contro papa Francesco – chi si propone l’obiettivo di danneggiare l’immagine del papa e la sua credibilità nella società dell’immagine

leggere questo contributo è importante, non perché si debba essere dei “pretoriani” di Papa Francesco o dei mitizzatori della sua figura o persona (per es. certe nomine episcopali sue degli ultimi due anni in Italia sono davvero deludenti), ma perché si tenga alto il livello di attenzione contro tutte le opposizioni anti-evangeliche che egli sta incontrando, anzitutto all’interno delle gerarchie curiali vaticane ed ecclesiastiche in genere, tutte nemiche di libertà di coscienza e di ricerca della verità senza ritenersi i detentori di essa…D’altra parte i trentacinque anni polacco-tedeschi non sono stati certo un periodo in cui questi due valori siano stati perseguiti e proposti nella formazione di preti,religiose/i, laiche/i come obiettivi centrali…

esiste una strategia per colpire Papa Francesco e il suo rinnovamento

negli ultimi giorni ci sono stati nella Chiesa cattolica episodi in Vaticano che hanno sorpreso l’opinione pubblica, fatti apparire ad arte come voluti dal Papa. Un modo per creare confusione e minare la sua popolarità

Papa Francesco

Nella storia di proclamare Papa Giovanni patrono presso Dio dell’esercito italiano cogliendo di sgradita sorpresa fedeli e opinione pubblica, i promotori dell’operazione hanno lasciato intendere che anche papa Francesco sapeva, come sapeva il defunto cardinale Capovilla, segretario e familiare di Roncalli. In realtà Francesco ha appreso con meraviglia la notizia  di questa storia conclusa a sua insaputa. Come del resto non ha svolto alcun ruolo la Conferenza dei vescovi italiani pur avendone canonicamente il diritto.  

Sembrava un episodio, ma il sottile tentativo di far credere che ci sia il papa dietro alcune decisioni di sapore politico e di pastorale conservatrice si è visto anche in altri episodi in materia importante come gli immigrati e la pedofilia del clero. Forse non si deve pensare a un disegno preordinato e finalizzato a resistere al vento di cambiamento portato da papa Bergoglio che ha investito la Chiesa con forza analoga a quella di papa Giovanni. Ma c’è da chiedersi se gli autori di certe iniziative abbiano completa cognizione del danno di immagine che certe iniziative possono produrre in primo luogo al papa. Sarebbe anche interessante trovare conferme che sia proprio questo l’obiettivo: danneggiare l’immagine del papa e la sua credibilità nella società dell’immagine. Il conseguente calo di consenso verrebbe da sé.

L’episodio più recente è stato l’allontanamento dei senza fissa dimora da piazza san Pietro e dai dintorni immediati del Vaticano per tutto l’arco del giorno con il motivo della sicurezza. Ai giornali è stato detto che il papa è stato informato dell’iniziativa di ordine pubblico portata avanti dalla gendarmeria pontificia e dal commissariato di polizia di zona, con il parere favorevole dell’elemosiniere del papa divenuto famoso proprio per la sua sensibilità verso i clochard. Queste persone povere per la notte possono invece tornare a dormire sotto il colonnato e zone adiacenti. Con i loro pacchi, pacchetti, buste, cartoni, possono – a parere dei preposti alla sicurezza – creare problemi e facilitare infiltrazioni di male intenzionati terroristi. Ma c’è da chiedersi se lo stesso problema non sussista per la notte anche se manca l’ininterrotto flusso di persone, fedeli e turisti in visita a san Pietro.

Le dinamiche della decisione non sono state rese pubbliche ufficialmente ma si pensa che l’iniziativa sia partita dai responsabili della sicurezza e sia stata mediata dalle autorità vaticane. Molta gente si è chiesta e si chiede come possa essere possibile che lo stesso papa che tanto ha fatto per dare dignità di persone ai senza fissa dimora decidendo per loro bagni, docce, barbiere, sacchi a pelo, invito ai concerti, poi decida di allontanarli per motivi di decoro.

