‘misericordia’ non è ‘fare la carità’

Il valore profetico della misericordia (di J. Moltmann)

Vi sono strutture della misericordia? Finora abbiamo considerato la misericordia, secondo il suo contenuto letterale, solo nella pietà personale e spontanea verso i bisognosi. Ma la misericordia funziona solo nell’ambito personale? Il vescovo brasiliano dom Hélder Câmara una volta ha detto: «Quando provavo pietà per i poveri, mi si lodava e mi si chiamava santo. Quando chiedevo pubblicamente perché i poveri sono tali, mi si insultava e mi si chiamava comunista». Se vi sono leggi inumane e strutture asociali, vi sono anche leggi umanamente giuste e strutture socialmente eque. Dunque vi sono anche strutture misericordiose o meno.

Le prime comunità cristiane non affrontavano la povertà solo individualmente come il “samaritano misericordioso”; praticavano la nota comunione dei beni protocristiana che ancora oggi vige negli ordini cristiani dei monaci e delle suore: «Non c’era infatti tra loro alcun bisognoso» (Atti, 4, 34). La comunità originaria di Gerusalemme aveva ordinato persino «sette assistenti ai poveri» (Atti, 6, 3) che si prendevano cura di vedove e orfani privi di diritti e indifesi. A quanto pare alcune comunità si prendevano cura non solo dei propri poveri, ma — come constatavano i contemporanei ammirati — anche di vedove e orfani dell’intera città. In entrambi gli istituti riconosciamo le radici cristiane della solidarietà.

La solidarietà qui si può riconoscere come fedeltà comunitaria: non lasciamo che nessuno cada, ma ci preoccupiamo di tutti quelli che appartengono a noi. Ma vediamo anche una solidarietà aperta verso tutti i miseri della città o della società. Di fronte alle chiese medievali sedevano sempre molti mendicanti in modo che i pii fedeli potessero esercitare verso di loro le buone opere di misericordia e raccogliere per sé un tesoro nei cieli. Certo, nelle società medioevali vi erano anche fratellanze per compiere le sette opere di misericordia. Anche se gli uomini oggi non credono più nei cieli, si sentono “bene” quando sono “benevoli” e fanno offerte alla Caritas. Dalla Riforma non vi sono più mendicanti di fronte alle chiese evangeliche. I cristiani protestanti non sono allora più misericordiosi perché credono alla giustificazione solo per fede e non mediante opere buone? No. La Riforma è stata nelle città una riforma non solo della Chiesa, ma anche della società. A partire dalla Riforma i diaconi hanno assunto il compito dell’assistenza ai poveri e ai malati, preparando in questo modo per la società la via verso lo Stato sociale.

La legislazione sociale di Bismarck era orientata al modello Erbenfeld, creato dalla comunità olandese-riformata. Il barone von der Heydt è stato il mediatore di questi primi inizi di Stato sociale in Germania. Max Weber ha certo enunciato la tesi per cui il calvinismo avrebbe ispirato il capitalismo, ma ciò è storicamente falso. Si potrebbe dire ugualmente che il calvinismo abbia ispirato attraverso il diaconato il socialismo e attraverso l’ordinamento ecclesiale presbiteriano-sinodale la democrazia. La pietà personale porta logicamente verso strutture di misericordia. Entrambe le Chiese nel corso del XIX secolo hanno sostenuto nei territori tedeschi il movimento cooperativo e fondato esse stesse molte cooperative in campagna e in città per combattere povertà e disoccupazione. Se ci si unisce autonomamente in cooperative, si diventa forti.

L’alternativa alla povertà non è la ricchezza, l’alternativa a povertà e ricchezza è la comunità. Quando sentiamo la parola misericordia, pensiamo solitamente all’uomo misericordioso, non all’uomo misero. Come si sentono i poveri che sono rimessi ai buoni doni dell’uomo misericordioso? Come si sentono i disoccupati e senzatetto che dipendono dalle mense e da un luogo caldo nelle chiese? Se la misericordia viene dall’alto verso il basso, essi si sentono doppiamente umiliati. Dare è un bene, accettare è più difficile. Per questo appartiene alla pietà sempre anche il riconoscimento della dignità dell’uomo e il rispetto di fronte all’amore di sé del bisognoso. L’aiuto migliore è “aiutare ad aiutarsi”. L’«opzione primaria per i poveri» latino-americana (Medellin 1968) è buona per coloro che non sono poveri e non è dunque un’«opzione dei poveri». Infatti i poveri non hanno optato per la povertà, ne sono prigionieri e cercano una via per uscire dalla povertà verso una vita buona e in comune. I poveri sono tali solo in confronto ai ricchi, non lo sono in sé e sotto altri aspetti; essi hanno doti ed energie proprie che vogliono essere risvegliate e mobilitate. I poveri non vogliono — come tutti noi — essere richiamati a ciò che non hanno, ma essere riconosciuti in ciò che sono. Per questo hanno bisogno non solo di misericordia, ma anche di solidarietà umana, e la sperimentano in una comunità umana solidale.

