la grande notte della teologia odierna

José María Castillo

introduzione di  Eletta Cucuzza 12/06/2017

da: Adista Documenti n° 22 del 17/06/2017

 Non c’è più la “grande teologia”, quella che ha reso possibile realizzare e alimentare il Concilio Vaticano II, la legge della vita ha portato via quei maestri, ma il guaio è che è senza eredi, perché la paura ha coartato la creatività dei teologi: troppe teste sono cadute sotto la scure della Congregazione per la Dottrina della Fede durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI! Eppure ci sarebbe un gran bisogno di attualizzare le risposte della teologia cattolica alle fondamentali domande degli esseri umani, di rendere comprensibile oggi il messaggio di Gesù, di non insistere su «presunte “verità”» ormai indifendibili, su rituali liturgici che si continua ad imporre malgrado vecchi di secoli. È questo il cuore della riflessione del teologo José María Castillo che riconosce a papa Francesco l’intelligenza e la volontà di un essenziale rinnovamento, ma teme che non glielo consentiranno i «molti uomini» che nella Chiesa hanno «il bastone del comando» e «non sono disposti a lasciare il potere che esercitano».

 

i seguito, in una  traduzione di Adista, l’articolo di Castillo, tratto da Religión digital del 15 maggio scorso.

non c’è più teologia

e la chiesa non ha le parole per l’umanità di oggi

 

Per la legge della vita, la grande generazione dei teologi che hanno reso possibile il rinnovamento teologico che ha realizzato il Concilio Vaticano II è sul punto di estinguersi del tutto. E nei decenni successivi, purtroppo, non è emersa una generazione nuova che ha potuto continuare il lavoro che i grandi teologi del XX secolo hanno iniziato.

Gli studi biblici, alcuni lavori storici e anche altro in materia di spiritualità sono ambiti del lavoro teologico che sono stati degnamente mantenuti. Per converso si ha l’impressione che movimenti anche importanti, come ad esempio la teologia della liberazione, stiano venendo meno. Speriamo che mi stia sbagliando.

Cos’è successo nella Chiesa? Cosa ci sta succedendo? La prima considerazione è che quello che stiamo vivendo in questo ordine di cose è molto grave. Gli altri ambiti del sapere non smettono di crescere: le scienze, gli studi storici e sociali, sicuramente le più diverse tecnologie ci sorprendono ogni giorno con nuove scoperte; mentre la teologia (sto parlando di quella cattolica) rimane ferma, inaccessibile e scoraggiante, interessante per sempre meno gente, incapace di dare risposte alle domande che si pongono tante persone e, soprattutto, impegnata a mantenere come intoccabili presunte “verità” che non so come si possa continuare a difendere a questo punto della storia.

Per fare alcuni esempi: come possiamo continuare a parlare di Dio con tanta sicurezza che diciamo quello che pensa e quello che vuole, sapendo che Dio è il Trascendente, che pertanto non è alla nostra portata? Com’è possibile parlare di Dio senza sapere esattamente quello che diciamo? Come si può affermare con sicurezza che “attraverso un uomo è entrato il peccato nel mondo”? E com’è che presentiamo come verità centrali della nostra fede quelli che in realtà sono miti vecchi di oltre quattro mila anni? Con quali argomenti si può dar per certo che il peccato di Adamo e la redenzione da questo peccato sono verità centrali della nostra fede?

Com’è possibile difendere l’affermazione che la morte di Cristo è stato un “sacrifico” rituale di cui Dio ha avuto bisogno per perdonarci le nostre malvagità e salvarci per il cielo? Come si può dire alla gente che la sofferenza, la disgrazia, il dolore e la morte sono “benedizioni” che Dio ci manda? Perché continuiamo a mantenere rituali liturgici che risalgono a più di 1.500 anni fa e nessuno comprende né sa perché li si continui ad imporre alla gente? Davvero crediamo a quello che ci dicono in alcuni sermoni sulla morte in merito al purgatorio e all’inferno?

