la paura del coronavirus e la vita che ricomincia

dalla paura alla riflessione, dalla lacerazione alla riconciliazione e all’abbraccio
i sinti a Lucca e il terrore del coronavirus visto da vicino

Erano giorni durissimi, quei giorni di marzo quando arrivavano su tutti i telegiornali e programmi televisivi notizie e immagini preoccupanti di una epidemia che acquisiva le dimensioni di una pandemia, che poteva coinvolgere tutti, ma proprio tutti, ‘democraticamente’.
Ognuno di noi stava spesso con orecchi e occhi spalancati al televisore per cercare indicazioni onde evitare di esserne coinvolti.
Anche al Campo Nomadi di Lucca cominciavano ad arrivare le prime notizie di tanti ‘positivi’ e anche morti nella stessa Lucca, i casi si moltiplicavano e possibili focolai venivano indicati in zone vicine e poco frequentate.
E’ in questo contesto di ansia, perplessità, speranza, ma più spesso paura (e anche incubi e rincorsa alle spiegazioni più fantasiose o comunicazioni whatsApp tendenti a scaricare l’ansia con video denigratori verso lontani ‘colpevoli’ … ) che scoppiò come un grande fulmine … a cielo molto cupo la notizia che ‘una del campo’ era risultata positiva da un casuale tampone fattole una decina di giorni prima all’ospedale per un ricorso al pronto soccorso per tutt’altri motivi.
“Una di noi è positiva”, “i nostri bambini sono in pericolo”. Anzi: “una di noi è l’ ‘untore’, anzi il traditore che non ci aveva detto nulla del tampone …!”.
Quando qualche giorno dopo arrivò la notizia della positività al coronavirus anche del marito la tensione raggiunse il culmine, ognuno si chiuse nella propria campina con animo non proprio sereno.


Al telefono e su whatsapp venivo continuamente informato della loro ansia e c’era chi più preoccupato di altri cercava di coinvolgere anche me (“non credere di cavartela facilmente”, o come a dire: “mal comune mezzo gaudio” nel senso che in compagnia si porta meglio anche la croce) nel proprio destino, ricordandomi che nei giorni precedenti ero io stesso in mezzo a un grande gioco di comunità che aveva visto pressoché tutti protagonisti, l’uno vicinissimo all’altro, ad agitarsi e a gridare per il desiderio di vincere ciò che era in palio, e … non era proprio lontano da noi, anzi dava manforte anche colei che ora era indicata come la colpevole ‘untrice’ che volutamente (ma non è vero!) aveva nascosto il suo stato di positività agli altri, peraltro tutti parenti.
Tutti noi con evidente e comprensibile ansia contavamo i giorni che lentissimamente trascorrevano (consolati solo dal verificarci tutti asintomatici) … i giorni comunque trascorrevano tra il primo tampone positivo e una quarantena ‘a quella maniera’ e il secondo tampone finalmente negativo … il profondo respiro di sollievo e il grande senso di nuova possibile speranza bilanciò quel fulmine a cielo cupo che aveva tutti fulminato, e da lì in poi è stato più facile per tutti scorciare distanze, dialogare in modo pur sostenuto ma più positivo, esercitare maggiore comprensione e accettare ragioni che in situazione surriscaldata era pressoché impossibile.

Appena ci è stato possibile (magari interpretando in modo un po’ estensivo le norme di convivenza in tempi di coronavirus) un altro gioco di comunità ha visto ancora tutti coinvolti e rappacificati e rassicurati, capaci di superare tranquillamente anche un’altra paura, quella conseguente alla fuga di notizie che su un organo locale di informazione di estrema destra aveva segnalato un focolaio attivo e pericoloso al Campo Nomadi. I primi commenti in internet a tale notizia non lasciavano infatti ben sperare e i sinti esprimevano apertamente la paura che una qualche ‘spedizione’ di gage potesse venire al Campo con intenzioni non proprio costruttive. Alcuni gage infatti su facebook avevano commentato che forse sarebbe stata la volta buona per fare sparire i sinti da Lucca. Nei giorni seguenti una vecchia conoscenza cui non sono proprio simpatico per l’amicizia dei sinti mi incrocia per strada e mugolando tra sé e sé, ma non troppo sottovoce, lascia intendere la sua delusione: “accidenti, è ancora vivo … !”.
Se al Campo Nomadi più vicino a me il tempo del coronavirus è stato vissuto in questa atmosfera comprensibilmente drammatica, alimentata anche dalle immagini che venivano dalla televisione (i famosi camion militari pieni di cadaveri … ), tutto sommato però è stato vissuto in modo riflessivo e ragionevole, occasione di vero, ancorché sofferto, dialogo che coniugava paura e speranza, riflessione e fede, domande profonde sul perché di ciò al di là di ricostruzioni mitologiche e un’esigenza di cambiamento di stile di vita rispetto a quello delle manipolazioni e della violenza sulla natura, perché alla fin fine quest’ultima, violentata e repressa, “ci presenta il conto”.
In altre presenze di Sinti a Lucca, più orientate in senso ‘spiritualistico’, ‘intimistico’ e miracolistico perché alimentate ad una spiritualità ‘pentecostale’, ‘evangelista’, o addirittura ‘apocalittica’ alla ‘Radio Maria’ non pochi ripetevano continuamente che si trattava chiaramente di una punizione di Dio per i troppi peccati, aperti però anche all’addolcimento della terminologia, nel senso che – coi tempi moderni – apparendo forse troppo forte quella della ‘punizione’, sicuramente debba trattarsi almeno di una ‘ammonizione’ o ‘avvertimento’ o ‘avviso’ dall’Alto.
Non ho mai esercitato la confessione per telefono, ma nei mesi scorsi a motivo di un’atmosfera così apocalittica non pochi sinti , anche lontane conoscenze o comunque lontani da Lucca mi hanno chiesto di poter ricevere l’assoluzione al telefono perché “non si sa mai … !”.
Questo mi ha fatto più volte riflettere sui contenuti di una ‘evangelizzazione’ che troppo spesso si ammanta di novità perché capace di utilizzare nuovi strumenti ma il più delle volte veicola concezioni punitive e negative di Dio allontanandosi molto dalla rivelazione evangelica.
La esperienza più positiva in questo nero periodo di coronavirus credo di averla comunque vissuta col gruppo di sinti che più da vicino mi ha coinvolto, anche nel rischio di contrarre e condividere col loro l’infezione.
C’è stata schiettezza umana fatta di paura, ansia, tensione, parolacce, pure, ma anche volontà di capire, di riflettere, di dialogare (quanto hanno viaggiato i vari strumenti di messaggistica compreso whatsapp!) per emergere da tale paura e gestirla ragionevolmente…e devo confessare che segretamente pensavo dentro di me che se proprio avessi dovuto correre qualche rischio a motivo di questo, averlo corso in solidarietà a coloro che sono ormai da tempo diventati compagni di viaggio, condividere cioè il comune destino, non mi avrebbe disturbato poi troppo.
Ultimamente, nel benedire le tombe di tre loro defunti che in tutto questo periodo non c’era stato modo di farlo, tra una parola scherzosa e l’altra con cui tutti cercavano di esorcizzare il pericolo scampato e il passato di trepidazione, nell’affermare che loro sono sinti e hanno comunque gli anticorpi per combattere anche i virus peggiori perché abituati a vivere – a diversità dei gage – una vita intera a contatto con la natura lungo un fiume, diversi mi hanno puntualizzato che se io stesso ne sono uscito bene si deve al fatto che … “stai coi sinti”.
Chissà che questo non abbia un’anima di verità?




la Lega di Pisa infuriata per la presenza di una piccola rom nel libro di testo

baby rom nel libro di testo

genitori in rivolta a Pisa

“Dorin vende fazzoletti al semaforo”

Insorge anche la Lega: e il rispetto delle regole?

