contro papa Francesco un nuovo furioso attacco per una nuova ‘chiesa contro’

ripudio della dialettica

madrina della “chiesa contro”

Newsletter n. 170 del 15 novembre 2019

Care Amiche ed Amici,

c’è di nuovo un furioso attacco al Papa accusato ora da “cento studiosi” di idolatria a causa della liturgia che ha ospitato i segni della devozione india durante il Sinodo per l’Amazzonia. Questo nuovo attacco al Papa non è che la continuazione dell’offensiva cominciata nell’estate del 2016 con una lettera accusatoria indirizzata ai cardinali e patriarchi della Chiesa cattolica orientale, ripresa il 16 luglio 2017 con la cosiddetta “Correctio filialis” e proseguita con la lettera ai vescovi e alla Chiesa del 30 aprile 2019, cose di cui si può trovare notizia nel sito chiesadituttichiesadeipoveri.it sotto il titolo: “La santa eresia di cui è accusato Francesco” e nella newsletter dell’11 maggio 2019: “Mirabile eresia”.

Si tratta di una campagna che non sembra godere di molta vitalità e accusa ormai la sua usura dato che a condurla sono sempre gli stessi e dicono le stesse cose, anche se in un’escalation che passa dalla “correzione filiale” alla denuncia di eresia, alla richiesta di dimissioni, all’anatema per idolatria. Dunque non vale tanto la pena fermarsi su quest’ultima aggressione, quanto chiedersi qual è la vera contrapposizione che spinge una minoranza ecclesiale a rifiutare il magistero e la pastorale di papa Francesco. Ci sembra che essa consista nel fatto che si vuole ripristinare una “Chiesa contro”, rovesciando il modello della “Chiesa per”, che è poi il modello dell’“essere per gli altri” del Vangelo, irreversibilmente adottato da papa Francesco. E diciamo “irreversibilmente” perché volere una “Chiesa contro”, quale la rivendicano i cattolici e gli atei devoti della destra americana e non solo, significa non volere nessuna Chiesa, perché una Chiesa contro gli Indios, contro gli immigrati, contro i poveri, contro le donne, contro i divorziati, contro i “comunisti”, contro i protestanti, contro i musulmani, contro i maledetti dagli uomini e benedetti da Dio non sarebbe più possibile, finirebbe in una setta irrisoria. Che magari avrebbe ancora con sé “i cento studiosi” schierati oggi contro papa Francesco, ma non più il popolo di Dio.

Allora forse vale la pena capire meglio la novità di Bergoglio e perché essa è così crocefissa e difficile, tanto che egli non smette di chiedere di pregare per lui. Bergoglio, gesuita, come risulta dalla preziosa sua “biografia intellettuale” scritta da Massimo Borghesi (perché ci sono studiosi e studiosi!), viene dalla dialettica, cioè da una lettura “dialettica degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola”,  e in genere di tutta la spiritualità ignaziana, appresa alla scuola del gesuita francese Gaston Fessard.  Una dialettica certo non hegeliana, bensì risolta nella Trascendenza e nella Chiesa. Ma tutta la storia umana, da Eraclito fino a Hitler, è dominata dalla dialettica. Per il filosofo greco il gene della guerra, “polemos”, era “il padre e principio di tutte le cose, di tutte re”, gli uni svelando come dei, gli altri come uomini, gli uni facendo schiavi, gli altri liberi; e questa dialettica conflittuale, dominando tutto il corso storico, è giunta ultimamente, ai nostri giorni, a preconizzare la fine, perfino fisica, del mondo. Ed ecco che il gesuita divenuto papa Francesco porta la Chiesa fuori della dialettica, la fa non signora ma serva (lava i piedi a tutti, all’Europa, alle donne, ai musulmani), la fa sorella delle altre Chiese e altre fedi, la fa madre della fraternità umana, nunzia dell’“armonia delle diversità”, non solo di colore, di razza, di sesso, di lingua, ma anche di religione, tutte frutto “di una sapiente volontà divina con la quale Dio ha creato gli esseri umani”, come dice il documento cristiano-islamico di Abu Dhabi, e la fa testimone dello scambio, e non della contraddizione, tra grazia e libertà. Ma ancora di più con la sua incessante tessitura dell’unità umana, papa Francesco spinge il mondo ad uscire dalla legge ferina della dialettica (amico-nemico, sommersi e salvati, uomini e donne, cittadini e stranieri, identità collettive e minoranze, “prima noi” e “fuori loro”) per assumere la veste nuziale dell’accoglienza, dell’inclusione, dell’eguaglianza e dell’amore. Che sia questo ripudio della dialettica, strumento del potere, altare dei contrari, assieme al ripudio della guerra che già abbiamo costituzionalizzato, il cambiamento d’epoca che abbiamo intravisto e stiamo aspettando?

