Chiamati a custodire il bruciore del fuoco

il commento di E. Ronchi al vangelo della ventesima domenica del tempo ordinario

(…)Gesù disse ai suoi dicepoli:« Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera» (…)

Fuoco e divisione sono venuto a portare. Vangelo drammatico, duro e pensoso. E bellissimo. Testi scritti sotto il fuoco della prima violenta persecuzione contro i cristiani, quando i discepoli di Gesù si trovano di colpo scomunicati dall’istituzione giudaica e, come tali, passibili di prigione e morte. Un colpo terribile per le prime comunità di Palestina, dove erano tutti ebrei, dove le famiglie cominciano a spaccarsi attorno al fuoco e alla spada, allo scandalo della croce di Cristo.

Sono venuto a gettare fuoco sulla terra. Il fuoco è simbolo altissimo, in cui si riassumono tutti gli altri simboli di Dio, è la prima memoria nel racconto dell’Esodo della sua presenza: fiamma che arde e non consuma al Sinai; bruciore del cuore come per i discepoli di Emmaus; fuoco ardente dentro le ossa per il profeta Geremia; lingue di fuoco a Pentecoste; sigillo finale del Cantico dei Cantici: le sue vampe sono vampe di fuoco, una scheggia di Dio infuocata è l’amore.

Sono venuto a gettare Dio, il volto vero di Dio sulla terra. Con l’alta temperatura morale in cui avvengono le vere rivoluzioni.
Pensate che io sia venuto a portare la pace? No, vi dico, ma divisione. La pace non è neutralità, mediocrità, equilibrio tra bene e male. “Credere è entrare in conflitto” (David Turoldo). Forse il punto più difficile e profondo della promessa messianica di pace: essa non verrà come pienezza improvvisa, ma come lotta e conquista, terreno di conflitto, sarà scritta infatti con l’alfabeto delle ferite inciso su di una carne innocente, un tenero agnello crocifisso.

Gesù per primo è stato con tutta la sua vita segno di contraddizione, “per la caduta e la risurrezione di molti” (Luca 2,34). Conosceva, come i profeti antichi, la misteriosa beatitudine degli oppositori, di chi si oppone a tutto ciò che fa male alla storia e ai figli di Dio. La sua predicazione non metteva in pace la coscienza di nessuno, la scuoteva dalle false paci apparenti, frantumate da un modo più vero di intendere la vita.

La scelta di chi perdona, di chi non si attacca al denaro, di chi non vuole dominare ma servire, di chi non vuole vendicarsi, di chi apre le braccia e la casa, diventa precisamente, inevitabilmente, divisione, guerra, urto con chi pensa a vendicarsi, a salire e dominare, con chi pensa che vita vera sia solo quella di colui che vince.

Come Gesù, così anche noi siamo inviati a usare la nostra intelligenza non per venerare il tepore della cenere, ma per custodire il bruciore del fuoco (G. Mahler), siamo una manciata, un pugno di calore e di luce gettati in faccia alla terra, non per abbagliare, ma per illuminare e riscaldare quella porzione di mondo che è affidata alle nostre cure.


(Letture: Geremia 38,4-6.8-10; Salmo 39; Ebrei, 12, 1-4; Luca 12, 49-53).