il commento al vangelo della domenica

il segreto per avere più amore e più libertà


Il segreto per avere più amore e più libertà
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della ventiduesima domenica tempo ordinario – Anno B

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate […] lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». […]

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano. Gesù indirizza oggi la nostra attenzione verso il cuore, quegli oceani interiori che ci minacciano e che ci generano; che ci sommergono talvolta di ombre e di sofferenze ma che più spesso ancora producono isole di generosità, di bellezza e di luce: siate liberi e sinceri. Gesù veniva dai campi veri del mondo dove piange e ride la vita, E ora che cosa trova? Gente che collega la religione a macchioline, mani e piatti lavati, a pratiche esteriori. Gesù, anziché scoraggiarsi, diventa eco del grido antico dei profeti: vera religione è illimpidire il cuore a immagine del Padre della luce (prima Lettura, Gc 1,17): è dal cuore degli uomini che escono le intenzioni cattive… È la grande svolta: il ritorno al cuore. Passando da una religione delle pratiche esteriori a una religione dell’interiorità, perché l’io esiste raccogliendosi non disperdendosi, e perché quando ti raccogli fai la scoperta che Dio è vicino: «Fuori di me ti cercavo e tu eri dentro di me» (sant’Agostino). Ritorna al tuo cuore: per quasi mille volte nella Bibbia ricorre il termine cuore, che non indica la sede dei sentimenti o dell’affettività, ma è il luogo dove nascono le azioni e i sogni, dove si sceglie la vita o la morte, dove si è sinceri e liberi, dove fa presa l’attrazione di Dio, e seduce e brucia, come a Emmaus. Il ritorno al cuore è un precetto antico quanto la sapienza umana («conosci te stesso» era scritto sul frontone del tempio di Delfi), ma non basta a salvare, perché nel cuore dell’uomo c’è di tutto: radici di veleno e frutti di luce; campi di buon grano ed erbe malate. L’azione decisiva sta nell’evangelizzare il cuore, nel fecondare di Vangelo le nostre zolle di durezza, le intolleranze e le chiusure, i desideri oscuri e i nostri idoli mascherati… Gesù, maestro del cuore, esegeta e interprete del desiderio, pone le sue mani sante nel tessuto più profondo della persona, sul motore della vita, e salva il desiderio dalle sue pulsioni di morte: dal di dentro, cioè dal cuore dell’uomo escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità… e segue un elenco impressionante di dodici cose cattive, che rendono impura e vuota la vita. Ma tu non dare loro cittadinanza, non legittimarle, non farle uscire da te, non permettere loro di galoppare sulle praterie del mondo, perché sono segnali di morte. Evangelizzare significa poi far scendere sul cuore un messaggio felice. L’annuncio gioioso che Gesù porta è questo: è possibile vivere meglio, per tutti, e io ne conosco il segreto: un cuore libero e incamminato, che cresce verso più amore, più coscienza, più libertà.
(Letture: Deuteronomio 4,1-2.6-8; Salmo 14; Giacomo 1,17-18.21-22.27; Marco 7,1-8.14-15.21-23)

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il commento al vangelo della domenica

Dio

non c’è nessun altro a cui affidare la nostra vita


Dio, non c'è nessun altro a cui affidare la nostra vita
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della XXI domenica del tempo ordinario – Anno B:

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». […]

 