Sul sito riproponiamo l’appello di Adolfo Perez Esquivel in difesa del Papa, “Amore in azione” e il documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana. Pubblichiamo inoltre la catechesi di papa Francesco sugli Atti degli apostoli a proposito di Priscilla e Aquila “gli sposi ebrei che celebrano l’eucarestia”, e un manifesto-appello promosso dal chirurgo bolognese Francesco Capizzi per una vera realizzazione, da parte della politica e delle Istituzioni, del diritto alla salute, che è il diritto non solo a recuperarla, ma soprattutto a non perderla.




la destra ecclesiale dà dell’idolatra a papa Francesco

la destra ecclesiale torna alla carica: il papa è un idolatra

la destra ecclesiale torna alla carica

“il papa è un idolatra”

 da: Adista Notizie n° 40 del 23/11/2019

L’ennesimo manifesto contro papa Francesco è la “Protesta di cento studiosi contro i recenti atti sacrileghi di Papa Francesco” (12/11, www.contrarecentiasacrilegia.org/it). Fra i cento studiosi, annota l’agenzia Corrispondenza Romana che l’ha diffuso in Italia, il moralista John F. McCarthy, il teologo Brian W. Harrison, lo storico Roberto de Mattei, il ricercatore John Lamont, il filosofo del diritto Paolo Pasqualucci, il medievalista Claudio Pierantoni, il patrologo John Rist, il filosofo Josef Seifert, lo storico Henry Sire, la principessa Gloria Thurn und Taxis, il filosofo Giovanni Turco, lo studioso Jose Antonio Ureta e John-Henry Westen, cofondatore del sito LifeSiteNews.

La denuncia dei firmatari, riassume l’agenzia, riguarda l’«atto di adorazione della dea pagana Pachamama nei Giardini Vaticani» che avrebbe compiuto il papa il 4 ottobre, e il fatto che «il 7 ottobre l’idolo è stato posto di fronte all’altare maggiore di San Pietro e poi portato in processione nella Sala del Sinodo». Nel tentativo di accreditare maggiormente l’accusa, il documento ricorda che «queste cerimonie» sono state condannate come idolatriche o sacrileghe dal card. Walter Brandmüller, dal card. Raymond Burke, dal card. Gerhard Müller, dal card. Jorge Urosa Savino, dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò, da mons. Athanasius Schneider, da mons. José Luis Azcona Hermoso, da mons. Rudolf Voderholzer e da mons. Marian Eleganti. Nessuno di questi, però, ha sottoscritto la “Protesta” in questione.

Francesco, idolatra sistematico!

La quale protesta non riguarda solo la «partecipazione all’idolatria», perché questa «è stata preceduta dalla dichiarazione intitolata “Documento sulla Fraternità Umana”, firmata da Papa Francesco e Ahmad Al-Tayyeb, il Grande Imam della Moschea di Al-Azhar, il 4 Febbraio 2019». In essa si afferma – argomenta il documento – che «Il pluralismo e la diversità di religione, colore, sesso, razza e linguaggio sono voluti da Dio nella Sua saggezza, attraverso la quale ha creato gli esseri umani. Questa saggezza divina è la fonte da cui discende il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi». Ne deriva, secondo il manifesto dei cento studiosi, una rivelazione: «Il coinvolgimento di Papa Francesco nelle cerimonie idolatriche indica che egli intendeva dare a questa affermazione un senso eterodosso, il quale consente che l’adorazione pagana di idoli venga considerata un bene voluto da Dio in senso positivo».

