Ascanio Celestini e tutti quelli che ‘se la vanno a cercare’

in difesa di chi ‘se la va a cercare’


di Ascanio Celestini

Greta e Vanessa se la sono andata a cercare. Ma chi gliel’ha fatto fare di andarsene a fare le superdonne in un posto dove ci sta la guerra? Se la vanno a cercare? Come quelle diciottenni che vanno in giro in minigonna alle due di notte nelle stradine buie delle città e poi si lamentano se qualcuno se le violenta. Perché se la vanno a cercare?

E Saviano? Poteva scrivere una bella guida turistica di Napoli, o in alternativa una cosa intellettuale su qualche rivista intellettuale che si leggono gli intellettuali. Perché s’è messo in mezzo a una cosa più grossa di lui? Non gli basta di guadagnare un sacco di soldi? Si lamenta perché vive sotto scorta? Colpa sua, se l’è andata a cercare.

Pure James Wright Foley se l’è andata a cercare, l’ha detto Edward Luttwak che non è mica l’ultimo arrivato. “Se l’è cercata totalmente… Il suo, come quello della vostra Sgrena, non è giornalismo, ma protagonismo” così dice Luttwak. E infatti è pieno di giornalisti che se la vanno a cercare. A Luttwak non gli capita davvero di farsi decapitare. Non si capisce perché il mondo è pieno di gente che se la cerca.

Per esempio ti ricordi di Ernesto Guevara detto Che? La sua faccia è stampata su un sacco di magliette. Pure lui è uno che se l’è andata a cercare. C’aveva pure l’asma e dopo la rivoluzione cubana, invece di aprirsi uno studio medico, se n’è andato a sparare e a esportare la rivoluzione in Bolivia. L’hanno ammazzato. Cavoli suoi… se l’è andata a cercare.

Come quell’altro famoso comunista di Trockij che pure lui se l’è andata a cercare. Poteva mettere le mani su un ministero nella grande Unione Sovietica e invece è andato a fare l’esiliato in Messico. Chi gliel’ha fatto fare? L’hanno ammazzato? Embè, se l’è andata a cercare. E i desaparecidos in Cile e in Argentina e in chissà quanti altri posti? Pensi che i militari avrebbero fatto scomparire il mio vicino di casa che si fa i fatti suoi? Nossignore. Con tutto il rispetto verso quei morti, però era gente che stava contro il regime.

Pure in Italia c’abbiamo avuto il fascismo, ma mica ammazzavano a tutti. Se facevi il dovere tuo senza rompere troppo le scatole vivevi come cristo comanda. Mussolini ti dava pure i soldi quando davi un figlio alla patria. Eppure sotto al fascismo ci stava un sacco di gente che se l’andava a cercare lo stesso. E mica era gente scema. Lo sapevano a che andavano incontro.

Mio nonno mica aveva studiato eppure lo sapeva che era meglio non prendersela troppo col fascismo. Se l’hanno preso sott’occhio è stato solo per una battuta. A quel tempo il cesso si chiamava anche “ritirata”. Mio nonno lavorava al cinema Iris e quando un fascista gli ha chiesto “dove sta la ritirata?” lui ha risposto “in Grecia!”. Per questo l’hanno preso sott’occhio, ma mica si metteva a parlare contro il Duce. Mica era scemo. E pure Matteotti non era mica scemo, lo sapeva che sarebbe finito male se andava avanti a parlare contro il fascismo. E infatti è andata proprio così.

E ti ricordi i confinati? Per esempio ti ricordi Leone Ginzburg? L’avevano mandato a Pizzoli. Gli è andata male perché altri come lui venivano spediti in certe isole che oggi la gente ci va in vacanza. Eppure continuava a tradurre dal russo come se non ci fosse la guerra. Ma dove hanno la testa questi intellettuali? Per non parlare di Gramsci che ha fatto i salti mortali per far uscire i suoi quaderni dalla cella del carcere. Un altro avrebbe abbassato la testa, chiesto scusa e sperato nei domiciliari. Lui no. Continuava a scrivere contro questo e contro quello. Almeno Saviano e Rushdie si prendono le royalties, il sardo invece non ha preso manco quelle. Lo sapeva che non c’avrebbe guadagnato. Perché se l’è andata a cercare?

Mia madre dice “attacca l’asino dove vuole il padrone!” è un modo saggio per campare cent’anni. E invece pare che sia ancora pieno di gente che non attacca mai l’asino al posto giusto. Guarda per esempio quei blasfemi di Charlie Hebdo. L’hanno ammazzati e il primo giorno stavamo tutti dalla parte loro. Pure i commentatori dei giornali della borghesia europea.

Certo che è bastato che passasse un giorno o al massimo due che tutti erano d’accordo su un fatto: gli anarchici del giornaletto comico francese se la sono andata a cercare! Se la prendono col profeta e con il dio dei cristiani, con gli ebrei e chissà contro quali altre religioni. Come pensano di poterla fare franca? Puntano sul fatto che, tutto sommato, anche Gesucristo se l’è andata a cercare? E gli ebrei? C’hanno messo un mucchio di secoli prima di prendersi uno stato come si deve e nel frattempo se la sono andata a cercare. Se Hitler e tanti altri ce l’avevano con loro mica sarà un caso!

Ornella oggi mi scrive che si trova “a discutere con tante persone, anche colte e non votanti Lega, che additano Greta e Vanessa come frikkettone e si piangono i soldi del riscatto, anzi chiedono che adesso venga restituito all’Italia il maltolto e che quindi lavorino gratis a vita per risarcirci del danno”. Loro come tutti gli altri sono gli squinternati che se la sono cercata. “Ma – scrive Ornella – cosa sarebbe questo mondo se nessuno se la fosse andata a cercare?”.

(21 gennaio 2015)




“io comunista proprio no!”, così si difende papa Francesco

 

 

 

così Francesco rovescia chi lo accusa di essere comunista

nel libro intervista “Questa economica uccide” il Pontefice chiarisce le sua dottrina su globalizzazione e poveri

Papa Francisco cercado por crianças na favela de Manguinhos (25 de julho de 2013)

 

 

 

 

 

«L’attenzione ai poveri non è un’invenzione del comunismo, ma è nella tradizione della Chiesa, che talvolta si dimentica della sua missione originaria e necessita di correzione e conversione»
papa Francesco lo dice a chiare lettere in “Questa economia uccide”, il libro intervista di Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi, i due vaticanisti de La Stampa.

 

 

DAL “COMPAGNO” AL “LEONCAVALLINO”
In questo nuovo volume, Papa Francesco replica alla rete di accuse di “comunismo”, che vengono mosse da tempo nei suoi confronti. Dal «compagno Bergoglio» dell’ideologo di destra Maurizio Ruggiero, al “fuoco” di Antonio Socci (Libero, 9 novembre): «Dice sempre che ha conosciuto militanti comunisti in Argentina che erano brave persone. “Chi sono io per giudicare?”. Sfodera toni infuocati (e giudica) solo quando si scaglia contro il “liberismo selvaggio”. Il 28 ottobre ha ospitato in Vaticano vari movimenti noglobal, compreso il Leoncavallo e ha scagliato fulmini. Tanto che Fausto Bertinotti ha subito indicato in lui – venerdì sera, a Tg3 notte – il vero “rivoluzionario” del momento».

