papa Francesco non è ‘putiniano’

le scandalose parole del papa

di Domenico Quirico
in “La Stampa” del 15 giugno 2022

chi critica il Papa vorrebbe una chiesa che si accoda, che invia aiuti umanitari e prediche. Francesco pronuncia parole di una tale immensità… Frusta la Russia e la sua guerra «imperiale e crudele» e cita i mercenari con cui la conduce, ceceni e siriani. Ma poi impavido sfida anche la nostra verità di Occidente, il nostro sentirci sempre automaticamente dalla parte della ragione

E adesso? Adesso che il Papa dà scandalo? Le sue parole, con il travaglio dei giorni e dei mesi che passano senza pace, sulle colpe, le omissioni, i silenzi sulla guerra scottano e infiammano. E urtano.
Che cosa faranno gli intellettuali immaginari, i politici, quelli che sanno tutto fin dal primo giorno e che pensano che la soluzione alla guerra scatenata dall’aggressione criminale di Putin sia solo la guerra? Metteranno in fila, a loro volta, le parole e diranno: incredibile, il Papa è diventato putiniano! ma cosa conta in fondo quello che dice? È il suo mestiere quello di essere fuori dalla Storia, di pronunciare innocue e paradossali parabole…
I maestri del sospetto, i cacciatori di quinte colonne ed infiltrati, per cui ogni distinguo e ragionamento (che è «il ridurre la complessità alla distinzione tra buoni e cattivi senza ragionare su radici e interessi che sono molto complessi…» come ha detto Francesco parlando ai direttori delle riviste culturali della Compagnia di Gesù) è automaticamente tradimento, diserzione, delitto, non lo attaccheranno frontalmente. Forse faranno come quando Francesco fece riferimento «all’abbaiare della Nato alle porte della Russia…» e lo striminzirono nel silenzio. Francesco procede imperterrito per la strada dei suoi ritmi: vita morte guerrieri vittime deportati e profughi. Dolore si chiama il mistero verso cui ci chiede di camminare. Dall’inizio della guerra la sola cosa che ha un significato per lui è il dolore di una terra coperta di sangue. E per questo rende omaggio agli ucraini «un popolo coraggioso che sta lottando per sopravvivere e che ha una storia di lotta». Se tutti gli uomini avessero operato per il bene e solo per il bene non ci sarebbe la guerra, neppure questa guerra. Ma questa verità al Papa impone la domanda: se questo male sono gli atti degli uomini o il non fare degli uomini di chi sono le colpe, tutte le colpe? Pronuncia parole di una tale immensità che, a ripensarle una ad una, paiono osatissime. Frusta la Russia e la sua guerra «imperiale e crudele» e cita i mercenari con cui la conduce, ceceni e siriani. Ma poi impavido sfida anche la nostra verità di Occidente, il nostro sentirci sempre automaticamente dalla parte della ragione.
Un errore che ci è costato guerre perdute, vittime tradite e abbandonate al loro destino, isolamento  all’Iraq all’Afghanistan. Il 24 di febbraio è l’inizio di tutto e Putin ha imposto con la violenza questo inizio su cui dobbiamo come democrazie, obbligatoriamente, fare la nostra scelta: aiutare l’Ucraina e fermare l’autocrate. Il Papa lo conferma, non ci chiede certo di restare vuoti e inerti. Ma aggiunge: ci può bastare? Non rischiamo di «vedere solo una parte e non l’intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra che in qualche modo è stata provocata o non impedita»? Non è una domanda teologica o apocalittica, è una domanda politica. E forse è proprio questo lo scandalo.
Chi critica il Papa vorrebbe una chiesa che non dà scandalo, che si accoda, che fa la crocerossina della Storia, che invia aiuti umanitari e distribuisce prediche. Le si ingiunge di essere giudiziosamente savia e non più di portare la distruzione e il sovvertimento di una verità folle, di ripetere stancamente che tutto quelle che si può fare è attendere che la grande quaresima del dispotismo, per miracolo, alla fine arrivi. La tollerante rassegnazione che rende la vita più sopportabile è il porto dove approdano, purtroppo, tutti i fallimenti anche quelli della fede. Il Papa deve imporci semmai lo Scandalo di mettere insieme nella processione russi e ucraini, di non mettere segni sulle bandiere della Nato, di incontrare chissà! gli aggrediti di Kiev e Kirill, «il chierichetto di Putin».
Le scandalose parole del Papa sono una riflessione sulla natura della guerra, di questa guerra. La si può fare per odio, per desiderio di preda, per rovesciare un avversario che diventa pericoloso, per pazzia e sadismo, per amore del potere, per mestiere. Si può fare la guerra per obbedienza, perché sei stato aggredito e non hai altra possibilità o per un progetto di unificazione e di gloria o per il desiderio di vendicare una ingiustizia. O come dice il Papa per «l’interesse di testare e vendere armi… e alla fine è proprio questo a essere in gioco». Tutte queste ragioni, prima o dopo, vi sono mescolate, si confondono e talora si corrompono reciprocamente Il Papa ci impone di ricordare che la guerra giusta non esiste, è un mito insipido che non dobbiamo condividere con le bugie dei prepotenti. E che alla fine, rende tutto, anche il dolore, insignificante.




“verso un noi sempre più grande” – il titolo della giornata del migrante

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 107ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2021

[26 settembre 2021]

“verso un noi sempre più grande”

Cari fratelli e sorelle!

