il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

LO RICONOBBERO NELLO SPEZZARE IL PANE

commento al vangelo della terza domenica di pasqua (30 aprile 2017)  di p. Alberto Maggi:

Lc 24,13-35

La morte di Gesù ha causato la dispersione, la confusione nel gruppo dei discepoli. Le donne lo vanno in cerca dove lui non sta, il Signore, nel sepolcro, e trovano due uomini che dicono alle donne: “perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Gli uomini invece, i discepoli, vanno verso la storia, verso il passato, in un luogo glorioso d’Israele, che faccia ricordare loro la grande vittoria d’Israele sui popoli pagani. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista Luca al capitolo 24, dal versetto 13.
“Ed ecco in quello stesso giorno”, il giorno della risurrezione, “due di loro”, questi loro sono gli apostoli, l’ultimo riferimento era agli apostoli, “erano in camino verso un villaggio di nome Èmmaus”, perché vanno a Èmmaus? Èmmaus è famoso nella storia d’Israele, lo(ne) troviamo le indicazioni nel primo libro dei Maccabei, al capitolo quarto, per una battaglia che Giuda il Maccabeo condusse contro i pagani, sconfiggendoli; fu una grande vittoria e, come c’è scritto in questo primo libro dei Maccabei, “e allora tutte le nazioni sapranno che c’è chi riscatta e salva Israele”. Il messia, che era stato atteso, era colui che avrebbe dovuto riscattare e salvare Israele, e invece Gesù è rimasto sconfitto, lui è stata una grande delusione. Dai vangeli sembra emergere che i discepoli sono più delusi della risurrezione di Gesù, che della sua morte, perché, se Gesù era semplicemente morto, voleva dire che si erano sbagliati. Sorgevano a quel tempo tanti pseudomessia, basta pensare (a) Giuda il Galileo, Teuda, che creavano una massa, che si rivoltava contro i Romani, e finiva sempre in una strage. Ebbene, morto un messia, se ne aspettava un altro. Ma se Gesù è risuscitato, significa che tutti i loro sogni di gloria, appunto di restaurazione, di liberazione d’Israele, di predominio sui Romani, questo si va a finire. Ma vediamo il testo. Quindi “vanno verso Èmmaus, e mentre conversano e discutono insieme, Gesù si avvicina e cammina con loro”, Gesù è il pastore che non abbandona i suoi discepoli. Ma, scrive l’evangelista, “i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”. Come mai gli occhi di questi discepoli sono impediti a riconoscerlo? È chiaro, loro guardano verso il passato, e non possono vedere il presente e il futuro, dove Gesù li conduce. “gli disse Gesù”, disse, “che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino? Si fermarono col volto triste e uno di loro di nome Clèopa”, C è l’abbreviazione di Cleópatros, che significa “del padre glorioso, del padre illustre”, che fa comprendere l’atteggiamento, il sentimento di questi discepoli, loro ricercano la gloria del loro popolo. E questo Clèopa si meraviglia dice: “ma sei solo tu? forestiero a Gerusalemme?”, e gli racconta di quello che riguarda Gesù il Nazzareno. Ecco, per loro Gesù era il Nazzareno, Nazzareno significava il rivoltoso, il rivoluzionario, è questo che loro avevamo creduto di seguire: un messia che avrebbe sconfitto i Romani. Ed ecco la delusione “con i capi sacerdoti e le nostre autorità”, è grave che questi discepoli, questi apostoli, definiscono nostre autorità quelli che hanno assassinato il loro maestro. Ed ecco la delusione di cui accennavamo prima: “noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”, ecco la grande delusione: speravano nel messia, invece è morto, e la prova che Gesù non era il messia, è che è morto, perché il messia non sarebbe potuto morire, e quindi la delusione della comunità che aveva riposto tutte le sue speranze in Gesù. Dice: è vero che alcune donne sono andate al sepolcro, “sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”, ma, con reticenza, non affermano che loro non hanno creduto alle donne, perché le donne non sono testimoni credibili. Scrive l’evangelista: “quelle parole parvero loro come un vaneggiamento”. Ed ecco la risposta di Gesù di fronte a questa incredulità, è una risposta che si traduce in un rimprovero, “«Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava”, il verbo bisognava, letteralmente doveva, indica la volontà  di Dio che il Cristo patisse queste sofferenze, “e cominciando da Mosè fino a tutti i profeti spiegò”, o meglio interpretò, “loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui”, è importante questo verbo spiegare, interpretare: è il verbo da cui viene il termine tecnico ermeneutica, che cos’è l’ermeneutica? È l’arte o la tecnica di interpretare i testi. Gesù non si limita a leggere i testi di Mosè o dei profeti, o a raccontarli, ma lui li interpreta. Cosa significa questo? Questo è un criterio valido per tutti noi oggi, (significa) che, per leggere la Scrittura, bisogna interpretarla come? Con lo stesso spirito che l’ha ispirata, e qual è questo spirito che ha ispirato la Scrittura? L’amore del creatore per tutte le sue creature: è questo l’unico criterio che consente di comprendere la Scrittura. “quando furono vicini al villaggio”, il villaggio è sempre luogo della tradizione, del passato, quindi loro ancora non comprendono, vogliono andare verso il passato, Gesù mostra di andare più
lontano, loro vanno verso il vecchio e Gesù invece verso il nuovo. I discepoli insistono con Gesù “resta con noi perché si fa sera il giorno ormai al tramonto”, e Gesù, il pastore che non perde le sue pecore, rimane con loro. “quando fu a tavola con loro prese il pane”, e qui l’evangelista ci propone la scena dell’ultima cena, con gli stessi gesti le stesse azioni, “recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”, ricordiamo, per comprendere questo brano, che Luca è l’unico evangelista che, nel momento della cena, Gesù pronuncia le parole “fate questo in memoria di me”, quindi Gesù ripete la sua presenza, la sua memoria. “ed ecco che allora si aprirono loro gli occhi che lo riconobbero”, ecco nel momento che Gesù si manifesta come colui che spezza il pane, la propria vita per i suoi discepoli, loro, i discepoli, lo riconoscono. “Ma egli sparì”, qui veramente il verbo non è sparire, sparire significa scomparire; no, l’evangelista scrive “si rese invisibile”, è qualcosa di diverso, sparire significa che non c’è più, invisibile significa che c’è, ma non si vede. Perché Gesù si rende invisibile? Ce lo dice l’evangelista, alla conclusione di questo brano, “essi narravano”, poi ritornano a Gerusalemme, “ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. Questo è il messaggio che Luca, l’evangelista, lascia per le comunità e per i credenti di tutti i tempi: Gesù è invisibile, perché si rende visibile ogni volta che la comunità spezza il pane.