ASSONANZE CON L’IMPERO DI NEGRI
Socci, in quell’occasione, ha rilanciato le parole del vaticanista de L’Espresso Sandro Magister, secondo cui «ciò che più colpisce di questo discorso è la sua stupefacente somiglianza con le teorie sostenute dal filosofo Toni Negri e dal suo discepolo Michael Hardt in un libro del 2002 che ha fatto epoca: ‘Impero’». Per Negri, il mondo non è più governato da stati nazionali, ma da una struttura decentrata e deterritorializzata, che definisce Impero. Dunque ci troveremmo di fronte ad una papa “complottista” oltre che “comunista”.

PARTIGIANO E GRAMSCIANO
Il sociologo Umberto Di Maggio, coordinatore regionale di Libera contro le mafie in Sicilia, in senso più buonista ha parlato di «papa partigiano», in relazione al concetto di «globalizzazione dell’indifferenza», una «frase che assume una portata storica poiché definisce, come diceva Gramsci […] l’indifferenza come peso morto della Storia. Perché in fin dei conti l’abulia ed il parassitismo sono vigliaccheria e quindi rifiuto del senso autentico della vita. Parole partigiane quelle di Papa Francesco che, sconvolgendo ogni protocollo, ha scelto di essere ultimo tra gli ultimi». Affermazioni poi corrette dal giornalista e blogger Giuliano Guzzo che ha chiarito come Gramsci traducesse l’indifferenza in assenza di «impegno» e diceva di «odiare gli indifferenti», mentre Bergoglio si rivolge all’assenza di «amore» e critica, e non dice di odiare quelle persone.

PAUPERISTA E DISANCORATO ALLA REALTA’
Piero Ostellino sul Corriere della Sera (16 luglio 2013), all’indomani della visita del papa a Lampedusa, bacchettava il volto “francescano” del Pontefice «pauperista», che fa sistematicamente «l’elogio della povertà a uomini e donne di una “società dei consumi” e del benessere in crisi come la nostra, che non ce la fanno sempre a mettere assieme la colazione di mezzogiorno con la cena della sera e ad altri uomini e donne che non aspirano che a raggiungere un certo livello di consumi e un minimo di benessere – rischia di mettere in second’ordine il Papa gesuita, mostrando di sottovalutare il principio di realtà anche agli occhi di molti credenti».

UNA REPLICA CHE CHIARISCE IL SUO PENSIERO
«Di fronte alle accuse  di essere “marxista”, “comunista” e “pauperista”», nel nuovo libro di Galeazzo e Tornielli, «Papa Francesco esponendo il suo pensiero sui temi della povertà e della giustizia sociale, risponde indirettamente ad altre critiche, forse ancor più velenose, che serpeggiano in alcuni ambienti ecclesiali che faticano ad accettare un Papa “non imprevisto” ma “imprevedibile”» (Franco Garelli, La Stampa 13 gennaio).

COSA E’ REALMENTE LA GLOBALIZZAZIONE DELL’INDIFFERENZA
Francesco non ha remore a rilanciare due concetti a lui cari. «La “globalizzazione dell’indifferenza” – spiega Garelli – è il grande rischio che il mondo d’oggi sta correndo; che viviamo in un sistema che ha alimentato non soltanto la ricchezza mondiale, ma anche le disparità e la “cultura dello scarto”; che l’attenzione per i poveri non è un’opzione politica o ideologica, ma anzitutto un criterio del Vangelo, il protocollo sulla base del quale i cristiani e gli uomini di buona volontà saranno giudicati; che la Chiesa non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, che rende impermeabili al grido dei poveri».

DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI 
Ma a fianco di questi grandi appelli, il Papa richiama due criteri che la Chiesa oggi considera alla base degli ordinamenti socio-economici e politici: «Da un lato il principio della destinazione universale dei beni – sottolinea l’editorialista de La Stampa – dall’altro la scelta preferenziale dei poveri. Nel primo caso il principio sancisce che i beni della terra sono un dono che Dio ha elargito all’intera famiglia umana, per cui devono essere partecipati da tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità; ma che si regge anche su una precisa ragione sociale, tesa a ridurre gli squilibri tipici di un sistema capitalistico che enfatizza eccessivamente il diritto di proprietà e la legge del più forte».

SCELTA PREFERENZIALE DEI POVERI
Anche «la scelta preferenziale dei poveri» – ricorda papa Francesco – è un leit-motiv della tradizione e del magistero della Chiesa cattolica, forse oggi un po’ passato sotto silenzio per il timore che il messaggio cristiano venga interpretato più in chiave orizzontale che verticale, più come salvezza sociale che spirituale. Con la scelta preferenziale dei poveri la Chiesa non intende favorire un processo di pura liberazione sociale. Ma non può che stare dalla parte degli ultimi, sia per essere fedele al suo messaggio, sia riconoscendo che l’estensione dei diritti di cittadinanza rende più civile e armonica l’intera umanità».

IL CUORE DEL VANGELO
Il sito web belga in lingua fiamminga deredactie.be pubblicò lo scorso 4 aprile un video in cui Francesco ribadiva una linea netta sulle povertà: «Questo è il cuore del Vangelo, io sono credente in Dio e in Gesù Cristo, per me il cuore del Vangelo è nei poveri. Ho sentito due mesi fa che una persona ha detto: con questo parlare dei poveri, questo Papa è un comunista! No, questa è una bandiera del Vangelo, no del comunismo…la povertà senza ideologia, i poveri sono al centro del Vangelo di Gesù, basta leggerlo» (Il Messaggero, 4 aprile).

CASA, TETTO, LAVORO
Così come il passaggio più incisivo del suo discorso nell’incontro mondiale dei movimenti popolari tanto criticato da Socci: «E’ un crimine che milioni di persone soffrano la fame – disse il pontefice – mentre la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti, trattandoli come qualsiasi altra merce. Nessuna famiglia senza tetto. Nessun contadino senza la terra. Nessun lavoratore senza diritti. Nessuna persona senza la dignità del lavoro» (Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre). Il suo, dunque, è «un programma di azione sociale» in senso buono, come lo definiva Giorgio Bernardelli su Vinonuovo.it (31 ottobre 2014).

IL RISCATTO DEI MENO ABBIENTI
Un programma orientato al riscatto dei poveri e non al loro mero compatimento. «La novità del tempo di oggi e di domani sta, secondo papa Francesco – scriveva Città Nuova (31 ottobre), riprendendo alcune espressione di Bergoglio – sta nel fatto “che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste tra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato o quantomeno ha molta voglia di dimenticare”».