Nella Lettera Enciclica Fratelli tutti ho espresso una preoccupazione e un desiderio, che ancora occupano un posto importante nel mio cuore: «Passata la crisi sanitaria, la peggiore reazione sarebbe quella di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di auto-protezione egoistica. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”» (n. 35).
Per questo ho pensato di dedicare il messaggio per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato a questo tema: “Verso un noi sempre più grande”, volendo così indicare un chiaro orizzonte per il nostro comune cammino in questo mondo.
La storia del “noi”
Questo orizzonte è presente nello stesso progetto creativo di Dio: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gen 1,27-28). Dio ci ha creati maschio e femmina, esseri diversi e complementari per formare insieme un noi destinato a diventare sempre più grande con il moltiplicarsi delle generazioni. Dio ci ha creati a sua immagine, a immagine del suo Essere Uno e Trino, comunione nella diversità.
E quando, a causa della sua disobbedienza, l’essere umano si è allontanato da Dio, Questi, nella sua misericordia, ha voluto offrire un cammino di riconciliazione non a singoli individui, ma a un popolo, a un noi destinato ad includere tutta la famiglia umana, tutti i popoli: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio» (Ap 21,3).
La storia della salvezza vede dunque un noi all’inizio e un noi alla fine, e al centro il mistero di Cristo, morto e risorto «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Il tempo presente, però, ci mostra che il noi voluto da Dio è rotto e frammentato, ferito e sfigurato. E questo si verifica specialmente nei momenti di maggiore crisi, come ora per la pandemia. I nazionalismi chiusi e aggressivi (cfr Fratelli tutti, 11) e l’individualismo radicale (cfr ibid., 105) sgretolano o dividono il noi, tanto nel mondo quanto all’interno della Chiesa. E il prezzo più alto lo pagano coloro che più facilmente possono diventare gli altri: gli stranieri, i migranti, gli emarginati, che abitano le periferie esistenziali.
In realtà, siamo tutti sulla stessa barca e siamo chiamati a impegnarci perché non ci siano più muri che ci separano, non ci siano più gli altri, ma solo un noi, grande come l’intera umanità. Per questo colgo l’occasione di questa Giornata per lanciare un duplice appello a camminare insieme verso a un noi sempre più grande, rivolgendomi anzitutto ai fedeli cattolici e poi a tutti gli uomini e le donne del mondo.
Una Chiesa sempre più cattolica
Per i membri della Chiesa Cattolica tale appello si traduce in un impegno ad essere sempre più fedeli al loro essere cattolici, realizzando quanto San Paolo raccomandava alla comunità di Efeso: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» (Ef 4,4-5).
Infatti la cattolicità della Chiesa, la sua universalità è una realtà che chiede di essere accolta e vissuta in ogni epoca, secondo la volontà e la grazia del Signore che ci ha promesso di essere con noi sempre, fino alla fine dei tempi (cfr Mt 28,20). Il suo Spirito ci rende capaci di abbracciare tutti per fare comunione nella diversità, armonizzando le differenze senza mai imporre una uniformità che spersonalizza. Nell’incontro con la diversità degli stranieri, dei migranti, dei rifugiati, e nel dialogo interculturale che ne può scaturire ci è data l’opportunità di crescere come Chiesa, di arricchirci mutuamente. In effetti, dovunque si trovi, ogni battezzato è a pieno diritto membro della comunità ecclesiale locale, membro dell’unica Chiesa, abitante nell’unica casa, componente dell’unica famiglia.
I fedeli cattolici sono chiamati a impegnarsi, ciascuno a partire dalla comunità in cui vive, affinché la Chiesa diventi sempre più inclusiva, dando seguito alla missione affidata da Gesù Cristo agli Apostoli: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,7-8).
Oggi la Chiesa è chiamata a uscire per le strade delle periferie esistenziali per curare chi è ferito e cercare chi è smarrito, senza pregiudizi o paure, senza proselitismo, ma pronta ad allargare la sua tenda per accogliere tutti. Tra gli abitanti delle periferie troveremo tanti migranti e rifugiati, sfollati e vittime di tratta, ai quali il Signore vuole sia manifestato il suo amore e annunciata la sua salvezza. «I flussi migratori contemporanei costituiscono una nuova “frontiera” missionaria, un’occasione privilegiata di annunciare Gesù Cristo e il suo Vangelo senza muoversi dal proprio ambiente, di testimoniare concretamente la fede cristiana nella carità e nel profondo rispetto per altre espressioni religiose. L’incontro con migranti e rifugiati di altre confessioni e religioni è un terreno fecondo per lo sviluppo di un dialogo ecumenico e interreligioso sincero e arricchente» (Discorso ai Direttori Nazionali della Pastorale per i Migranti, 22 settembre 2017).
Un mondo sempre più inclusivo
A tutti gli uomini e le donne del mondo va il mio appello a camminare insieme verso un noi sempre più grande, a ricomporre la famiglia umana, per costruire assieme il nostro futuro di giustizia e di pace, assicurando che nessuno rimanga escluso.
Il futuro delle nostre società è un futuro “a colori”, arricchito dalla diversità e dalle relazioni interculturali. Per questo dobbiamo imparare oggi a vivere insieme, in armonia e pace. Mi è particolarmente cara l’immagine, nel giorno del “battesimo” della Chiesa a Pentecoste, della gente di Gerusalemme che ascolta l’annuncio della salvezza subito dopo la discesa dello Spirito Santo: «Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (At 2,9-11).
È l’ideale della nuova Gerusalemme (cfr Is 60; Ap 21,3), dove tutti i popoli si ritrovano uniti, in pace e concordia, celebrando la bontà di Dio e le meraviglie del creato. Ma per raggiungere questo ideale dobbiamo impegnarci tutti per abbattere i muri che ci separano e costruire ponti che favoriscano la cultura dell’incontro, consapevoli dell’intima interconnessione che esiste tra noi. In questa prospettiva, le migrazioni contemporanee ci offrono l’opportunità di superare le nostre paure per lasciarci arricchire dalla diversità del dono di ciascuno. Allora, se lo vogliamo, possiamo trasformare le frontiere in luoghi privilegiati di incontro, dove può fiorire il miracolo di un noi sempre più grande.
A tutti gli uomini e le donne del mondo chiedo di impiegare bene i doni che il Signore ci ha affidato per conservare e rendere ancora più bella la sua creazione. «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”» (Lc 19,12-13). Il Signore ci chiederà conto del nostro operato! Ma perché alla nostra Casa comune sia assicurata la giusta cura, dobbiamo costituirci in un noi sempre più grande, sempre più corresponsabile, nella forte convinzione che ogni bene fatto al mondo è fatto alle generazioni presenti e a quelle future. Si tratta di un impegno personale e collettivo, che si fa carico di tutti i fratelli e le sorelle che continueranno a soffrire mentre cerchiamo di realizzare uno sviluppo più sostenibile, equilibrato e inclusivo. Un impegno che non fa distinzione tra autoctoni e stranieri, tra residenti e ospiti, perché si tratta di un tesoro comune, dalla cui cura come pure dai cui benefici nessuno dev’essere escluso.
Il sogno ha inizio
Il profeta Gioele preannunciava il futuro messianico come un tempo di sogni e di visioni ispirati dallo Spirito: «Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (3,1). Siamo chiamati a sognare insieme. Non dobbiamo aver paura di sognare e di farlo insieme come un’unica umanità, come compagni dello stesso viaggio, come figli e figlie di questa stessa terra che è la nostra Casa comune, tutti sorelle e fratelli (cfr Enc. Fratelli tutti, 8).

