in morte di Miguel d’Escoto

Miguel d’Escoto

il teologo che umiliò gli Usa

di Geraldina Colotti
in “il manifesto” del 10 giugno 2017

Il Nicaragua dice addio a Padre Miguel d’Escoto Brockmann, figura storica del sandinismo e della Teologia della Liberazione. Un addio senza tristezza – ha detto la vicepresidente Rosario Murillo – rendendo omaggio a

“una personalità eccezionale, un fratello che triste non è stato mai, un fratello indomabile che ha combattuto per il popolo e con il popolo, per tutte le cause giuste, pieno di allegria, di speranza, di fiducia e certezza in quel futuro migliore in cui tutti crediamo e che ci meritiamo”.

Miguel d’Escoto, sacerdote cattolico, nasce a Los Angeles il 5 febbraio del 1931. Trascorre l’infanzia in Nicaragua, poi torna negli Usa per studiare alla fine degli anni 1940. Nel 1953 entra nel seminario della Società missionaria di Maryknoll, dove viene ordinato sacerdote sette anni dopo. A metà degli anni ’70, mentre il continente latinoamericano cerca di seguire la via cubana e si scontra con la dura reazione degli Usa, il sacerdote aderisce alla Teologia della Liberazione, che accompagna il marxismo nella ricerca di giustizia sociale e per questo entra in conflitto aperto con il Vaticano. Nel 1975 aderisce in segreto al Frente sandinista di liberazione nazionale (Fsln), la guerriglia che combatteva la dittatura in Nicaragua. Nel 1977 fa già parte del Gruppo dei dodici, composto da intellettuali e imprenditori che si oppongono al dittatore Somoza Debayle, ed esprime il suo appoggio pubblico all’Fsln. Dopo la vittoria del Frente sandinista, nel luglio del 1979, d’Escoto diventa ministro degli Esteri fino al 1990, anno in cui i sandinisti perdono le elezioni e il potere. A differenza di un altro prete sandinista, il poeta Ernesto Cardenal (scomparso di recente), continua ad accompagnare il percorso del leader sandinista Daniel Ortega, fino al suo ritorno alla presidenza, nel 2007. Nel 2008 assume per un anno l’incarico di presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni unite. Tra il 2007 e il 2011 accompagna il presidente nicaraguense Daniel Ortega come massimo consulente agli Affari esteri. Viene insignito di due onorificenze, l’ordine Rubén Darío e Carlos Fonseca. Come ministro degli Esteri, è protagonista di una vittoria storica contro gli Usa. Nel 1984, denuncia alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja le attività militari statunitensi contro il Nicaragua, e la Corte gli dà ragione.

In quello stesso anno, per la sua attività di teologo progressista e per il ruolo politico che ricopre nel sandinismo, viene sospeso “a divinis” da Vojtyla, il papa guerriero che combatte il “pericolo rosso” a fianco di Reagan e di Tatcher e che praticamente abbandona nelle mani dei carnefici anche il vescovo salvadoregno Oscar Romero. Anche Ernesto Cardenal viene umiliato pubblicamente e sospeso “a divinis” dal papa polacco. Trent’anni dopo, nell’agosto del 2014, il papa argentino Jorge Bergoglio, annulla l’ordine di sospensione, accogliendo la richiesta di d’Escoto di poter tornare “a celebrare la Santa Eucaristia prima di morire”. D’Escoto torna a celebrare messa a settembre di quell’anno, festeggiato anche in Italia come “sacerdote del mondo”. Pur essendo lontano dalla politica istituzionale, non smette di levare la voce per le cause che considera giuste a livello internazionale. Insieme ad altre figure storiche della Teologia della Liberazione come Leonardo Boff, due anni fa invia una lettera a Barack Obama per protestare contro le sanzioni imposte al Venezuela di Nicolas Maduro il 9 marzo del 2015: ritenendo “estremamente vergognosa” la motivazione che definisce il Venezuela “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati uniti”.