Giovanni mette in scena il resoconto di una crisi drammatica. Dopo il lungo discorso nella sinagoga di Cafarnao sulla sua carne come cibo, Gesù vede profilarsi l’ombra del fallimento: molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. E lo motivano chiaramente: questa parola è dura. Chi può ascoltarla? Dura era stata anche per il giovane ricco: vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri. Dure le parole sulla montagna: beati i perseguitati, beati quelli che piangono. Ma ciò che Gesù ora propone non è una nuova morale, più ardua che mai, ma una visione ancora più rivoluzionaria, una fede ancor più sovversiva: io sono il pane di Dio; io trasmetto la vita di Dio; la mia carne dà la vita al mondo. Nessuno aveva mai detto “io” con questa pretesa assoluta. Nessuno aveva mai parlato di Dio così: un Dio che non versa sangue, versa il suo sangue; un Dio che va a morire d’amore, che si fa piccolo come un pezzo di pane, si fa cibo per l’uomo. Finita la religione delle pratiche esterne, dei riti, degli obblighi, questa è la religione dell’essere una cosa sola con Dio: io in Lui, Lui in me. La svolta del racconto avviene attorno alle parole spiazzanti di Gesù: volete andarvene anche voi? Il maestro non tenta di fermarli, di convincerli, non li prega: aspettate un momento, restate, vi spiego meglio. C’è tristezza nelle sue parole, ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà di ciascuno: siete liberi, andate o restate, ma scegliete! Sono chiamato anch’io a scegliere di nuovo, andare o restare. E mi viene in aiuto la stupenda risposta di Pietro: Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Tu solo. Dio solo. Un inizio bellissimo. Non ho altro di meglio. Ed esclude un mondo intero. Tu solo. Nessun altro c’è cui affidare la vita. Tu solo hai parole: Dio ha parole, il cielo non è vuoto e muto, e la sua parola è creativa, rotola via la pietra del sepolcro, vince il gelo, apre strade e nuvole e incontri, apre carezze e incendi. Tu solo hai parole di vita. Parole che danno vita, la danno ad ogni parte di me. Danno vita al cuore, gli danno coraggio e orizzonti, ne sciolgono la durezza. Danno vita alla mente perché la mente vive di libertà e di verità, e tu sei la verità che rende liberi. Vita allo spirito, a questa parte divina deposta in noi, a questa porzione di cielo che ci compone. Parole che danno vita anche al corpo perché in Lui siamo, viviamo e respiriamo; e le sue parole muovono le mani e le fanno generose e pronte, seminano occhi nuovi, luminosi e accoglienti. Parole di vita eterna, che portano in dono l’eternità a tutto ciò che di più bello abbiamo nel cuore. Che fanno viva, finalmente, la vita.
(Letture: Giosuè 24,1-2.15-17.18; Salmo 33; Efesini 5,21-32; Giovanni 6,60-69)

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disarmo integrale, un’utopia? no, necessità per uscire migliori dalla crisi

 nuovo appello di papa Francesco per un disarmo integrale 

 disarmo integrale per la pace, usciamo migliori dalla crisi

di Alessandro Di Bussolo

Il Messaggio del Papa è rivolto al 4° Forum di Parigi sulla Pace, in programma dall’11 al 13 novembre: la corsa alle spese militari giustificata dalla deterrenza dell’”equilibrio degli armamenti” ha già causato grandi tragedie umanitarie. Serve una “speranza responsabile” per migliorare il mondo e uscire dalla pandemia risanando “le ferite della famiglia umana”
Non si può generare la pace senza “un impegno collettivo concreto a favore del disarmo integrale”: l’aumento delle spese militari giustificato dall’idea della deterrenza, “fondata sull’equilibrio delle dotazioni di armamenti” ha già causato “tragedie umanitarie di grande portata”. E non dobbiamo sprecare l’opportunità di “uscire migliori” dalla crisi della pandemia, di migliorare il nostro mondo, “di risanare in profondità le ferite della famiglia umana”. Così Papa Francesco, in un messaggio, si rivolge ad organizzatori e partecipanti del quarto Forum di Parigi sulla Pace, che si apre oggi per proseguire fino al 13 novembre, sul tema “Ridurre le fratture mondiali”.