Ma a pensarci bene, un’operazione del genere l’immagine di chi danneggia? La polizia fa il suo mestiere e anche la gendarmeria. La decisione ultima ha l’assenso delle autorità vaticane. Ma di quale autorità si parla esattamente? Se il papa sapeva e avesse voluto – ragionano i più – poteva fermare l’iniziativa. Non lo ha fatto, dunque è il massimo responsabile. Nella poca chiarezza con la pubblica opinione si possono avere danni gravi senza averne la colpa.

Il terzo episodio si è avuto sulla questione immigrati nella quale si è fatto credere a un certo punto che la posizione del governo italiano collimasse con quella del papa. In realtà il papa ha incoraggiato ogni passo positivo e quanto di buono si opera in favore degli immigrati, ma la sua è una visione ampia, nuova, aperta sull’immigrazione e nessun Paese finora può riconoscersi totalmente in questa visione. Al massimo si può condividere come utopia ma non come progetto di politiche governative, neppure nei Paesi a maggioranza cattolica. Le prospettive umanitarie di Francesco sugli immigrati mettono la politica a dura prova perché esigono un cambio della politica stessa e del modo di farla: non una politica per sé stessi e per gli interessi di minoranze potenti e benestanti, ma per il bene comune, in primo luogo in favore dei più poveri ed esclusi dalla dignità di esseri umani.

Non sempre le sacche di resistenza curiale sono alla persona di Bergoglio che si trova pure simpatica, ma ad atti di governo che in particolare dai dipendenti vengono percepiti come peggiorativi della loro condizione lavorativa e delle retribuzioni. Non faticano alcuni dipendenti laici a dire che Francesco piace fuori ma non dentro le mura leonine perché con lui non si è avuto alcun beneficio economico aggiuntivo. La resistenza dottrinale e pastorale degli ecclesiastici è meno evidente, ma più felpata.

Coloro che rimpiangono o si riconoscono in una tradizione fissa della fede cristiana vedono nella pastorale di Francesco un vero pericolo. Ma il papa non demorde. Anche sulla questione della pedofilia è stato capace di autocritica e pensa si debba andare speditamente lasciando al passato tutta una serie di misure prudenziali ma inefficaci per testimoniare il vangelo. E cosa chiede anzitutto su ogni questione importante? Un cambio di mentalità per rendere efficace la testimonianza che la Chiesa è chiamata a portare nelle società e agli uomini di oggi. Cambiare mentalità non è facile e che ci siano resistenze è del tutto prevedibile.




l’omsessualità come dono – parola di vescovo

monsignor Antonio Carlos Cruz Santos:

«l’omosessualità è un dono di Dio»

 

«Considerato il fatto che l’omosessualità non è una scelta, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità non lo considera più come una malattia, nella prospettiva della fede noi abbiamo solo una risposta: se non è una scelta, se non è una malattia, nella prospettiva della fede solo può essere un dono, e un dono è dato da Dio. Non c’è verso, se non è scelta, non è malattia, è dono, è dono dato da Dio; ma forse i nostri preconcetti non permettono di comprenderlo come dono di Dio. Così come i preconcetti nei confronti dei neri, e si diceva che i neri non avevano l’anima, il nostro preconcetto non permette di percepire questo dono».

È quanto affermato da monsignor Antonio Carlos Cruz Santos, vescovo di Caicó (Brasile).

Pare dunque in costante crescita il numero di vescovi che contestano l’integralismo di chi difende il mero pregiudizio, spesso con modalità che li dovrebbe portare a sostenere che se un tempo la Chiesa si diceva certa che la Terra fosse piatta, il buon cristiano dovrebbe continuare rifiutarsi di accettare che sia sferica.




promuovere migrazioni sicure, ordinate e regolari per assestare un colpo coordinato ai trafficanti

riumanizzare le migrazioni

di Yuri Fedotov*
in “Avvenire” 

«Quando mi sono rifiutata di vendere il mio corpo mi hanno venduta a un altro bordello».