avere le mani libere e aggredire la legittima Rivoluzione sandinistra con la sua guerra dei Contras, nel decennio del 1980. Anche gli ultimi due appelli internazionali, firmati da un altro grande teologo della Liberazione, Francois Houtart, pochi giorni prima di morire, sono stati in difesa del Venezuela. Da oggi a lunedì, sarà possibile firmare il “libro di condoglianze” presso l’ambasciata del Nicaragua a Roma, per ricordare “un messaggero di pace e di riconciliazione




il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

DIO HA MANDATO IL FIGLIO SUO PERCHÉ IL MONDO SIA SALVATO PER MEZZO DI LUI

commento al vangelo della domenica della trinità (11 giugno 2017) di p. Alberto Maggi:

Gv 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

un’altra ‘parata’ il 2 giugno è possibile

Difendiamo l’umanità, non i confni
A Roma la “Festa della Repubblica che ripudia la guerra”: il 2 giugno “l’altra-parata” vedrà sfilare la società civile per rendere omaggio a chi salva vite umane in mare e costruisce pace
 
Il 2 giugno a Roma, mentre la parata militare sfilerà lungo i Fori Imperiali, ai Giardini di Castel Sant’Angelo prenderà vita un’altra sfilata, animata dalla società civile per rendere omaggio a chi salva vite umane in mare e a chi costruisce ogni giorno ponti di pace tra i popoli.
L’Altra Parata, cuore della Festa della Repubblica che ripudia la guerra, è organizzata da Un ponte per… insieme al Movimento Nonviolento e alle 6 Reti che animano la campagna “Un’altra difesa è possibile”.
La “Festa della Repubblica che ripudia la guerra” prenderà avvio la mattina del 2 giugno alle 11.30 con un flashmob – “Parata d’onore per chi salva vite umane” – organizzato nei giardini di Castel Sant’Angelo, e proseguirà poi nel pomeriggio con l’assemblea “Obiettare alla guerra e fermare la strage nel Mediterraneo: strumenti e campagne per un’altra difesa possibile”, ospitata presso la sede della Società Geografica Italiana (via della Navicella 12, ore 15).
“C’è un’Italia aperta al mondo, che lavora per promuovere diritti e dignità nel nostro Paese e oltre i confini. E’ quella delle associazioni e delle ONG che si dedicano ai salvataggi in mare e all’accoglienza di chi arriva qui per fuggire alla guerra, alla miseria, o ai cambiamenti climatici”dice Martina Pignatti Morano, presidente di Un ponte per …
“Questa è l’Italia che vogliamo onorare in occasione della Festa delle Repubblica, in una parata in cui invitiamo a sfilare difensori dei diritti umani, associazioni, ONG e volontari in servizio civile che si dedicano a salvataggio e accoglienza dei migranti e rifugiati”, spiega Mao Valpiana, coordinatore della Campagna Un’altra difesa è possibile che chiede il riconoscimento istituzionale della difesa civile non armata e nonviolenta con una proposta di Legge depositata alla Camera e ora all’attenzione delle Commissioni Affari Costituzionali e Difesa.
“Nonostante tagli e difficoltà in altri comparti, le spese militari in Italia sono rimaste quasi intoccate: per il 2017 si attesteranno su 23,3 miliardi di euro (in crescita del 20% rispetto al 2006) di cui 5,5 miliardi per l’acquisto di nuovi armamenti. Parallelamente un’ecatombe consumarsi nel Mediterraneo: oltre 5.000 le persone che sono morte cercando un’alternativa alla guerra, alla miseria e ai cambiamenti climatici sulle nostre coste. La guerra più vicina a noi è quella che miete vite umani ai nostri confini quando li chiudiamo”, conclude Daniele Taurino del Movimento Nonviolento.
Nella stessa giornata è in programma alla Camera dei Deputati l’ormai tradizionale incontro istituzionale con le ragazze e i ragazzi che stanno prestando la loro opera nel Servizio Civile nazionale che, ad oggi, è l’unica forma riconosciuta di difesa della Patria con modalità e mezzi non armati. Un elemento fondamentale, fin dall’inizio, della proposta di “Un’altra difesa è possibile”.
In una data simbolica come quella del 2 giugno, il mondo della pace e del volontariato ribadisce che esiste un’alternativa alla militarizzazione e alla guerra: l’altra difesa è sempre legittima perché civile, non armata e nonviolenta.
Adesioni pervenute oltre alla reti promotrici:
Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), Agenzia Habeshia, Agisco, Ambasciata di Pace di Foggia, ARCI, Associazione Altra Europa Laboratorio Venezia, Associazione per la Pace, Assopace Palestina, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Banca Popolare Etica, Baobab Experience, Beati i Costruttori di Pace, Campagna “Ero straniero”, Centro Interconfessionale per la Pace (Cipax), Centro Studi Sereno Regis, Cesc Project, Ciao onlus, Comboniani Servizio Emigranti e Profughi (ACSE), Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Coordinamento Comasco per la Pace, Emmaus Villafranca, Jugend Rettet Iuventa, Lunaria, Movimento di Volontariato Italiano, Movimento internazionale della riconciliazione (MIR Italia), Oltre il mare, Osservatorio sulle Spese Militari (MILEX), Partito della Rifondazione Comunista (PRC), Pax Christi Italia, Percorsi di pace di Casalecchio, Rainbow 4 Peace, Sinistra Italiana (SI), Tavolo Enti Servizio Civile del Piemonte (TESC)
Parteciperanno tra gli altri: Sen. Massimo Cervellini, Mussie Zerai, Alex Zanotelli, Luisa Morgantini, Lisa Clark, Nicoletta Dentico, Renato Sacco, Mao Valpiana, Sergio Bassoli, Grazia Naletto, Silvia Stilli, Martina Pignatti, Fabio Alberti, Francesco Martone, Alfio Nicotra, Enrico Piovesana, Franco Uda