una riflessione per “uscire migliori” dalla pandemia

Francesco si augura che la riflessione di questi giorni contribuisca a promuovere la pace, il buon governo e un futuro migliore per tutti, e “che aiuti a uscire migliori dalla pandemia di Covid-19”. Otto sono le priorità degli 80 progetti sostenuti quest’anno dal Forum: lottare contro la crisi del Covid-19; tutelare gli spazi comuni: oceani, clima, spazio, biodiversità; un miglior governo del mondo digitale; proteggere la sfera pubblica nel tempo della pandemia; lottare contro le fake news e le minacce contro la stampa; raggiungere l’uguaglianza tra uomini e donne; rinforzare la cooperazione Sud-Sud; riformare il capitalismo attraverso l’economia sociale e solidale.

rinunciare alla via più comoda: il ritorno alla “normalità”

La scelta di fronte alla quale la famiglia umana si trova, in questa fase storica, per il Papa è tra il cosiddetto “ritorno alla normalità”, la via più comoda, e cogliere invece “l’opportunità concreta di conversione, di trasformazione, di ripensare il nostro stile di vita e i nostri sistemi economici e sociali”, come il Pontefice ha chiesto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2020. Ma, ricorda Papa Francesco, la realtà che conoscevamo prima della pandemia “era quella in cui la ricchezza e la crescita economica erano riservate a una minoranza mentre milioni di persone non erano in grado di soddisfare i bisogni più elementari e condurre una vita dignitosa”. La Terra veniva saccheggiata “da un miope sfruttamento delle risorse, dall’inquinamento, dal consumismo ‘usa e getta’ e ferita da guerre ed esperimenti con armi di distruzione di massa”.

Ritorno alla normalità significherebbe anche ritorno alle vecchie strutture sociali ispirate da “autosufficienza, nazionalismo, protezionismo, individualismo e isolamento” ed escludenti i nostri fratelli e sorelle più poveri. È questo un futuro che possiamo scegliere?

nessuno si salva da solo

Il Papa torna a sottolineare che “le decisioni che prendiamo oggi per uscire dalla crisi determinano la ‘rotta’ delle generazioni a venire”, come pure che “siamo una comunità globale e che ‘nessuno si salva da solo!’ ”. La via di uscita, quindi, “è lavorare insieme per uscire migliori di prima”.

Il primo e più urgente tema su cui dobbiamo porre la nostra attenzione è che non vi può essere una cooperazione generatrice di pace senza un impegno collettivo concreto a favore del disarmo integrale. Le spese militari a livello mondiale hanno oramai superato il livello registrato alla fine della “guerra fredda” e aumentano sistematicamente ogni anno.

l’idea sbagliata delle deterrenza dell’equilibrio delle armi

Francesco ricorda che i governi “giustificano tale riarmo richiamandosi a un’idea abusata di deterrenza fondata sull’equilibrio delle dotazioni di armamenti”. Ma perseguire i propri interessi “principalmente sulla base dell’uso o della minaccia della forza”, non garantisce certo, per il Pontefice “la costruzione e il mantenimento della pace”. L’idea della deterrenza, infatti, “in molti casi è risultata fallace, determinando tragedie umanitarie di grande portata”. E qui cita Papa Giovanni XXIII, che nella Lettera enciclica Pacem in terris auspicava che: “Al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia”.

Va inoltre sottolineato che alla logica della deterrenza è stata associata quella propria del mercato liberista che gli armamenti possano essere considerati alla stregua di tutti gli altri prodotti manufatti e quindi, come tali, liberamente commerciabili a livello mondiale. Non è dunque un caso se per anni abbiamo assistito acriticamente all’espansione del mercato delle armi a livello globale.

la speranza affidabile: l’ingiustizia non è inevitabile

Se la pandemia ha messo in luce drammaticamente i “limiti e le carenze delle nostre società e dei nostri stili di vita”, per Papa Francesco abbiamo “bisogno di sperare”, perché la speranza “ci invita a sognare in grande e a dare spazio all’immaginazione di nuove possibilità”. La speranza incentiva l’azione sulla base della consapevolezza che la realtà può essere cambiata.

