il commento al vangelo della domenica


📖 Non abbiate paura! 
Gesù è risorto! 
commento al vangelo  della domenica di pasqua (1 aprile 2018) di Enzo Bianchi:
 


Mc 16,1-8

1 Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». 4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: «Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto»». 8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.

Da tre giorni seguiamo Gesù nella sua passione, morte e sepoltura, e ora siamo posti davanti all’indicibile, all’umanamente impossibile, a un evento che appare incredibile al mondo. Un evento davanti al quale ciascuno di noi nella santa notte di Pasqua sente il cuore oscillare tra adesione al racconto ascoltato e dubbio, tra fede e incredulità. Ma questa nostra condizione non è diversa da quella dei discepoli e delle discepole in quel terzo giorno dopo la morte di Gesù. Perché la morte è la morte, è la fine concreta della vita, delle relazioni, degli sguardi, degli affetti: quando uno muore, muore interamente e tutto muore con lui…

Il vangelo secondo Marco, più degli altri, ci mette davanti la morte di Gesù come morte fallimentare, enigma che anche per Gesù è diventato faticosamente mistero. La morte di Gesù è apparsa la smentita di tutto quello che egli aveva detto e fatto. Predicava la venuta del regno di Dio: e ora dov’era questo regno, dov’era apparso? Aveva guarito e liberato alcune persone: ma ora malati, prigionieri, disgraziati continuavano a esserlo come prima. Aveva amato degli uomini e delle donne, li aveva resi una comunità: e ora se n’erano tutti fuggiti, e quella baracca di comunità appariva caduta a pezzi…

Il giorno successivo al sabato è stato per quegli uomini e per quelle donne un’aporia, un vuoto, uno spazio in cui non si trovavano più i fili del senso e del significato di ciò che avevano vissuto. E per alcuni di loro – Pietro, il discepolo amato, Maria di Magdala – era avvenuta la fine di una vicenda di adesione, di convivenza piena di amore. Quel sabato, che noi chiamiamo sabato santo, appariva per loro un inferno nel quale la potenza del male, del daimónion e del diábolos sembrava regnare ancora, anzi sembrava essere stata capace di spegnere ogni speranza. È stato un sabato di silenzio estremo. Nulla da dire, per l’evangelista nulla da raccontare: quell’evento della morte e sepoltura di Gesù faceva terminare una vita? No, la vita autentica che avevano vissuto, tra fatiche, contraddizioni e inadempienze, era stata una vita condivisa con Gesù, piena di senso: una vita in cui l’amore vissuto non poteva spegnersi!

Quando quel sabato è passato, nelle ore dopo il tramonto Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome, alcune donne discepole, vanno a comprare oli, balsamo, profumi per ungere il corpo cadavere di Gesù deposto nella tomba. Maria di Magdala aveva accompagnato il corpo morto di Gesù dalla croce alla tomba e aveva osservato bene quell’antro. Ora, al mattino presto, le donne discepole tornano alla tomba quando il sole si è alzato. Quale sole si è alzato? Il sole che era spuntato dall’alto e aveva visitato il suo popolo (cf. Lc 1,78)? È “il sole di giustizia” (Ml 3,20) che si è già alzato? I pensieri di queste donne vanno alla pietra, la grande pietra messa come porta, come custodia all’antro, ma ormai vicino alla tomba vedono la pietra già rotolata via. La tomba dunque è aperta! Come? Da chi? Ed ecco, le donne “videro un giovane, seduto alla destra, vestito d’una veste bianca, e furono colte da stupore” (Mc 16,5).

Pensavano di vedere il cadavere, e invece vedono un giovane.

Pensavano di vedere un lenzuolo che avvolgeva il morto, e invece vedono un vivente vestito di bianco.

Pensavano di vedere un morto disteso a terra, e invece vedono un uomo seduto alla destra: alla destra di chi? Qualcuno ha posto questo giovane alla sua destra, dicendogli: “Siedi alla mia destra” (Sal 110,1).

Le donne sono sorprese, alla lettera “sono colte da stupore” (exethambéthesan). Marco conosce un ricco vocabolario per parlare dello spavento: in pochi versetti usa almeno quattro termini per descriverlo. Qui, per l’appunto, registra spavento-stupore. Subito dopo il giovane parla alle donne ripetendo lo stesso verbo: “Non siate spaventate, stupite!”. Poi continua: “Voi cercate Gesù il Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui!” (Mc 16,6). Ecco la voce dell’interprete apparso, la voce del messaggero di Dio, la voce di colui che legge a voce alta ciò che le donne vedono senza saper esprimere. È una voce che viene da Dio, è la voce del Signore seduto alla destra di Dio, è la voce di chi ormai è stato tolto, come in un’ascensione verso il cielo, dalla mano di Dio che l’ha preso con sé e l’ha reso vivente per sempre.

