TUNISI

Seduto in prima fila in uno degli scranni dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, il ministro degli Interni tunisino Kamel Feki ha il volto sereno ed è pronto a rispondere alle domande del parlamento sulla situazione migratoria nel Paese. È il 27 luglio scorso e al centro dell’attenzione ci sono le immagini provenienti dal confine con la Libia e l’Algeria, dove da quasi un mese si registrano deportazioni di massa nei confronti della popolazione subsahariana e del Sudan. Persone che vengono arrestate a Sfax, seconda città della Tunisia e uno dei punti principali delle partenze lungo il Mediterraneo, e lasciate a loro stesse senza acqua e cibo in zone militari e inaccessibili dopo essere state picchiate o avere subito violenze di ogni tipo da parte delle forze di sicurezza locali. Le ricostruzioni più recenti parlano di 1200 persone espulse verso la frontiera algerina e libica

Soprannominato Stalin in patria solo per una netta somiglianza fisica con l’ex Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica, le parole del ministro sono precise e puntuali: «Quelle immagini sono false. Lo dico e lo ripeto perché abbiamo le prove. È stato tutto fabbricato a monte e gli autori di quelle foto sono sorvegliati con audio e video».

Tuttavia sono parole che oggi possono essere smentite facilmente. In collaborazione con PlaceMarks, un progetto specializzato in ricerca e analisi di immagini satellitari, La Stampa ha ricostruito quanto sta avvenendo al confine con la Libia grazie a una serie di foto risalenti al 14 luglio. Due giorni prima della firma del memorandum d’intesa da un miliardo di euro tra Tunisia e Unione europea alla presenza della Commissaria Ue Ursula von der Leyen, la premier Giorgia Meloni e il primo ministro olandese Mark Rutte. Nelle stesse ore in cui in vista della visita del 16 luglio a Tunisi la portavoce di Bruxelles Dana Spinant affermava che «la gestione dei migranti deve essere sempre svolta nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani».

Le immagini parlano chiaro. Si vedono almeno tre accampamenti di fortuna, di cui uno sembra essere costruito con una gabbia di ferro per gli allevamenti ittici, e un grande assembramento di persone, almeno 300, controllate a vista da alcuni mezzi militari tunisini e libici. A poche centinaia di metri di distanza si possono notare altri quattro mezzi della guardia di frontiera tunisina. Posizionati lungo un fossato costruito fra il 2014 e il 2018 per delimitare in maniera ancora più netta il confine, uno di questi è dotato di un mitragliatore o un cannone. «Da un’analisi storica dell’area si può affermare che lo scenario al confine tra Tunisia e Libia è qualcosa di completamente nuovo. Gli assembramenti e gli accampamenti prima non esistevano, mentre la presenza di militari in assetto di pattugliamento non è mai stata registrata in nessuna delle immagini disponibili, dal 2006 a marzo 2023», spiega Federico Monica di Placemarks.

Da queste istantanee prendono ancora più forza le testimonianze di chi in quella terra di nessuno ha vissuto per giorni senza acqua e cibo. Un limbo accessibile solo alla Croce rossa tunisina, impegnata in questi giorni a prelevare le persone per portarle in altri luoghi della Tunisia. Altri salvataggi sono stati compiuti dalle cosiddette autorità libiche, interessate a mostrare il volto più accogliente al netto di numerose denunce internazionali sul mancato rispetto dei diritti umani.

Sono testimonianze che raccontano di migranti, studenti, lavoratori, donne incinte, bambini e neonati che si sono visti privare tutto con la violenza; picchiati dalle autorità con mazze di ferro e bastoni, caricati su dei pullman e gettati senza risposte verso la Libia e l’Algeria. Per chi tentava di rientrare in Tunisia, ad attenderlo c’erano gas lacrimogeni e proiettili.Se l’Oim e l’Unhcr hanno emanato un comunicato per sollecitare un intervento a tutela di queste persone, Bruxelles sembra più concentrata sui numeri dei migranti in arrivo dal piccolo Stato nordafricano.