il commento di padre Maggi al vangelo della domenica

SE AVESTE FEDE! 

commento al vangelo della ventisettesima domenica del tempo ordinario (2 ottobre 2016) di p. Alberto Maggi: Maggi

Lc 17,5-10

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Gesù vuole traghettare i suoi discepoli dalla religione alla fede, da un rapporto con Dio basato sulla sottomissione, sull’obbedienza alle sue leggi, un rapporto che rende il credente un servo nei confronti del suo Signore, a un rapporto con il Padre basato sulla somiglianza e la pratica del suo amore. Un rapporto questo che rende il credente figlio di Dio.
Perché questo sia possibile – e Gesù più volte in questo vangelo di Luca che stiamo commentando ha invitato i suoi discepoli ad essere come il Padre, cioè ad essere buoni fino in fondo – bisogna che l’amore del discepolo raggiunga una qualità simile a quella di Dio. E qual è la qualità dell’amore di Dio? Quella che si esprime in un perdono senza condizioni.
Ecco perché allora … siamo al capitolo 17 di Luca, dal versetto 5 … Gesù afferma: “Se tuo fratello commetterà una colpa rimproveralo, ma se si pentirà, perdonagli”. E Gesù già prevenendo l’obiezione dice: “E se commetterà una colpa sette volte al giorno…”  –  numeri non indicano una quantità, ma una qualità –  “… contro di te, e sette volte a te ritornerà dicendo ‘sono pentito’, tu gli perdonerai”.
Questa ultima espressione l’evangelista l’adopera con un verbo imperativo. Quindi è un imperativo il dover perdonare chi commette qualche colpa. Il numero, come dicevo, non indica una quantità, ma la qualità. La qualità del tuo perdono, afferma Gesù, deve essere simile a quella di Dio.
Ed è a questo punto che gli apostoli intervengono con una domanda, con una affermazione completamente fuori posto. Gli apostoli dissero al Signore: “Accresci in noi la fede!”. Ma la fede non può essere accresciuta, non può essere data perché la fede non viene data da Dio. La fede non è un dono che Dio dà ad alcuni in grande misura, ad altri meno, ed ad altri per niente. La fede è la risposta degli uomini al dono d’amore che Dio fa a tutta l’umanità.
Chi risponde, questa è fede. Per cui accrescere o no non dipende da Dio, ma dipende dalla risposta dell’uomo. Ecco perché Gesù risponde: “Se aveste fede quanto un granello di senape…”, il granello di senape è proverbialmente il chicco più piccolo, minuscolo, quindi un niente,  “… potreste dire a questo gelso…” o sicomoro, qui la traduzione può essere gelso o sicomoro, una pianta che aveva radici talmente profonde che si pensava difficilmente sradicabile, era una pianta che, una volta piantata, durava per ben seicento anni.
“Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”. Quindi Gesù sta dicendo che questi discepoli non hanno fede per niente, perché basterebbe un pizzico di questa fede. Ancora non hanno risposto al dono d’amore che Dio ha dato loro. Per questo Gesù propone un’alternativa. Se non accolgono la sua offerta di diventare figli di Dio, di avere un rapporto con il Padre basato sulla somiglianza al suo amore, restano nella condizione di servi di Dio, servi del loro Signore, basati sulla sottomissione.
Gesù in questo vangelo, nell’ultima cena affermerà: “Ecco io sono in mezzo a voi come colui che serve”. La novità portata da Gesù è che Dio non chiede di essere servito dagli uomini, ma è Dio che si mette lui a servizio degli uomini. E poco prima, nel capitolo 12, quasi come immagine dell’Eucaristia, Gesù aveva parlato di quel signore che tornava di notte nella sua casa e, trovando i servi ancora in piedi, cosa farà? Non si farà servire, ma si metterà lui a servirli.
Qui invece tutto il contrario.
“Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Esattamente il contrario di quello che Gesù aveva affermato nel capitolo 12. Lì era il signore che faceva mettere a tavola i suoi servi e passava a servirli. Qui dice tutto il contrario.
“Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? “ Cos’è questa contraddizione? Ebbene Gesù propone un’alternativa. O accogliete questa offerta d’amore di Dio e l’amore di Dio vi rende liberi e quest’amore si esprime attraverso il perdono incondizionato, o altrimenti rimanete nella condizione di servi verso il vostro Signore.
Ecco allora la conclusione di questo brano che spesso è stata equivocata quasi a significare l’inutilità dell’agire cristiano. “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato… “ questo
verbo ordinare si riferiva all’osservanza della legge, “Dite: “Siamo servi inutili.”. Qui la traduzione non è esatta perché non sono servi inutili, avevano fatto quello che dovevano fare, non è vero che sono inutili. Meglio tradurre con “siamo semplicemente servi. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Ecco Gesù propone un’alternativa, lui non impone, ma offre. O si diventa figli di Dio, quindi pienamente liberi di amare di servire, o si rimane nella condizione di servi. Ma chi rimane nella condizione di servo non potrà mai sperimentare la libertà, la pienezza e la gioia che la comunione di Dio che si rivela come un Padre ai suoi può manifestare.