la letterina che ha commosso: “per il giudice dei minori, che ascolti bene”

il bimbo che commuove la Francia

“voglio andare a scuola qui”

  “per il giudice dei minori, che ascolti bene”
letterina

poche righe in un’incerta calligrafia per spiegare la sua storia: così Ibrahim, 8 anni, arrivato dalle Comore, è riuscito a guadagnarsi l’accoglienza in Francia

al settimo giorno chiuso in aeroporto, Ibrahim si è stufato. Prima un’occhiata a “Ben 10”, il supereroe dei cartoni animati stampato sul suo zainetto, poi uno sguardo a quelle orrende sbarre alle finestre. Un foglio bianco. Una matita. La forza invincibile dei suoi 8 anni.

« Pour le juge des enfants
», scrive. Per il giudice dei minori, che ascolti bene. «Sono venuto in Francia per abitare con la zia perché mia madre non ce la fa più a mantenermi. Non ha più soldi per mandarmi a scuola. Io, ci voglio andare a scuola. Mio padre è partito e non l’ho più visto. Voglio stare in Francia con mia zia, non voglio tornare alle Comore». Firmato: Ibrahim, piccolo profugo.
E supereroe.
A volte i miracoli si scrivono in corsivo e bastano 4 righe che vanno dritte dritte al punto. Grazie a quel pezzo di carta, l’inflessibile giudice dei minori Marie-Francoise Verdun che non voleva Ibrahim in Francia, ha cambiato idea. «Può restare, è libero». E non poteva che finire così, questa storia iniziata il 21 marzo, un lunedì mattina.
Quel mattino alle 8.50 atterra al Charles de Gaulle un aereo proveniente dalle Comore. Tra i passeggeri c’è un bimbo di 8 anni, senza genitori, con lo zainetto sulle spalle e due sacchetti di plastica. Dentro ha dei panini e qualche maglietta. Ha anche una lettera scritta da sua madre, nella quale si dice di affidarlo alla zia che lo sta aspettando al terminal. I doganieri però non lo fanno passare, perché ha un passaporto che non è il suo. È del cugino di secondo grado, che ha 5 anni, gli somiglia molto ma è cittadino francese. Il ragazzino è sveglio, ricciolo, occhi grandi e curiosi, ma è comunque un sans- papiers. Va messo nella Zapi, la Zone d’attente pour personne en instance:
una struttura a lato della pista di atterraggio, dove i clandestini attendono il rimpatrio.
Ibrahim è furioso. Nell’appartamento riservato ai minorenni senza genitori — 80 metri quadrati con due camere da letto, lettini blu, due bagni — ci sono sì i giocattoli, la tv, la playstation. Ma anche le finestre con le sbarre, il filo spinato e i vetri sigillati. È deluso, non comunica. Sua madre dalle Comore lo chiama al telefono in continuazione, lui non le vuole più parlare.
Gli assistenti sociali intanto ricostruiscono, grazie all’associazione La voix de l’enfant, il suo passato familiare. La madre è stata abbandonata dal marito e aveva intenzione di provare con Ibrahim la traversata su un barcone dall’isola Anjouan a quella di Mayotte, che dal 2011 è dipartimento francese. Tra loro e la nuova vita, però, ci sono 70 chilometri di Oceano Indiano. Negli ultimi 30 anni in quelle acque agitate sono affogati dai 10mila ai 50mila profughi. Allora è intervenuta la zia di Parigi. Ha convinto la donna a mandargli il figlio con il passaporto del cugino.
Dopo 4 giorni alla Zapi, Ibrahim viene portato al Tribunale dei minori. Il magistrato Verdun sostiene che, nonostante la zia abbia i mezzi per crescerlo, «l’interesse maggiore è stare con la madre». Va imbarcato sul primo aereo per le Comore entro 8 giorni, altrimenti tornerà dal giudice. La famiglia assume l’avvocato Catherine Daoud: Ibrahim, al settimo giorno di “detenzione”, scrive la lettera.
Si arriva a ieri. Ibrahim è svegliato presto al mattino da un poliziotto. «Mi ha detto che mi avrebbe portato in tribunale, invece siamo andati all’aereo — racconta — quando sono salito non c’era nessun altro passeggero. Ho capito che mi stavano riportando a casa». Ma Ibrahim è pur sempre un supereroe, non può perdere mai. «Urlavo, piangevo, mi dimenavo come un matto ». Tant’è che il capitano dell’aereo lo ha fatto scendere, 5 minuti prima del decollo. Alle 10.50.
Viene trasferito a Bobigny a mezzogiorno, di nuovo al cospetto della severa Verdun. Ha un’arma in più, stavolta: la lettera. «Ibrahim è traumatizzato: può rimanere dalla zia», sentenzia il giudice. Ci sono voluti 12 giorni: il tempo durante il quale un bambino con il sogno di andare a scuola è stato lasciato a fissare le sbarre alle finestre.