un bel libro per superare la crisi del clero


 
Michael Davide Semeraro
 
Preti senza battesimo?
Una provocazione, non un giudizio
San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2018, pp. 156

recensione di Augusto Fontana
Fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino, Dottore in teologia, provoca, con un titolo ad effetto, la curiosità dei possibili lettori del suo breve saggio Preti senza battesimo? Una provocazione, non un giudizio, uscito recentemente dalle edizioni San Paolo.
Tesi centrale dell’autore: Cristo fu un “laico”, non appartenente alla casta e all’ordine di successione sacerdotale di Aronne. Lo possiamo credere e chiamare “sacerdote”, come scrive la Lettera agli ebrei (7,11), unicamente «secondo l’ordine di Melchisedek». Melchisedek diventa così icona simbolica e teologica attorno a cui si costruisce tutto il tessuto dell’argomentazione di Semeraro che non esita ad avvalersi di pubblicazioni e citazioni di autori vari tra cui Eugen Drewermann: «Oggi l’intero stato dei chierici potrà recuperare una certa credibilità» solo a patto che riesca a riposizionarsi sulle orme di Gesù «che non era né monaco né sacerdote; piuttosto era profeta, poeta, vagabondo, visionario, medico e persona degna di fiducia, predicatore ambulante e trovatore, arlecchino e incantatore dell’eterna e inesauribile misericordia di Dio».
Un’eccessiva sovra-estimazione della vocazione sacerdotale a discapito di quella battesimale rischia di imbalsamare il presbitero nel sarcofago del ruolo: «quando manca una personalità autentica formata alla scuola del Vangelo, è del tutto naturale che il ruolo diventi la maschera della propria fragilità non accolta e della propria incapacità a far fronte alle sfide più ordinarie e normali della vita».
Destinatari del saggio non sono solo i preti: la questione della qualità e quantità dei preti coinvolge tutto il popolo di Dio, i battezzati. Crisi di preti? Preti in crisi? Domande ricorrenti, nel testo, implicite o esplicite, come di fronte a un diluvio annunciato da decenni di tuoni e lampi. I tempi di Noè a volte ritornano: «E come avvenne ai tempi di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’ uomo: si mangiava, si beveva, si prendeva moglie e si prendeva marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’ arca. Poi venne il diluvio e li spazzò via tutti» (Luca 17).
MichaelDavide non vuole certo fare il profeta di sventura o il menagramo. Offre, invece, un contributo ragionato e documentato a fronte di uno dei fenomeni ecclesiali di cui il popolo dei battezzati, e neppure i chierici, ne stanno cogliendo la portata potenzialmente riformatrice o rivoluzionaria.
I lettori sono avvertiti: «nel percorso di queste pagine non si può trovare nessuna soluzione, ma solo qualche provocazione che non vuole giudicare né, tantomeno destabilizzare… Siamo solo agli inizi di un cammino, che però non possiamo più rimandare e in cui dobbiamo appassionatamente coinvolgerci non semplicemente per limitare i danni, ma per ampliare le opportunità di crescita e di testimonianza».
La Prefazione del Vescovo emerito Luigi Bettazzi anticipa ed esplicita i problemi ecclesiali del rapporto tra clero e laici battezzati: «L’Ordinazione presbiterale non può essere qualcosa di prevalente, ma deve essere al servizio del battesimo, cioè dell’essere cristiano». È come se Bettazzi e più ancora il monaco Semeraro invitassero i preti, alla fine della loro giornata, a non a chiedersi se sono stati bravi preti, ma primariamente se sono stati bravi battezzati.
La prima e la terza parte dello scritto affrontano alcune fragilità presbiterali: pedofilia e omosessualità. La salvaguardia del ruolo, il “salvare la faccia” del clero non bastano: «la conversione non riguarda solo la morale a livello personale, ma tocca necessariamente l’impianto istituzionale». Ovviamente sia nel processo di formazione del clero che in quello di accompagnamento comunitario.
La seconda parte dello scritto raccoglie e sviluppa meglio la provocazione del titolo Preti senza battesimo? verso la proposta di una urgente conversione. Interiore e istituzionale. «Come Melchisedek, i presbiteri del Nuovo Testamento sono chiamati a diventare sacerdoti delle umane battaglie, disposti ad andare incontro ai difficili cammini dei propri fratelli senza aspettarli al varco sulle soglie dei templi – nuovi e antichi – che rischiano spesso di trasformarsi in mausolei di autoidolatria». In questa logica «il sacerdozio comune di cui siamo resi partecipi nel battesimo sta a fondamento del ministero presbiterale e non viceversa».
Alla fine resta una domanda; quella che giustifica la destinazione del libro di Semeraro non solo ai preti ma anche a tutta la comunità dei battezzati: «Mancano i preti per le comunità o, in realtà, mancano le comunità capaci di generare fino a indicare, sostenere e correggere i propri pastori?».



