ceccardi

 

32 anni, si è scatenata contro il libro del giornalista bolognese con parole furenti: “Mettere in favoletta la bambina che sta ad accattonare al semaforo e farla passare come un modello positivo nei libri di scuola, non è poetico, è criminale”. Roba da fare un’interrogazione in Parlamento ha accennato la Ceccardi perché “l’accattonaggio ai semafori si insegna già in prima elementare”.

In realtà la storia di Dorin è un racconto di civiltà dove nessuno insegna a chiedere l’elemosina ma dove la piccola bambina che vende rose e fazzoletti al semaforo si presenta come una cittadina modello che “lava e pulisce tutti i giorni il semaforo perché lo possano vedere bene bene anche da lontano e se qualcuno attacca un adesivo o fa una scritta sul semaforo, lei si arrabbia moltissimo. Quando si rompe una lampadina telefona in Comune, fa la voce da mamma e dice: Presto, c’è un semaforo rotto. Correte subito

alla deputata leghista è l’umanità. Scrive la Ceccardi sul suo profilo Facebook: “La storia della piccola zingarella diventa quindi un esempio positivo per i più piccoli, dove, chi regala due spiccioli alla piccola rom è bravo, e chi invece non lo fa, è brutto e cattivo. È paradossale che si rovesci completamente la realtà e che situazioni al confine tra la legalità e l’illegalità siano prese come esempio positivo per formare le nuove generazioni”.

Sì, è vero. Di una cosa ha ragione la Ceccardi: il libro di Taddia insegna a sorridere a Dorin, a dirle una buona parola non sempre a darle delle monete ma non a trattarla male. Ma forse è proprio questo che irrita un leghista duro e puro: mai mettersi nei panni degli altri. Non so se la deputata leghista abbia mai fatto volontariato in un campo rom o si sia mai trovata a girare con dei bambini “zingari” (così li chiama lei) in una città. A me e a Taddia, in gioventù è capitato e vi assicuro che è lo sguardo che si appiccica su di te a non mollarti più. “Dorin piange quando la gente è cattiva con lei o con i suoi genitori. Quando le persone al semaforo la offendono, dicono parolacce, la mandano via con dei gestacci e le urlano che è una ladra. Allora le scappa una lacrima che conserva dentro una bottiglietta speciale”. Sicuramente anche le parole della Ceccardi hanno fatto scappare una lacrima a Dorin e, forse, anche a Federico Taddia.




il commento al vangelo della domenica

” … non può essere mio discepolo”

il commento di E. Ronchi al vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (8 settembre 2019):

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. […]»

Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre… e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù non instaura una competizione di sentimenti per le sue creature, perché sa che da questa ipotetica gara di emozioni non uscirebbe vincitore, se non presso pochi eroi o santi, dalla fede di fiamma. Ci ricorda invece che per creare un mondo nuovo, quello che è il sogno del Padre, ci vuole una passione forte almeno quanto quella degli amori familiari. È in gioco un nuovo modo di vivere le relazioni umane: mentre noi puntiamo a cambiare l’economia, Gesù vuole cambiare l’uomo. Lo fa puntando tutto sull’amore, e con parole che sembrano eccessive, sembrano cozzare contro la bellezza e la forza degli affetti, perché la felicità di questa vita non sappiamo dove pesarla se non sul dare e sul ricevere amore. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non «ama di più». Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un «di più». Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una più grande bellezza. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento, non una esclusione ma una aggiunta: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello e vitale. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare. Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me… La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, di una malattia da sopportare, o addirittura del perdere la vita. In realtà la vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Per cui il vero dramma non è morire, ma non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena spendere la vita. Nel Vangelo la croce è la sintesi dell’intera storia di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami. Terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Perché la tua vita non dipende dai tuoi beni, «un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti. Un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). Gesù chiede sì una rinuncia, ma a ciò che impedisce il volo. Chi lo fa, scopre che «rinunciare per Te è uguale a fiorire» (M. Marcolini)




prima di tutto … una sua versione attuale

prima di tutto …

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»

Martin Niemöller (1892-1984)

 

Il testo viene da un sermone del pastore luterano e teologo tedesco Martin Niemöller. Dopo un sermone antinazista, Niemöller fu arrestato su ordine di Hitler e rinchiuso nel campo di concentramento di Dachau. Riuscì a sopravvivere e passò gli anni Quaranta e Cinquanta a predicare a favore della pace e contro le discriminazioni, pronunciando più volte questo discorso diventato celebre. Non esiste una versione scritta e definitiva, per questo nel tempo il testo è stato rimaneggiato più volte cambiando le persone discriminate e il loro ordine. Una versione è inscritta nel Monumento all’Olocausto a Boston, in Massachusetts, e cita comunisti, ebrei, sindacalisti e cattolici; quella più comune in inglese parla di socialisti, sindacalisti, ebrei.

