non basta fare presepi per evitare un natale eretico!

La nascita di Gesù. Natali eretici?

la nascita di Gesù

natali eretici?

 da: Adista Segni Nuovi n° 45 del 30/12/2017
 

Cominciamo con il testo del disegno che credo fosse dell’ineffabile Cortés:

«Se la gente pensasse seriamente a quello che significa che Dio si incarna, che si pone radicalmente dalla parte dei più poveri e dimostra che l’unica religione vera è l’amore vero, se la gente pensasse veramente a cosa la impegna dire che Dio è nato a Betlemme…, probabilmente non sarebbe tanto contenta quando arriva Natale».

Quando Fidel Castro decise di sopprimere il Natale, mezzo mondo lo accusò di essere ateo e anticristiano. Concedo che misure di questo tipo non possano imporsi dittatorialmente, ma rimane un’altra domanda: era veramente una misura anticristiana? O, come succedeva quando accusavano Gesù di essere “blasfemo”, Fidel era più profondamente credente dei suoi accusatori? Vediamo un momento.

La nascita di Dio, proprio di Dio!, nella povertà e nell’abbandono che vivono molti esseri umani, l’abbiamo trasformata in un ammasso di consumo inutile, che non rivela niente della solidarietà di Dio con noi, ma rivela la nostra “insolidarietà” con gli altri. Visto da questo divino “amore fino all’estremo” (come dice un Vangelo), quello che dovrebbe essere la festa dell’umano, si è trasformato in festa dell’inumano. La stalla è diventata una “Corte inglese”; la compagnia del bue e dell’asinello è diventata la compagnia del maialino e di un buon vino. I disprezzati socialmente (i pastori) e gli stranieri (i magi), gli unici che, secondo il Vangelo, percepiscono e annunciano la nascita di Dio, sono oggi figure bucoliche ben vestite e “re”. Per questo non hanno nulla da annunciarci, se non che la vita manca di senso e che possiamo riempire questo vuoto solo consumando. La notte fuori città “senza luogo dove riposare”, si è mascherata da arterie ben illuminate, dove si spreca energia per incoraggiarci a sprecare denaro. La solidarietà di Dio che si rivela dandosi fino all’umiliazione, l’abbiamo pervertita in solidarietà artificiali che scimmiottano le celebrità. E invece di celebrare la nascita di Dio, celebriamo la nascita dello spreco. Ogni anno, le famiglie si riuniscono per inerzia, sotto lo slogan di celebrare l’affetto e l’unione familiare, si lasciano più estranee e in maggiore inimicizia, soprattutto se di mezzo ci sono i soldi. Alla fine, una pubblicità detestabile ci propina una brutta parodia di Gustavo Adolfo Bécquer dicendoci: «Il Natale sei tu». Ecco come la festa dell’amore si traveste da festa dell’egoismo.

Ciliegina di tutta questa perversione può essere quel tristemente celebre presepe dell’ospedale di Castellón, reso noto l’anno passato per queste feste: 90.000 mila euro annunciati da un angelo moderno, e non precisamente ai pastori o agli infermi… Se questo non è blasfemia ed eresia, che venga la Congregazione per la dottrina della fede e ce lo dica.

Concedo che non è stato sempre così. Molte canzoni riflettono ancora una poetica e, ingenuamente, l’incontro della migliore umanità con la semplicità, e dell’aspetto materiale come espressione (non come sostituzione) di quello spirituale. Quello che oggi denuncio è frutto di questa inevitabile “entropia”, che è anche una legge della storia e non solo della fisica. E che si acutizza con il decristianizzarsi della società.

In modo semplice e per niente aggressivo, è questo che dovrebbe preoccupare noi cristiani. Sarebbe assurdo che tutti quelli che credono nella (e celebrano la) nascita dello stesso Dio nell’abbandono e nella povertà trasformassero questi giorni sacri in giornate di totale rinuncia al consumo, di intensificazione della presenza solidale fra le vittime di questo mondo crudele, e di piena riconciliazione e perdono fra noi e con tutti gli esseri umani? Giorni nei quali ci ripetiamo alcune parole bibliche come: «Ascolta popolo credente, il nostro Dio è solamente uno; amalo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e tutte le tue forze»… O «gli dei e i signori della terra non mi soddisfano»? Lasciamo pacificamente che coloro che non hanno altri dei si dedichino al consumo sfrenato. Forse, se noi rinunciassimo seriamente a consumare in questi giorni, faremmo loro persino un favore perché, se diminuisce la domanda, si abbassa anche il prezzo dell’offerta.

