il natale dà le vertigini …

la vertigine di Betlemme

l’Onnipotente in un neonato

di Ermes Ronchi
in “Avvenire”

Questo per voi il segno: troverete un bambino: «Tutti vogliono crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole essere re. Ogni re vuole essere “dio”. Solo Dio vuole essere bambino» (Leonardo Boff).

Dio nella piccolezza: è questa la forza dirompente del Natale. L’uomo vuole salire, comandare, prendere. Dio invece vuole scendere, servire, dare. È il nuovo ordinamento delle cose e del cuore. C’erano là alcuni pastori. Una nuvola di ali, di canto e di parole felici li avvolge: Non temete! Dio non deve fare paura, mai. Se fa paura non è Dio colui che bussa alla tua vita. Dio si disarma in un neonato. Natale è il corteggiamento di Dio che ci seduce con un bambino. Chi è Dio? «Dio è un bacio», caduto sulla terra a Natale (Benedetto Calati). Vi annuncio una grande gioia: la felicità non è un miraggio, è possibile e vicina. E sarà per tutto il popolo: una gioia possibile a tutti, ma proprio tutti, anche per la persona più ferita e piena di difetti, non solo per i più bravi o i più seri. Ed ecco la chiave e la sorgente delle felicità: Oggi vi è nato un salvatore. Dio venuto a portare non tanto il perdono, ma molto di più; venuto a portare se stesso, luce nel buio, fiamma nel freddo, amore dentro il disamore. Venuto a portare il cromosoma divino nel respiro di ogni uomo e di ogni donna. La vita stessa di Dio in me. Sintesi ultima del Natale. Vertigine.

E sulla terra pace agli uomini: ci può essere pace, anzi ci sarà di sicuro. I violenti la distruggono, ma la pace tornerà, come una primavera che non si lascia sgomentare dagli inverni della storia. Agli uomini che egli ama: tutti, così come siamo, per quello che siamo, buoni e meno buoni, amati per sempre; a uno a uno, teneramente, senza rimpianti amati (Marina Marcolini). È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte. È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio ricomincia da loro. Natale è anche una festa drammatica: per loro non c’era posto nell’alloggio. Dio entra nel mondo dal punto più basso, in fila con tutti gli esclusi. Come scrive padre Turoldo, Dio si è fatto uomo per imparare a piangere. Per navigare con noi in questo fiume di lacrime, fino a che la sua e nostra vita siano un fiume solo. Gesù è il pianto di Dio fatto carne. Allora prego: Mio Dio, mio Dio bambino, povero come l’amore, piccolo come un piccolo d’uomo, umile come la paglia dove sei nato, mio piccolo Dio che impari a vivere questa nostra stessa vita. Mio Dio incapace di aggredire e di fare del male, che vivi soltanto se sei amato, insegnami che non c’è altro senso per noi, non c’è altro destino che diventare come Te.




auguri come bastonate di papa Francesco ai cardinali della curia romana

«menti distorte», il papa striglia la Curia romana

di Luca Kocci
in “il manifesto”

Gattopardi, «menti distorte», «cuori impietriti»: se ne sono sentiti dire di tutti i colori i cardinali della Curia romana, convocati ieri da papa Francesco nel Palazzo apostolico vaticano per i tradizionali auguri natalizi. Ma invece delle parole soavi che solitamente si accompagnano al «buon Natale», Francesco ha impugnato la clava e ha colto l’occasione per denunciare e bastonare le resistenze – e i resistenti – alla riforma della Curia

«La logica del Natale è il capovolgimento della logica mondana, della logica del potere, del comando, della logica fariseistica», pertanto «ho scelto come argomento di questo nostro incontro annuale la riforma della Curia romana»