A ben guardare, la lista delle domande strane, incredibili, contraddittorie sarebbe interminabile. E intanto le chiese sono vuote o frequentate da poche persone anziane che assistono alla messa per inerzia o per abitudine. E in tutto questo i nostri vescovi gridano al cielo per questioni di sesso, mentre tacciono (o fanno affermazioni tanto generiche da equivalere a silenzi complici) di fronte alla quantità di abusi di minori commessi da sacerdoti, di abusi di potere commessi da quanti maneggiano il potere per abusare di alcuni, rubare ad altri ed umiliare quelli che sono alla loro portata.

Insisto: a mio modo di vedere, il problema è nella povera, poverissima teologia che abbiamo. Un teologia che non prende sul serio la cosa più importante della teologia cristiana, che è la “incarnazione” di Dio in Gesù, il richiamo di Gesù a “seguirlo”, l’esemplarità della vita e del progetto di vita di Gesù. E la grande domanda che noi credenti dovremmo porre è: come rendiamo presente il Vangelo di Gesù in questo tempo e in questa società in cui ci è dato vivere?

E insisto, infine, sul fatto che il controllo di Roma sulla teologia è stato molto forte, dalla fine del pontificato di Paolo VI fino alla rinuncia al papato di Benedetto XVI. Il risultato è stato tremendo: nella Chiesa, nei seminari, nei centri di studi teologici, c’è paura, molta paura. E ben sappiamo che la paura blocca il pensiero e paralizza la creatività.

L’organizzazione della Chiesa, in questo ordine di cose, non può continuare come negli ultimi anni. Papa Francesco vuole una “Chiesa in uscita”, aperta, tollerante, creativa. Ma porteremo avanti questo progetto? Purtroppo nella Chiesa ci sono molti uomini, con il bastone del comando, che non sono disposti a lasciare il potere che esercitano. E se così, avanti!, che presto avremo liquidato il poco che ci rima




il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

LA MIA CARNE E’ VERO CIBO E IL MIO SANGUE VERA BEVANDA

commento al vangelo della domenica del ‘corpus domini’ 18 giugno 2017) di p. Alberto Maggi :