la cosiddetta crisi delle vocazioni è forse crisi di identità evangelica della chiesa

la crisi delle vocazioni

«E tu Chiesa rinuncia pure ai segni del potere. Non convertono nessuno. Ma non rinunciare al potere dei segni. È un potere povero che dà fastidio, perché disturba il manovratore»

(Don Tonino Bello, 7/3/1987)

La diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose in generale è un importante segno profetico che dobbiamo leggere con attenzione. Non possiamo farci sviare dalla lettura miope di quelli che attribuiscono il fenomeno alla c.d. crisi dei valori. Sarebbe sufficiente ricordare, a tal proposito, che nel periodo cattolicissimo di chiese e seminari pieni, di rosari quotidiani recitati nelle famiglie e di matrimoni senza divorzi formali, abbiamo avuto: fascismo, nazismo, Shoah, e due guerre mondiali con oltre 91 milioni di vittime. Viene da chiedersi: di quali valori si trattava? L’attuale crisi deve aprirci ad nuovo paradigma di testimonianza. Il tempo del celebrante liturgico che parla di sofferenze che non conosce è finito. La vera crisi infatti non è sui valori (che non ci sono mai stati nel mondo) ma sulla credibilità di sacerdoti e religiosi. Nella migliore delle ipotesi si mantiene una forma di rispetto, ma sono considerati sempre meno punti di riferimento. I “sì” fatti con il capino durante le omelie sono altrettanti “no” nella coscienza. Lo scollamento tra la “recita” domenicale e le decisioni nella vita concreta è imbarazzante. Allora come agire? La Chiesa deve fare innanzitutto un bagno di umiltà. E il Signore attraverso questa crisi sta provvedendo. Chi vuole bene a Dio e alla Chiesa deve gioire e non preoccuparsi. Anzi deve sperare che si aggravi il più presto possibile. Ciò deve portare ad nuovo paradigma si diceva sopra togliendo potere e denaro alla Chiesa. Calata di nuovo nella realtà diventerà segno di speranza e ritroverà  la sua vocazione. D’altronde nei palazzi ci si ammala, girano virus letali, agevolati  nella diffusione da riforme di compromesso e non radicali. Povera con i poveri, non ricca con i ricchi. Sofferente in cerca dei sofferenti, non potente in cerca dei potenti. Appunto comunità non istituzione burocratica, secondo il Vangelo.

testi di don Tonino Bello:

“Condividere, intanto, la ricchezza di noi singoli con gli ultimi. È necessario che ognuno faccia una revisione globale della propria vita. Forse i parametri che la sorreggono sono di fabbrica antievangelica”.

don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p.52

“Rivedere certe formulazioni tariffarie che danno l’impressione di una chiesa interessata più alla borsa dei valori che alla vita dei poveri, e insinuano il sospetto che anche i sacramenti si diano dietro il compenso segnato dal listino prezzi. Studiare le forme adatte per mettere in circuito di fruibilità terreni, case, beni in genere, appartenenti alla chiesa. Esaminare il problema di come restituire agli ultimi case religiose vuote e conventi chiusi. Eliminare lo spreco delle feste che si fanno in nome dei santi o col pretesto di onorarli. Educare chi si blocca di fronte al sospetto sistematico che sotto forme di pseudo povertà si camuffi il raggiro degli imbroglioni, avendo per certo che è molto meglio rischiare di mandare a piene mani nove impostori su dieci, che mandar via a mani vuote il solo bisognoso. Infine condividere con gli ultimi la loro povertà. Parlare il loro linguaggio. Entrare nel loro mondo attraverso la porta dei loro interessi. Aiutarli a crescere, rendendoli protagonisti del loro riscatto, e non terminali delle nostre esuberanze caritative o destinatari inerti delle nostre strutture assistenziali. […] Per le nostre comunità parrocchiali si pongono allora alcuni interrogativi concreti: i poveri si sentono a casa nelle nostre assemblee? Ha peso il loro parere nelle decisioni comunitarie?”.