Non è la prima volta che Bergoglio utilizza l’appuntamento degli auguri alla Curia per parlare chiaro ai cardinali. Fece scalpore – anche perché fu il primo – il discorso del Natale 2014 sulle «quindici malattie» della Curia: potere, accumulazione di beni materiali, rivalità, carrierismo, opportunismo, ipocrisia, adulazione, indifferenza e via elencando. Il discorso di ieri non è stato meno forte. «La riforma sarà efficace solo se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini», ha detto Francesco, non solo «con il cambiamento delle persone, che senz’altro avviene e avverrà, ma con la conversione nelle persone», perché «senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano». Che in questo percorso vi siano delle «resistenze» è «normale, anzi salutare», ha aggiunto Francesco, che usa il bastone ma non rinuncia allo zuccherino. Quali resistenze? Le più sane sono «le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero». Poi però ci sono quelle più diffuse nei sacri palazzi, «le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima»; e «le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”)». Facile pensare ad eventi recenti: i “corvi”, la fuga di documenti riservati dalle stanze vaticane (il Vatileaks), le false notizie lanciate a mezzo stampa (Bergoglio malato di tumore al cervello, quindi “fuori di testa”). Ci sarebbe da discutere su quanto siano state incisive e profonde le riforme di papa Francesco, che hanno ristrutturato ma non ricostruito l’edificio curiale: Ior più trasparente (ma ben saldo al proprio posto); maggior controllo sulle strutture finanziare vaticane; accorpamento e creazione di nuovi dicasteri (come la Segreteria per l’economia, affidata però al controverso cardinale Pell, e la Segreteria per la Comunicazione, per centralizzare i media vaticani); norme più severe contro i vescovi che coprono i preti pedofili; alcuni aggiornamenti pastorali e disciplinari, come la semplificazione delle procedure per la dichiarazione di nullità dei matrimoni, la possibilità di accesso ai sacramenti per i divorziati risposati distinguendo i singoli casi, la facoltà a tutti i preti di assolvere dal peccato di aborto. Anche se la cautela potrebbe essere imputata proprio alle resistenze incontrate, che evidentemente Francesco non vuole “asfaltare”. La prospettiva sembra chiara, perlomeno nelle dichiarazioni: la riforma non è un «lifting» o «un’operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe», ha detto il papa ai cardinali, «non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!». Dopo questo discorso, si vedrà come Francesco andrà avanti.




il commento di p. Maggi al vangelo di natale

IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

commento al vangelo del giorno di natale (25 dicembre 2016) di p. Alberto Maggi:

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama:  «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.