La voce invita innanzitutto a non spaventarsi, a non avere paura. Noi abbiamo paura, anzi siamo tentati dalla paura: infatti, la maggior parte delle paure ce le inventiamo e nascono dalla nostra immaginazione, nutrita da noi stessi. È significativo che il primo nostro sentimento, testimoniato e confessato dalla Bibbia nell’in-principio, sia la paura di Dio. Alla domanda di Dio: “Adamo, dove sei?”, l’uomo risponde: “Ho ascoltato il tuo passo e ho avuto paura!” (cf. Gen 3,9-10). Paura di Dio, e pensate quanti sforzi per predicare un Dio che incutesse paura; quante azioni, anche da parte della chiesa, per imporre un Dio che facesse paura agli uomini e alle donne…

Vi è poi la paura gli uni degli altri, a cominciare dalla vita familiare, nella quale, appaiono, nascono e poi crescono, innestandosi per sempre, delle paure: a volte motivate, a volte create da noi stessi per giustificare le nostre vigliaccherie, le nostre incapacità di essere responsabili. Non dimentichiamolo: la paura è sempre contro la responsabilità e nasce dalla mancanza dell’esercizio della coscienza, della vita interiore. E così paura della vita, del futuro, della terra… Si ricordi, al riguardo, un passo decisivo della Lettera agli Ebrei, quello in cui l’autore dice che “per paura della morte, noi uomini e donne siamo alienati, soggetti a schiavitù per tutta la vita” (cf. Eb 2,15), dunque indotti al male, al peccato. E sovente queste paure portano all’arroganza che cerca solo di nasconderle. Ecco perché la voce dell’interprete della tomba vuota dice alle donne: “Non abbiate paura!”. È la condizione necessaria per vivere, per vivere con gli altri discepoli e discepole; e così, vivendo insieme, poter credere e sperare.

Poter credere l’indicibile: il crocifisso nella vergogna e nell’infamia, è alla destra del Padre, è vivente è stato rialzato dalla morte! Ne dà testimonianza il luogo della deposizione, che ormai è un non-luogo. Proprio Maria di Magdala, che il venerdì sera “stava a guardare dove Gesù veniva deposto” (cf. Mc 15,47), ora vede il vuoto. Sì, è venuta l’ora in cui lo Sposo è stato tolto (cf. Mc 2,20), come aveva detto Gesù. È venuta l’ora in cui il Nazareno, il Crocifisso, è stato rialzato dalla tomba, è stato risuscitato da Dio e ormai vive in Dio come risorto da morte. È venuta l’ora, per Maria e le altre donne, di andare dai discepoli, specialmente da Pietro, per dire loro che Gesù li precede in Galilea: là lo vedranno tutti, le discepole e i discepoli, come Gesù aveva promesso (cf. Mc 16,7). Tutti devono andare semplicemente dietro a Gesù (opíso mou: Mc 1,17; 8,33.34), tutti devono seguire Gesù (cf. Mc 1,18; 2,14-15, ecc.), perché egli cammina davanti, apre la strada. Basta stargli dietro: fino alla croce, ma anche fino alla destra del Padre!

Ed ecco la conclusione del vangelo secondo Marco: un finale deludente, tanto che forse in seguito si è pensato di aggiungervi almeno tre finali diversi, in tre diversi manoscritti (cf. Mc 16,9-20). Ma la conclusione originaria è la seguente: le donne “uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano tremanti e fuori di sé. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura (ephoboûnto gár)” (Mc 16,8). Paura, tremore, ékstasis, stupore! Difficile spiegare questo finale e constatare la paura? Sì, possiamo dire poco…

Ma questo versetto è più per noi che per le donne discepole: noi abbiamo paura della resurrezione di Gesù? Ne siamo stupiti? Abbiamo timore, il santo timore di Dio, nell’annunciarla? Se abbiamo questo timore, certo non cadiamo nell’arroganza di chi supplisce alla propria debolezza di fede gridando la resurrezione di Gesù… Pensiamo a noi, alla nostra chiesa: c’è chi ha talmente paura da non dirsi ciò che è, un discepolo di Gesù; e c’è chi è arrogante e vorrebbe imporre agli altri una fede che egli non sa portare. Interroghiamoci dunque sulla nostra fede nella resurrezione di Gesù e accogliamo la parola: “Non temete, non abbiate paura! Gesù il Nazareno, il Crocifisso, è risorto!”.




il dramma dei poveri come i cassonetti della spazzatura: servono ma urtano la vista

Dio è inquietante e scomodo

 