Preghiera
Padre santo e amato,
il tuo Figlio Gesù ci ha insegnato
che nei Cieli si sprigiona una gioia grande
quando qualcuno che era perduto
viene ritrovato,
quando qualcuno che era escluso, rifiutato o scartato
viene riaccolto nel nostro noi,
che diventa così sempre più grande.
Ti preghiamo di concedere a tutti i discepoli di Gesù
e a tutte le persone di buona volontà
la grazia di compiere la tua volontà nel mondo.
Benedici ogni gesto di accoglienza e di assistenza
che ricolloca chiunque sia in esilio
nel noi della comunità e della Chiesa,
affinché la nostra terra possa diventare,
così come Tu l’hai creata,la Casa comune di tutti i fratelli e le sorelle. Amen.
Roma, San Giovanni in Laterano, 3 maggio 2021, Festa dei Santi Apostoli Filippo e Giacomo

Francesco




“una nuova immaginazione” – il ‘piano’ indicato da papa Francesco per uscire dalla pandemia di coronavirus

coronavirus

 

papa Francesco indica il «piano» per risorgere dalla pandemia

Lucia Capuzzi 

Gli anticorpi della solidarietà contro le emergenze, il protagonismo dei popoli via per lo sviluppo umano

dalla rivista spagnola “Vida Nueva” il Papa invita al coraggio «di una nuova immaginazione»

 

«L’impatto di tutto ciò che sta accadendo, le gravi conseguenze che già si segnalano e s’intravedono, il dolore e il lutto per i nostri cari ci disorientano, angosciano e paralizzano».

Immerso in un interminabile Sabato Santo, il mondo è chiuso nel sepolcro della pandemia. Il peso dell’angoscia per i morti e i malati, della tristezza dell’isolamento, dell’ansia per il devastante contraccolpo economico, gli sbarra la via d’uscita. «Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?». Le parole delle discepole risuonano martellanti. Eppure, proprio nel ventre di pietra del sepolcro, maturano i germi della Risurrezione.
Da lì, dunque, parte il “piano per risorgere” proposto da papa Francesco sulla rivista spagnola Vida Nueva, uno dei punti di riferimento sull’attualità ecclesiale per i Paesi di lingua castigliana. Le lacrime profuse da un capo all’altro del pianeta, nelle ultime settimane, proprio come quelle delle donne di fronte alla tomba del Maestro, non costituiscono le parole ultime e definitive del presente. Poiché da e con esse irrompe il desborde di Dio: parola cara al Pontefice, difficile da tradurre in italiano se non come “di più”. Il traboccamento divino consente agli esseri umani di trasformare il male in nuova forza per costruire il futuro.

«Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti», scrive Bergoglio e sottolinea: «È il soffio dello Spirito che apre orizzonti, risveglia la creatività e ci rinnova in fraternità per dire presente (oppure eccomi) dinanzi all’enorme e improrogabile compito che ci aspetta».

È, dunque, urgente discernere il suo battito per dare impulso a dinamiche in grado di testimoniare e canalizzare la vita nuova che il Signore vuole generare in questo momento della storia. Non è il momento di comodi palliativi, di rattoppi inadeguati rispetto alle gravi conseguenze della crisi in atto.

«È il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrici», afferma Francesco. L’implacabile lezione di interconnessione della pandemia ci mostra come le emergenze possono essere sconfitte anzitutto «con gli anticorpi della solidarietà», prosegue il Pontefice, citando un recente documento della Pontificia Accademia per la vita. Se agiamo come popolo, pertanto, «persino di fronte alle altre epidemie che ci minacciano, possiamo ottenere un impatto reale».

Saremo capaci di vincere il fatalismo di cui siamo prigionieri e di scrivere la storia presente e futura senza voltare le spalle alle sofferenze di tanti? L’interrogativo di Francesco è rivolto, certo, alla comunità internazionale. Ma soprattutto agli uomini e alle donne di buona volontà nelle cui mani – il Papa l’ha detto più di una volta – risiedono davvero le sorti del mondo. In questo senso l’editoriale su Vida Nueva prosegue la strada già tracciata nella lettera inviata ai Movimenti e alle organizzazioni popolari il giorno di Pasqua, in cui li invitava a essere costruttori di un cambiamento ormai improrogabile: «Pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità». Di nuovo, Francesco squarcia il velo della fatica presente per far balenare un orizzonte che vede la famiglia umana unita nella ricerca dello sviluppo umano integrale. È questa «l’alternativa della civiltà dell’amore», con cui conclude l’articolo. Non un vagheggiamento ingenuo bensì un’utopia possibile con uno sforzo impegnato di tutti – come diceva il cardinale Eduardo Pironio, citato dal Papa –, «una comunità impegnata di fratelli».




la lettera alla città e a papa Francesco del missionario che che si è fatto ultimo tra gli ultimi

“caro Francesco ti scrivo…”

Biagio Conte, che si appresta a passare la terza notte all’addiaccio, si appella a Papa Francesco per risolvere il problema dell’emergenza abitativa a Palermo

Gli occhi di Biagio Conte guardano il cielo. È un cielo uggioso, quello di Palermo, che inzuppa la città di quella pioggerellina che passa oltre i vestiti e inumidisce anche le ossa. “Trovo assurdo – continua a ripetere alla folla sparuta ma costante che si avvicina a lui, sotto i portici delle Poste – che 27 anni dopo io debba tornare in strada per le stesse battaglie. Questa città non può voltarsi ancora dall’altra parte”.

Ha scritto una nuova lettera, questo pomeriggio. C’è l’impegno del deputato Udc Vincenzo Figuccia di portarla all’Assemblea e leggerla ai 70 deputati che rappresentano i siciliani a Sala d’Ercole. “L’umanità – scrive Biagio Conte nella missiva – deve essere solidale verso chi è privo di beni essenziali e muore di fame, verso chi profugo dalla patria, cerca un rifugio per sé e per i suoi bambini, che saranno gli uomini e le donne del futuro. Ogni essere vivente deve avere la sua identità, un riconoscimento, un documento, una residenza, una integrazione per poter ricominciare una nuova vita”.

“È nostro dovere – aggiunge, di suo pugno, la penna blu, le mani spaccate dal freddo – ascoltare il grido di chi è rimasto senza occupazione e vede pericolosamente minacciato il proprio domani, la perdita della casa, della propria famiglia e della sua dignità”.

Così l’appello si allarga. E arriva fino a Papa Francesco: “Fratel Biagio pieno di speranza invita il nostro Papa, il nostro vescovo, le varie religioni, il nostro sindaco, il nostro presidente della Regione, il nostro presidente dello Stato e tutti i cittadini a rispondere al male con la preghiera, il digiuno e le opere, prima che sia troppo tardi”. Firmato “Pace e speranza, Fratel Biagio, piccolo servo inutile”.