È la sconvolgente testimonianza di Skye, una tredicenne nepalese mercanteggiata dalla famiglia in India. La sua è una delle poche storie a lieto fine. Insieme alla sorella, Skye è fuggita dal bordello, è tornata a scuola, e lavora ora per Shakti Samuha, l’organizzazione nepalese che l’ha salvata. Tuttavia, per ogni singolo scampato come Skye, migliaia di altri soffrono, ridotti al silenzio dalla minaccia della violenza e del ricatto. Sono quelli che lavorano in fabbriche e fattorie, schiavi del commercio sessuale, o imbarcati su navi da pesca. La gamma di attività forzate è vasta quanto il numero di luoghi dove si trovano le vittime. Occorre fare attenzione, oggi, ai segnali del moderno commercio di schiavi: donne e ragazze sfruttate sessualmente e brutalizzate; bambini impauriti che elemosinano in strada; masse di lavoratori sottopagati che sopravvivono in maniera squallida nei loro luoghi di lavoro. Sono questi gli amari segni di un crimine che incombe su tutte le nostre società. Come siamo arrivati a questo, all’inizio del XXI secolo? Molte vittime sono intrappolate in un circolo vizioso, quello di migranti oggetto di traffici. Un crimine alimentato da instabilità e mancanza di sicurezza. I conflitti in Iraq e Siria, così come le crisi economiche altrove, hanno prodotto una disperata marea umana che ha investito il Medio Oriente, il Nord Africa e il Mediterraneo. Si tratta di individui che cadono nelle mani dei trafficanti mentre sono alla ricerca di un rifugio, di protezione. Migliaia di loro muoiono. Lo scorso anno, la Dichiarazione di New York ha efficacemente sancito che rifugiati e migranti hanno bisogno di tutela e assistenza. I Paesi membri hanno convenuto di tornare a New York nel 2018 per adottare un Global Compact sulla migrazione, il primo accordo negoziato dai governi per coprire ogni aspetto delle migrazioni internazionali. Le migrazioni sono un fenomeno dei nostri tempi, e occorre andare alle loro cause, quali i conflitti.

Possiamo comunque concordare che rifugiati e migranti non possono essere trattati come criminali. Ecco perché il Compact è in grado di rappresentare un punto di riferimento da seguire; gli Stati possono dare il loro contributo adottando e dando attuazione alla Convenzione Onu contro il crimine organizzato transnazionale e i protocolli annessi sul traffico di persone e migranti. Abbiamo gli strumenti per sradicare le reti criminali organizzate grazie alla condivisione di informazioni sensibili, a operazioni congiunte, a indagini finanziarie, e il coordinamento attraverso frontiere locali e regionali. Per questo occorrono risorse e un impegno incrollabile. I criminali sfruttano lacune nel nostro sistema internazionale, che espongono le persone indifese e vulnerabili a violenza e schiavitù. La nostra risposta deve fondarsi su stato di diritto, cooperazione, condivisione di responsabilità e consapevolezza che si può e si deve fare di più per porre fine alla sofferenza umana. L’Ufficio dell’Onu su droga e crimine (Unodc) promuove un Fondo fiduciario per le vittime dei traffici che ha aiutato migliaia di sopravvissuti in tutto il mondo. La nostra Blue Heart Campaign (la Campagna Cuore Blu) sostiene il Fondo, e rappresenta un efficace strumento per amplificare il messaggio che tutti noi dobbiamo agire, se vogliamo che i criminali siano definitivamente sconfitti.
Sono sforzi cruciali. In Messico, la campagna di Unodc #AQUIESTOY («Sono qui»), appoggiata dal governo, dà voce alle vittime e mostra che il traffico di esseri umani non avviene in qualche landa sperduta, ma proprio qui, tra noi. Qualora fosse adottato nel 2018, il Global Compact ha l’enorme potenziale di promuovere migrazioni sicure, ordinate e regolari, e di assestare un colpo coordinato ai trafficanti. Si tratta di un’opportunità unica per aiutare ogni essere umano a vivere con dignità. Cogliamola.

*Direttore esecutivo Ufficio Onu su droga e crimine (Unodc)