progetto chiesa – quale chiesa fra vent’anni?

alla Lateranense si progetta la Chiesa di domani

in “La Stampa-Vatican Insider” del 31 gennaio 2017

“«Dio è creativo, non è chiuso, non è rigido»: lo ha dichiarato con forza papa Francesco nel settembre 2013… «Quale Chiesa fra vent’anni?» è la domanda che lancia il primo «Festival Internazionale della Creatività nel Management Pastorale»… A Roma fra il 23 e il 25 marzo da tutto il mondo donne e uomini impegnati nel rinnovamento della Chiesa cattolica”

«Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido!»: lo ha dichiarato con forza papa Francesco nel settembre 2013, a pochi mesi dalla sua elezione al pontificato. Sono proprio queste le parole d’ordine che la Pontificia Università Lateranense, sotto la guida del rettore magnifico monsignor Enrico Dal Covolo, ha intenzione di incarnare esplorando e raccogliendo percorsi nuovi di fare Chiesa, di viverla, di raccontarla e di costruirla. «Quale Chiesa fra vent’anni?» è infatti è la domanda che lancia il primo «Festival Internazionale della Creatività nel Management Pastorale», realizzato dalla Scuola internazionale di Management pastorale – il percorso di alti studi per presbiteri, laici, religiosi, operatori ecclesiali e della pastorale creato due anni fa dalla Pontificia Università Lateranense – in collaborazione con Villanova University della Pennsylvania e con realizzazione formativa di Creativ.

A Roma fra il 23 e il 25 marzo giungeranno da tutto il mondo donne e uomini che si stanno impegnando nel rinnovamento della Chiesa cattolica a partire dal cambiamento concreto delle pratiche, realizzando quell’inculturazione del Vangelo che è primo strumento di evangelizzazione esplorando e raccogliendo percorsi innovativi di fare Chiesa, di viverla, di raccontarla e di costruirla, con la profondità e la passione della Pul che ha il mandato di ricercare «la Sapienza secondo Cristo».

Gli obiettivi del festival sono ambiziosi: esplorare nuovi modelli di Chiesa e best practices ecclesiali; capire quale possa essere la miglior riorganizzazione della Chiesa diocesana sul territorio; porre il tema della nuova collaborazione fra ordini religiosi e vita secolare nel rispetto reciproco; dialogare sulla valorizzazione del ministero sacerdotale ordinato e la corresponsabilità dei laici; accogliere come prioritaria la costruzione della sinodalità nelle chiese locali, per realizzare a tutti i livelli lo spirito della parresia che ha impostato i lavori dei Sinodi straordinari voluti ancora da papa Francesco.

L’evento ha proposte e numeri invitanti: tre conferenze pluriprospettiche per comunicare in profondità contenuti e fertilità di vedute con 18 ospiti internazionali; tre «Dialoghi» con personaggi significativi che diano voce a testimoni con punti di vista profetici; 18 tavoli della corresponsabilità aperti alla creatività dei partecipanti insieme ai 38 open lighting talk; saranno offerti inoltre trenta workshop e 15 talk, lezioni interattive aperte tenute da ricercatori d’avanguardia provenienti da Cile, Australia, Olanda, Germania, Italia, Usa, Kenya, Spagna da cui scaturiranno stimoli, casi di studio, approfondimenti che permetteranno ai partecipanti di immaginare e generare percorsi nuovi e spazi di scambio innovativo insieme allo spazio dedicato a 45 tavoli delle best practices in ambito ecclesiale.




la chiesa poverra dai ‘piedi scalzi’ di papa Francesco

l’ ‘altra’ chiesa dei ‘preti scalzi’

di Enzo Bianchi

Bianchi

 

È scalzo il nostro prete», il prete che il Papa ha additato ai vescovi come esempio cui guardare. Non
è la prima volta che i vescovi italiani si ritrovano per discutere non solo del rinnovamento dei preti.
Ma anche della formazione. Tra i preti ci sono anche loro, i vescovi, che proprio di mezzo al clero
sono scelti per un servizio di presidenza nelle chiese locali. Di fronte a loro papa Francesco non si è
soffermato sulle urgenze di una formazione permanente teologica e spirituale, non ha tratteggiato
un’ipotetica figura di vescovo ideale ma è andato con parresia a tratteggiare il prete come pastore in
mezzo al gregge. Allora l’essere scalzo di questo prete richiama uno stile, un modo di essere e di
agire, un’esistenza che «diventa eloquente, perché diversa, alternativa»: “scalzo” evoca il modo
evangelico di porsi in cammino dei discepoli inviati da Gesù a predicare, senza denaro nella
che serve per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”. Ma essere scalzo per papa
Francesco rimanda anche e prima di tutto a Mosè di fronte al roveto ardente: come colui che
diventerà la guida di Israele nel deserto, il prete è “scalzo rispetto a una terra che si ostina a credere
e considerare santa”. Sì, Mosè si è tolto i calzari per avvicinarsi al roveto da cui usciva la parola di
Dio, perché la terra che calpestava era santa. Come lui anche l’annunciatore del vangelo oggi è
chiamato a considerare “santa” quella terra che l’umanità ha avuto in dono. È chiamato a prendere
sul serio la terra, l’adamah e l’Adam, l’essere umano che dalla terra è tratto: a mostrarsi prossimo e
sollecito verso le fragilità di ciascuno, verso lo smarrimento di senso, verso il bisogno vitale di
comunità che permea il nostro tempo “povero di amicizia”. Ne conseguirà uno stile di vita concreto,
sobrio e povero, spogliato dei beni non essenziali, ricondotto all’unica cosa necessaria, il vangelo.
Può sembrare strano che papa Francesco parli a vescovi e cardinali e additi loro un prete scalzo, un
povero prete animato e purificato dal fuoco della Pentecoste, un ministro che serve, che — secondo
l’etimologia — si preoccupa della “minestra”, della razione di cibo quotidiano per ciascuno, un
servitore fedele che sa come l’anelito più profondo deposto nel cuore degli umani si esprime
attraverso un corpo che prova fame, sete, freddo, dolore. Eppure è questo il pastore esemplare: un
prete scalzo che sa farsi prossimo con la povertà del suo essere e del suo agire.
Certo, il Papa è ben consapevole delle mutate condizioni della società italiana, delle nuove povertà.
Il Papa sa anche che in molte regioni il prete vive a volte in una condizione tra la povertà e la
miseria, sa che molti preti non hanno più la riconoscibilità sociale di un tempo e che faticano anche
perché il gregge che loro cercano di avvicinare non è più in cerca di pastori. Molti preti dicono
ormai: “La nostra vita qui è grama!”. Tuttavia Francesco non cede all’autocommiserazione. No, la
terra rimane santa, resta il luogo benedetto dal Signore che ha voluto abitarla in Gesù Cristo, resta il
patrimonio comune che solo la nostra avidità ha espropriato ai poveri per farne possesso di pochi
ricchi. E su questa terra il prete, il vescovo, il Papa, ogni cristiano è chiamato a camminare scalzo,
lieve, pieno di rispetto e di cura. Allora questo pellegrinaggio eviterà i sentieri della devozione
intimistica o dell’aristocrazia spirituale da salotto, e si incamminerà verso ritrovati spazi di
fraternità, verso inedite occasioni di solidarietà: sarà fecondo cammino di misericórdia.