UNA SOLIDARIETA’ CREATIVA 
Sicuramente il papa, concludeva la rivista dei Focolarini, sgombrando il campo dalle accuse di “comunismo” e “pauperismo”, «ha davanti ai suoi occhi la comunità di malati, poveri, storpi, ciechi, che cerca Gesù per avere forza, stare in piedi, imparare i gesti e le parole di una solidarietà creativa, che mette i poveri al centro. Il papa – ispirato da quella visione – può dire che il futuro sta in questo nuovo protagonismo dei poveri, che sono chiamati a fare la storia, prima che l’impero del denaro possa travolgere il mondo con la guerra e con lo sfruttamento».

sources: ALETEIA



piccola rom: non c’è posto per lei nel cimitero

 

 

«tombe esaurite» per la piccola rom
il sindaco: “viene prima chi paga tasse”

per fortuna il primo ministro si è vergognato e ha espresso la sua indignazione!

Maria Francesca, 2 mesi, è morta la notte di Natale per la sindrome del lattante

 il primo cittadino nega sepoltura: «Pochi posti, precedenze chiare»: seppellita in città vicina

di Elisabetta Rosaspina

Il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi


Era già stato abbastanza triste finire l’anno con la notizia di una neonata morta fra le braccia di sua madre la notte del 25 dicembre, alla stazione ferroviaria di Lille, nel nord della Francia, dove la donna, una Rom, chiedeva l’elemosina. Aveva consolato poco sapere che il decesso della piccola, di appena due mesi d’età e di nome Maria Francesca, non era dovuto al freddo, o alla malnutrizione o a maltrattamenti. I medici avevano stabilito che la responsabilità era della sindrome della morte improvvisa del lattante. Certo la precarietà della vita nel campo nomadi di Champlan, un paesino dell’Essonne, dove la famiglia di Maria Francesca risiede, le giornate e le serate al collo della mamma, a mendicare, non hanno aiutato. Ma stemperati i dubbi e le prime ondate di emozione, le autorità hanno dato il via libera per la sepoltura del bebè. Ma neanche sotto terra c’è posto per Maria Francesca.

«Tutto esaurito» al camposanto

Il sindaco di Champlan ha opposto all’impresa di pompe funebri dapprima un diniego senza altre spiegazioni e, poi, vedendo montare pericolosamente la protesta, un cartello di tutto esaurito al piccolo camposanto. Una scusa. La famiglia, nomade ed emarginata ma anche molto cristiana e battagliera, non si è data per vinta, le associazioni di solidarietà sono scese sul piede di guerra. Niente da fare. Nonostante la mamma di Maria Francesca abbia spiegato che soltanto al cimitero di Champlan avrebbe potuto andare far visita a piedi alla sua bambina tutti i giorni, il carro funebre proseguirà senza fermarsi davanti al camposanto locale.


Una tomba messa a disposizione da un villaggio vicino

Una tomba è stata messa a disposizione in un villaggio, Wissous, a circa sette chilometri di distanza: «Non si poteva non intervenire – ha dichiarato il sindaco più generoso, Richard Trinquier, che appartiene al partito conservatore, Ump, di Sarkozy, ed è un medico -. Non è il caso di aggravare il dolore di una donna che ha portato in grembo il suo bambino per nove mesi e lo perde a poco più di due mesi di vita». Il sindaco di Champlan, Christian Leclerc, eletto del DVD, una formazione di destra, non si è lasciato commuovere: «I posti sono pochi, valutiamo caso per caso. Le concessioni sono accordate a un prezzo simbolico e la manutenzione è costosa. Diamo la precedenza a chi paga le tasse». La legge è dalla sua.




il vangelo della domenica letto da tre angolature diverse

 



Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».  Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

IN MEZZO A VOI STA UNO CHE VOI NON CONOSCETE 

commento al Vangelo della terza domenica di avvento (14 dicembre) di p. Alberto Maggi 

maggi


“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni”. Con questa bella immagine tratta dal prologo del Vangelo di Giovanni, si apre il vangelo di questa domenica. Essendo il progetto di Dio rivolto all’uomo il Signore sceglie un uomo per manifestarlo. Non un esponente della casta sacerdotale, né dell’élite religiosa.
Luoghi e persone religiose sono impermeabili all’azione dello Spirito. Il suo nome era Giovanni. Giovanni, in ebraico Yohan, significa Jahvè, il Signore è misericordia. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti … il messaggio di Dio è universale, abbraccia tutta l’umanità … credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.  
Il compito di Giovanni è risvegliare negli uomini il desiderio di pienezza di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce, nonostante le tenebre.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei … per la prima volta appare in questo vangelo il termine Giudei che sarà ripetuto ben 71 volte, con il quale l’evangelista non indica il popolo ebraico, ma i capi, le massime autorità religiose. Gli inviarono … E qui l’evangelista gioca con questo verbo. Dio invia Giovanni per risvegliare il desiderio di pienezza di luce, le autorità religiose immediatamente inviano la polizia per spegnere questa luce.
Da Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa, sacerdoti e levìti. I levìti nel tempio svolgevano anche funzioni di polizia. Quindi ci sono i sacerdoti per interrogare Giovanni e i levìti pronti ad arrestarlo. A interrogarlo, è lo stesso termine che poi comparirà nell’interrogatorio che condurrà a morte Gesù.
E in maniera brutale gli chiedono: “Tu chi sei?” sono le tenebre che detestano questa luce che Giovanni sta risvegliando. Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. E’ quello che temono. Si sapeva che il Cristo, il messia sarebbe venuto a deporre l’intera gerarchia religiosa per indegnità, per corruzione. Ed è quello che temono.
Se anche nelle preghiere desideravano, auspicavano l’avvento del messia, in realtà lo temevano perché sapevano che con il messia per loro sarebbe stata la fine; il messia avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto e compromesso. Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?” Si credeva che il profeta Elia sarebbe venuto prima del messia. “Non lo sono”.
Le risposte di Giovanni sono via via sempre più brevi e più secche. “Sei tu il profeta?” quello promesso da Mosè, “No”, rispose. Gli dissero allora: “Chi sei?” E’ interessante, Dio invia il suo messaggero, ma i sacerdoti e i levìti che dovevano per primi riconoscerlo, non lo conoscono. Gli chiedono “chi sei?”
“Perché possiamo dare una risposta a coloro”, cioè i capi “che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Tutto questo perché per loro non può essere innocente uno che inizia un’attività senza avere il mandato legittimato da parte delle autorità competenti. Rispose: “Io, voce di uno che grida dal deserto”, e qui l’evangelista cita il profeta Isaia, ma omette il verbo “preparare” inserendo solo “raddrizzare”.
“Rendete dritta la via del Signore”, cioè togliete gli ostacoli. Sono proprio le autorità religiose il massimo ostacolo alla venuta di Gesù, alla sua azione e al suo insegnamento. Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Meglio tradurre: c’erano gli inviati dai farisei. Per la prima volta appaiono in questo vangelo i farisei e l’ultima volta che compariranno sarà al momento dell’arresto di Gesù.
Queste persone tanto pie, tanto devote, tanto osservanti della legge, sono refrattarie all’azione divina, non riconoscono l’inviato da Dio né in Giovanni, né il figlio di Dio in Gesù, e saranno acerrimi avversari del progetto di Dio sull’umanità.
Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi”, se Giovanni battezza c’è qualcuno che lo ha riconosciuto come inviato da Dio, ma non sono le autorità religiose, bensì il popolo. “Se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?” Ed ecco la risposta, la denuncia di Giovanni. Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, non lo conoscono e mai conosceranno il  Cristo. Chi vive un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge non potrà mai percepire la presenza di un Dio creatore che si manifesta nella vita. O l’osservanza della legge o l’accoglienza di quello che la vita presenta.
“Colui che viene dopo di me: a lui in non sono degno di slegare il laccio del sandalo.” Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, e il passaggio del fiume da parte di Giosuè per entrare nella terra promessa, ma ora la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte dalla quale il popolo dovrà uscire, e questa sarà la missione di Gesù.