 Questa indegna civiltà ha trasformato il dramma dei poveri da umanitario ad estetico. Il nuovo hobby dei benpensanti, che fanno parte di quel 20% che accumula con il sangue degli altri, è scattare fotografie ai disperati stesi sui cartoni. Poi, tutti felici, pubblicano la preziosa documentazione sui loro profili social tra le foto del cibo e delle vacanzette. I più agguerriti la inviano alle redazioni dei principali quotidiani. I novelli giornalisti vogliono, in questo modo, denunciare il degrado urbano mica l’indifferenza dei governanti, della Chiesa, della gente comune. D’altronde i poveri rovinano il panorama, o meglio i selfie. Limitano la libertà di fotografare o di ammirare un monumento, un vicolo, una piazza. Gravissimo! Dovrebbe costituire reato in una società squallidamente borghese come la nostra. Quelle persone disturbano il momento di relax dei signori e interrompono la realtà virtuale che la loro mente sofisticata, addomesticando la coscienza, riesce a costruire. I poveri ricordano cose spiacevoli: tipo gli effetti delle loro politiche, delle scelte produttive e sociali. Possono anche continuare ad esistere ma si dovrebbero nascondere. Come i cassonetti della spazzatura: servono ma urtano la vista. I poveri ostacolano il diritto dei ricchi ad essere oppressori spensierati. E questo non è tollerabile.

testo del card. Francesco Montenegro:

“Il nostro è un Dio inquietante e scomodo, perché è tra noi e con noi. Ha la faccia da uomo. Ha fame, ha sete, è solo, è senza vestiti, è malato. Ce lo possiamo trovare tra i piedi. Parla con la samaritana, con l’adultera, non si vergogna di andare da Zaccheo, prepara la festa per il figlio mascalzone, rivaluta i rottami della società. E’ il Dio che sta dalla nostra parte. Anzi “quando lo cerchiamo nel tempio, Lui si trova nella stalla; quando lo cerchiamo tra i sacerdoti, si trova in mezzo ai peccatori; quando lo cerchiamo libero, è prigioniero; quando lo cerchiamo rivestito di gloria, è sulla croce ricoperto di sangue” (Frei Betto).

(dalla Prolusione del card. FrancescoMontenegro, al 38° Convegno nazionale delle Caritas diocesane, Sacrofano (Rm), 18 aprile 2016).

da ‘altranarrazione’




gli oppressori e il comandamento dell’amore

il senso dell’amore per gli oppressori

 

«Chi spera in Cristo non si adatta alla realtà così com’è ma comincia a soffrirne e a contraddirla»

(J.Moltmann)

 

“«Alzati, va’ a [Roma] la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me». Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore” (¹).

Di fronte all’oppressore assistiamo spesso a tre tipi di comportamento egualmente antievangelici: sostegno esplicito in cambio di privilegi, assenza di contestazione per non alterare il quieto vivere, vendetta e volontà di annientamento.

In genere circola la falsa idea che Gesù, nel proporre l’amore per i nemici (²) intenda, se non proprio un compromesso amorale, almeno una specie di accondiscendenza alle loro malefatte. Invece l’amore, non solo non esclude il conflitto con chi genera situazioni di iniquità, ma lo esige.

La voce contraria, infatti, scalfisce le sicurezze autoassolutorie del prepotente, avviando una riflessione dagli esiti imprevedibili che, nel lungo periodo, potrebbe anche trasformarsi in ravvedimento. L’adulazione e il disimpegno dalla critica agiscono da rinforzi dell’errore, la contestazione coraggiosa e radicale sono, al contrario, un gesto d’amore portatore di nuove possibilità anche in un cuore pietrificato.

Il problema è che si trovano più militanti di una pace ipocrita, senza giustizia, che profeti interpreti della visione di Dio rispetto alla convivenza nel mondo. D’altronde, contraddire il potere umanamente non conviene e non è facile accettarne il destino: l’esilio, l’oblio, la calunnia, l’incomprensione, la morte.

Nonostante i rischi, l’opposizione deve essere condotta tenendo presente due obiettivi: la difesa dei deboli e la conversione del dominatore. Occorre chiudere ogni spazio al rancore, ricordandosi sempre di distinguere la persona dai rispettivi comportamenti. Il profeta è un collaboratore della grazia di Dio, un annunciatore delle prospettive del Regno di Dio, non un tifoso dello sterminio punitivo. Il profeta è un testimone della Giustizia di Dio, che si manifesta in quell’atto di continuo allontanamento dall’umanità devota, per andare a cercare quella perduta(³), creando infinite occasioni di conversione e tenendo conto della gravità delle ferite personali.