 

prima di tutto … una sua versione attuale

Prima di tutto chiusero i porti
E fui contento perché iniziarono a limitare l’arrivo di profughi e immigrati.

organizzarono un congresso mondiale delle Famiglie dove proclamare valori e divieti per una vera difesa della vita.
E fui contento perché si ribadiva l’unica e profonda scelta eterosessuale di Amore.

Poi presero una volontaria italiana
Una di quelle che spreca la propria vita in Africa.
E fui contento perché aiutarli sì a casa loro ma da nostri salotti e senza scomodarci troppo.

Poi mi indignai perché assegnavano case alle famiglie rom
E non potevo permettere che degli italiani avessero per vicini degli zingari.

Passarono a sospendere dall’insegnamento una professoressa perché non vigilava sul lavoro dei propri studenti.
E condividevo che bisogna Vigilare perché la libertà di insegnamento deve avere degli argini e confini precisi. Non significa lasciare libere le menti.

Ridicolizzarono l’Onu perché, noi sappiamo difenderci dall’invasione africana, mediorientale e islamica e perché nessuno ha diritto di decidere in casa nostra chi vogliamo, quanti e come li vogliamo.

Un giorno sentii, come persona e come chiesa, la mancanza di libertà e non potei dire nulla perché non era più possibile parlare

di Fabio Perroni




l’appello di Massimo Cacciari all’unità degli intellettuali contro la morte del pensiero critico

INTELLETTUALI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI
appello di Massimo Cacciari 

Non ho vissuto l’età dei totalitarismi, l’età della morte del pensiero critico ma oggi più che mai posso considerare quanto sia pericoloso il sonno della ragione. Nell’età del ritorno dei Malvolio di montaliana memoria un semplice prendere le distanze non può bastare, non è più possibile una “fuga immobile” anzi può rappresentare una scelta immorale, un disimpegno colpevole. Oggi non è più tempo di tacere, è tempo di prendere una posizione perché ogni esitazione potrebbe mettere a rischio le grandi conquiste
culturali del secondo dopoguerra. La cooperazione internazionale, la democrazia, l’integrazione, la tolleranza non possono essere valori negoziabili.
Quello che maggiormente preoccupa non è il ristretto e circoscritto disegno politico di Salvini ma la constatazione dei consensi numerosi che colleziona, non è di Di Maio, che mi preoccupo e del suo serbatoio di voti “protestanti” ma la constatazione che la protesta sinistroide abbia consegnato il paese ad una destra becera e livida e che una larga fetta anche di intellettuali non si sia resa ancora conto che si è prostituita alla peggiore delle destre , non a quella progressista e europeista ma alla destra razzista e violenta di Salvini. Ad una destra incapace di cogliere i segni del tempo, incapace di progettare un mondo di uomini in grado di vivere insieme pacificamente nella consapevolezza che ogni vero progresso raggiunge la sua pienezza col contributo di molti e con l ‘inclusione di tutti ,seguendo l’insegnamento terenziano alla base della nostra cultura occidentale :”Homo sum humani nihil a me alienum puto”.
Appartengo al mondo della formazione, sto, pertanto, in trincea a contatto con una generazione vivace, intelligente, elettronica e “veloce” che “vivendo in burrasca” rischia di precipitare nel baratro dell’indifferenza o, nel peggiore delle ipotesi dell’intolleranza, dell’aggressività pericolosa e ignorante.
Questi stessi giovani ,invece, meritano di essere salvati, meritano una cultura in grado di coniugare pathos e logos, una cultura che percepisca l ‘uomo come fine e non come mezzo, che consideri l ‘”altro da sé “una risorsa importante giammai una minaccia .
Nell’età delle interconnessioni non c ‘è niente di più assurdamente anacronistico dei muri e dei silenzi colpevoli. È solo nelle DIVERSITÀ che si può cogliere il vero senso della BELLEZZA e l’essenza di un impegno costruttivo che non è mai discriminante ma sempre inclusivo, totalizzante e interdipendente.
Non è neanche questione di destra o di sinistra , di rosso o nero ma il problema è , soprattutto ,di carattere culturale. La vera emergenza è quella di costruire un argine contro ogni forma di populismo, contro la xenofobia, contro i nuovi razzismi in nome di una società civile che riparta dall’UOMO, non prima dall’uomo Italiano , né come in passato ,prima dall’uomo della Padania ma dall’UOMO in quanto umanità È necessario che in ogni campo sia politico che economico, culturale e sociale non si perda mai di vista l’uomo , la sua dignità, il suo inestimabile valore e ,al di là di ogni faglia e filo spinato ,lo si consideri il fine ultimo di ogni progetto.