di ANTONIA CASINI

 Dorin a scuola non ci va, ma sui banchi ci finisce lo stesso, almeno attraverso la sua storia. Dorin, che ha scatenato la bufera a Pisa, è il nome di una piccola rom, anche se nel racconto non la si definisce mai così. È un personaggio inventato da Federico Taddia, giornalista e autore, nel suo ‘Girogirotonda’, edito da Mondadori (per gli Oscar, Primi Junior). Un estratto, riadattato, è stato pubblicato in un testo scolastico di cittadinanza attiva diffuso in molte elementari di Pisa e Toscana che ha per protagonista Rudi, un extraterrestre. La segnalazione è arrivata da alcuni genitori, di bambini iscritti alla prima classe a Pisa, che hanno letto la trama trovando il messaggio ‘fuorviante’. “Nelle schede che seguono non si parla mai di rispetto delle regole”, dicono papà e mamme. A raccogliere le lamentele è l’europarlamentare della Lega (che governa a Pisa), Susanna Ceccardi, che fra pochi giorni diventerà mamma di Kinzica. “Si legge ‘Dorin ha gli occhi grandi e neri, i capelli lunghi e ricci, il naso un po’ a punta, due orecchini piccoli piccoli e un neo tondo tondo sulla guancia destra. Dorin vive in un semaforo – afferma la leonessa della politica che sul caso annuncia un’interrogazione parlamentare –. Anzi, no, vive in una roulotte e vende fazzoletti e altri oggettini’”.

Fino qui “non ci sarebbe nulla di strano, uno spaccato di vita quotidiana a cui assistiamo nelle nostre città. Ma questo racconto è stato inserito in un libro di testo della primaria: dove si dice che la bambina sbaglia ad accattonare e che non si abita in una roulotte?. La realtà viene rovesciata”. Ceccardi trova assurdo “che situazioni al confine tra la legalità e l’illegalità siano prese come esempio positivo per formare le nuove generazioni”. E ancora: “L’integrazione è un principio sacrosanto che bisognerebbe insegnare ai genitori dei bambini stranieri. Assenti, invece, informazioni sul nostro Paese e sulla nostra cultura. Non si fanno riferimenti alle nostre tradizioni e leggi”. Sotto accusa anche altri punti: “Frasi da completare in cui si chiede ai maschietti perché vorrebbero essere delle femmine e viceversa”.

Quelle pagine le conosce bene Alessandro Castellano, del Capitello, che ha edito ‘Tutti cittadini attivi con Rudi’: “Ognuno può leggere e interpretare la storia come vuole. Ma è inserita nel testo per mostrare agli alunni cosa vivono quotidianamente i loro compagni. E negli esercizi successivi si chiede quali diritti le sono negati! Un invito a riflettere”. Anche la preside di una delle scuole (le Toti) dove il libro è stato scelto, la prof Teresa Bonaccorsi, interviene: “Nel testo è citata la Convenzione internazionale sui diritti dei bambini del 1989. L’obiettivo è far meditare. Inoltre, l’adozione è passata dai consigli di classe, formati anche da genitori”. Un argomento delicato che farà discutere. E la prima campanella è suonata soltanto da cinque giorni.




morto il cardinale Etchegaray che da giovane era stato cappellano degli zingari

Con gli zingari la scuola di Etchegaray

con gli zingari la scuola di Etchegaray

Il cardinale delle «missioni impossibili» – scomparso in queste ore – aveva imparato l’arte del dialogo da giovane prete come cappellano degli zingari in Francia. E nel 1969 volle i loro violini alla sua ordinazione episcopale a Notre Dame

 

Con il cardinale Roger Etchegaray – scomparso ieri sera all’età di 97 anni – se ne va un grande artigiano della pace e del dialogo interreligioso. In queste ore, ricordando alcuni dei viaggi più delicati compiuti per conto di Giovanni Paolo II, molti lo hanno chiamato l’uomo delle «missioni impossibili», alludendo ai suoi incontri in Paesi come l’Iraq, il Vietnam e la Cina. C’è però un aspetto della vita di questo porporato francese di orgini basche che vale la pena di sottolineare: dove aveva imparato l’arte del dialogo Roger Etchegaray? Un contributo importante era venuto dagli anni in cui da giovane sacerdote a Bayonne era stato l’assistente della pastorale degli zingari. Con loro – amava ripetere – ho imparato che davvero «il vento non si sa da dove viene, né dove va, come dice il Vangelo».

Per questo vogliamo ricordarlo con una pagina tratta dal suo libro «Tiro avanti come un asino» (Edizioni San Paolo, 2007), in cui il cardinale stesso ricordava uno degli amici zingari incontrati durante quegli anni in Francia.

Coucou Doerr. Bisognava vivere tra la «gente itinerante» per conoscere e apprezzare quel pezzetto d’uomo che diventò per me un caro amico. Che gioia e che soddisfazione per me! Di tutti gli zingari incontrati quando, giovane prete a Bayonne, ero il loro cappellano, Coucou è la persona che m’ha più colpito per la dignità e la fedeltà della sua vita nomade.

Abbiamo fatto insieme il primo pellegrinaggio dei gitani a Lourdes nel 1957, e mi pare ancora di vederlo, alla testa del gruppo di musicisti. Siamo stati insieme a Pomezia, vicino a Roma, nel 1965 per rispondere a un invito di massa del papa Paolo VI (il primo storico incontro di un Papa con gli zingari, che si tenne il 26 settembre 1965, pochi giorni prima del discorso di Montini all’Onu a New York ndr). Ero vicino a lui, nel 1967, al circo d’Inverno, presso Bouglione, per vederlo mentre suonava il violino con i piedi. Venne come mio ospite per la mia ordinazione episcopale nel 1969 a Notre-Dame di Parigi, che applaudì spontaneamente questo virtuoso della musica zigana. E a Marsiglia l’ho rivisto più volte in occasione della festa di Santa Marie del Mare.

Dove vai, zingaro? Con questo titolo, sotto la guida del padre Leury, gesuita deportato, che aveva dato conforto al popolo nomade in via di estinzione nei campi nazisti, Cocou, più trovatore che letterato, firmò un libro originale su tutto ciò che, dalla sua roulotte, attraverso le strade d’Europa, aveva osservato, odorato, sulla natura, sugli uomini e su Dio.

Questi «figli del vento» fanno pensare a ciò che Gesù diceva precisamente del vento: non si sa «da dove viene, né dove va» (Gv 3,8). Nonostante tutti gli sforzi compiuti sul piano sociale, umanitario e anche religioso, è ancora un mondo sconosciuto che si accampa alle porte delle nostre città e delle nostre chiese. Quando si sedentarizzano, diventano un popolo minacciato da un’integrazione che rispetta poco i suoi valori culturali: non si chiudono in gabbia i piccioni viaggiatori…

A tutti voi, buon cammino. «Lacio drom!». Gesù è sempre la Via che non abbiamo mai finito di percorrere.

cardinale Roger Etchegaray




padre Zanotelli in difesa dei rom: “gli ultimi della nostra società”

Alex Zanotelli

“come missionario, come prete, non posso accettare che esseri umani siano trattati così”

In questo paese i Rom e i Sinti sono sempre più nell’occhio del ciclone, perché sono l’anello debole della catena migratoria: gli ultimi della nostra società. I pregiudizi contro di loro sono molto pesanti e atavici. Lo abbiamo visto il 3 aprile, a Torre Maura, periferia est di Roma: 77 rom, destinati a un centro di accoglienza, sono stati accolti da cittadini infuriati con calci, sputi, saluti fascisti e insulti: “Zingari da bruciare!”.

È stato agghiacciante vedere il pane destinato ai Rom, scaraventato a terra e calpestato. Un segno inequivocabile: i Rom non hanno diritto alla vita. Pochi giorni dopo, di nuovo nella periferia est di Roma, Casal Bruciato, un altro incredibile episodio di razzismo contro di loro. Una donna rom, con una bambina in braccio, mentre stava entrando nella casa che le era stata assegnata con regolare bando dal Comune di Roma, è stata apostrofata con quel “Troia, ti stupro!”.

