i lefebvriani tacciano papa Francesco di modernismo e relativismo

i lefebvriani stroncano il papa:

“amoris laetitia fa piangere”

 

 

un documento  in certi punti segnato “dal soggettivismo e dal relativismo morale”, in cui “la regola oggettiva è sostituita, alla maniera protestante, dalla coscienza personale”.  Invece di elevare “ciò che è al livello di ciò che deve essere, si abbassa ciò che deve essere a ciò che è, alla morale permissiva dei modernisti e dei progressisti”. Insomma, davanti alla recente esortazione apostolica sulla famiglia di papa Francesco, “c’è di che piangere”

Scelgono uno stile ruvido e diretto i lefebvriani per liquidare l’Amoris laetitia, il documento con cui Bergoglio ha tirato le fila del doppio Sinodo sulla famiglia, privilegiando le vie della misericordia e del discernimento per le situazioni di crisi. La nota della fraternità sacerdotale ultraconservatrice, in rotta con Roma dal 1988 dopo l’ordinazione di alcuni preti senza il placet vaticano, deplora la valorizzazione della coscienza, la legge della gradualità nella morale, l’inversione dei fini del matrimonio – con il primato dell’amore sulla procreazione – fino ad accusare il Pontefice di “rimettere in discussione” la dottrina sulla fedeltà nelle nozze. “I fedeli sono disorientati, tutta la Chiesa soffre per questa frattura – si legge -. Rimettere in discussione l’obbligo di osservare in ogni caso i comandamenti di Dio, in particolare quello della fedeltà coniugale, significa capitolare davanti ai diktat dei fatti e dello spirito del tempo”.

Nella conclusione del comunicato la Fraternità San Pio X non cede di un millimetro sulla sua valutazione dei documenti del Concilio ecumenico Vaticano II che, a detta degli scismatici, vanno superati, se non nella loro interezza, almeno nei passaggi più controversi. “Noi – è l’appello a Francesco – imploriamo il Santo Padre umilmente, ma risolutamente, di riprendere in esame l’esortazione Amoris laetitia e specialmente il capitolo 8. Come nei testi del Vaticano II, ciò che è ambiguo deve essere interpretato in modo chiaro e ciò che è in contraddizione con la dottrina e la pratica costante della Chiesa deve essere ritirato, per la gloria di Dio, per il bene di tutta la Chiesa, per la salvezza delle anime, specialmente di quelle che sono in pericolo di lasciarsi ingannare dall’apparenza di una falsa misericordia”.

La nota dei lefebvriani rappresenta l’ennesima battuta d’arresto nel dialogo con Roma. A inizio aprile papa Francesco ha ricevuto in udienza monsignor Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità che conta 60o sacerdoti, dei quali 150 in Francia. L’incontro, “privato e informale” lo definì la Sala stampa vaticana, è durato “40 minuti e si è svolto in un clima cordiale. Dopo è stato deciso che gli scambi in corso continueranno”.  In precedenza, a settembre, Bergoglio aveva deciso di rendere valida a tutti gli effetti, per la durata del Giubileo straordinario della misericordia, la confessione impartita ai fedeli dai preti della Fraternità. Una mossa accolta positivamente dagli scismatici  che denota l’intenzione del Pontefice di rinsaldare in tempi rapidi la frattura, come auspicava Benedetto XVI, lo stesso che nel 2009 revocò la scomunica alla comunità. “D’altronde – sorride un cardinale di Curia, non certo ascrivibile tra le fila dei conservatori – sono molto di più i cattolici, che dicono messa con rito tridentino, dei lefebvriani in quanto tali”.

Come soluzione  canonica per un ritorno alla piena comunione con la Chiesa, dal 2009 la Santa Sede propone alla Fraternità la costituzione di una prelatura personale internazionale. Una via, già sperimentata con l’Opus Dei, che consentirebbe agli ultraconservatori di mantenere un’ampia autonomia sia in campo liturgico, sia sul piano organizzativo. In cambio, però, Roma chiede la sottoscrizione di un documento dottrinario in cui si riconosce agli atti  del Vaticano II il rango di testi del magistero. Ed è su questo punto che le posizioni restano distanti, come dimostra l’ultima reprimenda sull’esortazione postsinodale.