Sognando, potrebbe succedere che le Chiese cristiane, che non devono pretendere di imporre la loro fede né cambiare le cose per forza come Fidel Castro, si interroghino seriamente sulla possibilità di abbandonare la data del 25 dicembre come celebrazione della nascita di Gesù di Nazareth. Di fatto, Gesù non è nato in questo giorno e non sappiamo in quale giorno ciò accadde. Si è scelta questa data per trasformare la festa pagana della nascita del sole. Ma forse è tempo di lasciare che la società non cristiana recuperi quella festa pagana e di trasferire il Natale cristiano ad un’altra data: magari un mese dopo, sul finire di gennaio.

Così, inoltre, le feste laiche del solstizio d’inverno passerebbero ad essere, per la liturgia cristiana, ulteriori giorni di “avvento” che preparano la nascita di un altro Sole che mai si raffredderà.

*  José Ignacio González Faus è teologo gesuita spagnolo. uesto articolo è stato pubblicato su La Vanguardia del 18/12/17

* * Natività di Matthias Stomer, olio su tela (1640 ca.), Chiesa dei Cappuccini di Monreale (Pa), Creative Commons, GNU Free Documentation License

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Cacciari contro le omelie dei preti

“i cristiani sono i primi ad aver dimenticato il natale”

intervista HuffPost a Massimo Cacciari:

“le omelie di molti preti, spesso, sono delle lezioni di anti religione”

La parola del Vangelo l’ha ascoltata fuori dal tempio: “Le Chiese sono diventate delle grandi scuole di ateismo. Nella gran parte di esse, la forza paradossale del verbo di Cristo viene trasformata in un discorso catechistico e ripetitivo, un piccolo feticcio consolatorio e rassicurante, un idoletto. È l’opposto di ciò che insegnava Gesù domandando ai suoi discepoli: ‘Chi credete che io sia?'”. Massimo Cacciari era ancora uno studente al secondo anno di liceo quando, tra lo Zarathustra di Nietzsche e le prime letture di Hegel, aprì le pagine del Nuovo Testamento: “Fu entusiasmante sentire la straordinarietà di quel testo, la bellezza di una storia che induce ad andare alla ricerca, senza certezze, rischiando. Al novanta per cento, i preti sono incapaci di rendere la potenza di quel racconto. Le loro omelie, spesso, sono delle lezioni di anti religione”.   

Negli anni sessanta e settanta, mentre erano di moda i capelloni, Marx, i pantaloni a zampa d’elefante, Marcuse, l’eros e la civiltà, Kerouac, la Cina e Janis Joplin, Cacciari leggeva i testi della teologia cristiana: “Nelle riviste della sinistra non organiche al partito comunista – “Quaderni Rossi”, “Contropiano” – discutevamo della Santa Romana Chiesa insieme a Giorgio Agamben, Mario Tronti, Giacomo Marramao. Avevamo idee diverse, ma condividevamo le stesse letture: tutte abbastanza eretiche”. Il Natale degli alberi in pivvuccì, degli acquisti online e i centri commerciali aperti tutto il giorno; il Natale della neve luccicante incollata sulle vetrine, delle barbe bianche, delle renne e delle slitte, non lo scandalizza: “Basta sapere che la nascita di Cristo non ha niente a che vedere con quello che vediamo intorno a noi. Il Natale è diventato un festa per bambini e adulti un po’ scemi. Non c’è da levare alti lai contro il consumismo. C’è solo da riflettere, meditando con sobrietà e disincanto”. Nel suo libro, “Generare Dio” (Mulino), mostra – da laico – che nel mistero dell’incarnazione di Dio c’è un personaggio che abbiamo avuto sempre sotto gli occhi, eppure non siamo stati ancora in grado di vedere nella sua interezza: Maria.

Perché, professore?

Maria è stata pressoché ignorata anche dai filosofi che hanno interpretato l’Europa e la Cristianità, come Hegel e Schelling. Il discorso ha privilegiato il rapporto del padre con il figlio. Maria è stata ridotta a una figura di banale umiltà, un grembo remissivo e ubbidiente che si è fatto fecondare dallo spirito santo senza alcun turbamento.

 

Invece?

Quando l’Arcangelo Gabriele le annuncia che concepirà e partorirà un figlio e che egli sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, Maria ha paura. Si ritrae, dubita, è assalita dall’angoscia, medita. Il suo sì non è affatto scontato. Nel momento in cui lo pronuncia, è un sì libero e potente, fondato sull’ascolto della parola. Perché Maria giunge a volere la volontà divina.

 

Nessuno se n’era accorto prima?

Nel pensiero, solo pochi autori – penso a Baltasar – hanno riflettuto sulla figura di Maria. È nella pittura – nella grande pittura occidentale – che Maria si innalza al ruolo di protagonista assoluta. Siamo di fronte a uno di quei casi in cui l’espressione figurativa è andata molto più in profondità del linguaggio.

Cosa riesce a mostrare?

Che se si toglie alla nascita di Cristo la scelta di questa donna che accoglie nel suo ventre il figlio di Dio e il suo Logos, l’incarnazione diventa una commedia. Maria è libera. Anzi, di più: il suo libero donarsi all’ascolto è in realtà un’iper libertà.