INTELLETTUALI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI

c ‘è molto da fare, a partire dalla formazione scolastica .

Se saremo uniti si costituirà una forza inarrestabile: la forza della cultura, la sola che possa costituire un argine autentico contro la deriva pericolosa del populismo e della miseri ,principalmente di quella della mente.




Boff e il problema della sessualitànella chiesa

Sessualità e celibato. Perché la Chiesa non ne vuole discutere?

sessualità e celibato

perché la Chiesa non ne vuole discutere?

 da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 06/04/2019 

È innegabile il coraggio di papa Francesco nell’affrontare apertamente la questione della pedofilia all’interno della Chiesa. Nel vertice di febbraio, a Roma, per la Protezione dei Minori, il papa ha imposto 8 determinazioni fra le quali “pedofilia zero” e “protezione dei bambini abusati”. Affronta la piaga principale: «Il flagello del clericalismo, che è il terreno fertile per tutti questi abominii». Clericalismo qui significa centralizzazione di tutto il potere sacro nel clero, che viene giudicato al di sopra di ogni sospetto e critica. Capita che le persone del clero usino questo potere, che di per sé dovrebbe irradiare fiducia e reverenza, per abusare sessualmente di minori.

Intanto, a mio modo di vedere, l’attuale papa e i precedenti non hanno affrontato a fondo la sessualità e la legge del celibato, e per ragioni che più avanti cerco di chiarire.

Quanto alla sessualità, bisogna riconoscere che la Chiesa-grande-istituzione- piramidale ha alimentato storicamente un atteggiamento di sfiducia e di negatività rispetto a essa. È ostaggio di una visione errata, proveniente dalla tradizione platonica e agostiniana. Sant’Agostino vide l’attività sessuale come la via attraverso cui entra il peccato originale. Ogni essere umano che nasce diventa portatore di una macchia, senza colpa personale, in solidarietà con il peccato dei primi genitori. Meno sesso procreativo, meno “massa dannata” (massa condannata). La donna, essendo generatrice, introduce nel mondo il male originale. A lei è stata negata la piena umanità. Era chiamata “mas”, che in latino veniva usato anche per “uomo non completo”. Tutto l’antifemminismo e il maschilismo nella Chiesa romano-cattolica trovano qui il loro presupposto teorico.

Da qui il valore attribuito al celibato, perché, escludendo una relazione sessuale-genitale con una donna, non genera figli e figlie. Così non si trasmette il peccato originale.

In tutte le analisi e condanne apparse sulla pedofilia non si è ancora discusso il problema sottostante: la sessualità. Non è che l’essere umano abbia un sesso, è tutto sessuato, nel corpo e nell’anima. Il sesso è tanto essenziale che attraverso di esso passa la continuità della vita. Ma abbiamo a che fare con una realtà misteriosa ed estremamente complessa.

Il pensatore francese Paul Ricoeur, che ha riflettuto a lungo filosoficamente sulla teoria psicoanalitica di Freud, scrisse: «La sessualità, in fondo, rimane impermeabile alla riflessione e inaccessibile al controllo umano: talvolta questa opacità rende impossibile che essa possa essere inscritta in una etica o in una tecnica» (Paz e Terra 5/79). Vive tra la legge del giorno in cui vigono i comportamenti statuiti e la legge della notte in cui operano le pulsioni libere. Solo la legge del rispetto dell’altro sesso e l’auto-controllo permanente su questa energia vulcanica possono trasformarla in espressione di affetto e di amore e non in una ossessione.

Sappiamo quanto sia insufficiente l’educazione per l’integrazione della sessualità nella formazione dei preti nei seminari. Avviene lontano dal contatto con le donne, il che produce una certa atrofia nella costruzione dell’identità. Perché Dio ha creato l’umanità come uomo e donna (Gn 1,27)? Non innanzitutto per creare figli, ma perché non rimanessero soli e fossero compagni (Gn 2,18). L’uomo e la donna sono completi ma reciproci e si arricchiscono l’un l’altra nella differenza.