Per adesioni: info@difesacivilenonviolenta.org
Informazioni e contatti per la stampa:
Un Ponte per… 339 6641600 Movimento Nonviolento 348 2863190
Sito ufficiale della Campagna www.difesacivilenonarmata.org



il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

COME IL PADRE HA MANDATO ME ANCH’IO MANDO VOI

commento al vangelo della domenica di Pentecoste (4 giugno 2017) di p. Alberto Maggi:

Gv 20,19-23

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

La nuova relazione che Gesù ha instaurato tra gli uomini e Dio, aveva bisogno di una nuova alleanza. Per questo Luca, negli Atti degli Apostoli, presenta l’episodio della Pentecoste. La Pentecoste era il giorno in cui la comunità  giudaica festeggiava il dono della legge. Bene mentre gli ebrei festeggiano il dono della legge, sulla comunità  dei discepoli di Gesù scende, piomba lo Spirito Santo. Con Gesù non c’è più una legge che è esterna all’uomo da osservare, ma da cogliere, una , una forza interna, che sprigiona energia d’amore. Questo è il dono dello Spirito. Anche gli altri evangelisti hanno la loro Pentecoste, seppur narrata in maniera diversa. Per esempio Giovanni ha la piccola Pentecoste nel momento della morte, quando Gesù consegna il suo Spirito, e poi nel brano che adesso esaminiamo, il capitolo 20, versetti 19-23, leggiamolo. “La sera di quel giorno”, è il giorno della risurrezione di Gesù, “il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”, il mandato di cattura non era stato soltanto per Gesù, non era pericoloso soltanto Gesù, era pericolosa la sua dottrina. Per questo, quando Gesù si trova di fronte al sommo sacerdote, costui non gli chiede niente di lui, ma gli chiede due cose: dei discepoli e della dottrina. Quindi, per paura di fare la stessa fine di Gesù, si sono chiusi a porte sbarrate. “venne Gesù, stette in mezzo”, è importante questa indicazione che ci dà l’evangelista: quando Gesù risuscitato si manifesta ai suoi, si pone in mezzo, Gesù non si pone davanti, in modo che le persone che gli sono vicine sono quelle che gli sono più prossime, o in alto. Gesù si pone in mezzo. Questo significa che tutti coloro che gli sono intorno, hanno tutti la stessa identica relazione con lui, non c’è qualcuno di più, qualcuno di meno, qualcuno prima e qualcuno dopo. “e disse loro: «Pace a voi!»”, questa di Gesù non è un augurio, Gesù non dice: “la pace sia con voi”, ma è un dono. Pace – sappiamo che il termine ebraico è “shalom” – indica tutto quello che concorre alla felicità  degli uomini. Ma poi Gesù mostra il motivo di questo dono: “Detto questo”, quindi dopo aver detto “pace”, “mostrò loro le mani e il fianco”, le mani ed il fianco portano i segni della passione. È stato Gesù che, al momento della cattura, aveva detto: “se cercate me lasciate che questi se ne vadano”. Lui è il pastore che dà la vita per le sue pecore, e questo non in un episodio isolato, ma sempre. Gesù, nella comunità, è colui che difende i suoi. A questo punto i discepoli, che l’evangelista aveva descritto