Altro episodio brutale è stato lo sgombero, lo scorso 10 maggio, del campo rom di Giugliano(Napoli). Quelli sono Rom bosniaci, fuggiti dalla guerra di Jugoslavia e insediati negli anni ’80 nella zona industriale di Giugliano. Si tratta di oltre 450 persone, di cui 150 bambini, tutti nati a Giugliano, molti sono cittadini italiani. Nel 2007 erano stati sgomberati dal campo, nell’area industriale, su ordine della Procura di Napoli, senza un’alternativa. Da allora, è iniziata una vera e propria Via Crucis, che non è ancora finita. Per anni hanno vagato per le campagne del Giuglianese.

Ogni volta che li visitavo, mi si spezzava il cuore. Dopo tante pressioni sul Comune da parte del comitato, il Sindaco li ha collocati a Masseria del Pozzo, ex-Resit, uno dei posti più inquinati della Campania dove respiravano bio-gas, emanato dal sottosuolo. Un atto criminale! Quante delegazioni di parlamentari sono passate di là, senza fare nulla.

Dopo altri anni di sollecitazioni e proteste, il Sindaco li ha piazzati in una buca orrenda alla Madonna del Pantano, dove non metteremmo nemmeno i nostri animali. Fratel Raffaele, che opera a Scampia, ha dato loro una grossa mano in questi anni. Il comitato ha continuato a premere sul Sindaco Pozziello perché trovasse un luogo dignitoso per un essere umano. Il Comune aveva ricevuto 900.000 euro per costruire un eco-villaggio per i Rom. Ma i cittadini di Giugliano hanno raccolto migliaia di firme contro questo progetto. E il Sindaco, intimidito, ha abbandonato il progetto e ha deciso di non fare più nulla per i Rom, per calcoli elettorali.

Invano tutti i tentativi che abbiamo fatto sul Sindaco che invece ha iniziato una politica di terrorismo psicologico, mandando nel campo il personale comunale che invitava i Rom ad andarsene dal territorio di Giugliano, minacciando di toglierli dall’anagrafe e di prendersi i loro bambini. Quando il 10 maggio si sono presentati nel campo una cinquantina di poliziotti insieme agli assistenti sociali, i Rom sono fuggiti e hanno trovato rifugio in una ex-fabbrica di fuochi d’artificio di un privato, a Ponte Riccio. In quel luogo desolato non c’è nulla, né acqua, né elettricità, né bagni.

L’associazione 21 luglio di Roma ci ha aiutato a far conoscere in Europa il loro dramma. Solo una settimana fa il Comune ha provveduto a portare solo i bagni! Dopo quasi tre settimane, i Rom vivono in condizioni disumane, particolarmente tali per le donne e i bambini.
E’ incredibile che questo avvenga in un paese come l’Italia con una costituzione che fa dell’uguaglianza e della solidarietà, uno dei principi fondamentali. C’è un razzismo pauroso in mezzo a noi, fomentato in particolare dalla Lega. Lo scorso anno Salvini aveva parlato di un “censimento” dei Rom ed aveva aggiunto: “Sto facendo preparare un dossier al Viminale sulla questione dei rom. Quelli che possiamo espellere, li espelleremo. Gli italiani purtroppo ce li dobbiamo tenere”.

“Sono il capro espiatorio da secoli, fino allo sterminio nazista”, scrive il vescovo Nosiglia di Torino in una sua lettera pastorale sull’argomento. I Rom e i Sinti rievocano la disumanità di una convivenza, la nostra, che vuol dirsi civile, ma lascia nella miseria più nera e nell’emarginazione più amara i figli del popolo più giovane d’Europa.”

Come missionario, come prete, non posso accettare che esseri umani siano trattati così. Chiedo con forza alla Chiesa italiana di schierarsi dalla parte dei Rom. Papa Francesco ha detto: “Prima gli ultimi!”. I Rom sono gli ultimi.

 




il mea culpa di papa Francesco per le discriminazioni ai rom

le scuse di papa Francesco ai Rom

“troppe volte anche i cristiani vi hanno discriminato”

Le scuse di papa Francesco ai Rom: "Troppe volte anche i cristiani vi hanno discriminato"

In Transilvania il pontefice incontra una rappresentanza di una delle comunità maggiormente colpite dal veleno della discriminazione

” Chiedo perdono in nome della Chiesa per quando vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele”

Le parole del Papa arrivano diciannove anni dopo il grande “mea culpa” di Giovanni Paolo II che, in occasione del Giubileo del 2000, chiese scusa per le guerre di religione, gli scismi, le persecuzioni contro gli ebrei, il sostegno al colonialismo, la discriminazione etnica e sessuale, la quiescenza contro le ingiustizie sociali. Karol Wojtyla, nella Giornata del perdono, fece un lungo elenco dei peccati commessi dai figli della Chiesa e un rappresentante della curia romana pregò per il pentimento dei cristiani che “si sono macchiati di inimicizia verso gli aderenti ad altre religioni e verso gruppi sociali più deboli, come quelli degli immigrati e degli zingari”. Wojtyla chiese perdono certo, ma quello di Francesco oggi, nel Paese dove l’etnia Rom è minoranza importante, è un passo ulteriore.

“Nella Chiesa di Cristo c’è posto per tutti”, dice il Papa. E “abbiamo bisogno di ricordarlo non come un bello slogan ma come parte della carta d’identità del nostro essere cristiani”. Tuttavia esistono anche sentimenti contrapposti. È quando nell’indifferenza si alimentano “pregiudizi e si fomentano rancori”.

“Quante volte – continua il Papa – giudichiamo in modo avventato, con parole che feriscono, con atteggiamenti che seminano odio e creano distanze! Quando qualcuno viene lasciato indietro, la famiglia umana non cammina. Non siamo fino in fondo cristiani, e nemmeno umani, se non sappiamo vedere la persona prima delle sue azioni, prima dei nostri giudizi e pregiudizi”.

Francesco si è messo dalla parte dei Rom più volte. Lo scorso 9 maggio ha ricevuto una comunità in Vaticano e, lo stesso giorno in San Giovanni in Laterano, la famiglia Rom finita tra le polemiche e minacce per via dell’assegnazione di un appartamento a Casal Bruciato. Contro il primo incontro disse la sua anche il vicepremier Matteo Salvini in un comizio a Montegranaro, nelle Marche: “Oggi ho letto che il Papa ha incontrato 500 Rom, è libero di farlo, ognuno incontra chi vuole. Il mio obiettivo è la chiusura di tutti i campi Rom”




storico mea culpa di papa Francesco nei confronti dei rom

papa Francesco ha pronunciato uno storico mea culpa rivolto alla comunità Rom

“nel cuore porto però un peso. E’ il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti dalle vostre comunità”,

ha detto il pontefice

“Chiedo perdono – in nome della Chiesa al Signore e a voi – per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità”

È lo storico mea culpa di Papa Francesco che a Blaj, nel quartiere di Barbu Lautaru, ha rivolto alla comunità Rom che qui vi risiede.

“Nel cuore porto però un peso. E’ il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti dalle vostre comunità”. Papa Francesco si rivolge così alla comunità Rom di Blaj incontrata nel quartiere di Barbu Lautaru.

“La storia ci dice che anche i cristiani, anche i cattolici non sono estranei a tanto male”, ha sottolineato il Pontefice che ha pronunciato un mea culpa, chiedendo perdono “in nome della Chiesa al Signore e a voi”.