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fratel Biagio invita all’accoglienza

lettera aperta alla città

Biagio Conte, dopo l’ultima morte di freddo avvenuta a Palermo di Giuseppe, che era stato portato in ospedale dai suoi volontari della missione ‘Speranza e Carità’, ha deciso di dormire per strada, scrivendo una lettera aperta alla città, da cui ha lanciato un grido di allarme contro l’indifferenza:

“Vivo un profondo disagio: non riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare, sapendo che ancora ad oggi tante persone vivono per strada. Tante famiglie sono sfrattate e non hanno la casa, tante persone non hanno lavoro. La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi sono molto diffusi, mi inducono a rispondere al male con il bene.

Per queste ingiustizie mi abbandono anch’io per strada, per solidarizzare con chi è morto per strada, per chi ancora dorme per strada. Mi sosterranno la preghiera e il digiuno, affinché i cuori e le coscienze si scuotano e si sensibilizzino verso i più bisognosi”.

Biagio Conte ha spiegato il suo gesto nella lettera: “Non riesco ancora ad accettare che ci possano essere tanti ancora che vivono queste profonde sofferenze nella loro vita dovuti principalmente all’indifferenza e che continuano a vivere e morire per strada non riesco ancora ad accettare l’idea che tanti ancora siano senza lavoro, senza casa e devono morire per strada, voglio condividere questa vita con loro, stare insieme a loro, così è nata la Missione di Speranza e Carità e questo è il cammino che sento di portare avanti”.

Biagio Conte è consapevole che nella missione ‘Speranza e Carità’ sono ospitate tante persone, ma moltissime non possono essere accolte: “I fratelli e le sorelle sono al riparo nella struttura della Missione che è pienissima e i bisogni sono tanti ma molti ancora sono per strada c’è bisogno di aiuto, c’è bisogno di sostegno profondo, vero, sincero, ognuno deve fare la sua parte prima che sia troppo tardi”.

Quindi nella sua missiva ha lanciato un appello: “Il povero ha bisogno di noi, ma anche noi abbiamo bisogno di loro ‘ricchi e poveri insieme’, chi ha e non dona nulla al bisognoso, al più debole e all’indigente, non può essere un uomo o una donna di giustizia, di pace e di speranza.

Autorità e singoli cittadini, chi ha la possibilità di donare una casa, è doveroso donarla in modo di aiutare chi non ha un riparo, un tetto. Chi non dona e non aiuta contribuisce all’impoverimento della nostra società: è urgentissimo rispondere ai bisogni della gente. Questo prezioso appello è rivolto a tutte le città e a tutte le regioni d’ Italia”.

E durante il suo pellegrinaggio nelle città italiane a settembre fratel Biagio aveva visitato Amatrice ed Arquata del Tronto, raccogliendo il grido di dolore degli abitanti colpiti dal terremoto, ed ha invitato gli italiani a non dimenticare le sofferenze di queste popolazioni.




papa Francesco applaudito da molti ma lasciato solo da coloro che gli sono più vicino

come e perché il papa sta smontando la chiesa ‘romana’

intervista a Marco Politi

Come e perché il Papa sta smontando la Chiesa romana. Parla Marco Politi

a <!-- -->livello ecclesiale c’è più opposizione che consenso all’opera di Papa Francesco. Una maggioranza tradizionalista più forte e muscolare nell’episcopato mondiale che si scontra con una minoranza di innovatori “più timidi”, nelle lotte di una “guerra civile in corso dentro la Chiesa”. E’ l’analisi di Marco Politi, scrittore e giornalista. Per sei anni inviato a Mosca, una ventina come vaticanista a Repubblica, oggi editorialista con un blog sul Fatto Quotidiano

 

Politi, questa guerra civile di cui lei parla significa che il programma di riforme di Francesco si sta arenando?

Niente affatto. Gli ostacoli ci sono, ma procede con tenacia.

Qualche esempio?

La pulizia dello Ior; la determinazione a punire i colpevoli di pedofilia: è il primo Papa che ha fatto processare un nunzio e arcivescovo. Non solo con la dimissione dallo stato clericale, ma dando l’ok al rinvio a giudizio. Nel frattempo l’ex nunzio Wesolowski è morto, ma si stava aprendo un processo penale senza precedenti in Vaticano.

Riforme vaticane più che pastorali in senso stretto?

Non dobbiamo dimenticare che il Papa ha aperto una commissione di studio sul diaconato alle donne e ha tirato fuori la Chiesa dalle secche delle ossessioni sessuali. E ha riformato i dicasteri dei laici e della giustizia sociale, per dargli maggiore incisività.

Ed emergono divisioni nella Chiesa.

E’ un vero e proprio scontro. In crescendo. Mosso da una parte della gerarchia, maggioritaria, che ritiene una questione identitaria, ad esempio, il “no” alla comunione ai divorziati risposati o il riconoscimento del valore positivo delle unioni omosessuali.

Il classico bisticcio tra conservatori e innovatori. Qual è la novità?

Anche durante il Concilio le opposizioni ai progetti di riforma erano tante. Allora i due fronti si scontravano a viso aperto con libri e incontri, ognuno aveva i propri teologi di riferimento in campo, si tenevano iniziative nelle diocesi che coinvolgevano il popolo di Dio. Oggi i riformatori sono silenziosi, inerti. Tutte le iniziative intorno ai due Sinodi sulla famiglia sono state organizzate dai conservatori. Assistiamo ad un climax di aggressività alimentato dai blog e dai siti internet. Ma non mancano attacchi diretti di cardinali e vescovi con iniziative impensabili persino ai tempi pur burrascosi di Paolo VI e delle riforme conciliari.

Si riferisce alla recente lettera di richiesta di chiarimento dei quattro cardinali?

Quella è il guanto di sfida. Ma seguirà altro. Come molto è stato anticipato. Prima del Sinodo 2014 un libro di cinque cardinali in difesa della dottrina tradizionale del matrimonio. Poi un altro volume firmato da 11 porporati. Quindi una petizione firmata da 800mila cattolici fra cui 100 vescovi per frenare le innovazioni. Nel Sinodo del 2015, una lettera di 13 cardinali sulla regolarità dell’assemblea. Se uno legge i nomi dei contestatori vede che ci sono molte personalità di primo piano, che provengono da un’area geografica vasta e che spesso avevano avuto un ruolo rilevante durante i due pontificati precedenti.

Eppure, mai come in passato, i grandi giornali ammirano il Papa.