Il sesso genetico-cellulare mostra che la differenza tra uomo e donna in termini di cromosomi si riduce appena ad un cromosoma. La donna possiede due cromosomi XX e l’uomo un cromosoma X e l’altro Y. Dal che si deduce che il sesso-base è quello femminile (XX), essendo il maschile una differenziazione di esso. Non c’è dunque un sesso assoluto, ma solo uno dominante. In ogni uomo e in ogni donna esiste “un secondo sesso”. Nell’integrazione dell’animus e dell’anima, dalle dimensioni del femminile e del maschile presente in ogni persona nasce la maturità umana e sessuale.

In tale processo, il celibato non è escluso. Può essere un’opzione legittima. Ma nella Chiesa esso è imposto come pre-condizione per essere prete o religioso. Peraltro, il celibato non può nascere da una carenza di amore, ma da una sovrabbondanza di amore a Dio, che trasborda negli altri, specialmente nei più carenti di affetto.

Perché la Chiesa cattolica non abolisce la legge del celibato? Perché contraddice la sua struttura. La Chiesa è, socialmente, un’istituzione totale, autoritaria, patriarcale, maschilista e gerarchizzata. Una Chiesa che si struttura intorno al potere sacro realizza quello che Carl Gustav Jung denunciava: «Dove predomina il potere non c’è né amore né tenerezza». È quello che succede con il maschilismo e la rigidità nella Chiesa, anche se non in tutta. Per correggere questa deviazione, papa Francesco non si stanca di predicare «la tenerezza e l’incontro affettuoso». Il celibato è funzionale alla Chiesa clericale, sola e solitaria. In questo tipo di Chiesa, non aspettiamocene l’abolizione. Se il sogno di Gesù si realizzasse, nella Chiesa cambierebbe tutto.

Leonardo Boff è ecoteologo della Liberazione brasiliano

* “Silenzio”, particolare scultoreo del cimitero di Staglieno (Genova) in una foto [ritagliata] di Faustobici del 2014, tratta da wikimedia commons, licenza Creative Commons




il commento al vangelo della domenica

Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri

il commento di E. Ronchi al vangelo della quinta domenica di quaresima (7 aprile 2019):

In quel tempo (…) gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». (…)
Una trappola ben congegnata: «che si schieri, il maestro, o contro Dio o contro l’uomo». Gli condussero una donna… e la posero in mezzo. Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è il suo peccato; anzi è una cosa, che si prende, si porta, si mette di qua o di là, dove a loro va bene. Si può anche mettere a morte. Sono funzionari del sacro, diventati fondamentalisti di un Dio terribilmente sbagliato. «Maestro, secondo te, è giusto uccidere…?». Quella donna ha sbagliato, ma la sua uccisione sarebbe ben più grave del peccato che vogliono punire.
Gesù si chinò e scriveva col dito per terra…, mostrando così la strada: invita tutti a chinarsi, a tacere, a mettersi ai piedi non di un codice penale ma del mistero della persona.
«Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei». Gesù butta all’aria tutto il vecchio ordinamento legale con una battuta sola, con parole definitive e così vere che nessuno può ribattere. E se ne andarono tutti.
Allora Gesù si alza, ad altezza del cuore della donna, ad altezza degli occhi, per esserle più vicino; si alza
con tutto il rispetto dovuto a un principe, e la chiama “donna”, come farà con sua madre: Nessuno ti ha condannata? Neanch’io lo faccio. Eccolo il maestro vero, che non s’impalca a giudice, che non condanna e neppure assolve; ma fa un’altra cosa: libera il futuro di quella donna, cambiandole non il passato ma l’avvenire: Va’ e d’ora in poi non peccare più: poche parole che bastano a riaprire la vita.
Il Signore sa sorprendere ancora una volta il nostro cuore fariseo: non chiede alla donna di confessare il peccato, non le chiede di espiarlo, non le domanda neppure se è pentita. È una figlia a rischio della vita, e tanto basta a Colui che è venuto a salvare. E la salvezza è sciogliere le vele (io la vela, Dio il vento): infatti non le domanda da dove viene, ma dove è diretta; non le chiede che cosa ha fatto, ma cosa farà. E si rivolge alla luce profonda di quella creatura, vi intinge la penna come uno scriba sapiente: «Scrivo con una minuscola bilancia come quella dei gioiellieri. Su un piatto depongo l’ombra, sull’altro la luce. Un grammo di luce fa da contrappeso a diversi chili d’ombra…»(Ch Bobin).
Le scrive nel cuore la parola “futuro”. Le dice: «Donna, tu sei capace di amare, tu puoi amare bene, amare molto. Questo tu farai…».
Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Lui sa bene che solo uomini e donne perdonati e amati possono disseminare attorno a sé perdono e amore. I due soli doni che non ci faranno più vittime. Che non faranno più vittime né fuori né dentro di noi.