“A Caino non importa il fratello. È nell’indifferenza che si alimentano pregiudizi e si fomentano rancori”, ha continuato Papa Francesco. “Quante volte giudichiamo in modo avventato, con parole che feriscono, con atteggiamenti che seminano odio e creano distanze!”. “Quando qualcuno viene lasciato indietro, la famiglia umana non cammina”.




la situazione socio-religiosa dei rom in Croazia – relazione al C.C.I.T. 2019

 

 

 

 

 

 

CC1T- TROGIR -2019

LA SITUAZIONE DEI ROM IN CROAZIA

prof dr. sc. Neven Hrvati

Introduzone

Questa relazione ha due parti che illustrano l’ ‘evangelizzazione di ritorno’ nella pastorale di Roma in Croazia.

La prima parte la espone il dr.sc. Neven Hrvatie,  professore ordinario e permanente alla Facoltà di Filosofia — Zagabria — Dipartimento di Pedagogia e membro del Comitato di Conferenza episcopale croata per la pastorale dei Rom, iniziatore e realizzatore della Comunità educativa dei Roma dentro la Conferenza episcopale .

La seconda parte  sarà presentata dalla prof. Kristina Cacic, catechista e segretaria del Cimitato per la pastorale dei Roma della diocesi di Varazdin e  membro del Comitato per la pastorale dei Rom presso la Conferenza episcopale croata.

Ia PARTE

ROMA IN CROAZIA

Secondo l’ultimo censimento del 2011 e secondo l’indagine del Comitato per la pastorale dei Rom presso la Conferenza episcopale croata, in Croazia oggi vivono 16.975 Rom, pero’ secondo di valutazione della Commissione europea, delle associazioni Rom, in Croazia oggi vive tra 35 e 40 mila di Roma. I Roma come parte integrante del corpus croato, per oltre sei secoli della vita comune non hanno fin dal inizio del XXI secolo ( interamente ) creato e strutturato la sua comunita’ nazionale, neppure hanno realizzato di maggioranza loro diritti di minoranze. Dichiaratamente garantiti gli stessi diritti di tutte le minoranze nazionali non sono presso i Roma, nel perfido anteriore, seguito realizzazione politica, culturale, di media, attivita’ editoriale, uso linguistico e alfabetico, e in modo speciale nella educazione ed istruzione.
Le ragioni per sudetto sono multidimensionali:

■ Sonno grande le dfferenze tra i singoli gruppi etnici dentro la comunita’ di Roma riguardo alla appartenenza linguistica, socio-economica e religiosa,

■ stazionamento spaziale e attenuazione della vita nomade tradizionale ha causato i cambiamenti nella struttura economica dei singoli gruppi — Rom restano senza il lavoro, impoveriscono e spazialmente si separanno.

■ il processo di assimilazione collegato con il desiderio di migliorare lo standard di vita e di cambiamento di mestiere ( dei gruppi singoli ), cosi che i Roma nelle citta’ ( fuori dei loro villaggi oppure villaggi completi ) perdono la loro cultura e identita’ nazionale.

■ A causa per persecuzioni nel passato tanti Rom non si vogliono dichiarare ed identificare come appartenenti della comunita’ nazionale di Roma.

■ I Roma in Croazia vivono su tutto il territorio statale, pero’ non sono organizzati e riconoscibili come la comunita’, oltre di regione Medimurje — Croazia nord — dove vive maggoranza di Roma di Croazia.

La situazione reale di Roma in Croazia e la condizione marginale, ( i dati demografici, la struttura socio-economica, il modo di vivere e migrazioni, educazione ed istruzzione dei bambini….) non puo’ esere letta dai datti statistici perche’ i Rom in Croazia, nonostante delle differenze nei mistieri, delle lingue, religione e delle alcune altre carateristiche sono piu’ meno economicamente e socialmente marginizatti.

Il comitato per la pastorale di Rom presso la Conferenza episcopale croata — contribuisce alla evangelizazione di ritorno

Il comitato per la pastorale di Rom presso la Conferenza episcopale Croata ( creato nell’anno 1987. ) tenedno conto dei diversi approcci, offre stimoli significativi nella evangelizzazione della  comunità Rom, ma e’ anche un fattore importante nel campo dell’ educazione ed istruzione, verso un , obiettivo comune: integrazione di Roma nella comunità’ sociale e religiosa.
Un significativo passo avanti nella pastorale dei Rom si e’ smesso nel anno 20.05.pubhl.icando il catechismo „ Sulla via di Dio” nella lingua croata e nello stesso tempo nelle due lingue dei Rom piu diffuse in Croazia e 111.111% creando incontri nazionali degli operatori pastorali.

Le attività importanti dei comitato sono la organizazione degli incontri nazionali degli operatori pastorali tra i Rom che si organizzano dal 2009, con vari argomenti:

I Rom in Croazia: la cura dello stato Croato e la cura pastorale della Chiesa in Croazia ( 2009. )

il sacramento di battesimo (2010.)

Eucaristia: la pastorale delle famigkie Rom in occasione della prima comunione ( 2011.)

L’ idea ed esperienza di Dio tra i Rom (2012.),

Decennio per i Rom: gli obiettivi e realizzazione ( 2013.)

Convivenza nella diversita’ ( 2014. )

La pastorale dei vilaggi Reni ( 2015. )

La misericordia (2016.)

Il ruolo di catechista nella pastorale dei Rom (2017.)

Inclusione dei Rom nella vita della comunità parrocchiale (2018.)

Il comitato per la pastorale dei Rom presso la Conferenza episcopale croata 2009. ha iniziato e realizzato l’indagine della pastorale dei Rom in Croazia, e come indicano le esperienze europee e croate che nel processo di integrazione i Rom nella comunità sociale, come anche la creazone di un rapporto positivo con la scuola attività pastorali particolarmente importanti: scuole familiari religiose incontri pastorali, partecipazione a eventi religiosi comunitaria, il Comitato anche per l’anno 2019. e’ preparato la nuova ricerca completa sulla sitauzione di Roma in Croazia.

La comunita’ educativa di Roma ( ROZ )

Nell’ambito dell’approccio interculturale all’educazione e alla formazione dei rom la sua importanza ha il programma della Comunità Educativa Rom, presso il Comitato per la pastorale dei Rom della Conferenza episcopale croata. È una forma specifica di attività educativa, religiosa e formativa che si organizza per i bambini di Rom in Croazia.
Lo scopo di questa Comunità educativa: educazione e formazione interculturale, rispetando nella pastorale la specifica’ culturale di Roma, per costudire loro identica’ nazionale in Croazia.

I compiti della’ comunità educativa Rom:

• dare la possibilita’ ai bambini Rom di ricorrere ad altre persone , esperimentando e permeando le proprie e diverse caratteristiche culturali;

• educazione e formazione interculturale, conoscere la storia, le realizzazioni tradizionali e artistiche di Roma e le connessioni con le diverse culture;

• La conoscenza e la scoperta della fede nella vita comunitaria, rispetando la religione tradizionale dei Rom, loro lingua oppure il dialeto cui parlano.

• Forza creativa in lingua romana, e collegamento ed influenza reciproca della cultura croata e delle minoranze nazionali in Croazia.

• La socializzazione dei bambini rom, educazione familiare e sanitaria.

Obiettivo della comunita’ educativa e’: „ESSERE INSIEME” – NOJ UN Fl GRMAD. Professori, insegnanti, asistenti di Roma ed alluni come vera comunita’ pedagogica adempie questo programa con rispetto, tolleranza e fiducia.

La comunita’ educativa ha mostrato il suo impegno per I’ inculturuione e il rispetto della lingua dei Rom introducendo la lingua dei Rom nella liturgia ( La liturgia della Parola: le letture e la preghiera dei fedeli ).

Per la comunita’ nazionale a riguardo di Roma in Croazia, oltre il meglioramento della posizone socio-economico, l’integrazione in tutti i segmenti della societa’, e’ fondamentale tutto e sempre con il rispetto e la conservazione della cultura, la tradizione i lo stille della loro vita.

