il commento al vangelo della domenica

QUESTO TUO FRATELLO ERA MORTO ED E’ TORNATO IN VITA 

commento al vangelo della quarta domenica di quaresima (6 marzo 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc  15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è 1
tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Quello che farisei e scribi, rappresentanti dell’istituzione religiosa non hanno mai capito è che Dio, anziché preoccuparsi di essere obbedito e rispettato, è preoccupato della felicità degli esseri umani. Per cui scribi e farisei se non cambiano non potranno mai conoscere l’allegria del Padre.
E’ quanto ci esprime l’evangelista Luca nel capitolo 15, con quella che è senz’altro una delle parabole più conosciute e più amate. Quella del figlio prodigo. Vediamo.
Scrive Luca, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori. L’evangelista è tassativo, tutti. Quindi tutti coloro che vivono nel peccato hanno sentito in Gesù un tono diverso. Non più minacce, non più castighi, ma amore offerto anche per loro. Non solo amore, ma anche rispetto.
Si avvicinavano per ascoltarlo. Ebbene, la reazione consueta delle autorità religiose: i farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui…”. Notiamo che nei vangeli i capi religiosi, le autorità religiose, l’élite spirituale, evitano sempre di pronunziare il nome di Gesù, rivolgendosi a lui col massimo del disprezzo.
 “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Non solo li accoglie ma  mangia con loro; mangiare significa condivisione di vita. E poi Gesù disse loro qualcosa, ma questa parabola non è rivolta ai discepoli di Gesù, ma è rivolta a queste autorità religiose – scribi e farisei.
Ed egli disse loro questa parabola (quella conosciutissima del figliol prodigo, e la vediamo soltanto nei tratti essenziali perché è abbastanza lunga e non c’è il tempo per commentarla tutta): un uomo aveva due figli, il più giovane chiede la sua parte di eredità. Ed è importante per la comprensione del brano che il padre divise tra loro le sue sostanze.
Quindi ha dato quello che era dovuto al figlio minore, ma il doppio – secondo la legislazione ebraica – al figlio maggiore. Questo figlio più giovane se ne va, partì per un paese lontano, cioè un paese pagano e si dimostra incapace, infatti in poco tempo sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
Poi cade in disgrazia perché arriva una grande carestia. Lui che ha puntato tutto sul denaro, quando non ha più denaro, si ritrova ad essere un niente. Lui che era un padrone in casa sua, si trova ad andare sotto un padrone. Da padrone diventa servo.
L’evangelista specifica che andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, ma cade proprio nell’abiezione, perché andò a pascolare i porci. E sappiamo che il maiale è un animale impuro, quindi è il massimo del degrado. Ebbene a questo punto, preso dai morsi della fame – perché non gli davano neanche da mangiare – questo figliolo dice: : “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza …”, quindi si vede che questo padre era generoso non solo con i figli, ma anche con i suoi operai, “e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò…”
Attenzione per comprendere bene questo brano, a volte questo figliolo viene presentato come modello di conversione, di pentimento. Nulla di tutto questo. Questo è un ragazzo che ragiona sempre per il proprio interesse, e in base ai soldi. Quello che gli manca non è il padre, ma gli manca il pane. Non è il rimorso che ora lo spinge a tornare dal padre, ma il morso della fame. Quindi non c’è nessun accenno al dolore che ha recato alla sua famiglia.
“Padre, ho peccato verso il Cielo (quindi contro Dio) e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.” Quindi è decaduto dei diritti; non può essere più trattato come un figlio perché ha ricevuto la sua parte, “Trattami come uno dei tuoi salariati”.
Quindi lui non sa cosa significa la relazione di un figlio col padre, e chiede di essere trattato come uno dei servi. Si alzò e tornò da suo padre. Ribadisco che non va perché pentito, ma va per interesse. Non gli manca il padre, ma gli manca il pane.
La figura sulla quale l’evangelista ora centra la nostra attenzione è quella del padre, immagine di Dio. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide.  Quindi il padre ha rispettato la volontà del figlio ma non lo ha dimenticato, lo ha atteso.