il vangelo – lo si voglia o meno – è contro i ricchi

l’illusione dei ricchi

da Altranarrazione

Quanti Lazzaro stesi davanti alle porte delle Chiese, segnati da ferite fisiche o esistenziali, desiderosi di avere le stesse opportunità dei benestanti. Quanti ricchi che frequentano piamente il tempio e disertano gli altri luoghi in cui vive Dio, deformato e sfigurato da povero. Se fa impressione l’inarrestabile calo di presenze in chiesa non sorprendono invece le assenze sugli attuali Golgota. Infatti anche nelle crocifissioni di oggi Dio continua a rimanere terribilmente solo (o quasi). Non si può non provare pena per i ricchi. Vivono nell’illusione che il “successo” sociale di cui godono sia il segno del favore del Cielo. Purtroppo per loro Dio ha scelto la sconfitta, ciò che non luccica, la contraddizione, i rifiutati. I ricchi senza conversione conosceranno un solo momento di verità: la morte. Lì si renderanno conto che hanno rinunciato alla propria umanità e alla possibilità di infinito per contare dei sudici pezzi di carta. “Gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”(1) è la giustizia al contrario del nostro meraviglioso Dio. Così quelli che oggi stanno fuori entreranno e quelli che credono di stare dentro usciranno o comunque aspetteranno. Così quelli piegati dalla sbarra dell’oppressione saranno sollevati, rimessi in piedi e saliranno, quelli che stanno sul piedistallo, sui pulpiti del legalismo/moralismo/rigorismo scenderanno e senza gli applausi a cui sono abituati. Così quelli calunniati, perseguitati, uccisi per i loro richiami profetici saranno ascoltati pubblicamente, quelli che hanno predicato di giorno il Vangelo e stretto accordi di notte con il potere saranno messi a tacere.

(1) Vangelo di Matteo 20,16

vangelo di Luca 16, 19-31

C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».




le ferite che provoca il sistema economico che ha al centro il dio denaro

l’economia che produce ferite

le parole nette di papa Francesco

da Altranarrazione

Capitalismo finanziario

Strutture di peccato

La disuguaglianza sociale nel capitalismo finanziario non è un elemento accidentale o temporaneo ma strutturale. Dovendo garantire un extra-benessere a pochi non può tollerare forme di redistribuzione della c.d. ricchezza. È un sistema economico incompatibile con la democrazia: ne impedisce le dinamiche basilari. Dove c’è il capitalismo, al di là delle denominazioni, vige di fatto l’oligarchia. L’1% è in grado di soggiogare il 99% attraverso un uso smaliziato della forza e l’aiuto fondamentale degli intermedi: di coloro cioè che non appartengono all’1% ma sono pronti a tutto pur di raccogliere le briciole che cadono da quel tavolo. Allora li vedi sostenere le tesi della tecnocrazia europea, della finanza e dei globalizzatori dello sfruttamento. Li vedi tristemente al servizio dell’iniquità, attori non protagonisti di una squallida commedia. Il 99% può indignarsi, ne ha facoltà, ma con calma: nei luoghi, nei modi e nei tempi concessi dal potere. L’importante è che dopo lo sfogo  ritorni velocemente alla catena di montaggio.

testo di papa Francesco:

Le ferite che provoca il sistema economico che ha al centro il dio denaro, e che a volte agisce con la brutalità dei ladri della parabola [del samaritano], sono state criminalmente ignorate. Nella società globalizzata, esiste uno stile elegante di guardare dall’altro lato, che si pratica ricorrentemente: sotto le spoglie del politicamente corretto o le mode ideologiche, si guarda chi soffre senza toccarlo, lo si trasmette in diretta, addirittura si adotta un discorso in apparenza tollerante e pieno di eufemismi, ma non si fa nulla di sistematico per curare le ferite sociali e neppure per affrontare le strutture che lasciano tanti esseri umani per strada. Questo atteggiamento ipocrita, tanto diverso da quello del samaritano, manifesta l’assenza di una vera conversione e di un vero impegno con l’umanità. Si tratta di una truffa morale, che, prima o poi, viene alla luce, come un miraggio che si dilegua. I feriti stanno lì, sono una realtà. La disoccupazione è reale, la corruzione è reale, la crisi d’identità è reale, lo svuotamento delle democrazie è reale. La cancrena di un sistema non si può mascherare in eterno, perché prima o poi il fetore si sente e, quando non si può più negare, nasce dal potere stesso che ha generato quello stato di cose la manipolazione della paura, dell’insicurezza, della protesta, persino della giusta indignazione della gente, che trasferisce la responsabilità di tutti i mali a un “non prossimo”.

