aiutare migranti non è reato – c’è un giudice a Berlino!

Cedric Herrou vince la sua battaglia:

aiutare migranti non è reato

la corte costituzionale francese dà ragione all’agricoltore simbolo del sostegno ai migranti:

“l’aiuto disinteressato al soggiorno irregolare non è passibile di conseguenze giuridiche”

Cedric Herrou

Cedric Herrou

Aiutare migranti clandestini non è un reato: una vittoria per Cedric Herrou, l’agricoltore francese diventato il simbolo dell’aiuto ai migranti. E’ quanto stabilito dal Consiglio costituzionale francese, paragonabile alla nostra Corte costituzionale, sollecitato proprio da Herrou che aveva chiesto l’abolizione del “reato di solidarietà” in seguito alla sua condanna per aver offerto sostegno ad alcuni richiedenti asilo.
Herrou, 37 anni, accusato di aver fatto passare centinaia di immigrati dall’Italia alla Francia, ha sempre ripetuto che aiutarli “è un onore”. Oltre ad una multa di 3000 euro il procuratore di Nizza aveva chiesto per l’agricoltore amico dei migranti una condanna a 8 mesi con la condizionale nonché la confisca del mezzo su cui aveva trasportato numerosi sans-papiers dall’Italia alla Francia e di limitare la sua patente di guida all’esercizio della sua professione.
Ma oggi il Consiglio costituzionale francese dà ragione a Herrou stabilendo che l’aiuto disinteressato al “soggiorno irregolare non è passibile di conseguenze giuridiche”, in nome del “principio di fratellanza”. La Corte ha dato così forza a uno dei tre capisaldi della Francia repubblicana insieme alla libertà e all’eguaglianza.
Una sentenza importante che arriva in un momento di forte scontro in Europa sull’accoglienza e all’indomani della stretta sui richiedenti asilo in Italia annunciata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini.
“Dal principio di fraternità – si legge nella decisione dei giudici francesi – deriva la libertà di aiutare gli altri, a fini umanitari, indipendentemente dalla regolarità della loro permanenza nel territorio nazionale”. Per consentire al legislatore di porre rimedio all’incostituzionalità accertata, la Corte ha rinviato al primo dicembre 2018 la data di abrogazione delle disposizioni contestate.

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il vangelo postula il continuo cambiamento delle strutture ingiuste della società

trasformare la società

«La realtà della dimensione sociale del peccato esige una conversione personale che si traduca nella lotta per la trasformazione sociale delle strutture peccaminose»

T. Mifsud

 

Ci hanno convinto dell’immodificabilità della realtà e di conseguenza della distanza di Dio dalla storia dell’uomo. Se cerchiamo la semplice sopravvivenza materiale conviene certamente prendere atto dell’esistente e adeguarsi. Si tratterà di scegliersi il posto migliore a discapito di un nostro simile trasformato in nemico. Dovremo, è vero, sopportare la fatica di difenderlo ma la legge e le armi di solito vengono in soccorso di chi sceglie il compromesso con il regime dell’iniquità. Si diventa come loro, infatti il potere ha la capacità di convincere l’uomo che il cinismo sia necessario per proteggere la propria vita e quella dei familiari. Diventiamo dei cani rabbiosi e accettiamo un criminale come padrone che ci tiene al guinzaglio in cambio di qualcosa nella ciotola. Il Vangelo predica invece che l’uomo non si realizza nella sopravvivenza, nel lasciare le cose come stanno, ma nella trasformazione della realtà*.

L’attuale assetto sociale è il frutto di logiche economico-finanziarie che rappresentano tutto il male possibile per l’uomo. Il Vangelo vive in esilio, ai margini, nelle minoranze, nei luoghi dove abitano le vittime di quelle scelte e di quei compromessi, fuori dagli spazi istituzionali, convenzionali ed ufficiali. Il Vangelo attende qualcuno che sia disposto a perdere la vita ossia la reputazione, l’approvazione di quelli che contano, l’immagine di plastica, per esistere, al contrario, secondo l’immagine autentica che Dio non impone ma che costruisce insieme a noi. Una società che si muove agli ordini del Capitale non può considerarsi cristiana anche se abitata da milioni di persone che si definiscono cristiane. Non basta una definizione per determinare la realtà che parla di oppressione e ingiustizia piuttosto che di compassione e di comunità. Di conseguenza occorrerebbe modificare la terminologia scegliendo tra: capitalisti, competitivi, selettivi, emarginatori, speculatori, indifferenti etc. Altrimenti la parola cristiano risulta o comica o ipocrita.

* “L’evangelizzazione deve calare profondamente nel cuore dell’uomo e dei popoli; perciò la sua dinamica tende alla conversione personale e alla trasformazione sociale”.