don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p.53-54

pubblicato da ‘altranarrazione’

 




il cardinale in crisi nera di fede di fronte a 336 bare

 

il cardinale Montenegro

“di fronte alle 366 bare a Lampedusa ho avuto una crisi di fede e ho scritto al Papa”

cardinale-Montenegro

Di fronte alle 366 bare di migranti morti durante il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa “ho avuto una grossa crisi di fede, che ancora mi segna”: lo ha confidato, davanti a un’aula magna gremita di studenti, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente di Caritas italiana, durante il colloquio sulle migrazioni organizzato ieri sera dal Centro Astalli alla Pontificia Università Gregoriana.
Trovarsi davanti a 366 bare ti fa sentire schiacciato e impaurito – ha raccontato -. Stare sul molo di Lampedusa e vedere quei volti mi ha provocato una crisi di fede; non solo ho sentito Dio lontano ma non l’ho proprio sentito.
Poi ho visto un poliziotto piangere come un bambino.
Quella sera stessa ho scritto al Papa, dicendogli la mia difficoltà, come vescovo che avrebbe dovuto aiutare gli altri e che invece si è ritrovato con il cuore spento”.
Quanto sta accadendo oggi in Europa, ha proseguito, è “una storia pesante che non possiamo mettere sotto la voce ‘carità’ ma dobbiamo mettere sotto la voce ‘giustizia’.
Il problema non è la migrazione ma l’ingiustizia nel mondo e il mondo si regge su questa ingiustizia. Se non cominciamo a combattere l’ingiustizia le soluzioni non si trovano”. “Noi ci siamo lavati le mani ma continuiamo a stare sugli spalti come al Colosseo – ha affermato -, e con il pollice in alto o in basso decidiamo la sorte di chi può vivere o morire”.  Al contrario, ha concluso, “dobbiamo cominciare a vivere la cultura dell’accoglienza, che è la capacità di guardare l’altro negli occhi, e l’altro è contento perché vede riconosciuta la sua dignità di uomo”.

 




la positività delle crisi: fanno male ma sono opportune

la crisi come opportunità

per definizione l’essere umano tende alla progressione, all’evoluzione e perciò alla crisi. In definitiva tutta la vita è un susseguirsi di crisi e tentativi di ricomposizione.

Non esiste la stabilità, perlomeno non per periodi lunghi.

Eventi interni o esterni scandiscono passaggi di stato che necessitano di nuovi equilibri. La nascita, i primi passi, l’ingresso a scuola, la pubertà, l’adolescenza, le prime relazioni sentimentali, il matrimonio, la genitorialità, sono solo alcune delle eventualità critiche che una persona si trova ad affrontare nella vita

Quello che poi fa con la sua crisi determina il risultato della stessa perché ogni crisi esistenziale può generare indifferentemente una condizione prolungata di sofferenza o un cambiamento evolutivo. Anche una volta raggiunti certi obiettivi una crisi si può sempre presentare:
– nella relazione sentimentale, qualcosa che non abbiamo bene focalizzato ci ha allontanato dal partner o lo ha allontanato da noi;
– nell’attività professionale, non ci soddisfano più le condizioni lavorative o economiche;
– nelle abitudini di vita, siamo stanchi delle solite cose;
– nella salute, una malattia ci può costringere all’inattività e con essa alla riflessione su dove siamo e che tipo di vita stiamo vivendo;
– in qualche altro settore della vita.

Le sue manifestazioni saranno più o meno concrete – cioè andare dal malessere fisico alla sofferenza psicologica – in base al personale modo di essere, al livello di sofisticazione raggiunto dalle nostre capacità emotive e cognitive.

Una crisi rappresenta la rottura dell’equilibrio psichico precedente e spinge verso il cambiamento e la ricerca di un nuovo equilibrio. Ogni volta che siamo toccati da eventi significativi, positivi o negativi, o anche ogni volta che raggiungiamo nuove consapevolezze, siamo costretti a ricercare equilibri di ordine superiore, più sofisticati e articolati.