Massmediaticamente si rimane concentrati sulla personalità di Francesco. Ma la Chiesa è un grande impero, coi suoi alti gerarchi, i vescovi; i quadri, preti e religiosi; e le milizie scelte, i laici impegnati. La cosa che più colpisce l’opinione pubblica cattolica, o credente in altre religioni o non credente, è l’assoluta sincerità di Francesco di presentarsi. Lui non parla tanto come prete, come vescovo, come Papa, ma come discepolo di Cristo. Questo colpisce. Ma poi le resistenze ci sono. La gerarchia si sta posizionando per il Conclave futuro.

Intanto Francesco si sta muovendo con nomine di persone a lui vicine.

Certo, ma non fraintendiamo: uno può essere conservatore sui temi etici e riformista su quelli sociali o viceversa. Inoltre Francesco non è uomo da spoil system. Nel governo della Chiesa cerca di essere inclusivo, di coinvolgere anche chi non la pensa come lui. E’ questo un punto che i suoi uomini più vicini gli contestano. Vorrebbero che usasse una mano più ferma.

Il 17 dicembre Bergoglio compirà 80 anni. Crede che possa nel breve periodo rinunciare al pontificato?

Lo farà certamente se dovesse rendersi conto che per assoluta mancanza di energie fisiche non dovesse essere più in grado di governare. Qui sta il punto: quanti anni ancora al Soglio? Credo che gli servano almeno cinque anni per dare solidità al processo di riforma avviato. L’obiettivo della guerra civile in corso è proprio questo: impedire che arrivi al trono di Pietro un uomo che porti a sviluppo le riforme iniziate.

Riforme finite, come nel caso della comunione ai divorziati risposati, in una nota a pie’ di pagina, con un invito al discernimento che però tanto sta facendo discutere la Chiesa.

Nei due Sinodi la maggioranza era compatta contro la linea aperturista del cardinal Kasper. E’ l’esempio del prevalere tradizionalista. A questo proposito è istruttivo guardare le recenti elezioni nella Chiesa. In Europa, quando si è votato per i vertici del Consiglio delle conferenze episcopali europee, è stato eletto un cardinale moderatamente conservatore come Bagnasco. Uno dei suoi vice è il conservatore polacco Gadecki. Poi c’è uno più riformista, l’inglese Nichols. Ma, appunto, è in minoranza. E non dimentichiamoci degli Usa, con l’elezione dei due nuovi leader della Conferenza episcopale, entrambi scelti dal fronte pro-life, mentre i nuovi porporati americani creati dal Papa sono preoccupati delle divisioni nella Chiesa. E’ una dimostrazione che una serie di elettori di Bergoglio nel 2013 – e tra questi molti erano statunitensi – oggi non lo voterebbero più.

Due anni fa ha scritto un libro dal titolo evocativo: “Francesco tra i lupi”. Chi sono questi lupi?

Anche quelli che applaudono il Papa, ma poi non muovono un dito. Sono quelli del dissenso nella Chiesa: sacche di silenzio, passività e adulazione; di chi dice parole con le labbra che in realtà non pensa. Lo esprime bene monsignor Bregantini: tutti dicono che è buono e bravo, ma in realtà il Papa è un giocatore lasciato solo in campo quando tutti lo applaudono.

Politi, però gli osanna ci sono.

Spesso di facciata. Mi dicevano alcuni diplomatici presso la Santa Sede che in certi ambienti vaticani si respira un’aria di “slealtà”. Parole che dette da diplomatici ci fanno capire che clima difficile si respiri in Vaticano. Mi ricorda di quando ero a Mosca ai tempi della perestrojka. I giornali tributavano un consenso unanime a Gorbaciov. Sorrisi e cordialità dal Comitato centrale, che intanto gli remava contro.

Da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio di interviste ne ha rilasciate pochissime. Ora ne concede a getto continuo. E ogni giorno possiamo leggere le sue omelie mattutine a Santa Marta. Viene in mente l’immagine del Pio XIII di Sorrentino, uno “young pope” che si nasconde ai fedeli, rifiuta persino di farsi fotografare. Tutto il contrario di Bergoglio.

Gli artisti anticipano sempre. Habemus Papam di Moretti nel 2011 mostrava un Papa eletto che poi rinuncia, e che aveva individuato come priorità la misericordia, l’umanità, la cura dei feriti. E’ arrivato Francesco e il suo “ospedale da campo”. Sorrentino con quel papa contraddittorio, conservatore ma anche umano, evidenzia l’interrogativo e le attese non ancora definite dell’opinione pubblica su quale Papa uscirà dal futuro Conclave.

Il vaticanista Aldo Maria Valli in una recente conversazione con Formiche.net riconosce che le argomentazioni di Francesco sono a volte ambigue.

Non c’è dubbio che Amoris laetitia sia un documento in cui il Papa – vincolato dalle votazioni del Sinodo – non si sia potuto esprimere in merito ai divorziati risposati con la chiarezza che gli è propria. Ma d’altronde tutta l’ideologia dei valori non negoziabili ha allontanato inesorabilmente masse di credenti dalla Chiesa istituzionale. Francesco non è buonista, è realista, conoscendo il formarsi e il disgregarsi dei progetti di vita proprio nelle megalopoli del Terzo Mondo dall’America latina, all’Africa, all’Asia e allora “cristianamente” vuole aiutare le persone anche ad un “nuovo inizio”. Il suo perdono è un incoraggiamento ad andare avanti.

Quindi dove sta andando Francesco?

E’ stato eletto per riformare. Bergoglio vuole smontare la Chiesa romana, imperiale e monarchica. Per questo insiste sulla collegialità, la sinodalità, la responsabilità dei singoli episcopati. Per questo ha creato il consiglio dei cardinali che deve assisterlo nel governo oltre che studiare la riforma della Curia. E’ stato eletto per riformare, ma per qualcuno sta esagerando, e allora gli tirano il freno.




il documento papale ‘laudato sì’ compie un anno

a un anno da “Laudato sì”

la preoccupazione del papa

di Grazia Francescato
in “l’Huffington Post”

una vera e propria ‘visione del mondo’. Si tratta di una lettura complessiva della realtà di quest’inizio millennio, un’analisi puntuale e profonda dell’intreccio tra crisi ambientale, sociale ed economica nonché un’indicazione precisa e meditata delle possibili vie d’uscita

Buon compleanno, Laudato Si’! Esattamente un anno fa, il 18 giugno 2015, l’enciclica ‘verde’ di papa Francesco veniva presentata al mondo e accolta con favore diffuso e trasversale (ma anche fatta segno di dure critiche, basti pensare agli ambienti conservatori Usa).