“Penitenziagite!”

Perciò gli studiosi chiedono a papa Francesco, ma «rispettosamente», «di pentirsi pubblicamente e senza ambiguità, di questi peccati oggettivamente gravi e di tutte le trasgressioni pubbliche che ha commesso contro Dio e la vera religione, e di riparare a questi oltraggi»; e chiedono «a tutti i vescovi della Chiesa cattolica di rivolgere una correzione fraterna a Papa Francesco per questi scandali, e di ammonire i loro greggi che, in base a quanto affermato dall’insegnamento della fede cattolica divinamente rivelato, se seguiranno l’attuale Papa nell’offesa contro il Primo Comandamento, rischiano la dannazione eterna».

“Che impudenza!”

Una risposta semi-ufficiale alle accusa mosse dai “cento studiosi” è giunta a stretto giro di posta dall’Osservatore Romano, che il 13 novembre pubblica un articolo di mons. Felipe Arizmendi, vescovo emerito di San Cristóbal de las Casas (Messico), intitolato: “Se la creazione è manifestazione dell’amore di Dio. È una divinità la Pachamama?”. Senza mezzi termini, Arizmendi scrive: «È una grande impudenza condannare il Papa come idolatra, perché non lo è stato né lo sarà mai. Al termine della cerimonia nei giardini vaticani, gli hanno chiesto una parola e lui si è limitato a pregare con il Padrenostro. Non c’è altro Dio all’infuori del nostro Padre celeste». Non c’è stata nessuna «idolatria», nessuna «adorazione della “madre terra” e di altre “divinità”. Non c’è stato niente di tutto ciò. Non sono dee; non c’è stato alcun culto idolatrico. Sono simboli di realtà ed esperienze amazzoniche, con motivazioni non solo culturali, ma anche religiose, ma non di adorazione, perché questa si deve solo a Dio».

«E per dissipare ogni dubbio sull’atteggiamento del Papa», aggiunge fra l’altro, «basta ricordare ciò che ha scritto nella Laudato si’: “Quando ci si rende conto del riflesso di Dio in tutto ciò che esiste, il cuore sperimenta il desiderio di adorare il Signore per tutte le sue creature e insieme ad esse (…)”. Questo non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità. E nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità” (n. 90)».

«Come dice Gesù», è la chiusa dell’articolo del vescovo messicano, «non dobbiamo giudicare né condannare come idolatria ciò che non lo è. Dobbiamo conoscere più a fondo le culture originarie. Ed è nostro compito condividere il Vangelo di Gesù, che ci libera da idolatrie, laddove ci fossero».

Lo scisma: a chi giova?

È dunque patente che ci sia divisione nella Chiesa, perciò non è ipotesi inverosimile l’evento di uno scisma. Il 12 settembre scorso, sull’aereo che lo riportava a casa proveniente dal Madagascar, papa Francesco minimizzò questo rischio: «C’è sempre l’opzione scismatica nella Chiesa, sempre. Ma è una delle opzioni che il Signore lascia alla libertà umana. Io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano». È tornato sull’argomento il teologo amico del papa, Carlos M. Galli, docente a Buenos Aires presso la Pontificia Università Cattolica dell’Argentina. In un’intervista rilasciata all’agenzia Efe – nel contesto del congresso internazionale organizzato a Barcellona dall’Ateneo dell’Università Sant Pacià per analizzare i contributi del Papa alla teologia e alla cura pastorale della Chiesa (v. Adista online, 8/11) – ha riconosciuto che lo scisma è «possibile» ad opera di settori conservatori europei e nordamericani. Settori non solo interni alla Chiesa: da tempo, ha sottolineato, potenti settori economici e politici «stanno manifestando una forte opposizione al papa, perché sono infastiditi dal suo pronunciamento pubblico su temi quali l’accoglienza dei migranti, la povertà, il dialogo finalizzato alla pace». La celebrazione, lo scorso ottobre, del Sinodo per l’Amazzonia, secondo il teologo, «ha accentuato» il rifiuto dei settori più tradizionalisti della Chiesa cattolica alle politiche di papa Francesco.