Le esperienze fin ora obbligano le istituzioni statali e la comunita’ di Roma in Croazia, perche’ si impegnino loro diritti che li ha lo magiontnza. Con il rispetto dei impegni di risolvere uniti problemi a riguardo dei Rom: alloggio, lavoro, salute„., proprio ambito di educazione, istruzione e pastorale mostrano la sintesi delle diversita’ di partenze e unitarieta’ di realizazione nel oprativo per il bene reciproco di Roma e di Non-roma.

IIa PARTE

I.’ ESPERIENZA DELLA PASTORALE TRA I ROM NELLA DIOCESI DI VARAZDIN

Prof. Kristina Cacic

A )  l.a cura concreta della chiesa locale per Roma: Il lavoro della Comitato per la pastorale di Roma della diocesi Varazdin.

“Per molto tempo si è sentito il bisogno di istituire il Comitato per la Pastorale Rom nella Diocesi alla fine di rendere un modo costruttivo e produttivo perche’ la Chiesa si avvicini ai membri del popolo Roma che, nella zona della nostra diocesi, in gran numero, hanno trovato la loro sistemazione permanente o la loro casa “.

Con questo detto il vescovo Mrzljak, dopo i saluti e le preghiere introduttive si e’ rivolto nei locali dell’ ordinariato diocesano agli attuali membri del futum Comitato pastorale Rom al venerdì 18 settembre 2016. data dell’istituzione ufficiale del Comitato per la pastorale di Roma nella diocesi Varaldin )

Nella sua riflessione sull’importanza dell’organizzazione di una pastorale qualitativa di Roma nella Diocesi, il vescovo Mrzljak ha sottolineato i seguenti fatti:

– perche’come una Diocesi con il maggior numero di membri della minoranza nazionale Rom e quelli si dichiarano i cristiani, il nostro dovere fraterno è quello di avvicinarsi al popolo Rom alla luce delle parole di Papa Francesco, conte dobbiamo portare la parola del Vangelo a chiunque sia in qualche modo emarginato o escluso nella società;

– nell’ operare pastorale con i Rom, siano essi bambini o adulti, ci conduce ispirazione pastorale e concreta saggezza pastorale, adattamento e intraprendenza, viste le numerose sfide nel lavorare con i fratelli e le sorelle Rom;

Per gli operatori pastorali nel lavorare con i Rom loro visione ed i loro obiettivi, la fonte di ispirazione e’ il documento ” Orientamenti per una pastorale degli Zingari” del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migratiti e gli Itineranti.

Obiettivo del Comitato:

Sulla base di un approccio pastorale ben concepito e di un’azione pastorale completa e ragionevole tra e con i membri del popolo Rom, costruire una vera conutnita’ cristiana di fratellanza alla luce della verita’ evangelica che siamo tutti i figli di unico Padre celeste.

Sentiamo ed esperimentiamo che tale pastorale e’ neccessaria nella evangelizzazione del polopolo Rom nella diocesi di Varaddin perche’ i Rom nella nostra societa’ sono ancora il gruppo di rischio più vulnerabile (socialmente svantaggiato / marginalizzato / escluso) principalmente a causa di alto grado di disoccupazione, copertura inadeguata del sistema educativo, condizioni abitative inadeguate e (no) regolarizzazione delle aree abitate dai Rom.

Esperimentiamo come dicono gli Orientamenti, che la Chiesa e’ chiamata costruire una pastorale speciale per i fratelli Rom, diretta verso la loro evangelizzazione promuovendo la dignità della persona umana. Orientamenti, Prefazione ).

Alcune delle attività della pastorale in Diocesi:

– organizzazione di celebrazione eucaristica con i Roma Beato Cefferino ed Emilia nella cattedrale di Varaddin

Organizzazione di via crucis per le strade di un insediamento Rom

pellegrinaggio annuale di madri e bambini al santuario mariano nazionale di Marija Bistrica

le visite alle famiglie rom su invito e / o raccomandazione durante l’anno.

“Missioni di famiglia”

partecipazione alle attività del Comitato per il servizio pastorale dei Rom della Conferenza episcopale croata

supporto nel lavoro professionale dcgli insegnanti in tutta la diocesi

 

B) Prospettiva di catechisti nel laroro con i bambini Rom

Ci sono ohm 20 scuole clementari nella diocesi di Vara/din tirquentato da studenti della minoranza nazionale rem e si iscrivono ad un materia scolastica chiamata Catechismo cattolico.

Come la premura pastorale noi catechisti la sentiamo conic la sfida ad impegnarsi con tutta la rrsponsabilita’ ad una cducazione i scuolari nella fede e a riguardo di questo noi tentiamo essere:

– i primi anunzziatori della parola di Dio

i primi creatori di vera immaggine della Chiesa

– anunzziatori sinceri della „cultum di vita”

Nelle ativita’ pastorali tra i Roma ci ispira it testo di n.60. dei Orientamenti: ,,la Parola di Dio annunciata agli Zingari nei van ambiti dell’azione pastorale sara’ da lore piu’ facilmente accolta se proclamata da qualcuno che si e’ dimostrato in concrete, solidale verso di are attraverso gli avvenimentt della vita.”

Nella diocesi si organizzano i seminari professionali per insegnanti con it supporto della Diocesi e dell’ Agenzia per educazione ed istruzione at livello del Ministere della Pubblica Istruzione della Repubblica di Croazia.

Gli obiettivi di tali incontri sono seguenti:

1. Conoscere gli elementi scientifici c professional dell’educazione ed istruzione interculturale che contribuiscano a una migliore comprensione e l’accettazione della minoranza nazionale rem attraverso it prisma dell’educazione religiosa;

2. Condividere l’esperienza professionale acquisita attraverso it lavoro educativo con la popolazione di bambini rom.

3. Rafforzare it livello professionale dell’istruzione religiosa nel lavoro con i bambini Rom;

Il Comitato pastorale Rom della diocesi di Varaddin continua a sostenere c rafforzare it lavoro degli insegnanti con bambini appartenenti alla minomnza nazionale Rem. Come risultato unico del lavoro di una delle conferenze professionali, c risorto it testo titolato: La letters di sostegno per Rom 1′ alluno di religion” in cui ii catechista esprime sincere sostegno a Rom alluno di cateschesi.

Caro Elvis, Sladana to mi sei importance ! Con questa letters roglio darti supporto e assistenza nella n,a ulterior:. educazione. Non collar:- it tuo sguadro, non ti metier: da parte perche it tuo posto e qui Ira tati. 3lostrami chi sei e troverema moire cose comunL Le differenze ci collegheranno, non ci separeratmo.

C) La testimonianza personale: it cambiamento di vita sulla base del comandamento dell’ amore: “ama il tuo fratello come te stesso.”

La mia vita personale e professionale è cambiata irrevocabilmente attraverso le riunioni, lavoro e convivenza con i fratelli e le sorelle Roma. Fin dall’inizio del lavoro di insegnamento con i bambini Rom, e tramite lord ed incontro con le loro famiglie mi sono rem come che l’altra parts di Dio di comandato di amare Amu it tuofratello come to siesso” solo puo’ condurre correttamente, guidare e rafforzare nel lavoro tra i Roma.

In questa forma di lavoro pastorale ci sono molte slide che mi incoraggia a persistere ad otTrire compassione supporto e rifugio per coloro che sono i piu vulnerabili tra noi nella Chiesa e nella societa. La seconda parte del comandamento dell’amore mi rende consapevole come e’ bello partecipare nella formazione delle anime umane e’ tut dono inapprezzabile che richiede solo una cosa: it vero amore umano che si realizza attraverso lo sguardo, it riconoscimento, attaccamento persistente e la disposizone di evangelizzarsi a vicenda.

