la cosiddetta crisi delle vocazioni è forse crisi di identità evangelica della chiesa

la crisi delle vocazioni

«E tu Chiesa rinuncia pure ai segni del potere. Non convertono nessuno. Ma non rinunciare al potere dei segni. È un potere povero che dà fastidio, perché disturba il manovratore»

(Don Tonino Bello, 7/3/1987)

La diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose in generale è un importante segno profetico che dobbiamo leggere con attenzione. Non possiamo farci sviare dalla lettura miope di quelli che attribuiscono il fenomeno alla c.d. crisi dei valori. Sarebbe sufficiente ricordare, a tal proposito, che nel periodo cattolicissimo di chiese e seminari pieni, di rosari quotidiani recitati nelle famiglie e di matrimoni senza divorzi formali, abbiamo avuto: fascismo, nazismo, Shoah, e due guerre mondiali con oltre 91 milioni di vittime. Viene da chiedersi: di quali valori si trattava? L’attuale crisi deve aprirci ad nuovo paradigma di testimonianza. Il tempo del celebrante liturgico che parla di sofferenze che non conosce è finito. La vera crisi infatti non è sui valori (che non ci sono mai stati nel mondo) ma sulla credibilità di sacerdoti e religiosi. Nella migliore delle ipotesi si mantiene una forma di rispetto, ma sono considerati sempre meno punti di riferimento. I “sì” fatti con il capino durante le omelie sono altrettanti “no” nella coscienza. Lo scollamento tra la “recita” domenicale e le decisioni nella vita concreta è imbarazzante. Allora come agire? La Chiesa deve fare innanzitutto un bagno di umiltà. E il Signore attraverso questa crisi sta provvedendo. Chi vuole bene a Dio e alla Chiesa deve gioire e non preoccuparsi. Anzi deve sperare che si aggravi il più presto possibile. Ciò deve portare ad nuovo paradigma si diceva sopra togliendo potere e denaro alla Chiesa. Calata di nuovo nella realtà diventerà segno di speranza e ritroverà  la sua vocazione. D’altronde nei palazzi ci si ammala, girano virus letali, agevolati  nella diffusione da riforme di compromesso e non radicali. Povera con i poveri, non ricca con i ricchi. Sofferente in cerca dei sofferenti, non potente in cerca dei potenti. Appunto comunità non istituzione burocratica, secondo il Vangelo.

testi di don Tonino Bello:

“Condividere, intanto, la ricchezza di noi singoli con gli ultimi. È necessario che ognuno faccia una revisione globale della propria vita. Forse i parametri che la sorreggono sono di fabbrica antievangelica”.

don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p.52

“Rivedere certe formulazioni tariffarie che danno l’impressione di una chiesa interessata più alla borsa dei valori che alla vita dei poveri, e insinuano il sospetto che anche i sacramenti si diano dietro il compenso segnato dal listino prezzi. Studiare le forme adatte per mettere in circuito di fruibilità terreni, case, beni in genere, appartenenti alla chiesa. Esaminare il problema di come restituire agli ultimi case religiose vuote e conventi chiusi. Eliminare lo spreco delle feste che si fanno in nome dei santi o col pretesto di onorarli. Educare chi si blocca di fronte al sospetto sistematico che sotto forme di pseudo povertà si camuffi il raggiro degli imbroglioni, avendo per certo che è molto meglio rischiare di mandare a piene mani nove impostori su dieci, che mandar via a mani vuote il solo bisognoso. Infine condividere con gli ultimi la loro povertà. Parlare il loro linguaggio. Entrare nel loro mondo attraverso la porta dei loro interessi. Aiutarli a crescere, rendendoli protagonisti del loro riscatto, e non terminali delle nostre esuberanze caritative o destinatari inerti delle nostre strutture assistenziali. […] Per le nostre comunità parrocchiali si pongono allora alcuni interrogativi concreti: i poveri si sentono a casa nelle nostre assemblee? Ha peso il loro parere nelle decisioni comunitarie?”.

don Tonino Bello, Chiesa, Stola e Grembiule, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2006, p.53-54

pubblicato da ‘altranarrazione’

 

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il ‘vangelo’, lo dice la parola, o è una buona notizia per i poveri o non è

l’annuncio

«Più che della sollecitudine dell’uomo per Dio, i profeti si occupano della sollecitudine che Dio nutre nei confronti dell’uomo»

(AJ Heschel)

«Non è possibile rimanere neutrali davanti alla situazione di povertà e alle giuste rivendicazioni che ne derivano da parte di coloro che ne soffrono: sarebbe prendere partito per l’ingiustizia e l’oppressione presenti tra di noi»
(G. Gutiérrez)

Gesù va ad annunziare ai poveri il lieto il messaggio(1). Cioè che Dio costruisce il Regno insieme a loro, che dona la sua salvezza attraverso di loro, che si identifica con loro e che capovolge i giudizi di sventura e di colpa formulati da quelli che se ne intendono.

Noi invece rinchiudiamo ermeticamente il Vangelo in aule universitarie, sale per le conferenze o nelle assemblee liturgiche. D’altronde c’è da difendere uno status quo, quindi l’ordine impartito è rassicurare non scuotere le coscienze.

Gesù va a proclamare ai prigionieri la liberazione. Cioè che Dio desidera l’uomo libero e che l’azione della sua grazia mira ad emanciparlo dai gioghi di ordine materiale o spirituale. Che Dio rimette in piedi chi cade e che non esiste abisso che Lui non conosce o che non frequenta.

Noi invece insegniamo prima a piegare il capo e poi a mantenerlo piegato. A disconoscere la nostra dignità di uomini per essere degli ineccepibili servitori del Sistema. In ginocchio davanti al vitello d’oro del benessere e non per chiedere a Dio il compimento delle sue promesse.

Gesù va a proclamare ai ciechi la vista. Cioè che Dio illumina e dissipa le nostre tenebre. Scioglie i nostri dubbi, guarisce le nostre ferite, consola le nostre malinconie. Che ci sostiene perché cammina con noi.

Noi invece insegniamo la legge e l’adempimento, le forme e i concetti. Costruiamo verità che risultano funzionali al nostro bisogno di affermazione ma non alla ricerca esistenziale e di senso.

Gesù va a proclamare agli oppressi la restituzione della libertà. Cioè che nel progetto di Dio la sopraffazione non trova spazio. Le relazioni corrono solo in orizzontale non in verticale. Che Dio non pensa a fortini con la sorveglianza armata ma a comunità solidali.

Noi insegniamo invece a convivere con l’oppressione spiritualizzandola in sacrificio gradito a Dio. Rinviamo indebitamente il senso di Giustizia di Dio all’aldilà. Pratichiamo conformismo allo stato puro.

Gesù va a predicare un anno di grazia del Signore,

noi un anno di interpretazioni giuridiche.

(1)Vangelo di Luca 4,18

pubblicato da ‘altranarrazione’

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