 

VOCE DI UNO …

 

il commento di p. Castillo:

Castillo


 1. In questo racconto è chiaro che l’insegnamento e la testimonianza di Giovanni non coincidevano con quello che insegnavano e desideravano gli uomini  della religione. Sappiamo che Giovanni Battista era figlio di un sacerdote, Zaccaria (Lc 1, 5-25). E sappiamo anche che sua madre Elisabetta era della  famiglia di Aronne (Lc 1,5b), la più importante della famiglie sacerdotali di Israele. La cosa più logica è che Giovanni fosse andato al Tempio per continuare  la vocazione di quella famiglia. Invece no. Giovanni Battista è andato nel deserto e lì è vissuto come un asceta, forse tra i monaci o con gli esseni.  Di fatto, in questo modo il Precursore di Gesù ha annunciato una salvezza che non veniva dal Tempio, né dal clero, né dal sacro, né dalla religione consolidata.
Per questo Giovanni destò negli uomini della religione un allarme importante. Ed inviarono sacerdoti, leviti e farisei ad interrogare Giovanni. Volevano  sapere chi fosse quello strano predicatore che annunciava una nuova luce, al di là del Giordano, fuori della città santa, del territorio della religione  ufficiale, che non tollera che si annunci una luce al di fuori di lei.
2. Giovanni non accetta alcun titolo. Si vedeva come un “nessuno” (E. Galeano). Giovanni pensava che era solo una voce che grida nel deserto. Non si tratta  di umiltà. La chiave sta nel fatto che solo nello spogliarsi di ogni pretesa uno può essere testimone autorizzato della Luce, che è Gesù.
3. Giovanni è stato una voce, ascoltata ed accolta da alcuni, “i pubblicani e le prostitute” (Mt 21,32) e rifiutata da altri, i “sacerdoti e gli anziani”  (Mt 21,32. Cf. Mt 21,23). I “nessuno” ascoltano ed accolgono la voce del Signore. I “titolati” la rifiutano. Il Vangelo sconvolge le nostre sicurezze ed  il nostro “ordine”. Gesù (che era annunciato da Giovanni) era il chaos, di fronte al cosmos. Il nostro falso “ordine” trova una soluzione mediante il “disordine”  che è il Vangelo.

MA TU CHI SEI?

il commento di p. Agostino Rota Martir a partire dalla condivisione della sua vita coi rom di Coltano (Pisa)

agostino

Se sono dei bambini a chiedertelo, la cosa e’ del tutto legittima ed innocua: curiosità, interesse..ma se sono i “grandi” (sacerdoti e leviti) a interrogarsi sulla tua identità, la cosa è più preoccupante e presenta dei possibili rischi.

Noi grandi in genere, vogliamo identità chiare e sicure, ben definite e consolidate, possibilmente confermate e verificate da chi sta in alto. Non ci piacciono tanto quelle “fluide”, mischiate, non del tutto controllabili dai centri preposti. Figurarsi poi se qualcuno dal deserto, richiama così tanta gente, addirittura dalla città Santa, Gerusalemme. Sospetto misto a invidia?

“Tu, chi sei?” Glielo ripetono una seconda volta. E’ comprensibile d’altronde il deserto e’ uno dei luoghi sospetti e chi ci vive segue la stessa sorte. Come la Galilea delle genti, toccherà anche a Gesù attraversare lo stesso sospetto e diffidenza. È il destino delle periferie, di ieri e di oggi, quello di contagiare senza appello chi ne fa parte fisicamente. La diffidenza accompagnerà ovunque e chiunque viene da una delle periferie. Ne sanno qualcosa i Rom che abitano nei campi, ma anche chi ci vive dentro (come il sottoscritto) o chi li frequenta: “poco credibili” agli occhi della maggioranza e dei palazzi.

Troppo di parte, compromessi o esagerati.

“Che cosa dici di te stesso?”

È un interrogatorio vero e proprio!

Difficile credere che chi vive in periferia, possa dire cose utili e vere anche per chi sa di essere a posto, cittadino esemplare e buon credente.

In genere parlano altri, chi ha i requisiti in ordine, chi ha l’incarico ufficiale di assistere e decidere sulla vita degli altri, possibilmente accettando in silenzio le condizioni imposte da chi gestisce la vita altrui: identità sospette, da decifrare, catalogare e rimettere nella normalità..rieducare.

 

“Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce..”

Testimone, e’ un compito che Giovanni certo non se lo e’ dato da sé. È la vita che modella il testimone, in un certo senso lo incorona tale..perché lui e non un dottore della legge, teologicamente ben più preparato del Battista? Perché proprio un deserto e non il Tempio, orgoglio di Israele?

Senza periferia il mondo, la Chiesa stessa perderebbe la possibilità di veder fiorire i suoi testimoni-profeti. In un certo senso i “deserti” sono il grembo fecondo, nel quale Dio non si stanca mai di seminare la sua Luce per guidare l”intera umanità.

Al testimone, Dio chiede la fedeltà alla vita che ha tra le mani, la costanza della ricerca e di non spegnere mai la luce della fede, anche nelle prove che dovrà attraversare..senz’altro gli perdonerà le sue imperfezioni teologiche e pastorali: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”.

 

Ecco, siamo un po’ tutti chiamati a lasciarci “battezzare” dalle nostre periferie e dai nostri deserti.

 

Campo Rom di Coltano (PI)

11 dic. 2014

 

 


 




delusione!

