cataste di crocifissi di legno ma dagli ai crocifissi di carne …

 

la Lega Nord attacca i crocifissi di carne

ma vuole appendere quelli di legnocroce

Luca Kocci   

da: Adista Notizie n° 31 del 17/09/2016

Il crocefisso va esposto in tutte le aule scolastiche e in ogni ufficio pubblico. I deputati della Lega Nord rilanciano una loro tradizionale battaglia – anche se non ne parlavano da un po’, forse perché troppo impegnati a fare la guerra ai migranti, i crocefissi in carne ed ossa del nostro tempo – e presentano alla Camera una proposta di legge per regolamentare in maniera definitiva la questione.

«Il Crocifisso, emblema di valore universale della civiltà e della cultura cristiana, è riconosciuto quale elemento essenziale e costitutivo e perciò irrinunciabile del patrimonio storico e civico-culturale dell’Italia», recita l’articolo 1 della proposta di legge presentata a fine luglio da nove deputati e deputate leghisti e lo scorso 5 settembre assegnata per la discussione alla Commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Quindi, prosegue l’articolo 2, va esposto in tutti gli uffici pubblici per testimoniare «il permanente richiamo del Paese al proprio patrimonio storico-culturale che affonda le sue radici nella civiltà e nella tradizione cristiana». All’articolo 3 c’è il lungo elenco dei luoghi in cui il crocefisso va esposto «in luogo elevato e ben visibile»: non più solo nelle aule scolastiche, come indicavano i Regii Decreti del 1924 e del 1928 – Vittorio Emanuele III regnante e Benito Mussolini governante – ma anche nelle università e nelle accademie, negli uffici delle pubbliche amministrazioni e degli enti locali territoriali, nelle aule consiliari regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e delle comunità montane, nei seggi elettorali, nelle carceri, nei tribunali, negli ospedali, persino nelle stazioni, nelle autostazioni, nei porti e negli aeroporti. Infine, all’articolo 4, le sanzioni: da 500 a 1.000 euro per chi lo «rimuova in odio ad esso», ma anche per il dipendente pubblico che «rifiuti» di esporlo oppure «ometta di ottemperare all’obbligo» di esporlo.migranti bambini1

«Risulterebbe inaccettabile per la storia e per la tradizione dei nostri popoli, se la decantata laicità della Costituzione repubblicana fosse malamente interpretata nel senso di introdurre un obbligo giacobino di rimozione del Crocifisso», che «rimane per migliaia di cittadini, famiglie e lavoratori il simbolo della storia condivisa da un intero popolo», spiega il deputato leghista Roberto Simonetti, primo firmatario del provvedimento. «Cancellare i simboli della nostra identità, collante indiscusso di una comunità, significa svuotare di significato i principi su cui si fonda la nostra società. Rispettare le minoranze non vuole dire rinunciare, delegittimare o cambiare i simboli e i valori che sono parte integrante della nostra storia, della cultura e delle tradizioni del nostro Paese».

Se approvata dal Parlamento, la legge metterebbe il punto ad una questione che si trascina da quasi un secolo, ovvero dai Regii Decreti emanati durante il ventennio fascista che però, secondo alcune interpretazioni sostenute anche da una sentenza della Corte costituzionale (v. Adista Notizie n. 1/05), sarebbero stati superati dalla revisione del Concordato del 1984.

migranti siariani Nel 2006 il Consiglio di Stato – all’interno di un procedimento avviato da una coppia italo-finlandese perché fossero rimossi i crocefissi presenti nella scuola media frequentata dai figli –, pur non facendo alcun riferimento a leggi dello Stato, bensì solo a valori etici, stabilì che il crocefisso non doveva essere tolto dalle aule scolastiche, perché «è un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili» sebbene provengano da una religione (v. Adista Notizie n. 15/06). Parere confermato nel 2011 anche dalla Corte di Strasburgo, che diede torto alla coppia, stabilendo che non c’erano ragioni per rimuovere il crocefisso, in quanto simbolo culturale di valore universale. Tuttavia, nell’ordinamento italiano, ad oggi resta l’assenza di una legge che prevede l’obbligo di esporre il crocefisso. Una lacuna che i leghisti vorrebbero ora colmare.

* Immagine di cianghetta, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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la Lega di Salvini preferisce i crocifissi di legno a quelli di carne

La Lega Nord attacca i crocifissi di carne. Ma vuole appendere quelli di legno

la Lega Nord attacca i crocifissi di carne

ma vuole appendere quelli di legno

Il crocefisso va esposto in tutte le aule scolastiche e in ogni ufficio pubblico. I deputati della Lega Nord rilanciano una loro tradizionale battaglia – anche se non ne parlavano da un po’, forse perché troppo impegnati a fare la guerra ai migranti, i crocefissi in carne ed ossa del nostro tempo – e presentano alla Camera una proposta di legge per regolamentare in maniera definitiva la questione.