 




la testimonianza di Nathalie Gadéa al C.C.I.T. 2019 in Croazia

 

 

C.C.I.T. 2019 – Trogir  

La missione in cambio

o

la Beatitudine dell’irrigatore irrigato

Nathalie Gadéa

La missione è indissociabile dall’incontro, ne è la condizione stessa. Si tratta di donare una parte della propria vita e sentire è resa trasformata. È, mi sembra, uno dei frutti dell’Annunciazione della Buona Novella, che suscita questa domanda durante la missione di evangelizzazione, chi evangelizza chi ?

Il messaggio conclusivo della manifestazione di Lourdes, intitolato Diaconia 2013, afferma nessuno è tanto povero per non avere qualcosa da condividere e nessuno è troppo ricco per non aver qualcosa da ricevere. Quando sulle vie della missione mi viene data la gioia dell’incontro, in verità, nello stesso tempo condivido e ricevo. Allora corro il rischio di cambiamento, quello delle mie priorità, quello della mia conoscenza e quello delle mie certezze. Poi ne ottengo un altro perché ottengo l’altro.

Per illustrare il mio proposito, rivisiterò alcuni momenti importanti che descrivono la mia amicizia con le famiglie rom romene. Devo confessare che in apparenza nulla mi aveva predestinato a frequentare questo mondo di precarietà ; “lo stesso” mi ha sempre rassicurato e mi soddisfa perfettamente. Però, spinto dal Vangelo sulla via della “diversità”, scopro oggi che l’alterità offre in cambio la Buona Novella.
Impiegato dal « Secours Catholique » per l’accompagnamento delle famiglie rom senza casa, quel giorno sono in cerca di un appartamento per Joanna e i suoi genitori. Vedo la piccola Joanna, in pieno inverno che riscalda le sue mani sul radiatore acceso mentre Tibi, il papà, con lo sguardo sognatore, immagina già la sua famiglia avere casa. Pochi giorni dopo, la risposta arriva. Nonostante l’impegno dell’associazione, il proprietario con pretesti più o meno credibili, si ritira. Quando dò la notizia al papà, i singhiozzi mi bloccano la voce e le lacrime cominciano a scorrere. Riesco a vedere la massa grassa di Tibi, che si avvicina goffamente pronunciando parole per fermare le mie lacrime: « Perché piangi ? Dai che non importa, viviamo in strada già da 3 anni ». Il che raddoppia i miei singhiozzi lasciando Tibi totalmente impotente. È il colmo, Tibi che cerca di consolarmi !

Non so ancora da dove provenga la fonte delle mie lacrime: rabbia, rabbia contro questo proprietario? La vergogna di aver lasciato Joanna sognare questo momento? Il fallimento e l’insucesso dei mio tentativo ? Senza dubbio l’insieme di tutto questo e forse di più! Oggi, comunque, posso dare un nome alla loro fecondità.

Passare dall’atteggiamento di colui che cerca di consolare a quello di “essere consolato” illustra di fatto questa alternanza “dare / ricevere”. Questa postura ci permette di addentrarci nella semplice umanità di due esseri forti e fragili che, nell’umiltà di una relazione di verità, possono alternativamente contare l’uno sull’altro. Il secondo insegnamento si forma sul fallimento della mia lotta con questo proprietario. Il suo rifiuto mi ha liberato dalla posizione di tutto il potere in cui mi ero messo. Non si trattava più di lottare per l’altro, come difensore di poveri e orfani, ma di una lotta da combattere con lui, assumendo il rischio di fallire insieme. Il mio temperamento, il mio carattere, la mia storia mi hanno spesso rappresentato a cavallo con l’armatura del Cavaliere Salvatore che sa in anticipo quello che è buono per l’altro. Questo atteggiamento mette l’altro in una relazione di dipendenza della mia buona volontà e lo posiziona come oggetto e non come soggetto nella relazione. Il giorno in cui una madre Rorn ha rifiutato la giacca a vento che le ho offerto (probabilmente perché il colore o la forma non le andavano bene) ho capito dentro me, che solamente l’altro sa cosa è buono per lui e che è libero di prendere o no il dono. Ripensandoci. che regalo è stato questo rifiuto ! Ed è questa stessa Maria che ha gentilmente rifiutato la mia giacca a vento, scolorita e vecchio stile, che in occasione di un ricovero in clinica mi ha portato un dolce impacchettato in una scatola con un bel nastro : lei che ogni sera aspettava la chiusura del panificio per recuperare pane e dolci invenduti.

È in questo “dare / ricevere” che si gioca la veridicità dell’incontro tra colui che vuole dare da una parte e colui che ricevea o no il dono. Chi dà? Chi riceve? Chi annuncia la buona notizia? Chi è evangelizzato ? Entrambi, senza dubbio. L’umiltà è parte del bagaglio da trasportare perché la strada è costellata di fallimenti, incomprensioni, goffaggine e spesso è la consapevolezza dei miei limiti che mi hanno fatto crescere. Il successo è raramente una fonte di crescita.  La maggior parte delle famiglie che abbiamo incontrato erano rumene, cattoliche e anche ortodosse, e nel corso della loro familiarizzazione sono state fatte delle richieste di battesimo. I genitori di Romolo non hanno mai messo piede nella parrocchia, ma la febbre del loro neonato li spinge a varcarne la soglia. Al di là della difficoltà della lingua e della rapida preparazione, il battesimo si celebra. L’inizio è epico. Mentre la famiglia, tutti col vestito della domenica, è in chiesa e in attesa, la madre rifiuta di entrare. Segue una lunga confabulazione col papà che cerca di domandare qualche cosa in lingua franco-rumena. Per fortuna, un vago ricordo di mia nonna che parlava della cerimonia di « purificazione » (relevailles) dopo i suoi parti mi riviene in mente, ma non saprò mai se la mia intuizione sia stata giusta. Quello che è certo è che il dialogo ha continuato in francese tra me e il giovane sacerdote colombiano. Lui stesso straniero e ignaro di questa pratica ancestrale europea (?) improvvisa alcune preghiere, ricopre la testa della mamma con la stola e è visibilmente riconfortata e la celebrazione del battesimo può quindi continuare. Romulus adesso è parte della famiglia cristiana. Molto orgoglioso di me stesso e di tutti noi, direi « missione apostolica compiuta ». Mi rivedo ancora a fotografare la mamma che firma il registro dei battesimi sull’altare. Mi ci sono voluti un paio di giorni per comprendere e ammirare questi genitori di rito orientale – l’amore per il loro bambino – ha accettato di entrare in chiesa sull’altare – luogo sacro per eccellenza – per ottenere ciò che, in buona fede, abbiamo loro imposto. L’inferno è lastricato di buone intenzioni!
È con le famiglie rom che ho frequentato la scuola dell’umiltà. Mi hanno insegnato a ricevere dagli altri ciò che Dio vuole dirmi oggi. L’altro nella sua diversità è una ricchezza, un dono prezioso che Dio mi offre per crescere in umanità e, oso crederci, in santità.