(¹) Cfr. Giona 1,2-3

(²) «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Vangelo di Matteo 5,43-48)

(³) «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Vangelo di Luca 15, 4-7)

da ‘altranarrazione’

 




l’indignazione di p. Zanotelli

MIGRANTI
                                                                         SONO INDIGNATO!
Sono indignato per quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi verso i migranti, nell’indifferenza generale. Stiamo assistendo a gesti e a situazioni inaccettabili sia a livello giuridico, etico ed umano.
E’ bestiale che Destinity, donna nigeriana incinta, sia stata respinta dalla gendarmeria francese. Lasciata alla stazione di Bardonecchia, nella notte, nonostante il pancione di sei mesi e nonostante non riuscisse quasi a respirare perché affetta da linfoma. E’ morta in ospedale dopo aver partorito il bimbo: un raggio di luce di appena 700 grammi! 
E’ inammissibile che la Procura di Ragusa abbia messo sotto sequestro la nave spagnola Open Arms per aver soccorso dei migranti in acque internazionali, rifiutandosi di consegnarli ai libici che li avrebbero riportati nell’inferno della Libia.
E’ disumano vedere arrivare a Pozzallo sempre sulla nave Open Arms Resen, un eritreo di 22 anni che pesava 35 kg, ridotto alla fame in Libia, morto poche ore dopo in ospedale. Il sindaco che lo ha accolto fra le sue braccia , inorridito ha detto :”Erano tutti pelle e ossa, sembravano usciti dai campi di concentramento nazisti”.
E’ criminale quello che sta avvenendo in Libia, dove sono rimasti quasi un milione di rifugiati che sono sottoposti-secondo il il Rapporto del segretario generale dell’ONU ,A. Guterres- a “detenzione arbitraria e torture, tra cui stupri e altre forme di violenza sessuale , a lavori forzati e uccisioni illegali.” E nel Rapporto si condanna anche ”la condotta spregiudicata e violenta da parte della Guardia Costiera libica nei salvataggi e intercettazioni in mare.”
E’ scellerato, in questo contesto, l’accordo fatto dal governo italiano con l’uomo forte di Tripoli, El- Serraj (non c’è nessun governo in Libia!) per bloccare l’arrivo dei migranti in Europa.
E’ illegale l’invio dei soldati italiani in Niger deciso dal Parlamento italiano, senza che il governo del Niger ne sapesse nulla e che ora protesta.
E’ immorale anche l’accordo della UE con la Turchia di Erdogan con la promessa di sei miliardi di euro, per bloccare soprattutto l’arrivo in Europa dei rifugiati siriani, mentre assistiamo a sempre nuovi naufragi anche nell’Egeo: l’ultimo ha visto la morte di sette bambini!
E’ disumanizzante la condizione dei migranti nei campi profughi delle isole della Grecia. “Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi- ha detto l’arcivescovo Hyeronymous di Grecia a Lesbos- è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza la “bancarotta dell’umanità.”
E’ vergognoso che una guida alpina sia stata denunciata dalle autorità francesi e rischi cinque anni di carcere per aver aiutato una donna nigeriana in preda alle doglie  insieme al marito e agli altri due figli, trovati a 1.800 m , nella neve.
Ed è incredibile che un’Europa che ha fatto una guerra per abbattere il nazi-fascismo stia ora generando nel suo seno tanti partiti xenofobi, razzisti o fascisti.
“Europa , cosa ti è successo?”, ha chiesto ai leader della UE Papa Francesco. E’ questo anche il mio grido di dolore.
Purtroppo non naufragano solo i migranti nel Mediterraneo, sta naufragando anche l’Europa come “patria dei diritti”.
Ho paura che , in un prossimo futuro, i popoli del Sud del mondo diranno di noi quello che noi diciamo dei nazisti. 
Per questo mi meraviglio del silenzio dei nostri vescovi che mi ferisce come cristiano, ma soprattutto come missionario che ha sentito sulla sua pelle cosa significa vivere dodici anni da baraccato con i baraccati di Korogocho a Nairobi (Kenya). Ma mi ferisce ancora di più il quasi silenzio degli Istituti missionari e delle Curie degli Ordini religiosi che operano in Africa.
Per me è in ballo il Vangelo di quel povero Gesù di Nazareth :”Ero affamato, assetato, forestiero…” E’ quel Gesù crocifisso, torturato e sfigurato che noi cristiani veneriamo in questi giorni nelle nostre chiese, ma che ci rifiutiamo di riconoscere nella carne martoriata dei nostri fratelli e sorelle migranti. E’ questa la carne viva di Cristo oggi.
                                                                                              Alex Zanotelli
Napoli, 24 marzo 2018



