la morte di Pedro Casaldàliga

La morte di Casaldaliga, profeta e poeta dell’Amazzonia

la morte di Casaldaliga, profeta e poeta dell’Amazzonia

A 92 anni scompare il missionario claretiano spagnolo che dal 1971 è stato vescovo della prelatura di São Félix do Araguaia, nal Mato Grosso brasiliano. Fu tra i primi a denunciare la violenza del latifondo sulla terra e le popolazioni indigene. Ma è stato anche poeta fecondo nel raccontare il Vangelo come liberazione dei poveri

 

Proprio mentre vive la durissima prova della pandemia il Brasile dei poveri – e l’Amazzonia in particolare – piange la morte di padre Perdo Casaldaliga, il vescovo dei poveri che per oltre 35 anni ha guidato prelatura di São Félix do Araguaia, nal Mato Grosso brasiliano divenendo una delle figure più rappresentative della teologia della liberazione. Ormai novantaduenne Casaldaliga era ricoverato già da qualche tempo in ospedale in gravi condizioni e oggi è giunta la notizia della sua morte.

Missionario claretiano originario della Catalogna, padre Pedro era arrivato in Amazzonia nel 1968 e tre anni dopo Paolo VI lo aveva nominato vescovo della prelatura di São Félix do Araguaia, una zona periferica della foresta grande quanto metà dell’Italia. A quel punto lui aveva trasformato la casa che abitava in mezzo ai poveri nella sua sede episcopale. Ma soprattutto aveva cominciato a fare proprio il loro grido: in quegli anni fece subito scalpore la sua prima lettera pastorale dal titolo eloquente “Una Chiesa nell’Amazzonia in guerra contro il latifondo e l’emarginazione sociale”. Un testo che già cinquant’anni fa parlava di quegli stessi temi che Papa Francesco ha voluto al centro del Sinodo per l’Amazzonia, tenuto l’anno scorso.

Denunce estremamente chiare dei mali dell’Amazzonia e delle ingiustizie nei confronti dei poveri, quelle di padre Pedro Casaldaliga, invise alla dittatura militare e motivo di tante minacce di morte nel corso della sua vita, proseguite anche dopo che nel 2005 per raggiunti limiti di età lasciò la guida della prelatura. In seno all’episcopato brasiliano è stato tra i fondatori della Commissione pastorale della terra (Cpt) e del Consiglio indigenista missionario (Cimi), gli organismi della Conferenza episcopale più impegnati in difesa dei contadini e degli indios.

Ma il timbro che ha reso ancora più forte la parola di Casaldaliga è stato quello della poesia trasformata in preghiera. La “Messa della Terra senza mali” – scritta insieme al poeta Pedro Tierra nel 1979 – è stato un testo che ha fatto epoca nel mondo missionario. «E’ il desiderio più profondo del cuore umano: vivere in una terra senza mali – recitava la sua introduzione -. E’ anche il progetto di Dio: il suo Regno. Prima di donarci un “cielo senza mali”, ci guida a trasformare il mondo in una “terra senza mali”. Quando la sofferenza antica si trasforma in speranza, quando i figli degli oppressori si riconciliano con i discendenti delle vittime, quando il passato oscuro diviene promessa di avvenire, allora nasce come canto e liturgia la “Terra senza mali”, la visione che ha consolato lungo i secoli il pianto di un popolo condannato allo sterminio».

A quei versi ne seguirono tanti altri. Lo stesso Papa Francesco al numero 73 dell’esortazione apostolica Querida Amazonia ha scelto di citarne alcuni tratti da Il tempo e la speranza (1986): «Galleggiano ombre di me, legni morti. Ma la stella nasce senza rimprovero sopra le mani di questo bambino, esperte, che conquistano le acque e la notte. Mi basti conoscere che Tu mi conosci interamente, prima dei miei giorni».

«Amato Pedro – scrive l’associazione che nell’Araguaia ne ha raccolto l’eredità annunciando la sua morte – dal profondo del nostro cuore rendiamo grazie per la tua vita “donata”; per la speranza “fiduciosa” che ci ha fatto e ci fa camminare; e per tutta la luce che ci hai dato in tutta la tua vita. Pieni di tristezza e di dolore, ti diciamo che le tue lotte sono le nostre; che il tuo cuore batte in ognuno di noi e che continueremo a cercare di vivere ogni giorno le cause che ci hai indicato. Sempre con speranza».

