pregare per la pace? come pregare

quale preghiera per la pace nel tempo della guerra in Ucraina?

di Jacques Musset*  

in “www.garriguesetsentiers.org” dell’11 marzo 2022 (traduzione: www.finesettimana.org)

Se Dio è presente nel più intimo dell’essere e se nel segreto della coscienza ispira il desiderio del vero, allora la sola preghiera di richiesta che valga non è più quella di sollecitare Dio ad intervenire, ma di chiedere a noi stessi, personalmente e come comunità, di essere disponibili alle richieste che salgono in noi dal più profondo quando ci preoccupiamo sinceramente di vivere secondo lo spirito che animava Gesù.

Immagino che attualmente, nel corso delle messe e dei culti domenicali in tutte le chiese e i templi cristiani del mondo siano formulate preghiere di intercessione per la pace in Ucraina. E che esse, almeno nelle chiese cattoliche, siano espresse nello stile abituale, in forma di richieste a Dio in termini più o meno simili a questi: “Perché cessi la guerra in Ucraina e venga una pace giusta in quel paese provato, preghiamo il Signore”, “Perché gli autori di questa guerra ingiusta prendano coscienza della loro ingiustizia e cessino i combattimenti, preghiamo il Signore”, “Perché le vittime di questa guerra siano sostenute, aiutate, confortate, preghiamo il Signore”, “Dio, pare di tutti gli uomini, ti preghiamo di cambiare il cuore di coloro che opprimono il popolo ucraino”, “Vieni in aiuto alle vittime e a coloro che soffrono crudelmente per questa guerra”, o ancora “Stimola la generosità dei paesi in pace affinché vengano in aiuto al governo e alle popolazioni rimaste sul posto o in fuga dalla guerra”…
Perché queste richieste sono inaccettabili per un cristiano del XXI secolo immerso nella cultura moderna? In che cosa possono screditare il cristianesimo agli occhi degli agnostici e degli atei a causa dell’immagine di “Dio” e dell’uomo che esse veicolano?
Una prima ragione è che danno di “Dio” una rappresentazione di onnipotenza senza limiti, arbitraria, un “Dio” che, per intervenire, avrebbe bisogno che ci si metta in ginocchio davanti a lui per gridare la propria miseria o urlargli i propri desideri più ardenti. Che cosa è mai questa divinità che si nutrirebbe per anni e per secoli di preghiere incessanti per degnarsi di distribuire i propri favori? Immagine meschina del Dio cristiano, più vicina alle divinità di un tempo di cui si immaginava che il potere fosse efficace in rapporto a preghiere interminabili e riti sofisticati. Che cosa è questo Dio di cui si proclama che è amore e che godrebbe nel farsi pregare per spargere le sue bontà, come se fosse sordo e lontano?
Ma c’è di più: anche la rappresentazione dell’uomo è in gioco in questo atteggiamento. Questo comportamento di supplica manifesta una innegabile dimissione di responsabilità da parte di coloro che lo professano. L’oggetto di queste richieste designa in realtà dei compiti che ognuno dei credenti e degli esseri umani deve svolgere proprio in quanto essere umano. Infatti, chi può offrire conforto a coloro che soffrono? Altri esseri umani. Chi deve creare condizioni di pace tra le persone e i popoli? Ogni cittadino a titolo personale e coloro che sono eletti per svolgere questo compito.
Chi deve fare in modo che le persone mangino a sufficienza in certi paesi in cui regna carestia endemica? Gli abitanti stessi di quei paesi, aiutati dal sostegno e la solidarietà disinteressata di quelli più ricchi. E queste responsabilità devono suscitare iniziative concrete, se no si rimane a livello di pii desideri che lasciano perdurare le peggiori ingiustizie. Come migliorare il proprio comportamento portato alla rabbia o all’egocentrismo, come sviluppare il proprio senso critico? Lo si fa in prima persona, lavorando man mano su se stessi. Potremmo moltiplicare gli esempi di richieste a “Dio” che in realtà dipendono dalla responsabilità umana. Questo modo di procedere non fa crescere né Dio né l’uomo.
Sento l’obiezione: nella Bibbia, in particolare nei Salmi, e nel Vangelo, non si raccomanda forse ai credenti di invocare “Dio” in aiuto? “Chiedete e vi sarà dato”, dice Gesù. Il Padre Nostro che ha insegnato è un’urgente preghiera di richiesta. Che cosa rispondere? In primo luogo, il forte monito di Gesù contro la ripetizione di formule che sarebbero efficaci di per se stesse. Proprio Gesù ci ricorda che Dio non ha bisogno delle preghiere per essere presente agli uomini e ai loro bisogni (Mt6,5-8). E insiste: “Non chiunque dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21).
Inoltre, queste affermazioni devono essere collocate nel loro contesto storico e culturale. Per gli autori dei salmi, come per Gesù, “Dio” è una realtà trascendente, che abita il cielo ed è capace di operare miracoli dove l’uomo constata la propria impotenza. Per questo invitano a gridare verso di lui per sollecitare il suo intervento, anche se si è comunque sicuri della sua fedele presenza. Con il progresso delle cosiddette scienze esatte e la “liberazione” delle scienze umane in seguito alle critiche dell’Illuminismo, l’ambito nel quale fino a quel momento Dio regnava da essere supremo si è praticamente ristretto e secolarizzato. Non c’è più bisogno oggi di far intervenire Dio nella spiegazione e nella gestione della natura, nella comprensione della psicologia dell’essere umano, dei suoi comportamenti e delle sue malattie, nella comprensione delle leggi di cui ogni società ha bisogno per vivere in un certo equilibrio tra le forze centrifughe che la compongono… Gli uomini hanno acquisito un’autonomia nella conduzione della loro esistenza personale e sociale.
Una preghiera rispettosa di Dio e di noi stessi