“Chi governa? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza,della violenza economica, sociale, culturale e militare”

papa Francesco e i movimenti popolari

«Colui che evangelizza è un mendicante che va a dire a un altro mendicante dove entrambi potranno trovare da mangiare»

(Nairobi, 1975)

 L’agibilità per la rivendicazione e l’organizzazione delle masse popolari schiacciate dalle élite mondiali e nazionali è ridottissima. La protesta è tollerata fino a quando rimane innocua altrimenti viene repressa -secondo necessità- con la violenza militare, psicologica o mediatica. L’organizzazione viene intralciata, infiltrata o infangata agli occhi delle stesse persone che ne potrebbero giovare. L’oppresso deve diffidare dei suoi simili in termini di condizioni e fidarsi di più di chi ha il potere anche se lo esercita ai suoi danni. È la strategia dei professionisti del consenso. Le masse faticano a liberarsi perché per rivendicare ed organizzarsi devono sottrarre tempo al lavoro necessario per vivere. E raramente le due attività sono compatibili. Per combattere il Sistema in definitiva si deve essere pronti a perdere tutto economicamente e socialmente e qualche volta anche a morire. In termini umani (o meglio materiali) conviene quindi accordarsi e cercare un compromesso: sopravvivenza in cambio di sottomissione e sfruttamento. La maggioranza sceglie quest’opzione, lasciando allo scoperto le minoranze che invece scelgono la lotta. Facile così per il Sistema individuare le avanguardie e renderle inefficaci. Dopo, quella stessa maggioranza trasforma le avanguardie in poster da attaccare sui muri, in frasi da far girare sui social, in giornate commemorative da organizzare e vivere insieme a quello stesso potere a cui loro si erano opposte e per questo eliminate. D’altronde l’oligarchia non dà riconoscimenti quando è giusto ma solo quando è costretta a farlo. Quindi o la maggioranza si riprende la dignità con azioni combinate di nonviolenza attiva o nessuno gliela restituirà. Il voto è necessario ma non sufficiente: il cambiamento è un processo che deve essere accompagnato con la partecipazione. Altrimenti si rischiano solo pericolose opere di trasformismo.

testo di Papa Francesco: 

Il colonialismo ideologico globalizzante cerca di imporre ricette sovraculturali che non rispettano l’identità dei popoli.[…]

Quel “filo invisibile” di cui abbiamo parlato in Bolivia, quella struttura ingiusta che collega tutte le esclusioni che voi soffrite, può consolidarsi e trasformarsi in una frusta, una frusta esistenziale che, come nell’Egitto dell’Antico Testamento, rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato.

Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza,della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai.[…]

Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure.[…]

La paura viene alimentata, manipolata… Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli.[…]

Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente.[…]

Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema. Quando voi, dal vostro attaccamento al territorio, dalla vostra realtà quotidiana, dal quartiere, dal locale, dalla organizzazione del lavoro comunitario, dai rapporti da persona a persona, osate mettere in discussione le “macrorelazioni”, quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera, non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste. Così la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino.[…]

(papa Francesco, dal Discorso ai partecipanti al 3° incontro mondiale dei movimenti popolari, 5/11/2016)

pubblicato da ‘altranarrazione’

 




per una chiesa profetica secondo il vangelo

 

il sogno di una chiesa profetica

la chiesa secondo il vangelo

ad imitazione di Cristo

 Chi non vede la profonda contraddizione tra il Vangelo, (l’esperienza e il messaggio del Signore Gesù) e l’azione della Chiesa-Istituzione o ha un atteggiamento ideologico o è semplicemente in malafede. E comunque in entrambi i casi dimostra di non voler bene né alla Chiesa-Istituzione né alla Chiesa-Comunità. Non si difende una organizzazione mettendosi i paraocchi sulle deformazioni ma aiutandola a realizzare la propria vocazione. E non si tratta solo dell’abominio dei casi di pedofilia e delle sciagurate coperture di una parte della gerarchia ma anche di tante altre forme di corruzione su cui si sorvola o si convive.  La ricerca di potere e prestigio, la monopolizzazione della testimonianza creano ostacoli e serrano i cuori. La spasmodica ricerca di compatibilità con sistemi politici ed economici antitetici con la compassione di Dio, con la solidarietà umana e con la stessa dottrina sociale della Chiesa scandalizza. Papa Francesco sta riconciliando la Chiesa con il Vangelo, ma non può fare tutto da solo. I membri della Comunità, non solo devono appoggiarlo nella sua azione, ma devono pretendere il cambiamento nei luoghi in cui agiscono. Con la responsabilità, non con l’adulazione, si costruisce il Regno di  Dio.

testo del card.Francesco Montenegro:

“È il mio sogno che vi ho presentato già dal giorno del mio arrivo ad Agrigento e che non posso non riproporvi. Ho letto queste parole: «Tenetevi saldi ai vostri sogni, perché se i sogni muoiono, la vita è come un uccello dalle ali spezzate, che non può più volare». E io non mi stanco e non intendo stancarmi di sognare. Come desidero trovare complici disposti a sognare e osare. Sogno la nostra Chiesa agrigentina che non sta alla finestra, e non prende le distanze da ciò che succede per strada. Ma che cammina bella lungo le strade gridando la profezia e scandalizzando coi suoi gesti d’amore. Che oltre a essere esperta delle cose di Dio, lo è altrettanto delle cose dell’uomo. Una chiesa bella che comprende la solitudine e la sofferenza dell’escluso di oggi – il lebbroso di allora – e lo guarisce, come fece Gesù, non standosene a debita distanza ma toccandolo; che piange, senza vergogna, assieme alla mamma che accompagna il figlio defunto o che partecipa alla gioia dei due sposini di Cana e non vuole che la festa finisca male. Chiesa bella che evangelizza, ma sa che evangelizzare significa rendere concreto ciò che si annuncia. Chiesa bella, la nostra, che è preoccupata di custodire la verità, ma è anche impegnata a rivelare l’amore. Sogno la nostra Chiesa bella e pronta a offrire a tutti un Dio vivo, imprevedibile e giovane e Lo sente presente, accanto e che parla, un Dio che ama, ride, piange, che ha un pallino: i poveri, gli ultimi, i nessuno. Chiesa bella che stando per strada non porta solo i manuali della preghiera ma ha sempre con sé l’olio e il vino, che ha per bussola il Vangelo ed è attenta a non ritrovarsi, come il sacerdote e il levita, “dall’altra parte” della strada, cioè dalla parte sbagliata. Che sa scoprire il bene, anche poco, in ogni uomo (come Gesù lo vide nel ladrone), anche se è uno scarto della società. Chiesa bella perché, rifiuta di diventare pascolo di egoismi colorati di bontà, e preferisce percorrere sia la strada che da Gerusalemme va a Gerico (dell’uomo abbandonato per terra), sia quella di Emmaus (dei viandanti senza speranza), che esce dal tempio (dove si può anche pregare col cuore spento e senza speranza come Zaccaria), si ferma al pozzo (i luoghi degli uomini) della Samaritana), entra nella casa di Zaccheo, e si avvicina ai bordi della piscina di Betzata. Sogno una chiesa bella che sente la voce del Signore che la invita alla conversione e la sprona ad osare cose nuove e a farsi «comprensiva, amante dei fratelli, maternamente tenera, umile» (cfr 1 Pt 3,8)”.

(Dal Pontificale dell’Immacolata del card. Francesco Montenegro, 08/12/2016)

pubblicato da ‘altranarrazione’




“le mie vie non sono le vostre vie” – “quando sono debole è allora che sono forte”

elogio della debolezza
 Alberto Maggi

“La logica di Dio non è quella degli uomini. Per questo, da sempre il Signore ha chiamato, per realizzare le sue imprese, quelle persone che nessun uomo sano di mente avrebbe mai scelto”.
Le conferme, come sottolinea su ilLibraio il biblista Alberto Maggi, arrivano dal Vecchio e dal Nuovo Testamento…

Le scelte di Dio vanno da sempre in direzione contraria a quelle degli uomini, poiché il suo è uno sguardo differente. Il Signore valorizza quel che gli uomini disprezzano, fa fiorire la vita là dove sembra ci siano solo rovine, e quel che il mondo scarta il Creatore lo adopera per realizzare il suo progetto sulla creazione (“La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo”, Sal 118, 22).
 
Paolo, l’apostolo che aveva fatto della debolezza la sua forza (“quando sono debole, è allora che sono forte”, 2 Cor 12,10), aveva ben compreso la strategia di Dio e l’aveva così formulata: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor 1,27-28).
 
La logica di Dio non è quella degli uomini. Per questo, da sempre il Signore ha chiamato, per realizzare le sue imprese, quelle persone che nessun uomo sano di mente avrebbe mai scelto. La storia della salvezza è infatti l’incredibile elezione di uomini chiamati a svolgere ruoli per i quali erano chiaramente inadatti e che Dio ha invece scelto perché i suoi criteri sono diversi (“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri”, Is 55,8-9).
 
