Boff e papa Francesco

 

 

«Con Papa Francesco la chiesa compirà una vera rivoluzione»
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Intervista a Leonardo Boff, l’uomo che fu tra i primi teologi della liberazione e che oggi è a Bolzano

 

Leonardo Boff è considerato uno degli iniziatori della teologia della liberazione, che alla fine degli anni ’60 in America Latina mise in primo piano i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano. Boff sarà a Bolzano oggi per un incontro organizzato dal Centro per la Pace del Comune di Bolzano che sarà ospitato dalla Libera Università (ore 18, aula D1.02, primo piano, ingresso libero e gratuito). Boff parlerà sul tema “Papa Francesco, il Concilio e la chiesa dei poveri” e dedicherà grande attenzione anche alle tematiche ecologiche e dell’equilibrio globale, senza trascurare il tema attualissimo della possibile nuova guerra in Siria. Nel corso dell’incontro verrà anche presentata la Fondazione Val di Seren del Grappa, che si propone di promuovere lo sviluppo e la rinascita della zona da cui è originaria la famiglia di Leonardo Boff, nel Bellunese. Abbiamo raggiunto Boff al telefono ed abbiamo anticipato con lui alcuni dei temi che saranno oggetto di discussione nell’incontro odierno.

Si è appena conclusa la veglia giornata mondiale di digiuno e preghiera per la pace promossa da papa Francesco. Lei cosa ne pensa della situazione in Siria e dell’iniziativa del papa?

Papa Francesco è nella linea del papa Giovanni XXIII. È molto interessato alle questioni della pace perché sa che tutte le guerre sono perverse. Non c’è guerra giusta né guerra santa che tenga: sono tutte da evitare perché producono morte. E in questo senso io penso che l’impegno del papa abbia avuto un respiro mondiale. Peccato che proprio negli Stati Uniti la reazione non sia stata così forte. Ad ogni modo penso che la voce del papa, etica e spirituale, si sia fatta ascoltare ed abbia dato da pensare a coloro che vogliono sempre usare mezzi violenti, economici o militari, per risolvere i problemi umani.

Nel marzo 2013 nel giro di pochi giorni la chiesa cattolica ha dovuto affrontare due rivoluzioni: il pensionamento di un vecchio papa e l’arrivo di un nuovo papa che fin dai primi minuti ha lanciato segnali di grandissimo cambiamento. Cosa vuol dire, per la chiesa cattolica, avere un papa latinoamericano che si chiama Francesco?

Il nome Francesco è molto più di un nome. È un progetto di chiesa e un progetto di mondo. Significa una chiesa più vicina al popolo, con un papa pastore piuttosto che un papa dottore. Una chiesa aperta al dialogo con tutti e aperta al servizio, senza riserve e senza critiche nei confronti del mondo moderno e postmoderno. Dove ci sono persone il papa è aperto al dialogo con loro: lo ha mostrato adesso quando è stato in Brasile, ma in realtà in tutta la sua vita. Poi prima di occuparsi della riforma della curia si è impegnato in quella del papato. Abbiamo infatti ancora un papato monarchico, in cui i cardinali sono principi. Lui allora ha deciso di presentarsi come vescovo di Roma, abbandonando tutti i simboli del potere per essere un fratello fra altri fratelli e presiedere la chiesa non con il diritto canonico, ma nella carità, nella convivenza e nel dialogo. Per me è una vera rivoluzione, una prima. vera dopo un rigoroso inverno. Questo papa è una speranza per la chiesa e per tanti uomini nel mondo che cercano cammini di pace e di incontro per affrontare i grandi problemi che sono vere minacce per il sistema vita e terra.

Lei ha conosciuto bene Josef Ratzinger. Cosa ne pensa invece del suo pontificato?

Ha proseguito sulla via di Giovanni Paolo II, ma senza averne il carisma. Ratzinger si è presentato piuttosto come un professore, uno della dottrina, e meno come un pastore. Ha rinforzato la chiesa all’interno ma che aveva in qualche modo paura di avvicinarsi al mondo moderno perché lo vedeva come troppo relativista e secolarizzato. La chiesa non ha la facoltà di scegliere il mondo in cui opera; deve invece accettare la realtà per quello che è e trovarvi il suo posto, un posto di evangelizzazione e dialogo. Papa Benedetto comunque ha fatto un gesto di grande umiltà riconoscendo i suo limiti fisici, psicologici e anche spirituali nell’affrontare i problemi della chiesa.

Il Brasile è diventata una delle economie trainanti a livello globale. Ma a che punto si trova la sua contemporanea lotta alle diseguaglianze sociali?

Una delle cose più importanti realizzata da Lula è stata proprio la riduzione delle disuguaglianze. Nei suoi 8 anni da presidente sono diminuite del 17%: è riuscito a reintegrare nella società 40 milioni di poveri che ora possono vivere con un minimo di dignità ed indipendenza. Sulla stessa linea si muove anche la nuova presidenta Dilma Yussef, che ha avviato progetto intitolato “Brasil carinhoso” che in due anni è riuscito a recuperare altri 2 milioni di miserabili.

Questa di diminuire le diseguaglianze è una scommessa di tutto lo stato, non solo del governo, e comporta anche la fondamentale conseguenza di rafforzare al democrazia rappresentativa rendendola più partecipata, includendo sempre più cittadini nelle decisioni che si prendono nel paese.

Cinque anni fa lei in occasione della sua precedente visita a Bolzano parlò sul tema “che ne sarà di nostra sorella madre terra?”. Lei non ha smesso di occuparsi di ecologia e di salvaguardia del pianeta. In questi 5 anni abbiamo fatto dei passi in avanti?

Purtroppo no: la situazione globale della terra è invece molto peggiorata. E il peggioramento ha riguardato 13 parametri su 15 di quelli indicati dall’Onu.

Non abbiamo fatto praticamente niente per diminuire il riscaldamento globale e le sue conseguenze. Le minacce che pesano sulla terra sono più gravi di prima e se non viene attuata una politica globale per riequilibrare il clima della terra andremo inevitabilmente incontro a una grave crisi ecologica.

Lei è in Italia anche per visitare la terra d’origine dei suoi antenati. Qual è il suo rapporto con l’Italia?

È un rapporto familiare: sentiamo l’Italia come una nostra seconda patria. In casa nostra abbiamo parlato in dialetto veneto e quindi andare a Seren del Grappa per noi è un po’ un tornare alle radici. Lì tutto è impregnato dello spirito di coloro che sono emigrati, troviamo delle tracce, e noi che andiamo in quei posti è come se entrassimo di nuovo in contatto con coloro che hanno avviato l’avventura americana della nostra famiglia. .