I funerali di padre Pedro Casaldaliga si terranno domenica 9 agosto presso il Centro Universitario Claretiano di Batatais nello Stato di San Paolo alle 15 ora locale (le 20 ora italiana). Saranno trasmessi anche in streaming a questo link

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è morto dom Pedro Casaldàliga

Brasile

è morto all’età di 92 anni il vescovo Pedro Casaldáliga, noto per le sue battaglie per l’Amazzonia e la giustizia sociale

 

È deceduto poco fa a Batatais (Stato di San Paolo, Brasile) il vescovo Pedro Casaldáliga, 92 anni, prelato emerito di São Félix (Mato Grosso), appartenente alla Congregazione dei missionari Figli dell’Immacolato Cuore di Maria (Claretiani). Le esequie, si legge in una nota della Prelatura, si terranno a Batatais domani, 9 agosto, alle ore 15. Successivamente il corpo sarà vegliato nel santuario dei Martiri e poi trasportato a São Félix do Araguaia, dove riceverà l’omaggio dei fedeli al centro comunitario Tia Irene, prima di essere sepolto.
Dom Casaldáliga, nato a Balsareny, in Catalogna, prelato di São Félix dal 1971 al 2005, è stato un vescovo molto conosciuto e punto di riferimento per le sue battaglie a favore dei diritti umani, dei diritti degli indigeni e del creato. Nel 1971 scrisse la coraggiosa lettera pastorale “Una Chiesa nell’Amazzonia in guerra contro il latifondo e l’emarginazione sociale”, nella quale denunciava mali più che mai attuali: l’accaparramento delle terre, le crescenti diseguaglianze, la sofferenza delle popolazioni locali.
Fu più volte minacciato di morte e di espulsione dal Brasile dall’allora dittatura militare. Può, dunque, essere considerato un precursore di quella sensibilità che ha dato vita al recente Sinodo per l’Amazzonia.

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vangelo – conversione – coronavirus

spunti evangelici per la conversione

esistenziale, spirituale, pastorale

Ha detto: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini” (Mt 4,19).
Non burocrati.

Ha detto: “Accumulatevi tesori nel cielo” (Mt 6,20).
Non immobili e Palazzi.

Ha detto: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Mt 10,22).
Non ammirati e stimati socialmente.

Ha detto: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8).
Non dietro compenso camuffato da offerte.

Il Vangelo rimane il miglior documento
per la conversione esistenziale, spirituale, pastorale.

Neanche la tragedia del Covid-19
è riuscita a farci scegliere
la transizione verso una Chiesa povera e dei poveri.
Allora, anche alla nostra generazione,
è applicabile il detto:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato
vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!” ( Lc 7,32).

Gesù ha diviso la storia in un prima e dopo di Lui.
Non esiste cambiamento più radicale.
Eppure, come cristiani, sembriamo paralizzati
nella ripetizione di ciò che è stato fatto ieri
e di come è stato fatto ieri.

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il commento al vangelo della domenica

il Signore ci salva oltre ogni nostro dubbio


Il Signore ci salva oltre ogni nostro dubbio
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della diciannovesima domenica del tempo ordinario (9 agosto 2020):

Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca (…). Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». (…) Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». (…)

«Subito dopo», dopo i pani che traboccavano dalle mani e dalle ceste, «costrinse i discepoli», che vorrebbero star lì a godersi il successo, «a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva». Li deve costringere, non vogliono andarci sull’altra riva, è terra pagana, c’è il rischio di essere rifiutati, è già successo. Infatti: la barca era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. Un vento che non soffia da fuori, ma da dentro i Dodici, come resistenza a quel viaggio verso gli stranieri.
«Sul finire della notte egli andò verso di loro, camminando sul mare». Non ha fretta Gesù: tre giorni ha atteso per Lazzaro, attende quasi una notte intera di tempesta, tre giorni aspetterà per risorgere. Ha sempre fretta invece quando in vista c’è una esaltazione, una ovazione. Fretta di andarsene e di portar via i discepoli. Perché il posto vero dei credenti non è nei successi e nei risultati trionfali, ma in una barca in mare, mare aperto, dove prima o poi, durante la navigazione della vita, verranno acque agitate e vento contrario. Ma non saranno lasciati soli.
«Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». All’invito di Gesù, Pietro, coraggioso fino all’incoscienza, abbandona ogni riparo e cammina nel vento e sulle onde. Sì, ma verso dove? Pietro non vuole tanto andare da Gesù, quanto metterne alla prova la potenza. Andrà davvero verso Gesù, quando lo seguirà, non sedotto dal suo camminare sul mare, bensì dal suo camminare verso lo scandalo e la follia della croce. Andrà dietro a lui, non perché sa far tacere il vento, ma perché fa tacere tutto ciò che in noi non è amore. Andrà verso il Samaritano buono, nella polvere dei sentieri del tempo e non sul luccichio di acque miracolose. Andrà verso il servo, non verso il taumaturgo.
«E venne da Gesù» dice il Vangelo. Pietro, fino a che ha occhi solo per quel volto visibile anche nella notte, cammina sulle acque. Quando volge lo sguardo al vento, alle onde, al buio, inizia ad affondare. Guardo al Signore, lo ascolto, e vado dovunque, faccio miracoli. Guardo a me, a tutte le difficoltà, e sprofondo. Se guardo a perché sono qui, a chi mi ha mandato su questa terra, non mi ferma nessuno. Se guardo alla mia storia accidentata, il dubbio mi blocca.
Pietro, in pieno miracolo, dubita: «Signore affondo». In pieno dubitare, crede: «Signore, salvami!». Dio salva, qui è tutta la fede: Egli non è un dito puntato, ma una mano che ti afferra. Un grido nel vento. Che se ne fa Pietro del catechismo mentre affonda? Basta un grido per varcare l’abisso tra cielo e terra. Fino a che, in fondo a ogni nostra notte, il grido di paura diventerà abbraccio tra l’uomo e il suo Dio.
(Letture: 1 Re 19,9.11-13; Salmo 84; Romani 9,1-5; Matteo 14,22-33)