nel timore dei Giudei – ricordo che, per Giudei, in questo vangelo non si intende mai il popolo, ma sempre l’autorità, i capi religiosi – passano dal timore alla gioia al vedere il Signore: “Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi!”, di nuovo Gesù ripete questo dono della pace, il termine pace in questo capitolo sarà ripetuto per ben tre volte, ma questa volta questo dono della pace è per andare a condividerlo. Infatti aggiunge Gesù: “come il Padre ha mandato me”, il Padre ha mandato Gesù per manifestare visibilmente il suo amore e qual è l’amore di Dio? Un amore generoso che si mette al servizio degli altri, che è stato manifestato da Gesù nell’episodio della lavanda dei piedi.
“Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi»”, il compito dei credenti il compito della comunità cristiana non è andare a proporre o, peggio, imporre dottrine, ma comunicazioni d’amore: come il Padre ha mandato il Figlio per manifestare il suo amore, così la comunità deve essere la testimone visibile di un amore generoso che si mette a servizio. “detto questo”, prima il “detto questo” era riferito al dono della pace, giustificato dai segni della sua passione, ora “detto questo”, questo secondo dono della pace, “soffiò”, perché questo verbo soffiare? L’evangelista lo prende dal libro del Genesi, nell’episodio della creazione, quando Dio, il Creatore soffiò nelle narici del primo uomo e lo rese un essere vivente. “e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo”, esattamente Spirito Santo, senza l’articolo. Gesù aveva detto che lui dà lo Spirito senza misura, il dono dello Spirito è totale, sta alla persona dipendere quanto ne può accogliere o meno, ma comunque questo è il dono in pienezza, il dono dello Spirito, la forza divina, che si chiama Santo per la sua, non solo per la sua qualità, ma per la sua attività, che è capace di separare gli uomini che lo accolgono dalla sfera del male. “A coloro a cui perdonerete”, letteralmente condonerete, cancellerete, “i peccati”, il termine peccato adoperato dall’evangelista non indica la colpa della persona, ma, nei vangeli, questo termine indica sempre il passato ingiusto dell’individuo, “A coloro a cui cancellerete i peccati, saranno cancellati; a coloro a cui non cancellerete, non saranno cancellati»”, cosa ci vuol dire Gesù con questa espressione? Gesù non sta dando un potere per alcuni, ma una responsabilità per tutta la comunità cristiana: la comunità  cristiana deve essere come luce che spande il raggio d’azione del suo amore. Quanti vivono nell’ambito del peccato, dell’ingiustizia e vedono questa luce, se ne sentono attratti, hanno tutti il loro passato, qualunque esso sia, completamente cancellato. Quanti invece, pur vedendo brillare la luce, si rintanano ancora di più nelle tenebre – Gesù aveva detto che chi fa male odia la luce – rimangono sotto la cappa del peccato. Allora quello di Gesù non è un mandato per giudicare le persone, ma offrire ad ogni individuo una proposta di pienezza di vita.