Cos’è e come funziona una comunità umana solidale? La misericordia viene dal cuore ed è — come mostra la parabola del buon samaritano — personale, spontanea e momentanea. La solidarietà è invece senso civico e fedeltà comunitaria ed è sociale, istituzionale e duratura. In una comunità solidale vi è la partecipazione pubblica di tutti e la suddivisione del bene comune per ciascuno. Fiducia e affidabilità, diritti e doveri qualificano la vita. Il modello cristiano non è nel samaritano misericordioso, ma nella comunione dei beni protocristiana. Il moderno Stato sociale europeo è una conseguenza della solidarietà organizzata tra forti e deboli, sani e malati, giovani e anziani. Lo Stato sociale trasforma i poveri, i malati, gli anziani da oggetti di pietà a soggetti di diritti ed esigenze: l’assicurazione sociale, l’assicurazione previdenziale, le pensioni di anzianità. Tutto ciò è qualcosa di più che «misericordia strutturale» (Wolfgang Thierse); è fondato sugli universali diritti umani e civili ed è piuttosto solidarietà strutturale.

Lo Stato moderno di diritto non si occupa solo di coloro i quali sono «incappati nei briganti», si sforza anche di eliminare rapine e omicidi e di socializzare i briganti. E se il moderno Stato sociale diventa anche ecologico, può dare forma a misericordia e solidarietà con animali e piante e con la terra intera. Quanto più vengono utilizzate energie rinnovabili e l’industria si converte da waste-making industry in recycling industry, tanto meglio sarà per l’intero ecosistema della terra, patria di noi tutti. Diventano così superflue misericordia e pietà? No. La misericordia è l’anima della giustizia sociale. Senza una cultura della misericordia va perduta la motivazione alla base di una legislazione sociale. L’etica della pietà verso i deboli, i malati e gli anziani deve essere oggi difesa contro la freddezza sociale del neoliberalismo; infatti solo un’etica universale della pietà può giustificare le leggi sociali e non solo deplorare individualmente l’omissione di soccorso, ma anche punirla. Anche negli Stati sociali la misericordia personale è necessaria. La Caritas nella Chiesa cattolica e il Diakonische Werk in quella protestante sono irrinunciabili in Germania.

Anche se la rete sociale dell’assistenza statale intercetta i bisogni più acuti, vi sono molti disoccupati e senzatetto, malati e anziani di cui nessuno si preoccupa. Come mostra l’esperienza, le leggi sociali hanno sempre delle falle perché la vita è irregolare. Nelle agenzie sociali predomina spesso il sospetto per la frode invece del rispetto per la dignità umana dei bisognosi. La misericordia apre la comunità solidale nazionale ai perseguitati e ai profughi, per quanto sia possibile e ragionevole. Per questo Papa Francesco è stato a Lampedusa. La misericordia è, per così dire, il vertice missionario di uno Stato sociale aperto. Infine, la misericordia diventa fonte del soccorso internazionale. Ciò è ovvio in caso di catastrofi naturali, terremoti e tsunami, come anni fa ad Haiti. In caso di catastrofi politiche come in Siria e in Iraq, in occasione di guerre civili e Stati che si disgregano, invece, per la comunità degli Stati la questione è complessa. L’Onu deve intervenire in caso di genocidio. Interi popoli, gruppi etnici e singole etnie possono infatti incappare «nei briganti», come mostrano le catastrofi umanitarie in Ruanda e Burundi.

La comunità solidale e lo Stato sociale funzionano soltanto finché il mondo morale viene connotato da solidarietà e misericordia e non dall’ideologia capitalistica dell’avidità, dell’avarizia e dell’egomania. In fondo la pietà personale non è solo necessaria, ma anche buona e bella. La pietà personale è la traduzione della misericordia divina nella nostra convivenza umana. La nostra piccola pietà consacra questa vita ed è una risonanza della grande misericordia divina. La pietà personale è incondizionata e immediata nelle attenzioni verso l’altro. La pietà personale è generosa e non calcola. La pietà personale è ovvia e dimentica di sé. La pietà personale è anche nello sdegno verso l’inumanità di certe condizioni e la spietatezza degli uomini. La pietà personale è una vita felice nel vasto spazio della misericordia di Dio.

 
 
da nicodemo.net