(Documento di Puebla, 362)

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sembra che la ‘stupidità’ di cui parlava Bonhoeffer stia ripetendosi oggi

stupidità

di D. Bonhoeffer
(da Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere)

D. Bonhoeffer, pastore protestante e teologo, incarcerato dai nazisti e impiccato per la sua opposizione a Hitler, scrisse in carcere la riflessione sulla “stupidità”, poco prime della morte, pensando alla maggioranza dei suoi connazionali, diventati razzisti, nazionalisti, intolleranti, fanatici, entusiasti seguaci dell’antisemitismo e indifferenti se non anche sostenitori della ferocia nazista contro ogni dissenso e contro chi non era tedesco (M. Palagi)


Il nemico del bene


Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere – in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico – e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.

Stupidità e potere


Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico. E’ una forma particolare degli effetti che le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni.
Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane – ad esempio quelle intellettuali – ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. E’ ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre.

Liberazione esteriore

Ma a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è possibile solo dopo essere stata preceduta dalla liberazione esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo di convincere lo stupido.
In questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa effettivamente pensi il “popolo”, e per cui questo interrogativo risulta contemporaneamente superfluo – sempre però solo in queste circostanze – per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Salmo 111, 10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità.
Del resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini.

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il commento al vangelo della domenica

“UN PROFETA NON È DISPREZZATO SE NON NELLA SUA PATRIA”


commento al vangelo della quattordicesima domenica del tempo ordinario (8 luglio 2018) di p. A. Maggi:

Mc 6,1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.

Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.
Gli ambienti più difficili per Gesù sono indubbiamente i luoghi religiosi. Nel vangelo di Marco Gesù per tre volte entra in sinagoga, il numero tre indica la totalità, e ogni volta è una situazione di conflitto. Nella prima Gesù viene interrotto nel suo insegnamento; nella seconda addirittura i farisei decidono di ammazzarlo e la terza, quella che esaminiamo, la gente non lo considera per nulla. Leggiamo Marco, il capitolo sesto, dai primi versetti.
Partì di là e venne nella sua patria, l’evangelista omette il nome Nazareth perché vuole indicare che quanto avviene qui non è limitato soltanto al suo paese, ma indica per tutta la sua nazione. I suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato si mise a insegnare nella sinagoga, l’evangelista sottolinea che Gesù in sinagoga va a insegnare e il suo insegnamento è esattamente il contrario di quello che veniva imposto lì dagli scribi. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti, rimangono sconvolti, c’è qualcosa di nuovo, e dicevano, e la reazione è negativa, da dove gli vengono queste cose? Cosa significa questo da dove? Significa che non viene da Dio. È la folla, la gente, i partecipanti alla sinagoga che sono le vittime dell’insegnamento degli scribi che già hanno sentenziato che Gesù opera per opera di Belzebù, il principe dei demoni, e quindi sospettano di questo suo insegnamento. E infatti dicono E che sapienza è quella che gli è stata data? Visto che Gesù insegna l’esatto contrario di quello che gli insegnano gli scribi la sua sapienza non può provenire da Dio.
E poi E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è Gesù che compie delle azioni, ma le mani, come se Gesù fosse uno stregone. Quindi è la folla, i partecipanti all’assemblea di preghiera della sinagoga che crede in maniera acritica a quello che gli scribi hanno loro insegnato. Ed ecco l’espressione carica di disprezzo Non è costui questo? Non si rivolgono a Gesù, eppure era loro concittadino, con un termine di cortesia, non si rivolgono a lui con gentilezza, ma con un termine dispregiativo, non è costui questo il falegname? E lo definiscono il figlio di Maria. Questo è grave perché un individuo era sempre indicato con il nome del padre, il figlio del padre. Perché dicono che è il figlio di Maria? Le ipotesi possono essere due: o che questo figlio è indegno di portare il nome del padre perché non si comporta come il padre o, peggio, che sia considerato senza padre, e comunque è un’espressione molto insultante. E via, elencano i fratelli.
E la conclusione Ed era per loro motivo di scandalo. L’evangelista mette in guardia che la sottomissione acritica all’insegnamento religioso non solo non permette di accogliere la parola del Signore e la ricchezza di vita che ne comporta, ma ne rende refrattari e ostili. E infatti il commento di Gesù Disse loro: un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e a casa sua. Patria, parenti e casa sono tre, quindi indica la totalità. Perché il profeta è disprezzato? Perché il profeta in sintonia con il Dio che fa nuove tutte le cose trova sempre resistenza dagli ambienti religiosi. In nome del Dio del passato non si riconosce il Dio che si manifesta nel presente e quindi negli ambienti tradizionali, negli ambienti conservatori dove vige l’imperativo “si è sempre fatto così” ecco che l’azione di Dio diventa inoperosa.
E infatti scrive e commenta l’evangelista E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. L’evangelista di nuovo mette in guardia: attenzione che l’adesione all’insegnamento religioso acritico rende refrattari all’azione divina.
E, termina il brano, E si meravigliava della loro incredulità. Gesù stesso si meraviglia di questa loro incredulità e l’evangelista si richiama qui al seme che è caduto sul terreno, ma subito sono venuti gli uccelli, immagine di satana, del potere, che lo ha eliminato. Quindi Gesù ha fatto fallimento totale nella sua patria per colpa dell’insegnamento tradizionale religioso.

Fonte:https://www.studibiblici.it/
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