 

Che delusione Papa Francesco che si piega ai diktat di Pechino


di Alberto Maggi

Papa Francesco è amato da tutti, o quasi. Non ci sono dubbi sulla sua carica umana e spirituale e sulla sua capacità di ridare alla Chiesa nuovo lustro, anche e soprattutto con le aperture nei confronti dei divorziati. Ma la scelta del Santa Padre di non incontrare il Dalai Lama, in visita a Roma, lascia l’amaro in bocca. Che non lo abbia incontrato Obama, sempre meno meritevole del Nobel per la pace, si può anche capire (la Cina ha in mano il debito pubblico degli Stati Uniti), ma che anche il Pontefice si adegui alla realpolitik e, di fatto, si inginocchi al volere del regime di Pechino lascia quantomeno sgomenti. Da questo Papa, ecumenico e rivoluzionario, ci saremmo aspettati più coraggio. E più indipendenza. E forse anche più autorevolezza. E per favore il Vaticano non ci racconti la storiella che non è stato possibile organizzare un faccia a faccia anche di soli 10 minuti. Un incontro e una stretta di mano sarebbero stati gesti importantissimi per chi difende i diritti umani, in Tibet e non solo. E invece niente. Che delusione caro Francesco…




il vangelo della domenica

 

RADDRIZZATE LE VIE DEL SIGNORE 

 commento al Vangelo della seconda domenica di avvento (7 dicembre 2014) di p. Alberto Maggi
 
maggi
 
Mc 1,1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto:  preparate    la   via   del Signore raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

 

Leggiamo e commentiamo i primi otto versetti del vangelo di Marco, che inizia con queste parole: Inizio della buona notizia … sappiamo che il termine vangelo significa infatti buona notizia. E’ una buona notizia che è già conosciuta. L’evangelista non si rivolge a persone che ancora non conoscono la novità di Gesù, ma a persone che già la vivono. E Marco intende narrare quale è stata l’origine. Allora perché la chiama buona notizia? Perché c’è un nuovo rapporto con Dio che non è più basato sull’osservanza della legge – il termine “legge” nel vangelo di Marco non apparirà mai – ma sull’accoglienza dello Spirito, come vedremo alla fine di questo brano con l’annunzio che l’attività di Gesù sarà battezzare in Spirito Santo. Quindi non più l’osservanza di una legge esterna all’uomo, ma l’accoglienza di una realtà interiore all’individuo. La buona notizia è di Gesù Cristo, Cristo cioè Messia, e manca l’articolo, che significa che non è il Messia della tradizione, quello che Israele attendeva, il liberatore che attraverso la violenza avrebbe restaurato il Regno di Israele, ma un liberatore, un Messia completamente diverso che l’evangelista ci aiuta ora a scoprire. Figlio di Dio. Ecco Gesù sarà Messia, ma non sarà il figlio di Davide, non verrà a restaurare il regno di Israele, ma il figlio di Dio verrà ad inaugurare il regno di Dio, l’amore universale del Padre.  Come sta scritto nel profeta Isaia … e qui in realtà l’evangelista fa un collage di tre testi, in cui c’è naturalmente anche il profeta Isaia, ma apre anzitutto con il testo del libro dell’Esodo. E chiude poi quello di Isaia con l’Esodo. Il primo esodo è stato la collaborazione di tutti coloro che lo desiderano. Ed ecco la presentazione di chi è questo messaggero di Dio. E’ un inviato da Dio che prescinde da ogni istituzione religiosa. Vi fu Giovanni che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo … Il battesimo era un rito conosciuto, ci si immergeva nell’acqua a simboleggiare la morte al proprio passato, per iniziare una vita nuova. Quindi proclamava un’immersione in segno di morte al passato … di conversione, cioè cambiamento di vita. Se fino adesso hai vissuto per te, adesso vivi per gli altri, questo è il significato di “conversione” che l’evangelista adopera. Per il perdono dei peccati. Il cambiamento di condotta ottiene il condono di tutte le colpe, quindi è un atto esteriore per indicare un profondo cambiamento interiore. Ebbene, all’annunzio di Giovanni, di un battesimo per ottenere il perdono dei peccati, c’è una risposta inaspettata, incredibile. Infatti scrive l’evangelista: Accorrevano a lui … e qui l’evangelista adopera il verbo “uscire”, che è lo stesso adoperato nell’esodo per indicare la liberazione compiuta da Dio nei confronti del suo popolo. Accorrevano a lui da tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. Questo è sorprendente, perché a Gerusalemme c’era il tempio, il luogo preposto per il perdono dei peccati. Ebbene le persone comprendono che il perdono dei peccati non si ottiene attraverso un rito nell’istituzione religiosa, ma anzi bisogna allontanarsi per un cambio profondo della propria vita. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano … ecco un’altra indicazione dell’Esodo. Il Giordano è stato il fiume che il popolo d’Israele ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa. Confessando i loro peccati. Poi l’evangelista ci da una descrizione di questo Giovanni, che è la descrizione dei profeti. Infatti era vestito di peli di cammello, che era l’abito dei profeti, con una cintura di pelle attorno ai fianchi. Questa sottolineatura della cintura di pelle richiama il più grande dei profeti cioè il profeta Elia, quindi l’evangelista vuole rappresentare che quell’Elia che il popolo attendeva come precursore del Messia, si è manifestato nella figura di Giovanni Battista. E mangiava cavallette e miele selvatico. Quello che offre il deserto, il cibo normale dei nomadi e dei beduini. E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”. L’espressione di Giovanni Battista non è un attestato di umiltà, ma qualcosa di molto più profondo. Qui c’è un’allusione a ben tre testi, al libro del Genesi, al libro di Ruth e al libro del Deuteronomio, che si rifanno a una pratica chiamata del Levirato, da Levir, che in latino significa “cognato”. Qual era questa pratica? Quando una donna rimaneva vedova senza un figlio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il nome del marito defunto, in modo che il nome del defunto continuasse a perpetuarsi. Quando il cognato si rifiutava si mettere incinta la donna, colui che aveva diritto dopo di lui procedeva alla cerimonia chiamata “dello scalzamento”, scioglieva il legaccio dei sandali – era un rito particolare – si sputava sui sandali e stava a significare: il tuo diritto di mettere incinta questa donna passa a me. Allora la proclamazione di Giovanni Battista è molto più profonda. Lui dice: “non scambiate me per il Messia, lo sposo d’Israele, colui che deve fecondare questa donna, considerata come una vedova perché la relazione con Dio era ormai terminata, non sono io, ma colui che sta per venire”. Perché “io vi ho battezzato con acqua”, un rito esterno, l’acqua è qualcosa di esteriore all’uomo, “ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. L’azione di Gesù sarà un’immersione profonda, intima, interiore, nella stessa vita divina. Ecco allora la buona notizia che l’evangelista ha annunziato. La relazione con Dio non è più basata sull’osservanza della legge, ma sull’accoglienza del suo amore. E’ questo che guiderà la vita degli uomini.

Non giudicherà secondo le apparenze..”

il commento di p. Agostino Rota Martir che ‘legge’ il vangelo non da una sala parrocchiale o da uno studio teologico ma dalla sua convivenza con un gruppo di rom a Pisa:

p. agostino

 

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    • “Preparatevi, quando arriverò io risolverò tutto! Le cose cambieranno verso.”
    • “Colui che viene dopo di me è più forte di me..”

    Due logiche diverse, anzi opposte tra di loro. La prima, tipica del leader di successo, la seconda è di chi sa e si sente un messaggero di Qualcuno.

    La prima è di chi sentendosi forte, con sondaggi alla mano tende a restringere o addirittura annullare lo spazio dell’altro, visto come un ingombro alla propria iniziativa.

