augurissimi, don Ciotti!

don Ciotti

settant’anni tra solidarietà e ribellione

“oltre alla deriva xenofoba, mi preoccupano il dilagare delle mafie e della corruzione. E soprattutto la mancanza di risposte concrete da parte dello Stato e della politica”

ritratto di un religioso sempre in prima linea

di Mario Lancisi

 

Don Ciotti, settant'anni tra solidarietà e ribellione

quella foto del piccolo Aylan Kurdi, trascinato morto dal mare sulle rive turche, don Luigi Ciotti ce l’ha sempre davanti agli occhi. Commozione, dolore, ma anche una grande rabbia, un’indignazione senza fine i sentimenti che lo agitano. “Basta, va posto fine al massacro degli innocenti. Sull’immigrazione tante parole, ma fatti zero. Quello dei profughi era un fenomeno prevedibile, ma l’Europa se ne è lavata le mani. La politica anche in Italia ha pensato ai voti, al consenso, non a risolvere il problema dell’immigrazione”.

Don Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera, l’associazione contro le mafie, compirà settanta anni il prossimo 10 settembre. Momento di bilanci, di sguardi sul futuro. Sguardi preoccupati: “Oltre alla deriva xenofoba, mi preoccupano il dilagare delle mafie e della corruzione. E soprattutto la mancanza di risposte concrete da parte dello Stato e della politica. Ripeto, parole tante, ma fatti pochi, davvero pochi”. Non fa nomi, non attacca Renzi o Salvini: è tutta la politica a deluderlo.

Ma don Ciotti ha anche sguardi aperti alla speranza: “La vedo annidarsi nel cuore dei giovani. Ribelli ma creativi. Confido in loro, nella loro ribellione non violenta ma capace di aprire nuove strade”. Ecco, strada, strade. La password che aiuta a capire la vita di questo prete di settant’anni sempre in prima fila tra impegno religioso e civile.

Quando nel 1972 fu ordinato sacerdote, l’allora vescovo di Torino, il cardinale Michele Pellegrino gli disse: “Luigi, la parrocchia che ti affido è la strada”. E di strada don Ciotti ne ha percorsa molta, prima e dopo la tonaca.

Nato a Pieve di Cadore nel 1945, il 10 settembre, appunto, la famiglia di Luigi si trasferisce a Torino in cerca di fortuna quando ha appena cinque anni. Lì, nella città sabauda, il babbo fa il muratore nei cantieri per la costruzione del Politecnico e la famiglia vive in una baracca. Poverissimi. A tal punto che il piccolo Luigi va a scuola senza grembiule. Un giorno la maestra lo riprende in malo modo: “Ma cosa vuoi tu, montanaro?”. Luigi, allora in prima elementare, non ci vede dalla rabbia: tira fuori un calamaio dal banco e lo scaraventa contro la maestra. Ha solo sei anni, ma già quel carattere ribelle contro le ingiustizie che si porterà dietro per tutta la vita. Non a caso, a metà mese, uscirà anche in Italia, edito da Piemme, il suo nuovo libro “Non tacerò”, curato da Nello Scavo e Daniele Zappalà.

La svolta della vita don Luigi ce l’ha a 17 anni, quando andando a scuola, per conseguire il diploma in telefonia, rimane un giorno colpito da un barbone. Scoprirà poi che era un medico caduto in depressione e povertà. Il giovane Luigi si ferma, una mattina. «Posso offrirle un caffè?». Il barbone non risponde. Un thè? Silenzio. Per 12 giorni va avanti un dialogo ad una sola voce. Il barbone-medico tace e guarda fisso un bar davanti alla scuola. Lì andavano i ragazzi a farsi una “bomba”: alcool e pasticche. Anche Luigi decide di andare in quel bar. E capisce la vocazione della sua vita: farsi prete e dedicarsi ai drogati.

Nel 1955 nasce il gruppo Abele e quarant’anni dopo, Libera. Dalla droga all’impegno contro la mafia: “L’idea di libera è nata nell’estate del 1992, l’estate in cui furono uccisi Paolo Falcone e Paolo Borsellino. La molla è stato il desiderio di fare qualcosa di più, di non cedere allo sgomento, alla rabbia e alla rassegnazione”, racconta don Ciotti nel libro di Libera, uscito per il ventennale (“Cento passi verso un’altra Italia”, edito da Piemme).

Un’altra Italia, ma anche un’altra Chiesa. Prete di strada ma amico anche di personaggi dell’alta società, a cominciare da Giovanni Agnelli (al quale dava del tu) e del figlio Edoardo, di cui ha celebrato i funerali, nel 2000, don Ciotti è stato spesso criticato dalle gerarchie ecclesiastiche per le sue posizioni sociali e politiche non linea con l’ortodossia vaticana. Un rapporto quasi da separato in casa, nella sua Chiesa. Che solo papa Francesco ha ricucito quando nel marzo del 2014, appena eletto al soglio di Pietro, partecipa alla giornata della memoria di Libera e abbraccia don Ciotti. Che commenta : “Ora ci sentiamo meno soli”.

Qualche mese dopo, la condanna a morte di Totò Riina che dal carcere lancia la minaccia: “Uccidiamo don Ciotti, come già don Puglisi”. Da allora la scorta del prete è stata rafforzata: “Paura? Non parlerei di paura, e non perché sia incosciente o temerario, ma perché non do peso alla mia vicenda personale. L’io è soltanto un mezzo, non un fine. Il fine è la giustizia sociale. Le minacce più grandi non solo quelle dei boss, ma i ritardi, le inerzie, i compromessi nel realizzarla”, conclude don Ciotti nell’introduzione al libro di Libera.