il silenzio intollerabile e la parola forte di A. Zanotelli

non possiamo restare in silenzio

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di Alex Zanotelli

L’anno 2016 ha visto trionfare la normalità della guerra, la Terza Guerra mondiale a pezzetti, come la chiama papa Francesco, una guerra spaventosa che ha il suo epicentro in Medio Oriente e ha mostrato tutta la sua ferocia, disumanità e orrore nell’assedio della città martire, Aleppo. Una guerra che attraversa anche l’intera zona saheliana dell’Africa, dalla Somalia al Sudan (Darfur e Montagne Nuba), dal Sud Sudan al Centrafrica, dalla Nigeria (Nord) alla Libia, dal Mali al Gambia. Senza dimenticare i massacri nel cuore dell’Africa, in Burundi e Congo. Siamo davanti a desolanti scenari di guerra che si estendono dallo Yemen all’Afghanistan, guerre combattute con armi sempre più sofisticate e a pagarne le spese sono sempre più i civili.

“Come è possibile questo? – si chiede papa Francesco – È possibile perché dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi che sembra essere tanto importante.”

È l’industria delle armi, fiorentissima oggi, a gioire di tutto questo. Secondo i dati dell’ Istituto Internazionale di Ricerca sulla pace, Sipri, a livello mondiale, investiamo quasi 5 miliardi di dollari al giorno in armi. A livello italiano, secondo l’istituto, ne spendiamo 64 milioni di euro al giorno. È un’industria fiorente quella italiana delle armi che esportiamo e vendiamo in tutto il mondo. In questo periodo abbiamo venduto bombe all’Arabia Saudita e al Qatar, che poi le hanno date a gruppi armati legati a Al-Qaeda come a Jabhat al–Nusra in Siria. E tutto questo nonostante la legge 185/90 che vieta la vendita di armi a paesi in guerra e a paesi dove vengono violati i diritti umani. L’Italia ha esportato armi nel 2015 per un valore di oltre 7 miliardi di euro a tanti paesi che sono o in guerra o dove sono violati i diritti umani. Ma come fanno i nostri governi a parlare di legalità, quando agiscono in maniera così illegale? E’ la grande Bugia. “La violenza esiste solo con l’aiuto della Bugia”, diceva Don Berrigan, il gesuita nonviolento americano scomparso lo scorso anno. E’ passato il tempo in cui i buoni possono rimanere in silenzio.”

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Ed è proprio questo quello che mi sconcerta di più: il silenzio del movimento per la pace davanti a questi scenari di guerra. Non lo posso accettare. Dobbiamo scendere in piazza, urlare, gridare, protestare. Forse non riusciamo a parlare perché il movimento è frammentato. Allora mettiamoci insieme. La situazione è troppo grave. Per questo dobbiamo avere il coraggio di violare la legge, di farci arrestare, di andare in prigione. Questo sarebbe il dovere prima di tutto dei religiosi, dei preti, delle suore come i fratelli Berrigan e le suore domenicane negli Usa che si sono fatti anni di carcere nel loro impegno contro la ‘Bomba’.

E come cristiano mi fa ancora più male il silenzio dell’episcopato italiano e di larga parte delle comunità cristiane. Per fortuna c’è papa Francesco che parla chiaro. Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1 Gennaio 2017) afferma che “essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza”. E prosegue:”La nonviolenza praticata con decisione e coerenza ha prodotto risultati così importanti. I successi ottenuti da Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da Martin Luther King contro la discriminazione razziale…”. Papa Francesco invita le comunità cristiane a perseguire questa strada della nonviolenza attiva, come la strada obbligata per i seguaci di Gesù. “Dite al mondo che non esiste più una guerra giusta – ha detto una suora domenicana irachena, Nazik Matty, durante il convegno sulla guerra e nonviolenza, promosso in Vaticano da Bergoglio – Lo dico da figlia della guerra”.

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Papa Francesco forse presto ci regalerà un’enciclica che potrebbe mettere la parola fine alla teologia della guerra giusta e indicare la nonviolenza attiva come la strada inventata da Gesù. È la strada che le comunità cristiane devono imboccare con lo stesso coraggio che hanno avuto Gandhi, Martin Luther King, Don Berrigan, Don Milani… Ma queste comunità dovranno avere la capacità di unirsi a tutte le altre realtà nonviolente creando un grande movimento popolare per la pace. Ma per arrivare a questo dobbiamo tutti essere disposti a pagare un alto prezzo. “Noi urliamo pace, pace, ma non c’è pace – diceva Don Berrigan – Non c’è pace perché non ci sono costruttori di pace. Non ci sono costruttori di pace perché fare pace è altrettanto costoso quanto fare guerra, almeno altrettanto esigente perché si paga con la prigione e la morte”.

A tutti i costruttori di Pace, l’augurio di cuore di un Buon anno, carico di frutti di pace.

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in ricordo di Ilarion Capucci

la prima lettera di Hilarion Capucci dal carcere  29/06/1977

 

Lettera di Mons. Capucci dalle carceri sioniste

In occasione della dipartita di Mons. Hilarion Capucci, Arcivescovo di Gerusalemme condannato dalle autorità sioniste a dodici anni di carcere nel 1974, di cui ne scontò quattro prima di essere esiliato in Italia, il Centro Documentazione Palestinese pubblica quella che fu la prima lettera a passare la censura tra quelle indirizzate ad alcune volontarie melchite.

Questa testimonianza conferma la grande convinzione e determinatezza di un uomo fisicamente provato da 34 mesi vissuti in solitudine in una cella di un metro e mezzo per 3, “…privato di ogni contatto umano, eccetto quello dei miei carcerieri. La mia lingua si dissecca tra una e l’altra delle visite permesse” (dalla testimonianza di una delle volontarie in visita il 16/11/1976).

Coerente, nonostante la prigionia e le pressioni, tenace e determinato nell’appoggio alla lotta di liberazione del Popolo Palestinese e alla Nazione Araba sino ai suoi ultimi giorni, lo vogliamo ricordare con queste sue parole pronunciate durante la medesima visita del novembre 1976:
“Quando sono nato non ero cristiano. Sono nato arabo, poi fui battezzato e così sono diventato cristiano: la mia Missione e Testimonianza passano attraverso la mia Arabità, ed è per questo che sono in prigione. Ed è sempre per questo che posso parlare della grazia della mia prigionia”.

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