Nel primo anniversario, la Chiesa celebra l’evento con una grande conferenza che avrà luogo a Roma il 20 giugno, organizzata dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e intitolata “Sulla cura della casa comune nell’anno della Misericordia”. A tenere le redini sarà il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio, lo stesso che ha tenuto a battesimo l’enciclica in Vaticano dodici mesi fa.

Anche lo schema del convegno riprende con convinzione il ‘format’ già collaudato il 18 giugno 2015: molta attenzione alla dimensione internazionale, in particolare al dopo Cop 21 di Parigi, con Christiana Figueres, Segretario Esecutivo dell’United Nations Framework Convention on Climate Change; forte ruolo della scienza, rappresentata qui da Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice presso l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’ INAF; reiterato accento sul dialogo tra le religioni e sulla ‘alleanza’ con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I (un vero antesignano del verbo ecologista nel mondo cristiano) che ha inviato a rappresentarlo l’Archimandrita Athenagoras Fasiolo; sguardo attento alla ‘gente comune’ e alla vita vissuta, in questo caso quella dello studente Francesco Laureti,del liceo classico D’Annunzio di Pescara.Moderatore: Don Walter Insero, rettore della Chiesa degli Artisti a Roma. Un mix sapientemente dosato per riaffermare ancora una volta che la Laudato Si’ non è soltanto un’enciclica ‘verde’, come è stata frettolosamente liquidata da vari media, ma una vera e propria ‘visione del mondo’. Si tratta di una lettura complessiva della realtà di quest’inizio millennio, un’analisi puntuale e profonda dell’intreccio tra crisi ambientale, sociale ed economica nonché un’indicazione precisa e meditata delle possibili vie d’uscita. Arricchita da una dimensione etica e spirituale che costituisce l’autentica ‘anima’ dell’enciclica e la distingue in maniera netta da migliaia di pur autorevoli e interessanti contributi di scienziati,ambientalisti, esperti della questione ecologica e dalla pletora di documenti ,dichiarazioni e pronunciamenti ai vari livelli istituzionali. Quest’approccio del papa è la chiave del successo planetario della Laudato Si’ e, secondo non pochi commentatori, fa dal papa l’unico vero leader oggi presente sullo scenario mondiale. Se il verbo ‘to lead’, infatti, significa ‘guidare verso’, è indubbio che l’unico in grado di proporre una visione del mondo verso cui condurre l’umanità ,di indicare una stella polare che illumini il tormentato cammino degli esseri umani,sia appunto Francesco. Poi si può essere d’accordo o meno con il sui ”progetto per la polis’ (intesa come comunità dei viventi),ma sicuramente è un punto da cui partire, un riferimento di cui si sentiva il bisogno. Folgorati dall’alto respiro di Bergoglio non sono stati solo gli ambientalisti (che ritrovano ovviamente nel documento papale concetti cardine della cultura ecologista, come la ‘conversione ecologica’ lanciata già nei primi anni novanta dal leader ambientalista Alex Langer). Anche ambienti in teoria refrattari come certe enclaves della sinistra hanno trovato nella Laudato Sì un tema su cui riflettere; non si contano i dibattiti e gli incontri organizzati ad hoc (tra i tanti, ricordo quello promosso dall’Archivio Pietro Ingrao alla Camera il 20 aprile scorso alla presenza di Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di vari esponenti della sinistra storica). Popolarità trasversale della Laudato Sì che posso testimoniare anche per esperienza personale: almeno il cinquanta per cento degli inviti che ho ricevuto quest’anno da parte di associazioni culturali, movimenti,partiti,sindacati, istituzioni per tenere conferenze e lectures riguardava la
Laudato Si’. E dopo aver pubblicato un mio commento sulle analogie tra il pensiero ambientalista e l’enciclica in un libro “Laudato Si’- Un aiuto alla lettura”, appena uscito per la LEV (Libreria Editrice Vaticana), la percentuale si é ulteriormente impennata. Ma convegni e dibattiti non bastano: nelle dichiarate intenzioni di Bergoglio,che saranno sicuramente riaffermate in quest’anniversario dal Cardinale Turkson, vero e proprio ‘padre’ della Laudato Si’, il documento non è stato redatto per restare a dormire in un cassetto o raggelarsi nell’iperuranio delle teorie,ma per essere tradotto in pratica e diventare strategia operativa nella Chiesa e nella società. Un esempio tra i tanti: a fine aprile scorso i vescovi dello Zambia hanno organizzato a Lusaka una grande conferenza sulla Laudato Si’, dal significativo titolo “Care of our common home in the context of large scale investments – Mining and Agricolture”, indirizzata quindi a due settori,attività minerarie ed agricoltura,in cui si riversano in Africa grossi investimenti delle grandi compagnie,con impatti spesso negativi sull’ambiente e sulle comunità coinvolte. Il documento finale, frutto di un confronto serrato con i dirigenti delle compagnie minerarie,con le autorità dello Zambia e con la società civile,non lascia dubbi fin dall’esordio, che riporta una frase della Laudato Si’ quantomai esplicita: “È imperativo promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività del business. Occorre promuovere i sistemi produttivi alimentari di piccole dimensioni che nutrono la stragrande maggioranza dell’umanità, usando una limitata estensione di terra e producendo minor spreco”. Per essere ancora più chiaro, l’appello dei vescovi esprime forte solidarietà ai poveri,su cui pesano gli effetti nefasti dell’attuale modello di sviluppo e lancia una sfida al settore minerario “affinché inizi a praticare un’attività estrattiva responsabile, che prenda in considerazione le esigenze dell’ambiente e delle comunità coinvolte”. E rivolge identica sfida alle grandi compagnie del settore agricolo indicando nella promozione dell’agricoltura biologica e sostenibile la rotta da seguire nello Zambia e nel continente africano. Ma la Laudato Si’ sta ispirando,oltre che una quota delle alte gerarchie, anche molti movimenti di base della Chiesa: per esempio, la Repam (rete ecclesiastica amazzonica attiva in nove paesi che coinvolge diocesi e realtà locali impegnate nella difesa della foresta e della biodiversità) ha fatto dell’enciclica la sua bandiera nella battaglia per tutelare le etnie indigene e gli attivisti che si oppongono al taglio del legname e ad un’attività estrattiva priva di scrupoli.Tutela quanto mai urgente,visto l’incremento allarmante degli indigeni assassinati nel disperato tentativo di strappare la loro terra ancestrale dalle grinfie delle multinazionali (un caso per tutti: 138 indigeni uccisi nel 2014 soltanto in Brasile,secondo i dati del Consiglio indigenista missionario). Certo, la strada è ancora tutta in salita: che la visione di Francesco si sintonizzi profondamente con la ‘cosmovisione’ dei popoli indigeni e delle comunità rurali in tante parti della terra è un dato certo (basti pensare al rispetto per la Pacha Mama, Madre Terra) ma ovviamente non basta. I meccanismi della globalizzazione sono spietati: “Sto lavorando sul settore agrario e vedo un’agricoltura campesina ed indigena completamente abbandonata. Sto visitando l’Amazzonia in vari paesi e sono rimasto impressionato dalla sua distruzione sistematica e dalle conseguenze che ciò comporta” lamenta Padre François Houtart, sociologo novantunenne che vive a Quito e che è una delle voci più lucide di denuncia ed analisi della ‘crisi multidimensionale’ del mondo odierno. ” E’ un bene che l’enciclica di Francesco parli di questi temi, ma non so quanti l’abbiamo veramente letta”. E messa in pratica,poi……. Ce n’est qu’un debut, insomma…per rispolverare il vecchio slogan sessantottino.E ‘le combat’ si annuncia durissimo. Ma, sempre per citare l’enciclica : “Che le nostre lotte e le nostre preoccupazioni per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”. Amen.