Poiché i discepoli diventano missionari, più siamo missionari e più impariamo a divenire discepoli. Il mio titolo lo esprimo in un modo molto più volgare attraverso questa nuova Beatitudine : la Beatitudine dell’annaffiatoio annaffiato.




l’omelia di Claude Dumas al C.C.I.T. 2019 in Croazia

 

 

 

 

CC1T – Trogir – 2019

OMELIA di Claude DUMAS

I discepoli sono là, su quella montagna, che ricorda tutte le montagne di cui parlano Gesù le Scritture, il monte Sinai, il discorso della montagna, la trasfigurazione…Sono là, e non appena appare, adorano …adorano ma…certi dubitano ! Questa piccola osservazione sottolinea discretamente la realtà della vita cristiana alla quale nessuno può sottrarsi : due sentimenti sempre mescolati/ fede e dubbio, certezza e incredulità , solida convinzione e inevitabile esitazione . Nel Nuovo Testamento, il dubbio non si manifesta mai presso i non credenti, ma sempre nella vita dei discepoli , come si manifesta spesso nella mia e anche probabilmente nella vostra .Non bisogna vergognarsene ; è l’inevitabile condizione del discepolo ; Ma è precisamente in questi momenti di grande fragilità in cui la fede e il dubbio insieme ci colgono, che il Signore ci aspetta ed è presente davanti a noi, non per accusarci e denunciare la nostra incostanza o i nostri vagabondaggi, ma per incontrarci. « Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo »…dei discepoli, non dei seguaci ! Non si tratta di reclutare , di irreggimentare ma di « battezzare ». Battezzare , è far nascere la vita, offrire a ciascuno la possibilità di vivere del Cristo come noi stessi vogliamo viverne… dei « discepoli » , cioè di permettere a altri di incontrare Gesù-Cristo come noi stessi lo incontriamo… cioè condividere con altri il loro impegno, al seguito di Cristo, a far avvenire la giustizia del Regno conformandosi all’insegnamento che hanno ricevuto da Gesù. Ricevendo il Battesimo « in nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo », i discepoli manifesteranno la loro comune appartenenza alla Chiesa di Cristo. «Andate, dunque e fate discepoli tutti i popoli » Questa missione trasmessa ai discepoli è anche la nostra. Qualunque sia la nostra vocazione particolare in seno alla Chiesa, siamo tutti chiamati a essere i testimoni del Cristo resuscitato, attraverso la nostra vita cristiana
La missione in ritorno del Cristo è adesso la nostra missione : far crescere la Chiesa ; Dobbiamo testimoniare quello che abbiamo ricevuto e oggi più che mai.


La missione che ci è affidata è di essere discepoli che fanno altri discepoli…uomini e donne che provano che l’insegnamento di Gesù trasfigura la nostra propria esistenza…uomini e dorme che sono capaci di rileggere le esperienze vissute e condivise per trarne profitto e continuare per questa ragione a far crescere il Regno cosa che si riassume finalmente in una sola legge, quella dell’amore.
La nostra parola e il nostro impegno, oggi nel seno della Chiesa e del CCIT, testimoniano una presenza d’amore a quelle e a quelli che oggi si sentono abbandonati. La nostra missione è di restituire la speranza di Pasqua ai crocifissi di oggi, a tutti quelli che sono umiliati, abbandonati, sforniti, sofferenti. Nessuno è escluso dall’amore di Dio .
Ma rassicuriamoci ; La nostra vocazione non va di pari con un obbligo di risultato perchè nessuno di noi domina gli effetti della parola di Dio che ci è domandato di annunciare . Solo Gesù ha il potere di toccare i cuori. Noi, suoi discepoli, diciamo semplicemente le parole e gli atti che una moltitudine di uomini e dorme hanno meditato da duemila anni e che hanno ricevuto come essendo la parola di Dio. L’hanno lasciata agire in loro per discernervi la chiamata a mettersi in cammino, a diventare testimoni di un amore che li supera, ad avventurarsi con la loro fede e i loro dubbi, le loro forze e le loro debolezze sul cammino del servizio e dell’annuncio del Vangelo. La Parola di Dio traccia in noi il cammino sul quale il Resuscitato, il Cristo vivente, ci conduce all’appuntamento che ci ha dato, questa mattina. Ci invia all’incontro con il mondo per manifestare il suo Regno di giustizia e di amore. Allora ,guardiamo ben salda nei nostri cuori la sua promessa che è certa : « Io sono con voi, lutti i giorni, fino alla fine del mondo. »




la testimonianza delle ‘piccole sorelle di Gesù’ al C.C.I.T. 2019 in Croazia

 

 

 

CCIT – Trogir – 2019

La “missione di ritorno” come principio di cambiamento

petites Soeurs de Jésus

Presentazione

Piccole sorelle di Gesù di tre nazionalità (libanese, belga, italiana), viviamo fra i Rom rumeni in una città del sud Italia. Si possono facilmente immaginare le differenze, l’incontro (gli scontri!) e l’insieme di culture che questa diversità rappresenta. La nostra prima missione non è, come si potrebbe credere, quella di vivere fra i Rom, ma piuttosto vivere insieme, in comunità al seguito di Gesù. Questa è l’essenza della nostra vita, il luogo in cui le nostre differenze si rivelano. È al contempo tesoro e sfida, energia che ci spinge, quasi sforzandoci, al cambiamento. Oggi vorremmo condividere qualcosa a proposito di questa dinamica interna, di questo cammino comunitario e fraterno.

La differenza vissuta nell’intimo della nostra comunità

In uno spazio ridottissimo, nel quale tutto è vissuto sotto lo sguardo le une delle altre, le occasioni di scontro reciproco non mancano. Basta chiedere ad una donna italiana, che ha l’abitudine di sciacquare le stoviglie all’acqua corrente, cosa ne pensi di una belga che invece le sciacqua nell’acqua stagnante. Nella migliore delle ipotesi giudicherà che le stoviglie non sono pulite (se non le capiterà addirittura di giudicare istantaneamente che la persona -vedi anche il suo popolo- è sporca). Di certo, comunque, non vorrà riporre nell’armadio le stoviglie sciacquate in quel modo. Per non parlare poi della libanese, che avrebbe addirittura aggiunto della varichina nell ‘acqua del lavaggio. Se per quest ‘ultima è un’usanza appresa fin dalla più tenera infanzia, per la belga che la guarda allibita questo “igienizzante” non è null’altro che un veleno, nocivo per l’essere umano e per l’ambiente. Questo piccolo esempio e altri simili -ne potremmo ripetere all’infinito in ambiti diversi (cucina, igiene personale, educazione…)- ci permettono di percepire quanto le differenze si incontrino, si scontrino e si urtino quotidianamente all’interno della nostra comunità.

Dinanzi alla differenza, il giudizio emerge assai spontaneo e permette di rassicurarci riportando l’elemento perturbante nell’ambito del conosciuto. Noi siamo nel giusto e l’altro si sbaglia: è lui, secondo i casi, scortese, sporco, ingiusto, maleducato… spesso neppure pensiamo possibile un altro sguardo sulla realtà. L’altro ci disturba, ci irrita, ci scandalizza. Pur giudicando la mia cultura di appartenenza di poco superiore a quella dell’altro, questo può diventare molto pericoloso per chi è diverso da me, perché giudichiamo sempre a partire dai nostri criteri. Spesso questi ci sembrano universali e, troppo spesso. ci dimentichiamo che vanno contestualizzati: ad ogni cultura, comunità, parrocchia, famiglia corrispondono linguaggi, percezioni, codici e limiti.

Come starci dentro quando siamo chiamate a vivere insieme la quotidianità? Aprirci al dialogo, lasciare che le nostre certezze si sgretolino, accettare di cambiare lo sguardo per andare incontro all’altro e provare, almeno, a comprendere da dove viene, accettare di non capire, abitare insieme il disaccordo, lasciar cadere i nostri giudizi e pregiudizi, ritrovare i nostri bisogni comuni al di là delle nostre espressioni differenti o addirittura contradditorie.

Parlare insieme è una delle garanzie donataci per evitare di restare intrappolate nella nostra unica visione del mondo e di prenderla come riferimento totalizzante. In effetti quando lascio il mio Paese, la mia cultura, posso illudermi di essermi lasciata dietro ciò che è mio e che solo questo abbia già necessariamente aperto in me uno spazio per incontrare l’altro. Succede poi che progressivamente, incontrando l’altro con l’altro io prenda consapevolezza di quanto, invece, sia”piena”, abitata da ciò che è “mio” (tutto quello che mi ha formato, le mie abitudini, la mia storia…). 

È un processo faticoso, che non lascia indenni (devo “perdere” qualcosa a partire dall’idea di possedere la verità, di sapere cos’è giusto, cosa è meglio fare o meno): è un cammino appassionante che schiude nuovi orizzonti, allarga il nostro modo di concepire il mondo, rimette in discussione quel che credevamo essere universale.