Gv 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Le parole che adesso leggeremo e commenteremo, quelle di Gesù nel vangelo di Giovanni, sono talmente gravi che, al termine di queste, gran parte dei suoi discepoli lo abbandonerà e non tornerà più con lui. Vediamo allora che cos’è di grave, di importante, che Gesù ha detto.
Nel capitolo 6 del vangelo di Giovanni troviamo un lungo e intenso insegnamento sull’Eucaristia. Giovanni è l’unico evangelista che non riporta la narrazione della cena, ma è quello che, più degli altri, riflette sul profondo significato della stessa.
Quindi il capitolo 6 è un insegnamento, una catechesi alla comunità cristiana, sull’Eucaristia. Leggiamo il capitolo 6, dal versetto 51. “«Io sono»”, e Gesù rivendica la condizione divina, “«il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno»”.  
Gesù garantisce che l’adesione a lui è ciò che permette all’uomo di avere una vita di una qualità tale che è indistruttibile. Questa è la vita eterna. Gesù, il figlio di Dio, si fa pane perché quanti lo accolgono e sono capaci di farsi pane per gli altri, diventino anch’essi figli di Dio. “ «E il pane che io darò è la mia carne»” – Gesù adopera proprio il termine carne, che indica l’uomo nella sua debolezza, “«per la vita del mondo»”.
Quello che Gesù sta dicendo è molto importante: la vita di Dio non si da al di fuori della realtà umana. Non ci può essere comunicazione dello Spirito dove non ci sia anche il dono della carne. Quindi il dono di Dio passa attraverso la carne, dice Gesù. L’aspetto terreno, debole, della sua vita. Qui l’evangelista presenta una contrapposizione tra gli uomini della religione che si innalzano per incontrare Dio – un Dio che la religione ha reso lontano, inavvicinabile, inaccessibile – e, invece, un Dio che scende per incontrare l’uomo.
“Allora i Giudei”, con questo termine nel vangelo di Giovanni si indicano le autorità, “ «si misero a discutere aspramente tra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?»” Un Dio che, anziché pretendere lui i doni dagli uomini, si dona all’uomo fino ad arrivare a fondersi con lui, si fa alimento per lui. Questo è inaccettabile per le autorità religiose che basano tutto il loro potere sulla separazione tra Dio e gli uomini.
Un Dio che vuole essere accolto dagli uomini e fondersi con loro, questo per loro non solo è intollerabile, ma è pericoloso. Ebbene Gesù risponde loro: “ «In verità, in verità io vi dico »”, quindi la doppia affermazione “in verità, in verità io vi dico” è quella che precede le dichiarazioni solenni, importanti di Gesù, “«Se non mangiate la carne del figlio dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita»”.
Gesù si rifà all’immagine dell’agnello, l’agnello pasquale. La notte del’Esodo Mosè aveva comandato agli ebrei di mangiare la carne dell’agnello perché avrebbe dato loro la forza di iniziare questo viaggio verso la liberazione e di aspergere il sangue sugli stipiti delle porte perché li avrebbe separati dall’azione dell’angelo della morte.
Ebbene Gesù si presenta come carne, alimento che da la capacità di intraprendere il viaggio verso la piena libertà, e il cui sangue non libera dalla morte terrena, ma libera dalla morte definitiva. Poi Gesù, tante volte non fosse stato chiara la sua affermazione, dice: “Chi mastica la mia carne”. Il verbo masticare i greco è molto rude, primitivo, in greco è trogon. Già il suono dà l’idea di qualcosa di primitivo, e significa “masticare, spezzettare”.
Quindi Gesù vuole evitare che l’adesione a lui sia un’adesione ideale, ma dev’essere concreta. Infatti dice: “«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna »”. La vita eterna per Gesù non è un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una possibilità di una qualità di vita nel presente. Gesù non dice “avrà la vita eterna”. La vita eterna c’è già. Chi, come lui, fa della propria vita un dono d’amore per gli altri, ha una vita di una qualità tale che è indistruttibile. 
“«E io lo risusciterò nell’ultimo giorno »”. L’ultimo giorno non è la fine dei tempi. L’ultimo giorno, nel vangelo di Giovanni, è il giorno della morte in cui Gesù, morendo, comunica il suo Spirito, cioè elemento di vita che concede, a chi lo accoglie, una vita indistruttibile.
E Gesù conferma che la sua “ «carne è vero cibo e il suo sangue è la vera bevanda »”. Con Gesù non ci sono regole esterne che l’uomo deve osservare, ma l’assimilazione di una vita nuova. E la sua carne è vero cibo, quello che alimenta la vita dell’uomo, e il suo sangue vera bevanda, cioè elementi che entrano nell’uomo e si fondono con lui. Non più un codice esterno da osservare, ma una vita da assimilare.
Gesù ci presenta un Dio che non assorbe gli uomini, ma li potenzia. Un Dio che non prende l’energia degli uomini, ma comunica loro la sua. E Gesù continua ad insistere: “«Chi mastica la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui »”. Ecco la piena fusione di Gesù con gli uomini e degli uomini con Gesù.
Quello di Gesù è un Dio che chiede di essere accolto per fondersi con gli uomini e dilatarne la capacità d’amore. “«Come il Padre, che ha la vita»”, ed è l’unica volta che Dio viene definito come il Padre che è vivente, “«ha mandato me»”, il Padre ha mandato il figlio per manifestare il suo amore senza limiti, “«e io vivo per il Padre, così anche colui che mastica …»”, di nuovo Gesù insiste con questo verbo che indica non un’adesione teorica, ma reale e concreta, “«… me, vivrà per me»”.
Alla vita ricevuta da Dio corrisponde una vita comunicata ai fratelli. Questo è il significato dell’Eucaristia. E, come il Padre ha mandato il figlio ad essere manifestazione visibile di un amore senza limiti, così quanti accolgono Gesù sono chiamati a manifestare un amore incondizionato.
E conclude Gesù: “ «Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono»”. Gesù mette il dito nella piaga del fallimento dell’Esodo. Tutti quelli che sono usciti dall’Egitto sono morti. I loro figli sono entrati. E Gesù contrappone il suo esodo che è destinato invece a realizzarsi pienamente.
E di nuovo Gesù insiste: “«Chi mastica»”, quindi adesione piena e totale, non simbolica, “ «questo pane vivrà per sempre»”. Chi orienta la propria vita, con Gesù e come Gesù, a favore degli altri, ha già una vita che la morte non potrà interrompere.