il mondo migliora non con la competizione ma con la solidarietà

Bauman:

«cari top manager, siate più solidali

esce in questi giorni da Città nuova il libro Il destino della modernità con testi del sociologi Zygmunt Bauman, Chiara Giaccardi e Mauro Magatti a partire dalla domanda «Quale società dopo la crisi economica?» (pagine 100, euro 12).

alcuni brani firmati da Zygmunt Bauman
L’anelito di libertà ha attraversato tutta la storia dell’umanità, dando vita a movimenti politici, ordinamenti giuridici e sistemi economici. Oggi la società occidentale è autenticamente libera? Partendo da tale interrogativo, Zygmunt Bauman, il teorico della società liquida, e i sociologi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi indagano sull’esito paradossale del poderoso sviluppo economico degli ultimi 40 anni. Il progresso ha aumentato le potenzialità di scelta dell’uomo, ma lo ha ingabbiato in una concezione radicalmente individualista dell’esistenza umana, prigioniero del consumismo, degli apparati tecno-economici e della volontà di affermare se stesso.

Ritengo che la questione centrale che investe la libertà nel mondo contemporaneo sia rappresentata dall’alternativa tra il concetto di competizione e quello di solidarietà.

La competizione è, di fatto, una concorrenza che spinge ogni essere umano a portare avanti la propria posizione e che porta a sostenere: «Io voglio che le cose siano come io le desidero». La solidarietà, invece, presuppone l’idea che tutti gli uomini e le donne possano vivere insieme in modo collaborativo e possano cercare di diventare, tutti, più felici.

Nella società odierna, mi sembra di poter rilevare che ci sono alcuni elementi della libertà umana che sono quanto meno in discussione se non addirittura in pericolo. Le capacità di scelta che sono nella disponibilità degli uomini si stanno, infatti, progressivamente restringendo; la responsabilità decisionale, inoltre, viene negata a molte persone; e la speranza, infine, per molti giovani, di poter realizzare e mettere in pratica ciò che è stato insegnato loro dalla scuola, dalla famiglia e dalla società sembra venir meno. Una percentuale molto alta di questi giovani, infatti, dopo aver completato la loro istruzione – anche solo quella superiore – è molto felice della formazione che ha ricevuto e dell’impegno che ha profuso per raggiungere determinate competenze. Tuttavia, una volta concluso il ciclo scolastico, essi si trovano a entrare in un mercato del lavoro estremamente difficile, dove è molto complicato trovare un’occupazione. Molto spesso non riescono a trovare il tipo di lavoro per cui si sono preparati, per cui hanno investito il loro tempo, che rispecchi i loro desideri e che dia un senso alla propria vita, rendendo la propria esistenza più gratificante possibile.

La società attuale, infatti, sta lentamente e costantemente diventando una società oligarchica in cui la classe politica – sempre più autoreferenziale – invece di farsi carico dei problemi della società e di interessarsi di coloro che hanno più bisogno di aiuto e di assistenza, continua a garantire la possibilità che la ricchezza si accumuli nelle mani di poche persone. E questo non solo è da condannare a livello morale ed etico, ma è anche pericoloso per i valori della democrazia e della meritocrazia.

Cosa significa meritocrazia? I principi della meritocrazia sono stati definiti già nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, il cui primo articolo afferma che «le distinzioni socia- li non possono fondarsi che sull’utilità comune». Cioè su quanto una singola persona può dare allo sviluppo del benessere di tutta la società. Oggi, però, sta accadendo esattamente il contrario. Thomas Piketty, a questo proposito, ha messo bene in evidenza come l’aumento delle disuguaglianze rifletta ampiamente una esplosione ‘senza precedenti’ dei più alti redditi da lavoro e la separazione sociale che esiste, di fatto, tra la vita dei top manager delle grandi aziende e il resto della popolazione. I più importanti dirigenti aziendali, infatti, avendo il potere di stabilire i propri compensi, si sono attribuiti delle retribuzioni che in moltissimi casi – e ‘senza alcun contegno’, scrive sempre l’economista francese – non hanno un evidente rapporto con la loro ‘produttività individuale’.

Se siamo d’accordo con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, ovvero che la distinzione sociale può essere basata soltanto sull’utilità alla comunità, allora dovremmo declinare il criterio di utilità con quello di solidarietà: ovvero con il proposito di condividere il miglioramento della vita umana con tutti gli altri membri della comunità.