un vero miracolo: sulla tomba di Moro la figlia abbraccia i brigatisti assassini

preghiera sulla tomba di Moro

 quegli  incontri tra terroristi e  vittime

Moro

di Giovanni Bianconi
in “Corriere della Sera”  

 è accaduto più di tre anni fa, domenica 17 giugno 2012. Nel piccolo cimitero di Torrita Tiberina, 60 chilometri a nord di Roma, un gruppo di persone si ritrova davanti alla tomba di Aldo Moro, il presidente della Democrazia cristiana assassinato dalle Brigate rosse nel 1978. Recitano un Padre nostro, poi ognuno si raccoglie nei propri pensieri. Tra loro c’è la figlia dello statista, Agnese Moro, e altri familiari di vittime del terrorismo, rosso e nero. E ci sono tre ex brigatisti: due killer della strage di via Fani, in cui cinque agenti di scorta furono sterminati per rapire il leader dc, e la «postina» dei comunicati br. Sulla tomba del padre, Agnese Moro li abbraccia

Un miracolo per i credenti; una scena impensabile nei giorni dell’odio e del piombo, trentaquattro anni prima. Resa possibile da un cammino cominciato nel 2000, lungo il quale alcuni ex esponenti della lotta armata e parenti dei caduti sono arrivati a incontrarsi, dialogare e scambiarsi esperienze, ricordi e sensazioni. Che fondendosi hanno generato una «condivisione di memorie»; non più «congelate e fissate sul dolore subìto», bensì utili a rileggere il senso di fatti tremendi e incancellabili. Senza sconti per i colpevoli che hanno pagato il debito con la giustizia. Prima di scrivere agli ex terroristi, Agnese Moro ha ripreso in mano le pagine crude e terribili dell’autopsia effettuata sul cadavere del papà, che dava conto dell’agonia prima della morte: «Dopo questa lettura sono stata davvero sicura di non aver annacquato nulla; che il mio cammino verso di voi, come il vostro verso di noi, è stato fatto senza semplificare e senza mettere niente tra parentesi», ha chiarito. Parole che insieme a molte altre compongono ora un corposo volume, Il libro dell’incontro , nel quale si dà conto, tappa dopo tappa, del percorso compiuto. Non solo le vittime e «gli ex», ma anche mediatori e testimoni, coordinati dal gesuita Guido Bertagna, e dai docenti di Criminologia Adolfo Ceretti e di Diritto penale Claudia Mazzuccato; tutti esperti di problemi della detenzione, reinserimento sociale, «giustizia riparativa». Accompagnati, finché è stato in vita, dal cardinale Carlo Maria Martini, che guardava al passato per affrontare il futuro: «Ora c’è molta paura, degli immigrati, degli islamici… paura del disordine, ma il disordine esprime anche qualcosa, va ascoltato. La vostra iniziativa dovrebbe poter smuovere la società». Ci sono saggi che aiutano a comprendere il senso di un cammino compiuto in segreto, per proteggere i protagonisti da timori o condizionamenti. E soprattutto ci sono le voci delle vittime e dei carnefici, che più di ogni ragionamento danno conto del «miracolo». «Questo non è un gruppo di autocoscienza, è la storia del nostro Paese», rivendica uno. Anche se la verità su troppi passaggi (dalle stragi al caso Moro) è ancora incompleta. In questi incontri, però, gli obiettivi erano altri: «Il nostro prodigio è che si siano incontrati gli esseri umani, al di là di una storia che piomba come un avvoltoio sulle vite di noi tutti». Un ex militante dei gruppi armati spiega che guardare in faccia le vittime cancella ogni residuo di «velleità giustificatoria» rispetto alle scelte del passato. Le persone assassinate, degradate dai terroristi a simboli, riacquistano la loro umanità attraverso il contatto degli assassini con i familiari; e così gli assassini che se n’erano spogliati per uccidere. «Sinceramente vi ho odiato con tutto me stesso», racconta Giovanni Ricci, figlio dell’autista di Aldo Moro ammazzato in via Fani. «Poi sono cresciuto… convinto più che mai che dovevo confrontarmi con quel mostro. Ho scelto di doverlo combattere. Di doverlo affrontare. Di dover vivere di nuovo». Giorgio Bazzega aveva due anni e mezzo quando suo padre, il maresciallo Sergio Bazzega, morì fulminato dai colpi del giovane brigatista Walter Alasia, poi ucciso nel conflitto a fuoco (1976). Oggi racconta i propositi di vendetta su Renato Curcio, «che aveva indottrinato Alasia». Quando il fondatore delle Br fu scarcerato, a quasi vent’anni dall’omicidio del papà, la voglia di ritorsione aumentò, finché Giorgio ha cominciato a nutrire sentimenti diversi. E alla fine Curcio l’ha incontrato, in un dibattito pubblico. S’è presentato: «Quando lui ha capito chi ero si è spaventato.
Ma forte. In quel momento, con quella sua reazione mi sono sentito libero dal mio odio. Gli ho dato una pacca sulle spalle e ho detto: “Stai tranquillo… volevo solo che mi guardavi in faccia, fine”». Uno come Manlio Milani, che vide esplodere la giovane moglie nella strage di piazza della Loggia a Brescia (1974), sostiene che è utile ascoltare i colpevoli non certo per condividerne le ragioni, bensì «per comprendere quelle atrocità, e non restare chiusi nella logica del rancore e della rivalsa». Lina Evangelista, moglie di un poliziotto assassinato dai neofascisti dei Nar nel 1980, rivela: «Perdonare non significa dimenticare il passato, si ricorda tutto, ma in modo diverso»; e dopo aver incontrato gli assassini del marito confida: «I mostri si sono rivelati tutt’altro». Il libro dell’incontro nasce dalla decisione di condividere con il mondo esterno un’esperienza ricca e straordinaria, non tanto di «riconciliazione» quanto di «ricomposizione» delle fratture e dei dissidi che hanno seguito il conflitto di quaranta o trent’anni fa. Per continuare a scrivere una storia che non riguarda solo le vittime e i colpevoli, ma l’intera società. Senza più alibi per nessuno. «Mettere insieme le memorie significa poter chiedere apertamente allo Stato di rendersi più trasparente»; anche per tentare di arrivare a quei frammenti verità che ancora non ci sono.

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