    L’altro, invece sceglie di “fare spazio all’altro”: atteggiamento tipico di Dio. Racconta un Midrash ebraico che quando Dio crea il mondo e l’uomo si rannicchia, proprio per fare spazio a ciò che nasce.. in un certo senso mi sembra più bello l’ atteggiamento di un Dio rannicchiato, che si ritrae perché l’altro cresca, rispetto a quello di un Dio creatore in piedi che domina e controlla l’andamento del mondo.

    Il leader, in genere è alla ricerca dei riflettori, il Battista invece sceglie di mettersi da parte, il deserto è il suo luogo di vita, ma anche lo spazio di osservazione, la sua periferia dalla quale guardare il mondo e le persone.

    In genere, il primo gioca un po’ ad essere “come Dio”, il secondo invece, cerca Dio nelle pieghe nascoste degli uomini. Nel Mistero dell’incarnazione Dio che si fa uomo! Un Dio che si converte all’uomo, mischiandosi con l’umanità con tenerezza e sapienza.

    “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse..non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire.” (Is. 11, 1.3)

    I tempi del germoglio sono lenti e costanti, non dettati dalla fretta dei risultati. E poi un germoglio è imprevedibile, proprio come il Dio dei profeti sempre al fianco dei poveri. Per i poveracci di ieri, quando Isaia pronunciò queste parole, e quelli di oggi le cose per loro non sono cambiate di molto. Stesso destino, esclusi e visti spesso come causa delle crisi, stessi atteggiamenti di pregiudizio. Gli spazi per i poveri si riducono sempre di più, visti con disagio e sospetto e affidati alla gestione a persone senza scrupoli, affaristi e con la puzza sotto il naso.

    “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello..”

    Sogno o stimolo perché la fede in Dio sia capace di entrare nei cuori di tutti? In quello dei prepotenti, come in quello delle loro vittime.

    I lupi che vorrebbero i Rom nei forni crematori, sapranno un giorno vivere insieme, accogliendosi nel rispetto reciproco? Il lupo oggi ha tante sembianze, tanti volti, sa presentarsi bene, si trasforma velocemente, segue il vento che tira, ma anche l’agnello può diventare lupo a sua volta, verso il più debole di lui. Ecco, quindi l’urgenza del vigilare (domenica scorsa), e l’invito di questa domenica alla conversione: saper fare spazio all’altro, perché “il Regno dei cieli possa farsi vicino”.

     

     




    M. Gramellini e la scelta di Brittany

    GramelliniDignità

    massimo gramellini

    Per il Vaticano la scelta della malata terminale californiana Brittany Maynard di anticipare di qualche settimana una fine dolorosa e scontata è da considerarsi «priva di dignità». La Chiesa ha ovviamente tutto il diritto di fare la Chiesa e di interpretare i dettami della divinità a beneficio di coloro che le riconoscono la funzione di intermediaria. Ma definire indegna la decisione di una donna colpita da un tumore devastante al cervello significa non sapere più dove stia di casa la parola «umanità». Nelle astrazioni della dottrina si possono anche costruire scintillanti cattedrali di ghiaccio. Ma la vita, per chi la conosce e la ama, è un’altra storia e ci racconta che qualsiasi strada percorsa con coraggio conduce a destinazione. Una persona che combatte fino all’ultimo contro il dolore e l’umiliazione della malattia ha la stessa dignità di chi preferisce sottrarre il suo corpo e i propri cari a un simile strazio. Nessun condannato a morte si avvia volentieri al patibolo, a meno che sia un martire invasato: categoria di cui da sempre abbondano soprattutto le religioni. Se sceglie di anticipare l’esecuzione, è solo perché vuole andarsene con consapevolezza. C’è molta più dignità nelle lacrime di congedo della vitalissima Brittany che in chi, ancora una volta, ha deciso di salire sull’onda di un caso mediatico per zavorrare di aggettivi infamanti la libera e drammatica scelta di un essere umano.

     




    il vangelo della domenica commentato da p.Maggi

    p. Maggi

    CHE SIA INNALZATO IL FIGLIO DELL’UOMO 

    Commento al Vangelo della ESALTAZIONE DELLA CROCE  (14 settembre 2014, domenica ventiquattresima del tempo ordinario) di p. Alberto Maggi

    Gv 3,13-17

    In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
    Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.»

    Nel dialogo con il fariseo Nicodemo, capo dei Giudei, Gesù si rifà ad un episodio conosciuto della storia di Israele contenuto nel Libro dei Numeri.
    Al capitolo 3, versetto 14 l’evangelista scrive: “«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto»”; i serpenti erano stati inviati da Dio per castigare il popolo secondo lo schema classico di “castigo-salvezza/perdono”. In Gesù invece c’è soltanto salvezza.
    “«Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo»”, Gesù si riferisce alla sua futura morte in croce e parla del Figlio dell’uomo, cioè l’uomo che ha la pienezza della condizione divina.
    “«Perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»” – credere nel Figlio dell’uomo significa aspirare alla pienezza umana che risplende in questo figlio dell’uomo.
    Per la prima volta appare in questo vangelo un tema molto caro all’evangelista, cioè quello della vita eterna. La vita eterna non è, come insegnavano i farisei, un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una qualità di vita già nel presente. E si chiama “eterna” non tanto per la durata senza fine, ma per la qualità indistruttibile.
    E questa vita eterna non si avrà in futuro, ma si ha già. Chiunque da adesione a Gesù, quindi aspira alla pienezza umana che risplende in Gesù.
    “«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»”, il Dio di Gesù non è un Dio che chiede, ma un Dio che offre, che arriva addirittura a offrire se stesso. “«Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»”.
    La vita eterna non si ottiene, come insegnavano i farisei, osservando la legge, cioè un codice esterno all’uomo, ma dando adesione al Figlio dell’uomo. E Gesù appare qui come il dono dell’amore di Dio per l’umanità. Dio è amore che desidera manifestarsi e comunicare. E Gesù è la massima espressione di questa manifestazione e comunicazione di Dio. “«Dio infatti non ha mai mandato il Figlio nel mondo per condannare»”, anche se il verbo qui non è condannare, ma “«giudicare il mondo»”.
    Di nuovo qui Gesù sta parlando con un fariseo, demolisce le attese di un messia giudice del popolo. Quindi il Figlio non è venuto per giudicare il mondo, “«ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»”. Dio è amore e in lui non c’è né giudizio né condanna, ma c’è soltanto offerta di vita.




    polemica sui campi rom di Pisa e sgomberi

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    l’intervento di Africa insieme e del Progetto Rebeldia sulle vicende riguardanti il dibattito e lo sgombero dei campi rom di Pisa

    gli articoli cui si fa riferimento si possono leggere nei link in fondo all’intervento:

     

    Come in un inquietante gioco dell’oca, la politica pisana torna di tanto in tanto alla casella di partenza, e si dimentica del percorso fatto. È quanto sta accadendo negli ultimi giorni, a proposito del dibattito sui rom: un dibattito pieno di discorsi vecchi e di stereotipi banali. Che però feriscono persone in carne e ossa, e creano esclusione e discriminazione.

