Benigni e il nuovo libro di papa Francesco

Benigni presenta il libro del Papa

«Francesco sta tirando la Chiesa verso il cristianesimo»

Benigni

Esce in contemporanea in 86 Paesi il libro colloquio di papa Francesco con Andrea Tornielli. Al tavolo, per “Il nome di Dio è misericordia”, edito da Piemme, anche il cardinale Pietro Parolin, il cinese Zhang Agostino Jianqing, detenuto a Padova, il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi e il direttore della Lev monsignor Giuseppe Costa.

 

«Papa Francesco sta tirando la Chiesa con tutte le sue forze. E dove la sta tirando? La sta tirando verso il cristianesimo». Sono 26 minuti da mattatore quelli di Roberto Benigni alla presentazione del libro-intervista di papa Francesco “Il nome di Dio è misericordia”.

«Anzi, libro-colloquio», precisa padre Federico Lombardi un libro che «come ha detto lo stesso Papa Francesco ieri ricevendo la prima copia, non è letteratura, è esperienza, è vita, è la mia vita». Andrea Tornielli, il giornalista che ha “raccolto” la voce di Bergoglio, (il libro è edito da Piemme) ricorda, per dire che Francesco si inserisce in una lunga scia di predecessori, l’abbraccio di Giovanni XXIII al detenuto di Regina Coeli che gli si era buttato ai piedi al termine della storica visita che il “Papa buono” fece nel 1959 nel carcere romano.

E il cardinale di Stato, Pietro Parolin, gli rende merito di riuscire, con questo libro, a non andare in cerca di scoop – «chi è alla ricerca di rivelazioni resterà deluso», dice il segretario di Stato. Il libro ha invece il merito di «entrare nel grande e confortante mistero della misericordia di Dio».

«Solo papa Francesco», dice Benigni dopo la toccante testimonianza di Zhang Agostino, detenuto nel carcere di Padova, «poteva mettere insieme per la presentazione del suo libro un cardinale veneto, un carcerato cinese e un comico toscano».

E poi parte come un fiume in piena: «Chi ascolta la verità non è inferiore a chi la dice», sostiene citando a memoria passi del Vangelo, la guarigione della suocera di Pietro, l’episodio di Zaccheo, leggendo Bonhoeffer. Ricordando, soprattutto che «la gioia è il grande segreto del cristianesimo» e che «bisogna diffidare degli infelici». «Amare il proprio nemico è la frase più alta della storia dell’umanità», precisa ancora. Aggiungendo: «La misericordia non non è una virtù seduta in poltrona, non sta ferma un secondo ma va incontro ai poveri e ai peccatori».

Dunque, precisa, la misericordia è virtù esigente, attiva, non buonismo, non pietà o compassione. Ed è virtù che si incontra nel dolore, nella sofferenza, tra gli ultimi. Sottolinea che il Papa attinge a piene mani la misericordia da queste riserve, la attinge andando a Lampedusa, aprendo la prima porta santa a Bangui, visitando carceri, ascoltando gli ultimi. Perché il papa sa che «il dolore è più forte del male» e che «fra l’uomo e Dio non ci può essere collaborazione nella grazia se prima non c’è stato incontro nel dolore». E da questo dolore che tutto rinasce che tutto si trasforma, che tutto si perdona.
 

 

il biblista Maggi applaude Benigni

dopo la lettura di Benigni i 10 comandamenti non sono più gli stessi

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su Rai1 trionfo d’ascolti per il comico toscano. Su IlLibraio.it l’analisi di Alberto Maggi, studioso di temi biblici, oltre che autore di “Chi non muore si rivede”: “Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori, sia i reazionari, sia i progressisti…”

di Alberto Maggi

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Dopo la lettura di Benigni i comandamenti non sono più gli stessi. Chi potrà mai dimenticare che il comandamento “Non rubare”, Dio l’ha scritto direttamente nella lingua italiana, in quanto insegnamento esclusivo per la corrotta Italia! Forse se la Chiesa avesse insistito meno sul sesso (tema ignorato da Gesù nel suo insegnamento) e più sul peccato di corruzione, sull’avidità, sull’ingordigia – atteggiamenti denunciati con forza da Gesù in quanto ritenuti la causa di ogni ingiustizia umana – la società sarebbe differente. E si spera che la Chiesa cattolica di Papa Francesco cancelli definitivamente dal Catechismo della Chiesa l’infelice articolo nel quale si legittima la pena di morte. In uno dei momenti più alti di tutto il programma, l’attore, con i tratti del volto tesi, ha infatti denunciato una società omicida che sopprime solo per legittimare i propri interessi e mai per giustizia.

