A. Potente sulla ‘ri-presa’ della fase 2 del coronavirus

 

si associa la “fase due” alla “ripresa” che, nel suo significato reale, forse assomiglia di più a un recupero …

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Tutti annunciano una “fase”, chiamata “fase due”. Nel linguaggio che i mass media usano comunemente e che ci raggiunge ogni giorno, o in quello stesso che leggiamo nella maggior parte dei quotidiani, si associa la “fase due” alla “ripresa” che, nel suo significato reale, forse assomiglia di più a un recupero. È interessante notare che queste parole sono supportate da quel prefisso, molto presente in tanti verbi della nostra lingua italiana, espressione che esprime per lo più il ripetersi di un’azione, di un gesto e anche di un modo di essere. E forse, ancora oggi, in questi giorni, il pensiero della maggior parte delle persone, quando sente parlare di ripresa, si sente sospinto verso un ritorno, che permetterà recuperare qualcosa di perso o interrotto da alcuni mesi. In realtà, sappiamo che non per tutti sarà così; molti non ritorneranno al lavoro, altri non sono più ritornati alle proprie case perché sono morti e altri ancora sentiranno assenze e vuoti lasciati da amici e familiari, difficilmente colmabili. Ma ciò che mi impressiona di questo ritorno o ripresa o recupero, è proprio il nostro ostinarci a non cambiare. Mi domando allora, perché tornare come prima, perché riprodurre o recuperare il modello anteriore? L’etimologia della parola recupero è molto significativa e forse svela, più di altre, il bisogno che abbiamo di non cambiare la nostra vita. La parola recuperare è composta da “re”, indietro e dal latino capere, cioè prendere. Questo significa che ci viene riproposto di vivere “prendendo”, “accaparrando”.

Ci viene proposto di ricostruire lo stesso modello sociale, sia localmente che mondialmente. Accaparrare e prendere, spasmodicamente: per alcuni denaro, potere, risorse naturali, fino a prendere la vita, l’esistenza di ogni essere vivente. Nessuno ci propone di provare a pensarci in un altro modo, con stili di vita più consoni, che permettano a tutti e tutte di vivere: a ogni popolo, a ogni cultura e anche ad ogni essere vivente. È scioccante sentire che tra le prime imprese che stanno riprendendo il lavoro ci sono la Ferrari e Gucci. Che significa la Ferrari per milioni e milioni di persone, che significa una borsa da 3000 € o più nella quotidianità di donne e uomini comuni? Perché ancora una volta i popoli saranno condannati a vivere dipendendo dall’importazione? Non era forse questo il momento drammaticamente favorevole per cambiare? È scandaloso sapere che in questa stasi collettiva, quasi totale, le fabbriche di armi hanno continuato a produrre. Perché nessuno propone di tornare a un’agricoltura sostenibile? Perché nessuno dice di ripensare nuovi programmi educativi, dove anche bambine e bambini possano imparare ad essere partecipi della vita comune dell’umanità e dell’universo? Mi fermo qui, ciascuna, ciascuno aggiunga alle mie parole la sua inquieta critica.

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la lettera amara di un nonno in attesa di morire: “senza cuore siamo solo numeri”

 

la toccante lettera del nonno prima di morire per Covid-19

“nelle Rsa senza cuore siamo solo numeri”

 

una lettera commovente di un nonno ai suoi nipoti:

“se potessi tornare indietro sceglierei di morire con voi vicino”

 

 

Di seguito il testo integrale della lettera d’ addio di un anziano morto per coronavirus all’ interno di una Rsa (Residenza sanitaria assistita) dove purtroppo si sono registrati numerosi decessi e dove le persone sono morte da sole e a causa della pandemia non si è potuto neanche celebrare un funerale

Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (L’ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla). Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara. È l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano.
Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella “prigione”. Si, così l’ho pensata ricordando un testo scritto da quel prete romagnolo, don Oreste Benzi che parlava di questi posti come di “prigioni dorate”. Allora mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così…manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. In questi mesi mi è mancato l’odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie e persino le tante discussioni. Questo è vivere, è stare in famiglia, con le persone che si amano e sentirsi voluti bene e voi me ne avete voluto così tanto non facendomi sentire solo dopo la morte di quella donna con la quale ho vissuto per 60 anni insieme, sempre insieme.
In 85 anni ne ho viste così tante e come dimenticare la miseria dell’infanzia, le lotte di mio padre per farsi valere, mamma sempre attenta ad ogni respiro e poi il fascino di quella scuola che era come un sogno poterci andare, una gioia, un onore. La maestra era una seconda mamma e conquistare un bel voto era festa per tutta la casa. E poi, il giorno della laurea e della mia prima arringa in tribunale. Quanti “grazie” dovrei dire, un’infinità a mia moglie per avermi sopportato, a voi figli per avermi sempre perdonato, ai miei nipoti per il vostro amore incondizionato. Gli amici, pochi quelli veri, si possono veramente contare solo in una mano come dice la Bibbia e che dire, anche il parroco, lo devo ringraziare per avermi dato l’assoluzione dei miei peccati e per le belle parole espresse al funerale di mia moglie. Ora non ce la faccio più a scrivere e quindi devo almeno dire una cosa ai miei nipoti… e magari a tutti quelli del mondo.
Non è stata vostra madre a portarmi qui ma sono stato io a convincere i miei figli, i vostri genitori, per non dare fastidio a nessuno. Nella mia vita non ho mai voluto essere di peso a nessuno, forse sarà stato anche per orgoglio e quando ho visto di non essere più autonomo non potevo lasciarvi questo brutto ricordo di me, di un uomo del tutto inerme, incapace di svolgere qualunque funzione.
Certo, non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. In questi mesi mi sono anche chiesto più volte: ma quelli perché hanno scelto questo lavoro se poi sono sempre nervosi, scorbutici, cattivi? Una volta quell’uomo delle pulizie mi disse all’orecchio: “Sai perché quella quando parla ti urla? Perché racconta sempre di quanto era violento suo padre, una così con quali occhi può guardare un uomo?”. Che Dio abbia pietà di lei. Ma allora perché fa questo lavoro? Tutta questa grande psicologia, che ho visto tanto esaltare in questi ultimi decenni, è servita solo a fare del male ai più deboli? A manipolare le coscienze e i tribunali? Non voglio aggiungere altro perché non cerco vendetta.
Ma vorrei che sappiate tutti che per me non dovrebbero esistere le case di riposo, le Rsa, le “prigioni” dorate e quindi, si, ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso. Questo coronavirus ci porterà al patibolo ma io già mi ci sentivo dalle grida e modi sgarbati che ormai dovrò sopportare ancora per poco…l’altro giorno l’infermiera mi ha già preannunciato che se peggioro forse mi intuberanno o forse no.
La mia dignità di uomo, di persona perbene e sempre gentile ed educata è stata già uccisa. Sai Michelina, la barba me la tagliavano solo quando sapevano che stavate arrivando e così il cambio. Ma non fate nulla vi prego…non cerco la giustizia terrena, spesso anche questa è stata così deludente e infelice. Fate sapere però ai miei nipoti (e ai tanti figli e nipoti) che prima del coronavirus c’è un’altra cosa ancora più grave che uccide: l’assenza del più minimo rispetto per l’altro, l’incoscienza più totale.
E noi, i vecchi, chiamati con un numeretto, quando non ci saremo più, continueremo da lassù a bussare dal cielo a quelle coscienze che ci hanno gravemente offeso affinché si risveglino, cambino rotta, prima che venga fatto a loro ciò che è stato fatto a noi.

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