il 20% della popolazione totale» rom della regione. Una fuga spiegabile con le condizioni di vita medievali. Dopo il collasso della Jugoslavia – si legge nei report – moltissimi si sono ritrovati impossibilitati a richiedere nuovi documenti e sono stati esclusi dall’assistenza sanitaria e dal sistema educativo. Nel mondo del lavoro rimangono ai margini, con tassi di disoccupazione spesso doppi rispetto a quelli dei “non rom”, con picchi del 58% in Kosovo, del 54% in Bosnia, del 53% in Macedonia.

Anche nelle scuole i rom hanno problemi, con «tassi di iscrizione e frequenza più bassi». E persino, con l’eccezione di Bosnia e Montenegro, con scuole o classi «speciali», di fatto “solo per rom”. E poi ancora abitazioni malsane, in insediamenti «insicuri e sovraffollati», sfratti forzati, accesso difficoltoso o impossibile all’assistenza sanitaria, come dimostra l’aspettativa di vita. Che è ad esempio di 55 anni per i rom in Montenegro, contro i 76 della media nazionale. O la capacità di acquistare medicine, ridotta del 50% fra i rom. Senza parlare di quella che la Ong definisce la generale discriminazione da parte della maggioranza, un fattore che ancora «domina la vita dei rom».

I dati riguardano una comunità che la settimana scorsa ha perduto peraltro uno dei suoi simboli. Come gli altri suoi membri, aveva fatto tutti i lavori possibili, anche quelli più umili, per sopravvivere e dare da mangiare alla propria famiglia. Aveva anche avuto una chance, diventare attore. Era riuscito persino a vincere uno dei maggiori premi per la categoria, l’Orso d’Argento a Berlino. Ma è comunque morto giovane, in miseria, dopo essere stato perfino costretto a vendere il trofeo, per racimolare qualche soldo. Si tratta di Nazif Mujic, rom bosniaco di soli 48 anni, spirato per malattia nel suo villaggio, non lontano da Tuzla. Una storia che ha commosso i Balcani. Mujic era salito agli onori delle cronache nel 2013, dopo aver partecipato, recitando se stesso, nel film “Un episodio nella vita di un raccoglitore di ferro”, capolavoro neorealista che raccontava la durezza della vita di Nazif, delle due figlie bambine e della moglie Senada, la cui gravidanza era stata interrotta per un aborto spontaneo. Priva di assicurazione sanitaria, senza i 980 marchi convertibili (490 euro) che sarebbero serviti per sottoporla all’intervento, era stata per questo respinta, piegata dal dolore, dall’ospedale. Storia crudele ma vera, comune nei Balcani fra i rom e i più poveri, trasferita su pellicola, alla quale manca l’epilogo scritto nella realtà, la scorsa settimana. Mujic aveva anche tentato, come tantissimi rom dei Balcani, di emigrare, chiedendo asilo politico nella Germania che lo aveva premiato, nel 2014. Ma era stato ricacciato indietro, come la maggior parte di chi ha tentato quella strada, e riconsegnato alla miseria più nera.