dopo la strage di Orlando un giovane gay scrive a papa Francesco

dopo la strage di Orlando

lettera a papa Francesco di un giovane gay cattolico

gay

lettera aperta a Papa Francesco

di Mario

un giovane gay cattolicopapa Lesbo1

Caro Papa Francesco, sono Mario, un ragazzo omosessuale di quasi 21 anni, e mi reputo credente. Ogni mattina e ogni notte prego Dio con la preghiera di ringraziamento di Santa Faustina Kowalska; poi, prego il Cuore Divino di Gesù (pardon, ma mi piace poco la parola “sacro” perché trovo il suono troppo aspro, specialmente alla sera), affinché i suoi battiti diffondano il Suo amore, quello del Padre e dello Spirito, e la Loro vita. Visto che cerco l’amore di un ragazzo, con cui costruire una vita assieme, non so se considerarmi perfettamente cattolico, ma cristiano sì.
Come cristiane sono quelle persone che, accumunate dall’amore per Cristo, combattono perché la Chiesa apra gli occhi sull’omosessualità. E anche per molte altre questioni di cui non si può parlare liberamente in chiesa, perché si è condannati come eretici dai nuovi custodi della fede.

Ho deciso di scriverle, Santo Padre, perché penso che quelle poche, striminzite e povere righe che lei ha scritto su noi LGBT, nella sua ultima enciclica, non possono comunque rimanere lettera morta. Per quanto siano vaghe, e lascino trasparire il messaggio che noi siamo una disgrazia per tante famiglie, e non motivo di gioia (io non sono dichiarato in famiglia, anche se prendo posizione su questi temi, arrivando a litigare aspramente, ma solo con i miei amici, che mi hanno veramente salvato), possono essere un punto di partenza per arrivare veramente a rispettare tutti.

Perché l’attacco a Orlando, nel quale è parsa manifesta la violenza di chi si maschera dietro Dio per giustificare la propria omofobia (che Lei, mi duole dirlo, non ha menzionato nel suo messaggio sulla strage), è un problema che riguarda anche la Chiesa cattolica.
Mi riferisco a don Massimiliano Pusceddu, parroco del paese sardo Decimuputzu, e alla sua orribile omelia del 28 maggio (2016) di quest’anno, diffusa in internet e che ha trovato il sostegno dei suoi parrocchiani (veda ciò che è apparso in “Riscossa cristiana”); mi riferisco a cardinali e agli arcivescovi (Scola, Bagnasco) che hanno sostenuto le vergognose e false terapie riparative, le quali hanno provocato sofferenze e suicidi, e il legame tra omosessualità e pedofilia; mi riferisco a ciò che sedicenti voci cattoliche urlano contro di noi, come “La Nuova Bussola Quotidiana”, che ha attaccato senza riguardi “Avvenire” e “TV2000” per aver parlato delle realtà dei cristiani omosessuali e transessuali.

Ma parlo anche dell’ignoranza dei fedeli che lottano contro il “gender”, che parlano senza aver studiato nulla. Purtroppo, parlo anche del suo sorriso in occasione del Sinodo, che sembra non essere riuscito a trattenere, a detta dell’articolo apparso “«Omofobia o cibofobia?» Alla fine anche il Papa sorrise” in “Avvenire” il giorno 07 ottobre 2015. Quell’episodio ha fatto soffrire tanto me e persone a me vicine.

Quello che le chiedo con tutto il cuore, caro Papa (nonostante tutto), è che dia contenuto a quello che il catechismo chiama “ingiusta discriminazione” verso di noi, figlie e figli di Dio tanto quanto Lei, e forse perseguitati più di Lei.
Che impedisca, con qualcosa di chiaro, a preti come don Pusceddu di dire che meritiamo la morte, e che dobbiamo essere curati, perché è impossibile. Perché stragi come quella di Orlando potranno vantare l’indifferenza dei cristiani. O perché casi come quello del ragazzo suicidatosi a Bari, perché rifiutato dalla sua “famiglia”, continueranno. Nel giornale dei vescovi italiani non si è mai parlato una sola volta dell’omofobia, e dei ragazzi omosessuali uccisi dall’Isis, e dell’esultanza di tanti sedicenti cristiani in Facebook.
La prego, dia delle vere linee vincolanti! Costa così tanto difendere la vita degli esseri umani? Oppure si possono difendere i diritti (penso alle donne, e al razzismo), solo quando il senso comune è diventato contrario alle discriminazioni? Bisogna aspettare sempre il sangue versato? E chi è contrario a difendere la nostra vita, è un vero cristiano? Bisogna dar loro sempre più credito rispetto a quelli che hanno la pelle ferita per il loro odio?

La prego, Santo Padre, non ignori questo appello! La Chiesa, per le sue posizioni su cose che non riguardano la fede (Dio non ha mai parlato dell’orientamento sessuale di una persona, e nella Bibbia i modelli famigliari sono molto diversi dalla moderna famiglia mononucleare eterosessuale!), soffre. Essere cristiani e cristiane vuol dire accettare l’amore salvifico di Dio, e la Chiesa sta escludendo tante persone che nel loro cuore hanno accettato quell’amore, e accolgono quel dono ogni giorno!