Il mio auspicio è che la tradizione cristiana, in particolare la dottrina sociale della Chiesa, come pure altre tradizioni religiose, possano contribuire ad assicurare al vostro incontro la speranza affidabile che l’ingiustizia e la violenza non sono inevitabili, non sono il nostro destino.

Procedere sulla strada del bene comune

Di fronte alle conseguenze della pandemia, per il Papa, la nostra coscienza ci chiama “a una speranza responsabile, cioè, in concreto, a non seguire la via comoda del ritorno a una ‘normalità’ segnata dall’ingiustizia, ma a vedere nella crisi l’opportunità “di ripensare il nostro stile di vita e i nostri sistemi economici e sociali”. Una speranza che ci permette “di respingere la tentazione delle soluzioni facili e ci dà il coraggio di procedere sulla strada del bene comune, della cura dei poveri e della casa comune”.

Non sprechiamo questa opportunità di migliorare il nostro mondo; di adottare con decisione modalità più giuste per attuare il progresso e costruire la pace. Animati da questa convinzione, è possibile generare modelli economici che servano i bisogni di tutti preservando i doni della natura, come pure politiche lungimiranti che promuovano lo sviluppo integrale della famiglia umana.

Ci possa ispirare, conclude Francesco nel suo messaggio, la parola che il profeta Geremia rivolse al popolo in tempo di grave crisi: “Fermatevi nelle strade e guardate, / informatevi dei sentieri del passato, / dove sta la strada buona percorretela, così troverete pace per la vostra vita”

 

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il commento al vangelo della domenica

Magnificat

una finestra aperta sul futuro


Magnificat, una finestra aperta sul futuro
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della  solennità dell’Assunta
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (…)

Luca ci offre, in questa festa dell’Assunzione di Maria, l’unica pagina evangelica in cui protagoniste sono le donne. Due madri, entrambe incinte in modo «impossibile», sono le prime profetesse del Nuovo Testamento. Sole, nessun’altra presenza, se non quella del mistero di Dio pulsante nel grembo. Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! Elisabetta ci insegna la prima parola di ogni dialogo vero: a chi ci sta vicino, a chi condivide strada e casa, a chi mi porta luce, a chi mi porta un abbraccio, ripeto la sua prima parola: che tu sia benedetto; tu sei benedizione scesa sulla mia vita!. Elisabetta ha introdotto la melodia, ha iniziato a battere il ritmo dell’anima, e Maria è diventata musica e danza, il suo corpo è un salmo: L’anima mia magnifica il Signore!. Da dove nasce il canto di Maria? Ha sentito Dio entrare nella storia, venire come vita nel grembo, intervenire non con le gesta spettacolari di comandanti o eroi, ma attraverso il miracolo umile e strepitoso della vita: una ragazza che dice sì, un’anziana che rifiorisce, un bimbo di sei mesi che danza di gioia all’abbraccio delle madri. Viene attraverso il miracolo di tutti quelli che salvano vite, in terra e in mare. Il Magnificat è il vangelo di Maria, la sua bella notizia che raggiunge tutte le generazioni. Per dieci volte ripete: è lui che ha guardato, è lui che fa grandi cose, che ha dispiegato, che ha disperso, che ha rovesciato, che ha innalzato, che ha ricolmato, che ha rimandato, che ha soccorso, che si è ricordato….è lui, per dieci volte. La pietra d’angolo della fede non è quello che io faccio per Dio, ma quello che Dio fa per me; la salvezza è che lui mi ama, non che io lo amo. E che io sia amato dipende da lui, non dipende da me. Maria vede un Dio con le mani impigliate nel folto della vita. E usa i verbi al passato, con uno stratagemma profetico, come se tutto fosse già accaduto. Invece è il suo modo audace per affermare che si farà, con assoluta certezza, una terra e un cielo nuovi, che il futuro di Dio è certo quanto il passato, che questo mondo porta un altro mondo nel grembo. Pregare il Magnificat è affacciarsi con lei al balcone del futuro. Santa Maria, assunta in cielo, vittoriosa sul drago, fa scendere su di noi una benedizione di speranza, consolante, su tutto ciò che rappresenta il nostro male di vivere: una benedizione sugli anni che passano, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sul decadimento di questo nostro corpo, sulla corruzione della morte, sulle sofferenze dei volti cari, sul nostro piccolo o grande drago rosso, che però non vincerà, perché la bellezza e la tenerezza sono, nel tempo e nell’eterno, più forti della violenza.