Se fossero stati gli uomini a dover selezionare la coppia che avrebbe dovuto dare origine a un popolo nuovo, il popolo del Signore, indubbiamente avrebbero scelto un uomo e una donna giovani, robusti, belli. Non così il Signore, che sceglie un vecchietto novantanovenne, per di più con una moglie sterile, causando tra l’altro il riso dei prescelti (“Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?… Allora Sara rise dentro di sé e disse: Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!”, Gen 17,17; 18,12). I prescelti ridono, il Dio, che non conosce la parola “impossibile”, no: “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?” (Gen 18,14).
 
Quando per le vicissitudini della storia questo popolo, nato da due vegliardi, sarà ridotto in schiavitù, il Signore deve scegliere un liberatore. L’impresa non è facile, perché l’oppressore non è un uomo, ma il faraone, il re di natura divina, e la potente nazione che trattiene gli ebrei in schiavitù è uno dei più grandi imperi mai apparsi sulla faccia della terra. Chi mai avrebbe scelto per questa temibile impresa un fuggitivo ricercato per omicidio? (Es 2,11-15). E se il passato di Mosè non è un problema per Dio, il prescelto, balbuziente, ritiene di essere inadatto a questo ruolo, che rifiuta decisamente: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua”. (Es 4,10). Ma ancora una volta la forza del Signore supplisce la debolezza dell’uomo: “Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire” (Es 4,12).
 
Anche quando il popolo ha bisogno di un re, le scelte di Dio sono singolari. Inviato dal Signore a Betlemme, in casa di Jesse, per scegliersi il re tra i suoi figli, il profeta Samuele li passa tutti in rassegna, e quando Jesse gli presenta con orgoglio il suo primogenito, Eliàb, giovane, alto e attraente, il profeta fu certo che fosse questi il prescelto da Dio. Invece no, il Signore avvertì Samuele: “Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1 Sam 16,7). E il Signore scartò anche il secondogenito, il terzogenito, e tutti i figli che Jesse aveva radunato. A dire il vero ce n’era ancora uno, che non era stato convocato con gli altri, in quanto troppo giovane, adatto solo per pascolare il gregge. Ma la scelta di Dio cadde proprio su di lui, David, e il figlio scartato sarà il re del suo popolo.
 
E l’inadeguatezza sembra essere stato il criterio di Dio nello scegliere i suoi profeti, cominciando da Geremia, troppo giovane per essere credibile (“Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane”, Ger 1,6). E Osea? Era risaputo che la moglie, una prostituta, lo tradiva ripetutamente, eppure il Signore scelse proprio lui per essere il profeta che doveva testimoniare al popolo un perdono più grande della colpa (Os 2). Per denunciare le malefatte della casta sacerdotale e della corruzione del culto, il Signore non chiamò un fine teologo, ma un rude pecoraio, Amos, che con il suo linguaggio schietto e per nulla diplomatico, suscitò l’ira furibonda dei sacerdoti che lo cacciarono dalla sua terra (Am 7,10-17). Per non parlare di Giona, che non aveva alcuna intenzione di fare il profeta, e invitato dal Signore di andare a predicare a Ninive la necessità della conversione, s’imbarcò in direzione contraria (Gn 1).
 
Le scelte di Gesù non sono da meno. Per la realizzazione del regno di Dio non si rivolse a pii farisei e devoti sacerdoti osservanti delle leggi divine, uomini di indiscussa moralità e rettitudine. No, Gesù nel gruppo dei dodici accolse persone inadeguate al compito e gli scarti della società. Chiamò Simone Pietro, il caparbio discepolo che lo rinnegherà, spergiurando (“Cominciò a imprecare e a giurare: Non conosco quell’uomo!”, Mt 26,74), e Giuda l’Iscariota, il traditore, che per denaro venderà il suo maestro; Giacomo e Giovanni, i due fanatici fratelli che per la loro ambizione rischieranno di far naufragare il gruppo di Gesù (Mc 10,35-41), e che saranno soprannominati “figli del tuono” (Mc 9,38) per la loro propensione a incenerire i nemici (“Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”, Lc 9,54). Gesù chiamò a seguirlo anche un intoccabile, Matteo, il pubblicano (Mt 9,9), uno spregevole individuo che per il suo mestiere era considerato un traditore del popolo e trasgressore di tutti i comandamenti, irrimediabilmente escluso dalla salvezza, impuro come era dalla radice dei capelli ai piedi. E non è finita: nel gruppo di Gesù sorprende trovare “Simone, detto Zelota” (Lc 6,15), ovvero un appartenente al partito armato che attraverso la violenza voleva accelerare la venuta del regno di Dio. Eppure proprio a questo gruppo di incostanti, testardi, infingardi, presuntuosi, che a parole erano pronti a morire con lui (Mt 26,35) e che invece “lo abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56), lasciandolo solo ad affrontare la morte, Gesù affiderà il mandato di trasmettere la buona notizia al mondo intero (Mt 28,19-20). Gesù non ha creato una comunità di puri, di perfetti, ma di persone che, coscienti della loro inadeguatezza e della loro fragilità, hanno sperimentato l’amore, la misericordia e il perdono e per questo sono capaci di testimoniare al mondo la tenerezza di Dio, l’unico linguaggio ovunque comprensibile



ogni croce può diventare risurrezione

risurrezione

«La strada di Dio è la strada dell’incarnazione nella storia. Perciò più tendiamo a lui, più ci troviamo di fronte alla storia»