Alla fine comunque Roberto Benigni è riuscito a scontentare tutti, sia i conservatori reazionari (come si è permesso ridicolizzare l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità?) sia i progressisti, sempre con la puzza sotto il naso, che hanno trovato non abbastanza provocatoria l’interpretazione che ha dato dei comandamenti di Mosè. Eppure nella prima serata i tradizionalisti avevano esultato vedendo con quale enfasi, quasi da telepredicatore pentecostale, Benigni aveva presentato i primi tre comandamenti, quelli esclusivi del popolo di Israele, centrati sull’unicità di Dio. Ma poi Benigni ha rovinato tutto ieri sera, denunciando il crimine di una Chiesa sessuofoba che ha manipolato la stessa parola di Dio e trasformato il comandamento “Non commettere adulterio” in “Non commettere atti impuri”, rovinando così generazioni di adolescenti che si sono sentiti colpevolizzati per quelli che erano solo fenomeni dovuti all’esuberanza di ormoni in circolo.

Ma da vero genio dello spettacolo, l’asso nella manica Roberto l’ha tirato fuori proprio verso la fine della seconda serata. Dopo aver presentato in maniera teologicamente corretta e profonda i comandamenti, e la figura di Mosè e del Dio d’Israele, accentuando e magnificandone le luci e tacendo o sorvolando sulle ombre (secondo la Bibbia ha ammazzato più ebrei Mosè per liberarli dalla schiavitù egiziana che il faraone per trattenerli), il grande attore, con nonchalance, ha assestato il colpo basso. Roberto Benigni ha raccontato infatti, come Gesù interrogato da uno degli scribi – i teologi ufficiali dell’istituzione religiosa – su quale fosse il comandamento più importante, nella sua risposta abbia ignorato provocatoriamente le tavole di Mosè, e si sia rifatto all’“Ascolta Israele”, il “Credo” che gli ebrei recitavano due volte il giorno: “Il più importante è “Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. La domanda dello scriba concerneva un solo comandamento, il più importante. Ma secondo Gesù l’amore per Dio non è completo se non si traduce in amore per il prossimo, e per questo aggiunge alla sua risposta un precetto contenuto nel libro del Levitico: “E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi”.

La disinvoltura di Gesù verso i comandamenti di Mosè è infatti a dir poco sconcertante. Quando l’uomo ricco gli chiese quali comandamenti osservare per ottenere la vita eterna, Gesù nella sua risposta omise quelli che riguardavano gli obblighi verso Dio e gli elencò solo i doveri verso gli uomini. Per Gesù non sono indispensabili per la salvezza i tre comandamenti esclusivi di Israele, la cui osservanza garantiva a questa nazione lo “status” di popolo eletto: Cristo ha preferito ribadire il valore di cinque essenziali comandamenti validi per ogni uomo, ebreo o pagano, credente o no, che riguardano basilari atteggiamenti di giustizia nei confronti del prossimo: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e la madre”.

“Con dieci parole fu creato il mondo” (Pirqé Aboth 5,1), insegnava la teologica ebraica con riferimento al¬le dieci parole di Esodo 34,28: “Scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole”. L’evangelista Giovanni nel prologo al suo vangelo non è d’accordo. Prima ancora della creazione del mondo c’era il Logos, un’unica Parola in base alla quale tutto fu creato (“In principio era la Parola”, Gv 1,1), una sola Parola che si formulerà nell’unico comandamento che Gesù lascerà ai suoi: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Con Gesù il credente non è più colui che ubbidisce a Dio osservando le sue Leggi, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore uguale a quello che del Padre è proprio.

 

L’AUTORE – Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» (www.studibiblici.it) a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ in libreria con Garzanti
Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita

 

 

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