    Il direttore del Parco solleva il tema del (presunto) smaltimento irregolare di rifiuti nei campi nomadi: cita fatti gravi senza circostanziarli, e accusa l’intera comunità rom di episodi che – se accertati – sarebbero comunque responsabilità dei singoli. Confcommercio definisce “inaccettabile” il campo della Bigattiera, e ne chiede lo sgombero. 

    sgomberi

    Che i campi nomadi siano “inaccettabili”, lo dicono gli stessi rom che sono costretti ad abitarvi. I campi sono luoghi di segregazione – veri e propri “ghetti” – che rappresentano la vergogna dell’Italia, e che le istituzioni internazionali (Unione Europea, Consiglio d’Europa) ci chiedono di superare. 

    “Superare i campi” non vuol dire però sgomberarli con la forza. Non è difficile capire che una famiglia allontanata da un campo, se priva di alternative, costruirà un altro campo a poche centinaia di metri. 

    Gli sgomberi sono inutili, controproducenti (aggravano le condizioni di marginalità), e hanno costi altissimi a carico dei contribuenti: si calcola che ogni intervento costi decine di migliaia di euro. Per di più, sono illegali ai sensi del diritto internazionale, e non si può invocare la “legalità” solo quando fa comodo… 

    Invece di ricorrere a stereotipi e frasi fatte, sarebbe utile ricordare un po’ di storia recente. L’UE ha stanziato fondi consistenti per “superare i campi”, e per garantire una sistemazione dignitosa alle famiglie che li abitano. I rom della Bigattiera, assieme a tante associazioni, chiedono che il Comune acceda a questi fondi, e avvii un programma di inserimento abitativo. Il Consiglio Comunale aveva approvato persino una mozione in questo senso, che è rimasta però lettera morta: ad oggi, i rom della Bigattiera vivono in un luogo senza luce, senza acqua e senza scuolabus per i bambini. Questa è la cosa davvero “inaccettabile”, che però non viene neanche menzionata nei comunicati di Gennai e di Confcommercio. E di questo si dovrebbe seriamente discutere. Si preferisce invece invocare gli sgomberi, e attizzare un po’ di odio verso i rom, invocando la “legalità” a sproposito (è ovvio che chi commette un reato debba essere perseguito, ma è altrettanto ovvio che le responsabilità sono personali, e non coinvolgono i rom come categoria). L’esito di queste dichiarazioni è scontato: vi saranno più controlli di polizia nei campi (come già è accaduto in questi giorni), e si farà qualche sgombero “muscolare” per accontentare chi protesta. Nel frattempo, i problemi rimarranno intatti sul tavolo, e i rom continueranno a restare senza acqua, senza luce e senza scuolabus. Un bel capolavoro.

    PISA, 27 AGOSTO 2014

    Associazione Africa Insieme

    Progetto Rebeldia

     

    29-08-2014 – Il Tirreno – Rifiuti pericolosi trovati nei campi nomadi”

    28-08-2014 – Pagina Q – Campi rom: si accende la polemica sullo sgombero della Bigattiera

    28-08-2014 Il Tirreno – Blitz nei campi nomadi di Coltano e della Bigattiera

    28-08-2014 – La Nazione – Nomadi, blitz a Coltano e alla Bigattiera

    27-08-2014 – La Nazione – “Via il campo nomadi sulla Bigattiera: è inaccettabile”

    26-08-2014 – La Nazione – Nerini in azione “Basta rinvii su sicurezza e campi rom”

    25-08-2014 – La Nazione – “Nei campi nomadi rifiuti pericolosi”

    se ‘Rebeldia’ e ‘Africa insieme’ giustamente criticano la durezza e spietatezza usate troppo spesso nel demolire le baracche e le umilissime abitazioni dei campi rom e se certamente è vero che molte volte (per cause che sbrigativamente e superficialmente vengono ricondotte alle responsabiltà dei rom) appaiono come luoghi e abitazioni di degrado e di ghetto, certo è che la soluzione che si cerca di imporre con la teorizzazione del superamento dei campi nella teoria dell’ ‘oltre i campi’ (che vede come unica soluzione l’inserimento forzato in) è troppo rigida e poco rispettosa dei veri desideri e sensibilità e cultura di questo popolo
    di questo pare sia convintissimo anche don Agostino la cui roulotte è stata abbattuta per ultima (vedi articolo de ‘la Nazione’ rortato in foto qui sopra), e che esprime il suo disagio, condiviso da diversi rom che  con lui abitavano quello spazio, col seguente grido:

    “Ridatemi per cortesia il campo di prima!”

     
    Da diverso tempo tutti gridano con disinvoltura e sicurezza che bisogna andare oltre i campi, che bisogna superare questa vergogna tipicamente italiana, e anche questo è falso! E’ un altro stereotipo, ma che si tiene volutamente nascosto. Perchè ognuno ha la sua ricetta magica da proporre.
    Di campi o di terreni dove vivono famiglie Rom e Sinte ce ne sono in Francia, in Spagna, in Inghilterra e chissà dove altro. Toh, in Francia nomadizzare è previsto, non è scandaloso o offensivo. Le municipalità con oltre 10.000 (?) abitanti hanno l’obbligo di prevedere uno spazio riservato alle “genti di viaggio”.
    Ma non voglio tifare per un modello a scapito di un altro..Credo invece che debbano essere loro, i Rom a scegliersi (liberamente) come e dove vivere la loro famiglia, che a noi piaccia o no. Quando si parla di smantellamento o di sgombero di campi Rom, l’unica prospettiva percorribile sembra essere quella della casa. Casa=integrazione, ma ne siamo così sicuri?
    Mi domando: quando i Rom di Coltano stavano nel campo in baracche e roulotte “vivevano” meglio, rispetto ad ora che abitano in appartamenti del nuovo villaggio, sotto continuo ricatto e minaccia di allontanamento? Dove erano più felici, più veri? Andando a vivere in appartamenti cosa è cambiato in loro? E’ migliorata o peggiorata la loro vita?
    Ora sono più integrati rispetto a prima? Non mi sembra proprio!
    Casa=integrazione è un altro stereotipo!
    Ciao Ago

     

     

