è morto Todorov il filosofo che ripudiava ogni guerra e voleva aprire le frontiere

Todorov

l’uomo che non temeva i barbari

di Francesco Musolino
in “il Fatto Quotidiano” del 8 febbraio 2017

Correva l’anno 1982, quando in Francia pubblicarono il saggio La conquista dell’America. Il problema dell’altro. In quelle pagine lo studioso Tzvetan Todorov ricostruiva il confronto con l’alterità in seno alla civiltà occidentale, analizzando la conquista del Messico. E lo sterminio delle popolazioni indigene. Questo testo sarebbe diventato rapidamente uno dei capisaldi dei corsi di studi di sociologia e antropologia ma diversamente da altri studiosi, Todorov sapeva travalicare con le proprie parole le aule universitarie e le biblioteche, fornendoci una lente cristallina per leggere il passato. E interpretare giocoforza il presente. L’assunto era chiaro. Dinanzi all’altro – l’indigeno – possiamo decidere di assimilarli alla nostra cultura, imporre la nostra religione e i nostri costumi con la forza. Oppure, finiamo per considerarli diversi, inferiori, ponendo le basi per la loro conquista e sottomissione. In ogni caso, storicamente il confronto fra i conquistadores e le popolazioni indigene ha comportato epidemie, violenza e oblio. La conquista del west con relativo sterminio degli indiani e la colonizzazione europea dell’Africa nera, hanno semplicemente ribadito il concetto con maggiore enfasi e storiografia. Purtroppo Todorov si è spento ieri a Parigi, all’età di 77 anni. Nato a Sofia il 1 marzo 1939, scampò alla violenza e all’oscurantismo del regime totalitario della Bulgaria comunista fuggendo in Francia dove completò gli studi. Scelse di abbracciare la lingua – fra non poche polemiche – costruendosi una nuova identità, libera e dedita alla conoscenza. Era allievo di Roland Barthes e nei suoi saggi, spaziava dalla filosofia alla semiotica.

Ma la sua carriera accademica cambiò radicalmente scegliendo di approcciarsi al problema dell’Altro. Così, a meno di un mese dalla morte di Zygmunt Bauman, perdiamo un altro pensatore che ha speso la propria esistenza per comprendere la nostra identità e sfatare il machismo occidentale. Todorov ripudiava la guerra (“non esistono conflitti giusti”, disse) credeva nell’importanza identitaria dell’Europa e nella necessità di non erigere muri, aprendo le frontiere per approcciarci alla diversità come un tesoro. Ai suoi occhi era un errore fatale la nostra incapacità di trarre forza dagli insegnamenti del passato, dagli orrori delle dittature, dalla follia nazista (Memoria del male, tentazione del bene e Il nuovo disordine mondiale, scritti a cavallo degli anni 2000). Così ne La paura dei barbari (Garzanti) scrisse: “I totalitarismi si sono presentati come un mezzo per guarire la società borghese dai suoi vizi ma hanno dato vita a un mondo più oscuro di quello che combattevano”. E con quella libertà di pensiero che è propria solo dei grandi pensatori, commentando gli attentati terroristici in Francia, disse che la prova più ardua è quella di sconfiggere il jihadismo “senza snaturare noi stessi”, senza rinunciare alla nostra civiltà e ai diritti su cui poggia. “Terrorizzare i terroristi significa diventare come loro – scrisse – e per scampare questo pericolo dobbiamo prima di tutto combattere i nostri demoni”. Era amato in Italia (nel 2010 fu ospite d’onore al Salone del Libro di Torino) e durante gli incontri pubblici, inneggiava anche alla bellezza – nel 2014 Garzanti pubblicò La pittura dei lumi. Da Watteau a Goya – chissà, forse abbracciandone il fine salvifico già invocato da Dostoevskij. Todorov scriveva che “la paura dei barbari è ciò che rischia di renderci barbari” e mentre si diffonde l’odio verso i migranti, possiamo solo augurarci di riuscire a far nostre le sue parole lungimiranti.