invasione? per uno sguardo meno allarmistico

l’invasione immaginaria

lo scorso anno sono sbarcati in Italia 170 mila migranti (lo 0,28% della popolazione italiana). quest’anno sono sbarcate circa 103 mila persone (0,17%) un migliaio in meno rispetto allo stesso periodo 2014

alessandro bechini *
d’estate l’immigrazione si prende il centro dell’attualità mediatica. Purtroppo non tanto come utile e proficua discussione sociologica, ma in quanto generico allarme per una Invasione che, anno dopo anno, sembra sempre più imminente e inevitabile. Il risultato è che un battaglione di politici e giornalisti riaprono una immaginaria Fortezza Bastiani e prendono a scrutare l’Orizzonte, in attesa di un’epica invasione dell’Europa da parte dei discendenti del terribile Saladino.  

Chi tuttavia scegliesse di guardare i freddi numeri senza pregiudizi o preconcetti, farebbe fatica a capire le ragioni dell’allarme. Lo scorso anno sono infatti sbarcati in Italia 170 mila migranti (pari allo 0,28% della popolazione italiana). Quest’anno (1 gennaio – 15 agosto) sono sbarcate circa 103.000 persone (lo 0,17% della popolazione italiana), un migliaio in meno rispetto allo stesso periodo 2014. Molti di loro utilizzano l’Italia come un molo di sbarco, scendono e proseguono verso altri lidi. Gli “invasori” che attualmente sono rimasti nel nostro sistema di accoglienza sono 89.083 (lo 0,14% della popolazione italiana). Possono numeri come questi giustificare il termine Invasione usato da media e alcune forze politiche con quotidiana disinvoltura?    

È difficile dire sì, mentre è più facile riconoscere che, da molto tempo, la politica ha smesso di analizzare i fatti con i dati, per alimentare (deformandola) la percezione della realtà da parte dei cittadini, con la conseguenza che fenomeni complessi e di difficile gestione come i flussi migratori diventano una minaccia per la nostra civiltà, un attentato al nostro benessere e un rischio per la nostra sicurezza. Anzi, peggio, sono un “genocidio della nostra cultura”, se non addirittura della nostra “razza”.   

Ma se il livello del dibattito politico/mediatico si rivela inadeguato e strumentale, cosa può fare una organizzazione della società civile, per arginare il suo continuo avvitarsi verso il basso, sfidando ogni volta le leggi della gravità e del buon senso, ed eventualmente invertirne la rotta? Forse si deve provare a partire dal racconto di una storia diversa. I fenomeni migratori sono processi naturali sempre esistiti, e da sempre hanno alimentato la diffidenza verso lo straniero, spesso a torto. A quelli che immaginano muri o blocchi navali, andrebbe ricordato che in realtà siamo di fronte alla terza dimensione della globalizzazione. Dopo la libera circolazione di capitali e merci, adesso è il momento di affrontare quello di intere porzioni di umanità, che fuggono da guerre e indicibili livelli di povertà.    

Davvero vogliamo e possiamo permettere che il livello di benessere di ogni essere umano debba essere irrimediabilmente deciso dal luogo di nascita? Forse bisogna accettare che ciascuno possa ambire ad una vita migliore anche scegliendo un Paese diverso da quello di nascita dove costruire il proprio futuro. E poi va aggiunto che gli immigrati possono diventare una straordinaria opportunità per la crescita del nostro paese, che senza l’apporto dei nuovi cittadini, ormai da un decennio, avrebbe un saldo negativo tra morti e nuovi nati. Certo un paese che invecchia è portato, quasi naturalmente, a chiudersi in sé stesso, a difendersi invece che a scommettere sul futuro. Eppure l’8% delle nostre imprese è gestito da immigrati. E creano lavoro anche per gli italiani. Il sistema pensionistico, gravato da uno squilibrio in termini di rapporto tra anziani e forza lavoro (se limitata agli italiani) ha nei contributi versati dei cittadini stranieri un’àncora di salvezza formidabile. Anche alla luce di queste considerazioni, dovremmo rapidamente ripensare la maniera sbrigativa con la quale dividiamo i migranti tra economici e non.   

Quello che serve davvero è un nuovo quadro normativo sull’immigrazione. La legge Bossi/Fini asseconda l’idea che l’immigrato sia sostanzialmente un invasore e pone una miriade di ostacoli a quei percorsi di integrazione che trasformano gli immigrati da problema in risorsa. Chiediamo disperatamente da anni di migliorare il sistema di accoglienza: non è accettabile che servano 8 mesi per il primo colloquio con la Commissione che deve stabilire se il migrante ha diritto allo status di rifugiato e che ne trascorrano altri 12 per discutere l’eventuale ricorso a fronte di una decisione avversa rispetto al primo colloquio. Il collasso del nostro sistema di accoglienza è in gran parte determinato da queste tempistiche.   

È uno spreco che i richiedenti asilo in attesa che sia valutato il loro status, non possano lavorare per i primi 6 mesi dal loro arrivo o svolgere attività di volontariato per la comunità che li accoglie, senza sottostare alla giungla di assicurazioni, permessi ecc., tipica della nostra burocrazia. È così difficile estendere le assicurazioni per i lavoratori socialmente utili anche ai richiedenti asilo? Sono loro che chiedono di lavorare e sentirsi utili, mentre devono restare confinati in un limbo senza senso.    

Non si può pensare di fermare i flussi migratori se non si creano nei paesi di origine condizioni di dignità minima dei migranti. Siria, Libia e Somalia sono stati falliti, inesistenti. Chi oggi li vuole aiutare a casa loro, può forse spiegarci perché quando era al governo ha azzerato i fondi per la Cooperazione alla Sviluppo che ha come mandato quello di creare un maggior benessere nei Paesi più poveri. Come si può pensare che le persone non vogliano fuggire da lì, per cercare un futuro migliore per sé e per i propri figli? L’Europa dei diritti non può diventare una Fortezza senz’anima. Eppure tutti sanno che le società che si chiudono sono quelle destinate alla decadenza e alla capitolazione. Dall’Impero Romano fino ai giorni nostri.  

Come società civile dobbiamo batterci perché i diritti di tutti vengano rispettati. Possiamo però fare di più in questa nuova narrativa: dobbiamo raccontare come le società aperte siano quelle, dati alla mano, che hanno avuto e hanno un maggiore sviluppo sociale ed economico e che in questa chiave anche gli immigrati sono stati e sono una risorsa essenziale. La Germania si prepara a inserire nel proprio sistema di accoglienza 700.000 richiedenti asilo e noi assistiamo a risse televisive continue per un numero che è quasi dieci volte inferiore.   

La vera sfida non può essere quella di combattere in maniera più efficace un’immaginaria invasione o lo spettro del nemico alle porte, ma quella tra una società chiusa e impaurita che non crede più nel proprio futuro e una che invece vuole crescere, assumendosi i giusti rischi e sfruttando le opportunità che le si presentano davanti. In attesa di convincere gli ultimi irriducibili ad abbandonare la Fortezza Bastiani dei nostri giorni.   

*Direttore di Oxfam