Ebbe compassione.  Avere compassione è un’azione divina con la quale si restituisce vita a chi vita non ce l’ha. E’ la terza volta che compare nel vangelo di Luca. La prima nell’episodio della vedova di Nain, quando Gesù ebbe compassione e le resuscita il figlio, la seconda col samaritano, l’uomo che ha compassione del ferito e gli restituisce la vita.
Quindi l’azione del padre non è di risentimento, di rabbia, di offesa, ma un desiderio di restituire vita.
 Gli corse incontro. Questo è inconcepibile nella cultura medio orientale. Correre è sempre un segno di disonore, e mai una persona anziana o un genitore corre incontro al figlio, ma per il padre il desiderio di onorare il figlio è più importante del proprio onore. Il padre si disonora per onorare il figlio.
Gli si gettò al collo. Quando leggiamo il vangelo mettiamoci nei panni dei primi ascoltatori che non sapevano come andava poi a finire il racconto. Noi ci saremmo immaginati che, dopo essersi gettato al collo lo avrebbe strozzato. Questo imbecille che ha sperperato tutto e si è ridotto a fare il guardiano dei porci.
Invece ecco la sorpresa: E lo baciò. L’evangelista qui si rifà al primo grande perdono nella Bibbia, quando Esaù perdonò il fratello Giacobbe che gli aveva sottratto l’eredità. Quando Esaù si incontra con Giacobbe lo bacia. Il bacio è segno di perdono. Allora il padre, immagine di Dio, perdona il figlio prima che questo gli chieda perdono. Il figlio non si fida e attacca il suo “atto di dolore” … “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te…” Il padre non lo fa terminare.
Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello”. Il vestito era una onorificenza che conferiva dignità a una persona. Questo ragazzo, questo figlio che ha perso la sua dignità, ora ritorna nello splendore della sua dignità. Ma quello che più sorprende è il seguito.
“Mettetegli l’anello al dito”. L’anello non è un qualcosa che addobba, un gingilletto. Ma l’anello era il sigillo che deteneva l’amministratore della casa. Quindi il padre a questo figlio incapace, che ha sperperato tutto il suo patrimonio, gli restituisce la dignità e una fiducia più grande di quella che godeva. Gli mette in mano l’amministrazione della casa, senza sapere poi che ne farà questo figlio.
“E i sandali ai piedi.” Ricordate che il ragazzo aveva chiesto di essere trattato come uno dei salariati e il padre dice: “No, mettetegli i sandali ai piedi”. Nelle case i proprietari portavano i sandali, i servi andavano scalzi.
E poi dice: “Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Ed ecco che entra in scena colui al quale è rivolta la parabola.
Il figlio maggiore – immagine di scribi e farisei, che non vuole entrare in casa, protesta. Il padre esce anche verso di lui, e lui piagnucola. Si vede un Gesù che critica l’infantilismo nel quale la religione tiene i suoi adepti. E dice: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici.” Ricordiamo all’inizio il padre ha diviso il suo patrimonio tra i due figli e al figlio maggiore ha dato il doppio di quello che ha dato al minore.
Quindi era tutto suo, perché non se l’è preso? E’ la religione. La religione mantiene le persone in uno stato infantile, non hanno un rapporto d’amore con Dio, ma un rapporto di obbedienza, di servizio, e si attendono sempre una ricompensa. Ma soprattutto attendono l’autorizzazione per gioire o meno.
Allora il padre com’è andato incontro al figlio che si era smarrito, va incontro anche a questo figlio che non vuole entrare in casa e a questo figlio che, nella rimostranza ha detto “Tuo figlio…”, il padre gli ricorda che è suo fratello.
Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Solo che lui ha vissuto nella condizione di servo e non di figlio e non ha saputo gustare. 
“Ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello..” Ecco lui ha detto “Perché tuo figlio..” il padre gli ricorda “Tuo fratello”…  “Era morto ed è tornato in vita”. Quindi Gesù invita questi scribi e farisei a rallegrarsi che attorno a lui vadano questi peccatori, i miscredenti, ma purtroppo sappiamo dal seguito del vangelo che scribi e farisei, accecati dalla trave della loro giustizia, della loro fedeltà alla legge, non comprenderanno mai la misericordia di Dio.