Una crisi è contemporaneamente un momento critico e un’opportunità. Immaginiamo un’insoddisfazione a livello lavorativo che non si trasforma nella ricerca di un miglioramento oppure un disagio di coppia che non si trasforma in un aumento della comunicazione tra i partner o un’adolescenza che non sfocia nella maturità: ogni volta c’è il rischio di perdersi o di rimanere bloccati. Ma il più delle volte ci si riesce e la crisi diventa un cambiamento di vita.

A volte attraverso soluzioni pratiche, a volte con la riflessione, a volte con il dialogo, con la condivisione, con il confronto.

p.s.: non ricordo più dove ho trovato questa bella riflessione; mi è piaciuta e l’ho pubblicata, chiedendo scusa all’autore se non ne pubblico il nome




la crisi fa crescere il razzismo

 

 

razzismo

“la crisi fa aumentare la xenofobia”

rom, ebrei e migranti i più discriminati

 

il “Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia”, che l’associazione Lunaria ha presentato a Milano, mette in luce l’aumento degli atti discriminatori in Italia. Tra le violenze: aggressioni verbali e fisiche, ma anche danneggiamenti a luoghi simbolici o di proprietà di migranti

di Elisa Murgese 

7 febbraio 2015

 

Gli italiani sono sempre più tolleranti di fronte alle discriminazioni razziali. Gli atti di razzismo (verbali e fisici) sono passati da 156 nel 2011 a 998 nel 2014. Tra le motivazioni, la crisi economica che “rende agli italiani insostenibile supportare politiche che favoriscano gli immigrati”. A dirlo è il “Terzo Libro bianco sul razzismo in Italia”, rapporto che l’associazione Lunaria ha presentato a Milano giovedì 5 febbraio. A distanza di quasi tre anni dal Secondo Libro bianco, l’ong ripercorre “le cronache di ordinario razzismo” – come sono definite dal titolo – che attraversano la vita pubblica e sociale nel nostro paese, “questa volta, allungando lo sguardo verso l’Europa – si legge sul report – di cui le elezioni svolte nel maggio scorso hanno svelato le pulsioni nazionaliste, xenofobe e populiste”. Evento trainante, secondo la presidente di Lunaria Grazia Naletto, è stata proprio la crisi economica che “ha permesso di legare, tanto in Italia quando in Europa, al tema dell’euroscetticismo quello della xenofobia. Un meccanismo – racconta Naletto a ilfattoquottidiano.it – che in Italia ha determinato un aumento di consenso per Lega Nord”.

 Tra il 1 settembre 2011 e il 31 luglio 2014 sono stati registrati 2.566 casi discriminatori, documentati in un database online “creato dalle segnalazioni che riceviamo dalla nostra rete di associazioni, ma anche monitorando quotidianamente giornali e siti d’informazione, nonché tenendo d’occhio i social network – precisa la presidente dell’associazione – che oggi sono l’arma più usata per veicolare messaggi razziali”. Tra le violenze: aggressioni verbali (2110 in quattro anni) e fisiche (195), ma anche 242 episodi di discriminazione e 19 danneggiamenti a luoghi simbolici o di proprietà di migranti, cittadini stranieri stabilmente residenti e profughi. Tra i gruppi bersaglio delle violenze in prima linea i rom (con un forte aumento degli episodi di razzismo, da 11 casi nel 2011 a 171 nel 2014). Seguono le persone di fede ebraica. E mentre nel 2013 gli episodi a danno degli ebrei costituivano un numero maggiore rispetto a quelli contro i musulmani (rispettivamente 64 e 40 casi), nel 2014 si è avuta un’inversione di tendenza, con 78 casi a danno di membri della comunità musulmana rispetto ai 34 subiti dalla realtà ebraica.

Sono i politici i responsabili di più del 30% delle discriminazioni, ed è Lega Nord a guadagnarsi la maglia nera in tutti e quattro gli anni del rapporto (dai 23 episodi nel 2011, fino ad arrivare ai 200 nel 2013 e 396 nel 2014), seguita da Pdl (83 casi dal 2011 al 2014) e Pd (17 in totale). “In un periodo di crisi alcuni messaggi di certi politici hanno una chiara presa sull’opinione pubblica”, racconta Naletto, sottolineando come “la retorica della Lega, ad esempio, con gli anni sia passata dall’offesa rozza ad un lavoro più sofisticato che cerca di legittimarsi utilizzando i dati. Se non fosse che i dati spesso sono manipolati”.