La liturgia di questa domenica ci presenta il prologo al vangelo di Giovanni. Il prologo sono i primi 18 versetti del suo vangelo, nei quali l’evangelista riassume ed anticipa tutto il suo vangelo, ogni singola parola di questo prologo poi sarà sviluppata. Ebbene l’evangelista inizia correggendo la scrittura, e termina smentendo. Infatti inizia il suo vangelo scrivendo: “In principio era il Verbo”, il verbo significa la parola, è una parola creatrice, che realizza il progetto di Dio nella creazione, “era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. L’evangelista corregge l’interpretazione biblica nel libro della Genesi, il primo libro con il quale si apre la Bibbia, dove c’è scritto: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Per l’evangelista Dio, prima ancora di creare il cielo e la terra, aveva questo progetto, che ha voluto che si realizzasse. Ma non solo: usando la parola, il termine “Verbo”, cioè parola, l’evangelista contrappone alla tradizione biblica, che diceva che il mondo era stato creato in vista delle dieci parole, cioè il decalogo, no, c’è un’unica parola che si manifesterà in questo vangelo, in un unico comandamento, quello di Gesù: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato”. Se l’evangelista inizia correggendo la scrittura, conclude il suo prologo smentendola. Infatti scrive al versetto 18, in maniera perentoria: “Dio, nessuno lo ha mai visto”. Ma come può l’evangelista affermare una cosa del genere ? Eppure nella Bibbia si legge che Mosè, Aronne e altri 70 anziani hanno visto Dio. L’evangelista non è d’accordo: hanno avuto esperienze parziali, e pertanto la legge che esprimono, che esprime Mosè, non può manifestare la pienezza della volontà di Dio. Quindi l’evangelista è lapidario: “Dio, nessuno l’ha mai visto”. “Il figlio unigenito che è Dio ed è nel seno”, nel seno significa nella piena intimità, “del Padre, è lui che lo ha rivelato”. È importante questa affermazione: per l’evangelista Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi credevamo di sapere, che c’è stato insegnato su Dio, ora va verificato con quello che vediamo in Gesù in questo vangelo. Tutto quello che corrisponde, coincide, va mantenuto, ma tutto quello che si distanzia o addirittura gli è contraddittorio, va eliminato. Quando, in questo vangelo, nel capitolo 14, uno dei discepoli, Filippo, chiederà a Gesù: “mostraci il Padre e ci basta”, Gesù risponderà: “chi ha visto me ha visto il Padre”. Quindi Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Quindi l’evangelista conclude il suo prologo con un invito a centrare tutta l’attenzione sulla figura di Gesù. Ebbene, andando a ritroso, in questo prologo, l’evangelista afferma: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità”, un’espressione che indica l’amore generoso, l’amore fedele che si fa dono, “vennero per mezzo di Gesù”. Gesù, che è l’unica vera manifestazione di Dio, inaugura una nuova relazione con Dio: mentre Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una legge tra dei servi e il loro signore, basata sull’obbedienza della legge, Gesù, che non è il servo di Dio, Lui è il figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre, non più basata sull’obbedienza della
legge, ma sull’accoglienza e la pratica del suo amore. E, andando sempre a ritroso in questo prologo per comprenderlo, “Dalla sua pienezza”, dalla realizzazione di questa parola in Gesù, “noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Ecco la dinamica della vita del credente, della comunità cristiana: è un amore che alimenta amore, amore comunicato, che si trasforma poi in amore donato. E il versetto più importante, posto proprio al centro di questo prologo, è il versetto 12, dove prima l’evangelista aveva  scritto: “Venne tra i suoi” questo progetto, questa realtà, “e i suoi non l’hanno accolto”, non è una polemica con un mondo dal quale la comunità cristiana si è ormai allontanata, ma è un monito di stare attenti di non commettere gli stessi errori, che, quando Dio si presenta, e si presenta sempre in forme nuove, in nome del Dio del passato non si riconosce il Dio che viene. Ma ecco il versetto più importante posto al centro: “A quanti però lo hanno accolto”, questo progetto di Dio che si manifesta in Gesù, “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Figli di Dio non si nasce, ma lo si diventa, si diventa accogliendo Gesù nella propria esistenza, e imitandolo nel suo amore. Con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio, ma vive di Dio, e con Lui e come Lui va verso gli altri. E al versetto 14 l’evangelista afferma, e questo progetto “si è fatto carne”, si è realizzato nella debolezza della umanità, “e venne ad abitare in noi”, non significa soltanto venne ad abitare in mezzo a noi, ma in noi. Con Gesù, Dio chiede ad ogni persona di essere accolto nella sua vita, per fondersi con Lui, dilatare la sua capacità d’amare e renderlo l’unico vero santuario nel quale s’irradia il suo amore e la sua misericordia. Mentre nell’antico santuario erano le persone che dovevano andare, e non tutti avevano l’accesso, nel nuovo santuario è questo santuario che va verso gli ultimi, che va verso gli esclusi. Il fatto che questo progetto di Dio si manifesta nella carne, nella debolezza della carne, indica che non esiste dono di Dio che non passi attraverso l’umanità: più si è umani, e più si manifesta il divino che è in noi. Allora ritornando all’inizio del prologo, abbiamo fatto un po’ un zig-zag perché è molto lungo, ma per comprenderne il significato, ecco che comprendiamo quello che l’evangelista voleva dire: fin dall’inizio c’era questo progetto, questo progetto di Dio, una parola che s’incarna, si manifesta la condizione divina, e, in questo progetto, scrive l’evangelista, “era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta”. Ecco il grande incoraggiamento che l’evangelista ci dà: bisogna accogliere questo amore di Dio e manifestarlo. Non bisogna combattere le tenebre, non bisogna sprecare energie per combattere, ma la luce si deve espandere. Nella misura che la luce si espande, ecco che le tenebre se ne vanno. Questa  idea che poi girerà in tutto il vangelo, poi verrà formulata da Gesù, pochi istanti prima di essere arrestato, quando Gesù dirà: “Coraggio io ho vinto il mondo”. Coloro che si pongono a fianco della verità della luce, dell’amore, saranno sempre i vincitori sulla tenebra, sull’odio e sulla morte.