(Papa Francesco, Messaggio in occasione dell’incontro dei movimenti popolari a Modesto, California, 16-19 febbraio 2017)




Dio non abbandona mai


non abbandona

da Altranarrazione 

Ogni nostra lacrima contata.
Ogni nostra solitudine sofferta insieme.
Ogni nostra incomprensione accolta.
Ogni nostra sfiducia giustificata.
Ogni nostra fuga inseguita.
Ogni nostro ritorno atteso.
Ogni nostra inconsistenza accompagnata.
Ogni nostra caduta risollevata.
Dio non abbandona
Qualunque cosa accada. In qualunque luogo e condizione.
Sempre cercati. Sempre pensati, riconosciuti, sostenuti.
Sempre abbracciati.
Non abbiamo altra dignità che la sua Misericordia.
Non aspettiamo altro. Non speriamo altro.




il commento al vangelo della domenica

Il dono più prezioso dei Magi? Il loro stesso viaggio


Il dono più prezioso dei Magi? Il loro stesso viaggio
il commento di E. Ronchi al vangelo della Epifania 

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. […]

Epifania, festa dei cercatori di Dio, dei lontani, che si sono messi in cammino dietro a un loro profeta interiore, a parole come quelle di Isaia. «Alza il capo e guarda». Due verbi bellissimi: alza, solleva gli occhi, guarda in alto e attorno, apri le finestre di casa al grande respiro del mondo. E guarda, cerca un pertugio, un angolo di cielo, una stella polare, e da lassù interpreta la vita, a partire da obiettivi alti. Il Vangelo racconta la ricerca di Dio come un viaggio, al ritmo della carovana, al passo di una piccola comunità: camminano insieme, attenti alle stelle e attenti l’uno all’altro. Fissando il cielo e insieme gli occhi di chi cammina a fianco, rallentando il passo sulla misura dell’altro, di chi fa più fatica. Poi il momento più sorprendente: il cammino dei Magi è pieno di errori: perdono la stella, trovano la grande città anziché il piccolo villaggio; chiedono del bambino a un assassino di bambini; cercano una reggia e troveranno una povera casa. Ma hanno l’infinita pazienza di ricominciare. Il nostro dramma non è cadere, ma arrenderci alle cadute. Ed ecco: videro il bambino in braccio alla madre, si prostrarono e offrirono doni. Il dono più prezioso che i Magi portano non è l’oro, è il loro stesso viaggio. Il dono impagabile sono i mesi trascorsi in ricerca, andare e ancora andare dietro ad un desiderio più forte di deserti e fatiche. Dio desidera che abbiamo desiderio di Lui. Dio ha sete della nostra sete: il nostro regalo più grande. Entrati, videro il Bambino e sua madre e lo adorarono. Adorano un bambino. Lezione misteriosa: non l’uomo della croce né il risorto glorioso, non un uomo saggio dalle parole di luce né un giovane nel pieno del vigore, semplicemente un bambino. Non solo a Natale Dio è come noi, non solo è il Dio-con-noi, ma è un Dio piccolo fra noi. E di lui non puoi avere paura, e da un bambino che ami non ce la fai ad allontanarti. Informatevi con cura del Bambino e poi fatemelo sapere perché venga anch’io ad adorarlo! Erode è l’uccisore di sogni ancora in fasce, è dentro di noi, è quel cinismo, quel disprezzo che distruggono sogni e speranze. Vorrei riscattare queste parole dalla loro profezia di morte e ripeterle all’amico, al teologo, all’artista, al poeta, allo scienziato, all’uomo della strada, a chiunque: Hai trovato il Bambino? Ti prego, cerca ancora, accuratamente, nella storia, nei libri, nel cuore delle cose, nel Vangelo e nelle persone; cerca ancora con cura, fissando gli abissi del cielo e gli abissi del cuore, e poi raccontamelo come si racconta una storia d’amore, perché venga anch’io ad adorarlo, con i miei sogni salvati da tutti gli Erodi della storia e del cuore.