Perché iper?

Quando – nel giardino dell’Eden – Adamo mangia il frutto dell’albero della conoscenza obbedisce al proprio desiderio. La sua libertà è la libertà di soddisfare i propri impulsi. Maria, invece, riflette, s’interroga, soffre. Poi, fa la volontà dell’altro. La sua libertà è quella di far dono di sé. È come suo figlio: fa la volontà del padre. E qual è la libertà maggiore: quella che ti incatena a te stesso; oppure quella che ti libera dall’amor proprio?

Ma la libertà può essere slegata da ciò che si desidera?

Ma perché non si dovrebbe desiderare di donare se stessi agli altri? Perché non può essere questo l’oggetto del desiderio, anziché quello di soddisfare le proprie pulsioni?

Possiamo riuscirci?

Gesù, Maria, Francesco ci hanno dato degli esempi della libertà intesa come dono. È oltre umano seguirli? Può darsi. E può anche darsi che proprio qui s’incontrino la radicalità del messaggio cristiano e il super uomo di cui parlava l’anti cristiano Nietzsche: nell’impossibile.

Ma se è impossibile, perché provarci?

Perché l’impossibile non è una fantasia, un gioco inutile e vano. L’impossibile è l’estrema misura del possibile. E, se non orienti la tua vita in quella direzione, rimarrai prigioniero del tuo tempo. È questo il messaggio di Gesù: per essere libero, abbi come misura la mia impossibilità.

Se non possiamo essere come lui, perché Cristo si è fatto uomo?

Perché è necessario avere come misura qualcosa che ci oltrepassa per riuscire a spingerci altrove. Cristo non predicava nei templi: predicava fuori, nelle strade. I suoi discepoli dicevano: “È fuori”. Nel senso: “È fuori di testa, è pazzo”. Eppure, Gesù ha segnato un prima e un dopo nella storia dell’uomo, ha creato il mondo culturale e antropologico in cui viviamo. C’è qualcosa di più realistico di questo? Senza quell’impossibilità niente ci spingerebbe a uscire da noi, a ri-orientare diversamente le nostre vite.

Perché dovremmo farlo?

Per liberare il nostro tempo dalle sue miserie. Più la nostra epoca ci rinserra dentro di essa, più servono grandi idee, pensieri limite, parole ultime. Sono le uniche cose che ci possono sradicare dal tempo in cui ci viviamo.

Come lo definirebbe?

Osceno, nel senso letterale del termine: un tempo in cui tutto deve essere posto sulla scena: i nostri pensieri, le nostre fotografie, i nostro segreti. Niente deve stare in una zona scura. Invece, è proprio dal buio che proviene la luce che illumina e rivela. Pensi alla pittura d’Europa, la terra del tramonto: cosa raffigurerebbe senza il gioco dell’ombra?

È tutto davvero così esposto?

Al contrario. Quella della trasparenza è solo un’ideologia. Mai come oggi le potenze che governano il mondo sono state così nascoste. Al di là dell’apparenza, la nostra è l’epoca dell’occulto, dei poteri anonimi, di ciò che non si vede. Mentre, nel caso di Maria, la luce divina si copre d’ombra per manifestarsi nella realtà, nel nostro tempo l’oscuro si nasconde dietro la luminosità. Lucifero è negli inferi, però finge di essere portatore di chiarore. La nostra epoca è attraversata dallo spirito dell’anti-Cristo. Ci sono stati momenti in cui esso si è manifestato nella sua forma pura. Oggi, invece, circola mascherato.

Anche la politica avrebbe qualcosa da imparare da Maria?

Maria è una figura della libertà, non è il santino che raccontano i preti. La sua humilitas è meditazione e ascolto. Se leggessero ancora, i politici potrebbero imparare anche da lei. Se non altro, per essere più consapevoli della storia in cui si collocano. Il dramma, però, è che c’è stata una completa divaricazione tra il sapere e il potere.

Per quel che riguarda le figure religiose, i cristiani non potrebbero aiutarli?

I cristiani sono i primi ad aver dimenticato il Natale, smettendo di predicare la paradossalità del verbo.

Anche il Papa?

Il discorso è più complesso. Francesco si inscrive nella tradizione ignaziana, dove l’etica della fede si coniuga alla volontà di potenza e l’assoluta dirittura morale ed etica si combina a una grande capacità di catturare il mondo nelle proprie reti.

Perché neanche le femministe hanno riflettuto su Maria?

Perché anche loro – benché protagoniste dell’ultima vera rivoluzione degli ultimi decenni – sono rimaste vittime della lettura maschilista dell’incarnazione. Hanno guardato Maria come un figura servile, totalmente oscurata dal rapporto tra padre e figlio, non riuscendo a scorgere quello che c’è oltre.

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