Per quanto riguarda le tifoserie, nell’8% dei casi i responsabili sono proprio personaggi dello sport e tifosi, che comunque “fanno meno danni” dei giornalisti cui dal 2011 al 2014 sono attribuiti 399 episodi discriminatori. Tra i moventi delle violenze, al primo posto le origini nazionali o etniche della vittima: 801 casi nel 2014, in netto aumento rispetto ai 92 episodi del 2011. Al secondo posto l’appartenenza religiosa, 117 casi nel 2014 mentre quattro anni prima gli episodi registrati sono stati 19.

Episodi di razzismo che secondo Lunaria non accennano a diminuire. “Si corre il rischio che ci sia un processo di legittimazione del razzismo sempre più forte”, racconta la presidente dell’ong. Tra le cause, la rappresentazione mediatica dei migranti. “I media in molti casi si limitano a riprodurre le dichiarazioni dei politici – è precisato nella seconda parte del report – Gli immigrati appaiono sui media soprattutto in articoli di cronaca (in particolare nera) e di politica interna. In quest’ultimo caso sono oggetto del dibattito, quasi sempre senza voce, mentre nella cronaca diventano soggetti attivi, in chiave prevalentemente negativa”. Quotidiani che riportano la nazionalità di chi compie reati come prassi ordinaria per rimodulare la notizia in maniera “sensazionalistica e voyeuristica”, secondo l’ong in linea con le logiche di mercato: “La cronaca vende di più”.

 




la crisi e gli italiani

fragole

 

Crisi, 11% italiani senza beni di prima necessità: dal riscaldamento alla carne

da Il Fatto Quotidiano – 09.09.2013

 

Una percentuale pari al doppio rispetto a Regno Unito, Francia e Germania. Mentre sul fronte sanitario, nonostante le difficoltà economiche, l’Italia esce a testa alta dalla relazione di Bruxelles

Un italiano su dieci in condizione di “gravi privazioni materiali”. E’ quanto afferma un rapporto della Commissione europea, secondo cui l’11% della popolazione non ha accesso a beni di prima necessità, tra cui il riscaldamento e la carne. Questa percentuale, relativa al 2011, è pari al doppio rispetto alle altre grandi nazioni dell’Unione come Regno Unito, Francia e Germania. Nonostante le rassicurazioni del governo sui miglioramenti della nostra economia, appaiono quindi critiche le condizioni di vita di una fetta considerevole della popolazione.

Il commissario alla sanità Tonio Borg ha pubblicato una relazione dedicata alle disuguaglianze in materia di salute tra gli Stati membri che evidenzia come i fattori socioeconomici contribuiscono a determinare le disuguaglianze: vanno dal livello del reddito al tasso di disoccupazione al livello di istruzione di una popolazione, a cui si aggiungono fattori di rischio come il tabagismo e l’obesità.

Sul fronte sanitario, nonostante le difficoltà economiche, l’Italia esce a testa alta dalla relazione di Bruxelles. I dati parlano da soli. L’Italia in 10 anni è riuscita a ridurre ulteriormente – rispetto a Francia, Germania e Regno Unito – la mortalità infantile, portandola da una media nel 2001 di 4,4 decessi per mille nati vivi, a 3,2 nel 2011. Calo che pure si registra a livello europeo dove nello stesso periodo si è passati in media da 5,7 a 3,9 decessi.

Incoraggiante è anche la situazione in Europa che, secondo le conclusioni di Bruxelles, continua a fare passi avanti nella lotta alle disuguaglianze in materia di salute. Infatti, oltre alla diminuzione della mortalità infantile si riduce tra gli Stati membri anche la differenza sulla speranza di vita dei loro cittadini. Differenza che purtroppo resta ancora elevata. Un solo esempio: nel 2011 la Lituania ha registrato un tasso di mortalità maschile sotto i 65 anni tre volte più elevato di quello dell’Italia, che si pone al secondo posto nell’Ue dopo la Svezia per minor numero di decessi. Borg non ha dubbi: “colmare le disuguaglianze sanitarie in Europa deve rimanere una priorità a tutti i livelli”.




