il commento al vangelo della domenica

la domanda con cui Gesù getta in noi un amo

il commento di Ermes Ronchi al vangelo della ventunesima domenica del tempo ordinario (23 agosto 2020):

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». […]

Ogni anno, verso la fine dell’estate, la liturgia ripropone la bellissima domanda di Gesù, ogni anno con un evangelista diverso: ma voi chi dite che io sia? Inizia con un «ma», una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente, perché non si crede per sentito dire, né per tradizione o per allinearsi alla maggioranza. Come un amo da pesca (la forma del punto di domanda ricorda quella di un amo), che scende in noi per agganciare la risposta vera: ma voi, voi dalle barche abbandonate, voi che camminate con me da anni, voi amici che ho scelto a uno a uno, che cosa sono io per voi? Gesù non cerca parole, cerca rapporti (io per te); non vuole definizioni esatte ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? La sua domanda assomiglia a quelle degli innamorati: quanto conto per te? Che posto ho, che importanza ho nella tua vita? Gesù non ha bisogno della risposta dei dodici, e della mia, per sapere se è più bravo degli altri profeti, ma per sapere se sono innamorato, se gli ho aperto il cuore. Cristo non è nelle mie parole, ma in ciò che di Lui arde in me. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. La risposta di Pietro ha due tempi: Tu sei il Messia, sei la mano di Dio, la sua carezza, il suo progetto di libertà. Poi aggiunge: sei il figlio del Dio vivente. Colui che fa viva la vita, il miracolo che la fa fiorire, grembo gravido, fontana da cui la vita sgorga potente, inesauribile e illimitata. Beato te, Simone, roccia… Pietro decifrando la sacralità di Gesù, ha esplorato qualcosa della propria. L’ho provato anch’io: ogni volta che mi sono avvicinato a lui, che mi sono fermato e l’ho pregato davvero ho scoperto qualcosa di me; ho capito meglio chi sono e che cosa sono venuto a fare quaggiù. Forse anch’io piccola roccia? Non certo macina da mulino, ma piccola pietruzza soltanto. Eppure, per lui, nessuna piccola pietra è inutile. Ciò che legherai, ciò che scioglierai… Non si tratta del potere di assolvere o scomunicare gente, ma la rivelazione che in noi cielo e terra si abbracciano. Gesù non è venuto a instaurare altri poteri, ma ha capovolto il sistema del potere in quello del servizio. Non porta in dote un potere, ma una possibilità: diventare una presenza trasfigurante anche nelle esperienze più squallide, più impure, più alterate dell’uomo. Facendo cose che Dio solo sa fare: perdonare i nemici, trasfigurare il dolore, immedesimarsi nel prossimo, vivere vita donata, gesti che dentro hanno eternità. Un potere trasfigurante che porta Dio nel mondo, e il mondo in Dio. Che può fare di ciascuno di noi una piccola pietruzza sulla quale edificare una porzione di mondo nuovo.
(Isaia 22,19-23; Salmo 137; Romani 11,33-36; Matteo 16,13-20)

image_pdfimage_print
image_pdfimage_print