(Le letture Messa del giorno: Apocalisse 11,19a; 12,1–6a.10ab; Salmo 44; Prima Lettera ai Corinzi 15,20–27a; Luca 1,39-56)

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il commento al vangelo della domenica

così Gesù è pane di vita e forza d’attrazione


Così Gesù è pane di vita e forza d'attrazione
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della  19 domenica del tempo ordinario – Anno B


In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». […]

Io sono il pane disceso dal cielo. In una sola frase Gesù raccoglie e intreccia tre immagini: pane, cielo, discendere. Potenza della scrittura creativa dei Vangeli, e prima ancora del linguaggio pieno di immaginazione e di sfondamenti proprio del poeta di Nazaret. Io sono pane, ma non come lo è un pugno di farina e di acqua passata per il fuoco: pane perché il mio lavoro è nutrire il fondo della vita. Io sono cielo che discende sulla terra. Terra con cielo è giardino. Senza, è polvere che non ha respiro. Nella sinagoga si alza la contestazione: ma quale pane e quale cielo! Sappiamo tutto di te e della tua famiglia…
E qui è la chiave del racconto. Gesù ha in sé un portato che è oltre. Qualcosa che vale per tutta la realtà: c’è una parte di cielo che compone la terra; un oltre che abita le cose; il nostro segreto non è in noi, è oltre noi. Come il pane, che ha in sé la polvere del suolo e l’oro del sole, le mani del seminatore e quelle del mietitore; ha patito il duro della macina e del fuoco; è germogliato chiamato dalla spiga futura; si è nutrito di luce e ora può nutrire. Come il pane, Gesù è figlio della terra e figlio del cielo. E aggiunge una frase bellissima: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato. Ecco una nuova immagine di Dio: non il giudice, ma la forza di attrazione del cosmo, la forza di gravità celeste, la forza di coesione degli atomi e dei pianeti, la forza di ogni comunione. Dentro ciascuno di noi è al lavoro una forza instancabile di attrazione divina, che chiama ad abbracciare bellezza e tenerezza. E non diventeremo mai veri, mai noi stessi, mai contenti, se non ci incamminiamo sulle strade dell’incanto per tutto ciò che chiama all’abbraccio. Gesù dice: lasciate che il Padre attiri, che sia la comunione a parlare nel profondo, e non il male o la paura. Allora sì che “tutti saranno istruiti da Dio”, istruiti con gesti e parole e sogni che ci attraggono e trasmettono benessere, perché sono limpidi e sani, sanno di pane e di vita. Il pane che io darò è la mia carne data per la vita del mondo. Sempre la parola “vita”, martellante certezza di Gesù di avere qualcosa di unico da dare affinché possiamo vivere meglio. Ma non dice il mio “corpo”, bensì la mia “carne”. Nel Vangelo di Giovanni carne indica l’umanità originaria e fragile che è la nostra: il verbo si è fatto carne. Vi do questa mia umanità, prendetela come misura alta e luminosa del vivere. Imparate da me, fermate l’emorragia di umanità della storia. Siate umani, perché più si è umani più si manifesta il Verbo, il germe divino che è nelle persone. Se ci nutriamo così di vangelo e di umanità, diventeremo una bella notizia per il mondo.

(Le letture: Primo Libro dei Re 19,4-8; Salmo 33; Lettera agli Efesini 4,30-5,2; Giovanni 6,41-51)

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