Un ultima cosa, caro Papa, poi termino. Al santuario dei martiri dell’Uganda, se ricorderà San Carlo Lwanga e i suoi dodici compagni martiri, non parli dell’omosessualità. Parli dello stupro, invece! Non esiste solo Sodoma (che Ezechiele 16, 29-50 ci insegna non essere il simbolo dell’amore omosessuale), ma anche la storia di Gaaba, nella parte finale del capitolo 19 del libro dei Giudici! Quella violenza sulla povera concubina non vale niente? Lo stupro viola la dignità dell’essere umano, non un rapporto d’amore (sì, anche di amore erotico, fisico!) tra due persone che si amano, siano di sesso diverso o dello stesso sesso.

Per favore, tolga il sesso omosessuale dai peccati che gridano vendetta contro Dio, e metta lo stupro! Possibile che, se faccio l’amore con un ragazzo, io offenda Dio in misura maggiore rispetto a chi stupra una ragazza, o un ragazzo?

Perché sì, esiste lo stupro maschile, solo che in tanti paesi, specialmente africani o mediorientali, non lo si vuole ammettere! L’Isis ha ucciso un ragazzino perché era stato stuprato, e ed era stato perciò il “passivo”. Parli della violenza sessuale, non dell’amore omosessuale!

La prego, Papa Francesco, non ignori questa mia preghiera. Ne va del futuro di tante persone, me compreso. Ne va della credibilità della Chiesa, che sta sbiadendo sempre di più.

Ogni gesto d’amore che avrà fatto ai fratelli e alle sorelle indifese di Cristo, le avrà fatte a Dio stesso.

AugurandoLe ogni bene e promettendo di pregare per Lei, la saluto.




un grido da ascoltare

summit umanitario mondiale

“ascoltiamo il grido di chi soffre”

Non ci deve essere una famiglia senza casa, nessun rifugiato senza un’accoglienza, nessuna persona senza una dignità, nessun ferito senza cure, nessun bambino senza un’infanzia, nessun giovane senza un futuro, nessun anziano senza una dignitosa vecchiaia.

 A chiederlo è Papa Francesco, nel suo messaggio inviato al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in occasione della prima giornata del Summit Umanitario Mondiale. Dobbiamo impegnarci personalmente e poi tutti insieme – si legge nel testo – “coordinando le nostre forze e iniziative, rispettando le reciproche competenze ed esperienze, non discriminando, ma piuttosto accogliendo”

da Istanbul, Il servizio di Francesca Sabatinelli:

 

http://media02.radiovaticana.va/audio/audio2/mp3/00531706.mp3

Questo summit, per Francesco “è un’occasione per dare una svolta alle vite di milioni di persone che necessitano protezione, cura e assistenza, e che cercano un futuro dignitoso”. L’auspicio che il Papa rivolge all’assemblea è quindi quello che da questo summit possano arrivare risultati che possano “realmente contribuire ad alleviare le sofferenze di questi milioni di persone”, frutti che “possano essere dimostrati attraverso una solidarietà sincera e un vero e profondo rispetto per i diritti e per la dignità di coloro che soffrono a causa dei conflitti, della violenza, della persecuzione, e dei disastri naturali”. Le vittime, scrive il Papa, sono le persone più vulnerabili, chi vive in condizioni “di miseria e di sfruttamento”
No al “mercato” degli aiuti
Le soluzione dei conflitti oggi sono impedite da troppi interessi, le strategie militari, economiche e geopolitiche costringono le persone a spostarsi, “imponendo il dio denaro, il dio del potere”. Allo stesso tempo – stigmatizza Francesco – gli sforzi umanitari sono spesso condizionati da vincoli commerciali e ideologici. Occorre quindi “un impegno rinnovato per proteggere ogni persona nella sua vita quotidiana e per proteggerne la dignità e i diritti umani, la sicurezza e i bisogni globali”.
Nessuno resti indietro
Al tempo stesso è necessario preservare la libertà e l’identità sociale e culturale dei popoli, senza che ciò ne comporti l’isolamento, ma che al contrario favorisca cooperazione, dialogo e soprattutto pace. “Non lasciare nessuno indietro” e “fare ognuno del suo meglio” (alcuni obiettivi del Summit – ndr) sono esigenze che chiedono che non ci si arrenda, e che tutti noi ci si assuma la responsabilità delle nostre decisioni e azioni riguardanti le stesse vittime.
Conoscere chi si prende cura della società
Francesco si augura quindi che il Summit possa anche essere l’occasione per riconoscere il lavoro di chi aiuta il prossimo, il proprio vicino, di chi contribuisce alla consolazione delle sofferenze delle vittime di guerre e calamità, degli sfollati e dei rifugiati, di chi si prende cura della società, in particolare attraverso scelte coraggiose in favore della pace, del rispetto , della guarigione e del perdono. E’ così, dice il Papa, che si salvano vite umane.
Non amiamo le idee, ma le persone
“Nessuno ama un concetto, nessuno ama un’idea, noi amiamo le persone. Il sacrificio di sé, vero dono di sé, scaturisce dall’amore verso gli uomini e le donne, verso i bambini e gli anziani , i popoli e le comunità… facce, quei volti e nomi che riempiono i nostri cuori”. Da Francesco parte quindi quella che lui stesso definisce “una sfida” al Summit: ai partecipanti chiede di far “ascoltare il pianto delle vittime e di coloro che soffrono”. Di consentire loro di insegnarci una lezioni di umanità. E di consentire a tutti noi di cambiare il modo di vivere, le nostre politiche, le nostre scelte economiche, i nostri comportamenti e atteggiamenti di superiorità culturale. “Imparando dalle vittime e da coloro che soffrono – conclude il Papa – saremo in grado di costruire un mondo più umano”.

(Da Radio Vaticana)




il posto dei sacerdoti per papa Francesco

“I sacerdoti scelgano di stare con gli scartati e gli oppressi

“Siamo talora ciechi per spiritualità light e mondanità virtuale”

papa8
“Come sacerdoti, – ha detto – noi ci identifichiamo con quel popolo scartato, che il Signore salva, e ci ricordiamo che ci sono moltitudini innumerevoli di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono. Ma ricordiamo anche che ognuno di noi sa in quale misura tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il Vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate”.
“Sentiamo – ha proseguito papa Francesco – che la nostra anima se ne va assetata di spiritualità, ma non per mancanza di Acqua Viva, che beviamo solo a sorsi, ma per un eccesso di spiritualità ‘frizzanti’, di spiritualità ‘light’. Ci sentiamo anche prigionieri, non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un semplice click”.mendicante1
“Siamo oppressi, – ha proseguito – ma non da minacce e spintoni, come tanta povera gente, ma dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori”.croce
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Papa-Francesco-sacerdoti-scelgano-di-stare-con-gli-scartati-e-gli-oppressi-3c399323-03ef-429f-99d2-40c9b6c64f4d.html