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il commento al vangelo della domenica

è un dono il pane del Signore

e va donato


È un dono il pane del Signore E va donato
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della diciottesima domenica del tempo ordinario (2 agosto 2020): 

(…) Si avvicinarono i discepoli (a Gesù) e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. (…)

Vangelo del pane che trabocca dalle mani, dalle ceste. Segno da custodire con particolare cura, raccontato per ben sei volte dai Vangeli, carico di promesse e profezia.
Gesù vide la grande folla, sentì compassione di loro e curò i loro malati. Tre verbi rivelatori (vide, sentì, curò) che aprono finestre sui sentimenti di Gesù, sul suo mondo interiore. Vide una grande folla, il suo sguardo non scivola via sopra le persone, ma si posa sui singoli, li vede ad uno ad uno. Per lui guardare e amare sono la stessa cosa. E la prima cosa che vede alzarsi da tutta quella gente e che lo raggiunge al cuore è la loro sofferenza: e sentì compassione per loro. Gesù prova dolore per il dolore dell’uomo, è ferito dalle ferite di chi ha davanti, ed è questo che gli fa cambiare i programmi: voleva andarsene in un luogo deserto, ma ora chi detta l’agenda è il dolore dell’uomo, e Gesù si immerge nel tumulto della folla, risucchiato dal vortice della vita dolente. Primo viene il dolore. Il più importante è chi patisce: nella carne, nello spirito, nel cuore. E dalla compassione fioriscono miracoli: guarì i loro malati. Il nostro tesoro più grande è un Dio appassionato che patisce per noi.
Il luogo è deserto, è ormai tardi, questa gente deve mangiare… I discepoli alla scuola di Gesù sono diventati sensibili e attenti, si prendono a cuore le persone. Gesù però fa di più: mostra l’immagine materna di Dio che raccoglie, nutre e alimenta ogni vita, e incalza i suoi: Voi stessi date loro… Le emozioni devono diventare comportamenti, i sentimenti maturare in gesti. Date da mangiare: «La religione non esiste solo per preparare le anime per il cielo: sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra» (Evangelii gaudium 182). Dacci il pane noi invochiamo, donate ribatte Lui. Una religione che non si occupi anche della fame è sterile come la polvere.
Il miracolo del pane è raccontato come una questione di mani. Un moltiplicarsi di mani, più che di pane. Che passa di mano in mano: dai discepoli a Gesù, da lui ai discepoli, dai discepoli alla folla. Allora apri le tue mani. Qualunque sia il pane che tu puoi donare, non trattenerlo, apri il pugno chiuso. Imita il germoglio che si schiude, il seme che si spacca, la nuvola che sparge il suo contenuto.
Che diritto hanno i cinquemila di ricevere pane e pesce? L’unico loro titolo è la fame. E il pane di Dio, quello delle nostre eucaristie, non impoveriamolo mai all’alternativa meschina tra pane meritato o pane proibito: esso è il pane donato, con lo slancio della divina compassione. Pane gioioso e immeritato, per i cinquemila quella sera sulla riva del lago, per tutti noi sulla riva di ogni nostra notte.
(Letture: Isaìa 55,1-3; Salmo 144; Romani 8,35.37-39; Matteo 14,13-21)

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