(Casàldaliga-Vigil)

Non ti sei messo al riparo. Hai deluso tutti i tuoi sostenitori, come leader hai perso. Nessuno umanamente ti ha salvato dalla violenza: neanche il tuo Dio che chiamavi “scandalosamente” papà. I miracoli avevano raccolto le folle, la sconfitta ha lasciato solo le persone che ti potevano amare anche nella tua fragilità.

Oggi chi non ti vuole rinnegare deve venire sotto le croci su cui vengono appesi i migranti, i poveri e gli oppressi di tutto il mondo. Per schiodarli se possibile, altrimenti per morire con loro. Condividendo la sconfitta dell’uomo, Dio risorge sempre.

pubblicato da ‘altranarrazione’




Doi è nella fragilità umana

confida … nonostante tutto …

Quando stai per fare l’ultimo passo verso il baratro,

quando la disperazione sembra l’unica realtà non solo possibile ma anche immaginabile,

quando ti rendi conto che l’oppressione è imbattibile perché trova molti alleati soprattutto tra gli ipocriti,

quando comprendi che solo i vincitori hanno amici e che le relazioni sono malate di funzionalismo,

quando scopri che dentro di te abita anche il nulla e non trovi qualcosa a cui aggrapparti,

quando vedi soffrire l’innocente e festeggiare l’iniquo,

quando senti uomini esultare in uno stadio di calcio mentre accadono tragedie immani che non fanno neanche più notizia,

quando vivi in Paese molto democratico e molto cattolico in cui governano impunemente le élite e che investe in un anno 23,4 miliardi di euro per le forze armate,

quando vedi passare le Frecce Tricolori al G7 mentre i migranti devono arrivare fino a Napoli per poter sbarcare,

confida sempre nel Signore*

Non chiedermi cosa significhi e come si faccia di preciso. So però che Lui è nel baratro, nella disperazione, con gli sconfitti, nella gratuità, nel nulla, nella sofferenza, nelle tragedie, nella pace, con i migranti, e con tutti quelli che lo ospitano in questo mondo senza vita.

*Isaia 26,4

pubblicato da ‘altranarrazione’

 




una chiesa liberante non può che nascere dai poveri

la chiesa che nasce dai poveri

 

«La liberazione autentica sarà opera dello stesso oppresso, in lui il Signore salva la storia. La spiritualità della liberazione avrà come punto di partenza la spiritualità degli ‘anawim»

(Gustavo Gutiérrez)

 Il Vangelo è un elemento di contraddizione dove c’è oppressione e sfruttamento. Promuove la giusta indignazione, non addormenta le coscienze. Il Vangelo è il libro della liberazione e non legittima nessun schiacciamento  dell’uomo sull’uomo. Quando la chiesa-istituzione appoggia le classi dominanti significa che c’è qualcosa che non funziona. Cercare o mantenere una posizione di rendita vuol dire porsi fuori dalla testimonianza evangelica. La Chiesa, per vocazione, deve disturbare socialmente sia i governi che adottano politiche inique sia le classi sociali che ne traggono beneficio. Se si toglie l’aspetto profetico rimane solo la burocrazia: e gli effetti di tale deformazione sono noti.

testo di Gustavo Gutierrez:

“Il Vangelo letto a partire dal povero, dalle classi sfruttate e dalla solidarietà attiva con le sue lotte per la liberazione, porta alla convocazione di una Chiesa popolare; porta ad una Chiesa che nasce dai poveri, dall’emarginazione […] che nasce dal popolo, da un popolo che strappa il Vangelo dalle mani dei dominatori, che impedisce la sua utilizzazione come elemento giustificante di una situazione contraria alla volontà del Dio liberatore….”. L’Evangelizzazione sarà realmente liberatrice quando gli stessi poveri saranno i suoi portatori. Allora sì annunciare il Vangelo sarà pietra di scandalo, sarà un Vangelo non «presentabile in società» si esprimerà in modo poco raffinato, puzzerà….”.

(Gustavo Gutiérrez, La forza storica dei poveri, trad. C. Delpero, Queriniana, Brescia, 1979, p. 27-28)

pubblicato da ‘altranarrazione’