     




    il vangelo domenicale commentato da p.Maggie p.Pagola

    maggi
    SE TI ASCOLTERA’ AVRAI GUADAGNATO IL TUO FRATELLO 

    commento al Vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (7 settembre) di p. Alberto Maggi 
    Mt 18,15-20
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
    In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
    In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
    Dopo aver parlato dello scandalo della comunità verso i piccoli, cioè gli emarginati, che possono essere scandalizzati da quello che vedono all’interno della comunità in termini di ambizione, di superiorità, Gesù ora arriva a parlare dello scandalo dei dissidi all’interno della comunità. E’ quanto scrive Matteo al capitolo 18, versetti 15-20.
    “«Se tuo fratello»”, quindi si tratta di un componente della comunità, “«commetterà una colpa contro di te, va’ e …»”, non ammoniscilo, come riporta questa traduzione, ma “«convincilo»”. Non è la posizione di un superiore verso un inferiore per ammonirlo, ma è la posizione del fratello che cerca di ricomporre l’unità, cerca di superare il dissidio. Sempre ricordando quanto Gesù già ha ammonito, cioè che prima di guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello, occorre stare attenti che uno non abbia la trave conficcata nel suo (trave che deforma la sua realtà).
    “«Tra te e lui solo»”, quindi al dissidio non deve essere data pubblicità, si deve risolvere il problema. Ed è la persona offesa che deve andare verso l’offensore, perché chi sbaglia, chi offende spesso non ha il coraggio, non ha la forza di chiedere scusa, di chiedere perdono. Allora deve essere la parte lesa, la persona offesa, che va verso l’offensore e ricomporre il dissidio.“«E se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi con te una o due persone»”; sono quelli che nella comunità svolgono il ruolo di costruttori di pace, “«perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni»”. Secondo quanto affermava il libro del Deuteronomio, capitolo 19, versetto 15, sulla validità di una testimonianza.
    “«Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità»”. Il termine greco è ecclesia che rappresenta la comunità dei convocati, l’assemblea dei convocati da Gesù, “«E se non ascolterà neanche la comunità, sia per te»”, quindi non per la comunità, ma per te, “«come il pagano e il pubblicano»”. Cosa significa? Non significa che quest’individuo, causa del dissidio, vada escluso dall’amore della comunità, e neanche dal tuo amore, ma significa che questo amore sarà a senso unico.
    Mentre nella comunità l’amore donato viene anche ricevuto, perché i fratelli si scambiano vicendevolmente questo amore, verso la persona che è causa del dissidio, l’amore va dato come quello verso i nemici. Gesù dirà di amare i nemici, dirà di pregare per i persecutori. Quindi non significa escludere questa persona dal tuo amore, ma amarlo in perdita, a senso unico.
    E sempre parlando della tematica del perdono, Gesù assicura: “«In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo»”. Si tratta sempre del perdono, chi non perdona lega il perdono di Dio, “«E tutto quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo»”. Si tratta del perdono, Il perdono di Dio diventa operativo ed efficace quando si traduce in perdono verso gli altri. Quindi chi non perdona lega il perdono di Dio, mentre chi perdona lo scioglie.
    Al termine del capitolo, al versetto 35, infatti, Gesù dirà: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di cuore il vostro fratello”. Quindi questa affermazione di Gesù non riguarda la concessione alla sua comunità del potere di legiferare in ogni materia e in ogni campo, ma della responsabilità nel concedere il perdono: se non perdoni leghi il perdono di Dio.
    E poi Gesù conclude: “«Ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo»”, il verbo mettere d’accordo è Sinfoneo, da cui la parola “sinfonia”. E’ importante perché indica la vita della comunità. Sinfonia significa che diverse voci, diversi strumenti suonano ciascuno dando il meglio di sé. Non ci deve essere una uniformità di voci e di suoni, ma c’è una varietà nell’unico spartito che è quello dell’amore. Quindi è l’amore vissuto nelle varie forme, fiorito nelle varie modalità.
    “«Per chiedere qualunque cosa, il Padre mi oche è nei cieli gliela concederà. Perché dove due o tre …»”, ecco ritornano i due o tre che sono stati fautori della pace, coloro che sono andati a eliminare il dissidio, la loro funzione di costruttori di pace, rende manifesta la presenza del Signore. “«… sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro»”.
    E ritorna la tematica cara all’evangelista, quella del Gesù, il Dio con noi. Mentre nella tradizione ebraica si diceva che dove due o tre si riuniscono per studiare la Torah, la legge, la Shekinà, cioè la gloria di Dio è in mezzo a loro, Gesù si sostituisce alla legge. L’adesione a Dio non avviene più attraverso una legge esterna all’uomo, ma nell’immedesimazione con una persona: Gesù, il Figlio di Dio, il modello dell’umanità. Gesù assicura che quando c’è questa unità, quando si ricompongono i dissidi all’interno della comunità, la sua presenza è ininterrotta e crescente.

    croce
    commento al vangelo di p. Pagola

    Benché le parole di Gesù, raccolte da Matteo, sono di grande importanza per la vita delle comunità cristiane, poche volte attraggono l’attenzione di commentatori e predicatori. Questa è la promessa di Gesù: “Dove due o tre stanno riuniti nel mio nome, lì io sto in mezzo a loro”.
    Gesù non sta pensando a celebrazioni massicce come quelle della Piazza di San Pietro a Roma. Benché solo siano due o tre, lì egli sta in mezzo a loro. Non è necessario che sia presente la gerarchia; non è necessario che siano molti i riuniti.

    La cosa importante è che “siano” riuniti, non dispersi, né nemici tra loro: che non vivano disprezzandosi alcuni con gli altri. Egli è decisivo: “che si riuniscano nel suo nome”: che ascoltino la sua chiamata che vivano concordi col suo progetto del regno di Dio. Che Gesù sia il centro del suo piccolo gruppo, e questa presenza viva e reale di Gesù è quella che deve incoraggiare, guidare e sostenere le piccole comunità dei suoi seguaci. È Gesù che deve incoraggiare il loro discorso, le loro celebrazioni, progetti ed attività. Questa presenza è il “segreto” di ogni comunità cristiana viva.
    Noi cristiani non possiamo riunirci oggi nei nostri gruppi e comunità in qualche generico modo: per abitudine, per inerzia o per compiere alcuni obblighi religiosi. Saremo molti o, forse, pochi, ma la cosa importante è che noi ci riuniamo nel suo nome, attratti dalla sua persona e dal suo progetto di fare un mondo più umano.
    Dobbiamo ravvivare la nostra consapevolezza che siamo comunità di Gesù. Ci riuniamo per ascoltare il suo Vangelo, per mantenere vivo il suo ricordo, per contagiarci del suo Spirito, per accogliere in noi la sua gioia e la sua pace, per annunciare la sua Buona Notizia.

    Il futuro della fede cristiana dipenderà in buona parte dalle cose concrete che noi cristiani faremo nelle nostre comunità nelle prossime decadi. Non basta quello che potrà fare Papa Francesco nel Vaticano, non possiamo neanche riporre le nostre speranze nel pugno di sacerdoti che potranno essere ordinati nei prossimi anni. La nostra unica speranza è Gesù Cristo.
    Siamo noi quelli che dobbiamo centrare le nostre comunità cristiane nella persona di Gesù come l’unica forza capace di rigenerare la nostra fede consumata e abitudinaria. L’unico capace di attrarre gli uomini e le donne di oggi, l’unico capace di generare una fede nuova in questi tempi di incredulità.

    Il rinnovamento delle istanze centrali della Chiesa è urgente. I decreti
    e le riforme, necessarie. Ma niente di tanto decisivo come il ritornare con radicalità a Gesù Cristo.
    Contribuisci a rigenerare la fede cristiana in Gesù.

    José Antonio Pagola