 




p. Zanotelli chiede dove sono finiti circa 700 rom sgomberati senza alternative

i nostri fratelli rom
di Alex Zanotelli

 

In Italia i rom che vivono nelle baraccopoli sono 28mila. La presenza complessiva in Italia è stimata tra le 120.000 e le 180.000 unità. Sono dati che emergono dal Rapporto Annuale sulla condizione di rom e sinti in emergenza abitativa in Italia, effettuato dalla Associazione 21 luglio e presentato in Senato l’8 aprile in occasione della Giornata internazionale dei rom e dei sinti.
I 28.000 rom in emergenza abitativa rappresentano lo 0,05% della popolazione italiana e sono dislocati in 149 baraccopoli istituzionali, gestite dalle autorità pubbliche e presenti in 66 comuni; in 3 centri di raccolta; in insediamenti informali con 10mila persone, per il 90% di nazionalità rumena.
Le condizioni di vita dei rom che vivono in questi insediamenti sono nettamente al di sotto degli standard igienico-sanitari e l’aspettativa di vita è di 10 anni inferiore rispetto alla media della popolazione italiana.
Lo scorso aprile abbiamo fatto memoria della crocefissione di Gesù. Spesso, anche senza accorgerci, continuiamo a crocifiggere il povero Cristo degli impoveriti, degli emarginati, di quegli scarti che papa Francesco ama chiamare «la carne di Cristo».
Tra questi scarti in Italia ci sono senza dubbio i rom. Come Comitato campano con i rom, siamo impegnati da anni a denunciare le situazioni degradanti. L’ultima è quella relativa allo sgombero del campo rom di via Sant’Erasmo alle Brecce, nel quartiere Gianturco di Napoli. Vi vivevano circa 1500 persone in un contesto disumanizzante. Ho visto situazioni simili solo nelle baraccopoli in Kenya.
Lo scorso anno la Procura di Napoli ha deciso lo sgombero del campo di Gianturco perché ha valutato che sia un’area inquinata e non adatta per viverci. L’amministrazione comunale ha continuato a chiedere proroghe per guadagnare tempo e trovare soluzioni alternative. Nel frattempo, però, ha messo in atto una sorta di mobbing comunale, inviando al campo poliziotti e vigili urbani per sollecitare i rom ad andarsene. E in effetti non pochi rom se ne sono andati e hanno cercato altri spazi dove collocarsi.
Infine il comune ha aperto un campo attrezzato in via del Riposo, a fianco al grande cimitero di Poggioreale. Un campo che Amnesty International definisce «un lager», si tratta infatti di container allineati uno dietro l’altro… Comunque il 7 di aprile il comune ha accompagnato 130 persone rom in questo nuovo campo, annunciando che l’11 aprile avrebbe demolito quello di Sant’Erasmo alle Brecce. Invece la demolizione è avvenuta il 7 aprile stesso.
Per noi è stato un pugno allo stomaco. Anche per il silenzio che ha circondato l’intera vicenda, in particolare della regione, alla quale chiediamo da tempo la convocazione di un Tavolo per studiare soluzioni serie per i rom.
Per questo noi del Comitato campano con i rom e altre realtà della regione abbiamo deciso di manifestare l’11 aprile davanti al municipio di Napoli. Abbiamo portato alcune gigantografie della demolizione del campo, le abbiamo circondate di filo spinato e collocato una grande scritta “le ruspe del comune”. Abbiamo detto al sindaco Luigi de Magistris, che si vanta di una Napoli accogliente, che quella delle ruspe non si può definire accoglienza!
Ad oggi non sappiamo dove si trovino almeno 700 persone che erano nel campo di Sant’Erasmo alle Brecce. È chiaro che andranno a rimpinguare i ghetti che già ci sono o a formarne di nuovi.
Di questa vicenda voglio sottolineare un episodio. Quando ancora il campo rom di Gianturco era funzionante sono entrato con altri del Comitato e una donna ci ha urlato in faccia per dieci minuti: “Ci trattate come animali, ci schiacciate, ci disprezzate. Noi non siamo animali”.
Non dimenticherò questa voce. Nemmeno la celebrazione che della Pasqua che abbiamo fatto, insieme alla Chiesa valdese, il 15 aprile Sabato Santo, come segno di speranza, di resurrezione e di solidarietà con un popolo che non patria, non ha esercito, non ha mai fatto una guerra.
Possiamo stare certi che, se continuiamo a trattare i rom come stiamo facendo, siamo destinati a sbranarci a vicenda. O ci trattiamo tutti come fratelli o non c’è futuro.