tempo di crisi

tempo-di-crisi

non ricordo più dove ho trovato in internet questa riflessione sulla crisi che è un vero grido realistico e angosciato sulla situazione che molti, troppi, sono costretti a toccare con mano e a vivere in prima persona

lo pubblico in solidarietà a quanti vivono questa sofferenza scusandomi con l’autore per non poterlo citare (almeno per ora), ma ringraziandolo per la bellezza veristica del quadro che delinea e dello spiraglio di speranza che nonostante tutto riesce in fondo a farci gustare:

Tempo di crisi, ma davvero. Un’ escalation di persone che sono agli estremi, una ricerca affannosa di un lavoro che manca. Ognuno deve far conto con bollette, condominio, vestiario, cibo e si corre al risparmio. Con un solo stipendio e se ci sono anche problemi di salute in famiglia, la cosa diventa terribile, figuriamoci se il lavoro manca addirittura. Se la cultura prima veniva minimamente aiutata, economicamente, oggi è un lusso che pochi Enti si permettono e così i sacrifici cadono sulle spalle dei volontari. Io sono da una vita una volontaria della cultura, tranne le irrilevanti quote di iscrizioni che il più delle volte non sono neanche pagate, il carico è sulle mie spalle e a volte rinuncio anche a una semplice pizzata per comprare medaglie, coppe, stampare diplomi con innumerevoli e sudati Patrocini “morali”… E in un clima così guardo le mie librerie strapiene, sembrano miracolose.

Antologie che raccolgono liriche, racconti, curriculum splendidi di persone che scrivono, che credono negli ideali, che hanno itinerari di vita caratterizzati da amicizia, solidarietà, amore nelle sue variegate forme “I poeti dell’aurora”, “Il pianeta dell’anima”, “L’Universo degli angeli”, “Nel silenzio delle anime”, “Una vita in poesia” il mio volume più recente e tanti, tantissimi altri. E quanti poi della “Carello Editore” da “Olimpo lirico” a “Un sorriso e la vita si veste di gioia”, di “Cronache Italiane”, innumerevoli antologie che, anno dopo anno, raccolgono sogni, stupori, desideri d’amore, dolori, speranze. Portano tutti la mia prefazione, i miei cenni critici. ass.VesuviusSiamo l’esercito dei volontari della cultura che combatte con l’arma dei versi, della narrativa la battaglia della vita. E quanti cataloghi! Pagine di opere di pittura, di scultura, con la mia critica e prefazione. Se ci fosse un grado in questo mondo artistico, forse sarei un capitano o magari un colonnello, ma sarei felice anche di essere un soldato semplice lungo le frontiere della vita a combattere contro la disonestà, il gozzoviglio, la compravendita di corpi lussuriosi… Suona il campanello… il postino mi porta un’altra bolletta, quella dell’Enel… ma l’ho pagata poco fa… Come passa il tempo! E c’è chi guadagna stipendi da nababbo e si droga, alimenta i suoi vizi e la sua immoralità!

Mio figlio a letto reclama “Mamma le gocce non me le hai date”… “Ecco, subito! ” Il boccettino sta per finire e mica li danno gratis i medicinali, neanche ai riconosciuti invalidi civili. E poi ci sono gli stipendi d’oro di quelli che dovrebbero tutelare le fasce deboli. Un marasma di politica insana in questo scenario così critico!

Ma che balorda società! Ma che assurda esistenza! Un raggio di luna filtra dalle finestra, nel cielo sono già comparse le stelle… Recito, piano piano il finale di una mia poesia “Dint”o silenzio ca se fà poesia…’e stelle saie che sò? Parole…’e Ddio”. Poso il libro che avevo preso tra le mani “‘E vvie d”o core”, uno dei miei, tutto napoletano e stringo il pugno… poi apro la mano, mi pare di avere sul palmo proprio una piccola, brillante, fantastica stella… e sarà una parola di Dio “Coraggio!”.




decrescita inesorabile degli Ordini Religiosi nella Chiesa

 

belle

Ordini religiosi in crisi

forte diminuzione dei religiosi nel mondo: dai gesuiti ai francescani, oggi sono più 100.000 i religiosi nel mondo, 700.000 le religiose; ma erano rispettivamente più di 150.000 e più di un milione all’inizio degli anni ’70.

P. Rodari delinea questa decrescita inesorabile (vedi link qui sotto)

ordini religiosi in crisi