Che cosa diventa allora “Dio”? È forse un epifenomeno che non ha più la sua ragion d’esser dopo essere stato spogliato delle sue prerogative tradizionali, oppure può designare per i credenti una realtà misteriosamente presente nel più intimo di ogni essere umano, lì dove nasce il meglio di sé: e cioè ciò che ha a che fare con il dono, con l’arte, con l’interiorità, con la conoscenza di sé, col rifiuto dell’inaccettabile, con il consenso e l’appropriazione di ciò che è. È ciò che esprimono i mistici di tutti i tempi e di tutte le tradizioni spirituali.
Quelle persone, che vivono ad un livello di estrema profondità del proprio essere, sperimentano, toccano, così dicono, una realtà che senza essere loro stessi è inseparabilmente legata a loro.
L’esperienza di questi superamenti è comune a tutti gli esseri umani che cercano di non barare con le richieste interiori a loro rivolte, ciò non significa che vi possiamo leggere la traccia di Dio. Se è legittimo chiamare “Dio”, in mancanza di altre parole, ciò che è al cuore di ogni spinta interiore ad umanizzarsi incessantemente in ogni dimensione, allora il modo di porsi nei confronti di questa fonte misteriosa non può più esprimersi come un tempo, quando Dio era concepito come esterno a sé e onnipotente in tutti gli ambiti.
Quale è dunque la preghiera di richiesta possibile che sia degna di “Dio” e dell’uomo? Ciò che rimane comune con il modo di esprimersi di un tempo, è la necessità del raccoglimento. Che, del resto, è una necessità per ogni uomo che non voglia vivere la propria esistenza come un sonnambulo o come una banderuola. Dedicare del tempo al silenzio, indipendentemente dal luogo e dalla maniera, è una condizione indispensabile per essere presenti a se stessi e al proprio mistero.
Ma allora, la preghiera cristiana di richiesta, personale o collettiva, come può esprimersi in maniera autentica? Se Dio è presente nel più intimo dell’essere e fa continuamente, se così si può dire, il suo lavoro di Dio, che è quello di ispirare nel segreto delle coscienze, senza teleguidarle, il gusto e il desiderio del vero, allora la sola preghiera di richiesta che valga non è più quella di sollecitare Dio ad intervenire, ma di chiedere a noi stessi, personalmente e come comunità, di essere disponibili ai moti, alle richieste, agli incitamenti (indipendentemente dalle parole) che salgono in noi dal più profondo quando ci preoccupiamo di vivere, senza ingannare noi stessi e gli altri, secondo lo spirito che animava Gesù.
Come è possibile farlo? Cambiando il modo di esprimerci. Se è vero che si finisce per pensare come si parla, allora, parliamo secondo verità affinché le nostre parole siano stimolanti individualmente e collettivamente e non rimangano solo facili e generose formule magiche senza presa sulla realtà. In questo modo, davanti a “Dio” (riconosciuto come Sorgente, Soffio interiore), i cristiani si comporteranno da adulti e non da esseri infantili.
Tentiamo di dire, nel contesto attuale, quale potrebbe essere una preghiera rispettosa di Dio e di noi stessi: “Davanti a te o Dio, diciamo ciò a cui ci impegnano il messaggio e il comportamento di Gesù, nel momento in cui l’Ucraina è vittima di una guerra ingiusta e distruttrice che fa moltissimi morti, che fa sprofondare i suoi abitanti nell’insicurezza e li costringe a fuggire dal loro paese in uno stato precario. Che ognuno di noi, secondo i propri mezzi, partecipi alle azioni intraprese per aiutare i rifugiati e anche coloro che rimangono sul posto; per dimostrare pubblicamente il nostro sostegno agli ucraini e la nostra condanna dell’aggressione che subiscono; per accogliere e accompagnare i rifugiati nella nostra regione”.
* Jacques Musset è un biblista francese, nato nel 1936. È stato cappellano di liceo, animatore di gruppi biblici e formatore nell’accompagnamento dei malati in ambito ospedaliero. Ex presbitero, sposato, ha scritto diversi libri sul suo itinerario spirituale. Anima incontri dell’Associazione culturale degli amici di Marcel Légaut.