L’incontro con l’altro diverso da me conduce ad una certa rinuncia, ha un suo prezzo: è un percorso che mi chiede di lasciare ciò che mi appartiene, ciò che mi ha permesso di crescere e che, quindi, mi è prezioso.

Per esempio, in Libano, di consuetudine, si accoglie qualcuno con un vassoio di frutta. È segno di ospitalità offrire la frutta già sbucciata e tagliata così che l’ospite possa servirsi agilmente. Immaginate quindi la nostra sorella libanese che secondo la sua usanza, riproduce lo stesso modello qui in Italia. Percependo un certo disagio ne abbiamo parlato insieme. Che sorpresa scoprire che, ricevendo la frutta già sbucciata, le sue sorelle, piuttosto che sentirsi onorate si sentivano infantilizzate. Dal canto suo, è rimasta scandalizzata nel constatare che, quando accogliamo degli ospiti, noi serviamo la frutta in un vassoio e non insistiamo perché 1 ‘ospite si serva per primo. Come sapere, se nessuno non glielo spiega, che servirsi dà l’autorizzazione all’altro a fare lo stesso? Quante altre cose che, apparentemente, sembrano andar da sé e che, invece, possono trasformarsi in enigmi se non addirittura in muri di incomprensione?

La differenza vissuta in comunità e con quanti ci circondano

Questa stessa dinamica (differenze, giudizi, conversione dello sguardo, apertura di orizzonti) si può rintracciare su scala diversa con le persone che ci circondano. In effetti è all’interno di un popolo ancora diverso da noi che siamo chiamate a vivere le nostre differenze culturali e personali. E come un sigillo che conferma il nostro desiderio di lasciarci interpellare dall’altro e con l’altro: un incoraggiamento capace di aiutarci ad accogliere le nostre differenze interne.

Chissà perché non ho problemi nell’accettare l’ignoranza dei miei vicini o degli italiani quando mi chiedono se sono musulmana e come mi sono convertita, mentre invece il problema nasce quando a chiedermelo è una mia sorella che subito giudico come stupida. Che cosa avviene in me quando mi accorgo del mio meravigliarmi di fronte alle continue espressioni di fede che costellano il quotidiano dei nostri vicini, quando, invece, mal sopporto quando mia sorella finisce le sue frasi con un “come Dio vuole” e: “che Dio ti benedica” come segno di gratitudine per un servizio ricevuto? Se accetto che il mio vicino si esprima così, perché volere che mia sorella lo faccia diversamente?

La nostra vita comune è una palestra, un laboratorio in cui allenarci ad accogliere e lasciarci trasformare dalla differenza dell’altro. L’alterità dei nostri vicini (che spesso accetto più facilmente) mi aiuta ad accogliere la differenza con le mie sorelle; d’altra parte, la differenza fra noi mi aiuta ad accettare la differenza con i nostri vicini.
Non potrebbe essere così anche nelle nostre parrocchie, associazioni, famiglie? Ognuno potrebbe chiedersi: come accolgo i nostri diversi punti di vista circa la missione, il lavoro da svolgere… sono ostacoli o risorse?
Questo riguarda anche gli interrogativi più legati alla nostra presenza: l’opportunità di intervenire o meno in un conflitto al campo; la possibilità di un’uscita serale fra di noi e le possibili ripercussioni che questo potrebbe destare nella relazione con in nostri vicini; o ancora quanto sia opportuno partecipare o meno ai matrimoni di rom minorenni; fino a chiederci come reagire ad una menzogna che ci riguarda… interrogativi che sono occasioni in cui crescere nella conoscenza reciproca. Ciò richiede tempo, energie, ascolto e rispetto… nessuna di noi ne esce indenne: interrogativi e domande non si attraversano senza perdite e ferite, senza incomprensioni e riconciliazioni.

La differenza fattore di cambiamento

Il cambiamento non è, prima di tutto, un processo personale, come ci ricordano e ripetono psicologi e guide spirituali? La missione ha ancora senso se non comincia con il cambiare noi stessi?

Possiamo desiderare migliorare le sorti dell’altro, salvarlo, cambiarlo, senza fare, noi stessi per primi, esperienza di cosa significhi essere salvati, lasciarsi salvare, lasciarsi trasformare interiormente?

Se penso alla missione da questo punto di vista, essa ha immediatamente e prima di tutto delle conseguenze su di me. Tutto questo mi implica in prima persona e spesso è molto più impegnativo, e molto meno facile. Quando io stessa, pur cosciente dell’importanza, non riesco a cambiare alcuni dei miei comportamenti, quando io stessa resisto a quanto mi viene imposto dall’esterno, posso ancora permettermi di inveire contro colui-coloro che vengo ad aiutare e che fanno fatica ad accettare, ad accogliere il mio aiuto, a rispettare la struttura che dò??

Piuttosto che volere l’altro secondo i miei criteri, non mi rimane che accompagnarlo nel suo desiderio di cambiamento. Accompagnarsi diventa il luogo in cui può nascere il desiderio di cambiare insieme, d’inventare “qualcosa” di nuovo che né io né l’altro conosciamo ma che costruiremo insieme. Si tratta di vedere come prendiamo in con-siderazione la missione e, soprattutto, come ci lasciamo con-siderare da essa.

La missione ci trasforma trasformando il concetto stesso che abbiamo di missione. Non è forse quello che Gesù ha vissuto incontrando la donna sirofenicia (Mc 7,24-30)? Gesù stesso lascia che questo incontro lo converta, lo cambi. Un incontro totalmente altro (donna, pagana, appartenente ad un’altra cultura, madre). Gesù lasciandosi interpellare ne esce cambiato. L’incontro delle loro differenze dona una comprensione più piena (consapevole) della sua missione. Gli orizzonti si sono allargati o, almeno, i pre-concetti \ le pre-comprensioni sono ora meno rigide, c’è spazio per altro, c’è spazio per ciò che fin ll e fino ad allora non era mai stato de-siderato.

Umilmente, e sapendoci sempre in cammino, ciascuna di noi può affermare che ha almeno uno sguardo altro rispetto alle abitudini, tradizioni religiose e sociali… alle ricchezze culturali e ai punti deboli del proprio Paese. È ciò che ci racconta Rania rispetto alle modalità diverse che si hanno nel vivere il digiuno quaresimale. “Da noi il digiuno è piuttosto stretto, vicinissimo alla tradizione ortodossa: durante la quaresima non mangiamo né carne né tutto ciò che deriva dagli animali, è un cammino che ci viene offerto per avvicinarci alla Salvezza. Inizialmente ero scandalizzata nel constatare quanto in Italia si attribuisse poca importanza al digiuno. Non comprendevo. Con gli anni, ho cercato qualcuno che mi aiutasse a comprendere il senso del digiuno in occidente ed è così che, a poco a poco, sono entrata in questa modalità. Ho riscoperto che non posso “raggiungere” la Salvezza, ma che è questa a raggiungermi. Il digiuno non è che un mezzo: se intorno a me lo si vive, allora vi partecipo con gioia. Se, al contrario, non lo si pratica, preferisco mangiare con gli altri privilegiando la relazione, sapendo che non solo non sarà questo che mi impedirà di essere salvata, ma che questa può essere oggi la strada attraverso la quale lasciarmi raggiungere da essa. Ho così trovato una certa libertà rispetto alla tradizione, alle mie origini. Ora, anche in Libano, posso vivere il digiuno in maniera più libera e assumere le reazioni degli altri perché so profondamente che l’essenziale è nella mia relazione a Dio e agli altri qualunque sia il mezzo scelto”.

Concludiamo con una piccola storia che ben riassume questa nostra testimonianza. Dopo diversi anni di vita condivisa sotto la tenda, con i nomadi, una vicina musulmana ha detto alle piccole sorelle: “Ora siete diverse da quelle che eravate arrivando qui e anche noi siamo diversi. Noi e voi siamo diventati diversi e siamo cambiati. C’è un po’ di voi in noi e un po’ di noi in voi”