«Il Crocifisso, emblema di valore universale della civiltà e della cultura cristiana, è riconosciuto quale elemento essenziale e costitutivo e perciò irrinunciabile del patrimonio storico e civico-culturale dell’Italia», recita l’articolo 1 della proposta di legge presentata a fine luglio da nove deputati e deputate leghisti e lo scorso 5 settembre assegnata per la discussione alla Commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Quindi, prosegue l’articolo 2, va esposto in tutti gli uffici pubblici per testimoniare «il permanente richiamo del Paese al proprio patrimonio storico-culturale che affonda le sue radici nella civiltà e nella tradizione cristiana». All’articolo 3 c’è il lungo elenco dei luoghi in cui il crocefisso va esposto «in luogo elevato e ben visibile»: non più solo nelle aule scolastiche, come indicavano i Regii Decreti del 1924 e del 1928 – Vittorio Emanuele III regnante e Benito Mussolini governante – ma anche nelle università e nelle accademie, negli uffici delle pubbliche amministrazioni e degli enti locali territoriali, nelle aule consiliari regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali e delle comunità montane, nei seggi elettorali, nelle carceri, nei tribunali, negli ospedali, persino nelle stazioni, nelle autostazioni, nei porti e negli aeroporti. Infine, all’articolo 4, le sanzioni: da 500 a 1.000 euro per chi lo «rimuova in odio ad esso», ma anche per il dipendente pubblico che «rifiuti» di esporlo oppure «ometta di ottemperare all’obbligo» di esporlo.

«Risulterebbe inaccettabile per la storia e per la tradizione dei nostri popoli, se la decantata laicità della Costituzione repubblicana fosse malamente interpretata nel senso di introdurre un obbligo giacobino di rimozione del Crocifisso», che «rimane per migliaia di cittadini, famiglie e lavoratori il simbolo della storia condivisa da un intero popolo», spiega il deputato leghista Roberto Simonetti, primo firmatario del provvedimento. «Cancellare i simboli della nostra identità, collante indiscusso di una comunità, significa svuotare di significato i principi su cui si fonda la nostra società. Rispettare le minoranze non vuole dire rinunciare, delegittimare o cambiare i simboli e i valori che sono parte integrante della nostra storia, della cultura e delle tradizioni del nostro Paese».

Se approvata dal Parlamento, la legge metterebbe il punto ad una questione che si trascina da quasi un secolo, ovvero dai Regii Decreti emanati durante il ventennio fascista che però, secondo alcune interpretazioni sostenute anche da una sentenza della Corte costituzionale (v. Adista Notizie n. 1/05), sarebbero stati superati dalla revisione del Concordato del 1984. Nel 2006 il Consiglio di Stato – all’interno di un procedimento avviato da una coppia italo-finlandese perché fossero rimossi i crocefissi presenti nella scuola media frequentata dai figli –, pur non facendo alcun riferimento a leggi dello Stato, bensì solo a valori etici, stabilì che il crocefisso non doveva essere tolto dalle aule scolastiche, perché «è un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili» sebbene provengano da una religione (v. Adista Notizie n. 15/06). Parere confermato nel 2011 anche dalla Corte di Strasburgo, che diede torto alla coppia, stabilendo che non c’erano ragioni per rimuovere il crocefisso, in quanto simbolo culturale di valore universale. Tuttavia, nell’ordinamento italiano, ad oggi resta l’assenza di una legge che prevede l’obbligo di esporre il crocefisso. Una lacuna che i leghisti vorrebbero ora colmare.

* Immagine di cianghetta, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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una santità discussa

 

la polvere e gli altari

la controversa santità di Madre Teresamadre-teresa

Ludovica Eugenio   

da: Adista Notizie n° 31 del 17/09/2016

In un contesto di grande entusiasmo che ha attraversato trasversalmente credenti e non credenti è stata celebrata, il 4 settembre scorso, la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta. Un evento atteso, auspicato, ma nella pratica già compiuto, si può dire, da prima che la religiosa morisse, il 5 settembre 1997, al quale si è giunti poi in tempi rapidi, con la beatificazione ad appena sei anni dalla morte, nel 2003.

Sulla opportunità della canonizzazione di Madre Teresa, tuttavia, le opinioni sono sempre state divise, perché controversa è stata la sua figura. Sono stati molti, infatti, anche in questa occasione, a ricordare «il lato oscuro» di Madre Teresa, già messo in evidenza in passato in alcune inchieste documentaristiche rimaste celebri.

Un lungo articolo di Maxime Bourdier sull’edizione francese dell’Huffington Post (4/9) ricorda l’articolo velenosissimo del giornalista anglo-americano Christopher Hitchens, che denunciò, nel 2003 sulla rivista Slate, la visione «ultrareazionaria, fondamentalista, anche in termini cattolici ortodossi» di Madre Teresa riguardo all’aborto (definita nel 1994 «la più grande minaccia per la pace»), alla contraccezione e al divorzio (nel 1996 si impegnò perché in Irlanda non passasse la legge che lo avrebbe consentito, ma poi si disse contenta del divorzio della sua amica principessa Diana d’Inghilterra, infelice nel suo matrimonio). La sua concezione del matrimonio e della famiglia, rilevò in un articolo del 2010 la rivista cattolica francese Témoignage chrétien, era fortemente in ritardo rispetto ai tempi: «La donna – questa l’idea di Madre Teresa – è stata creata per amare ed essere amata, è il centro della famiglia. Se oggi esistono problemi gravi, è perché la donna ha abbandonato il suo posto in seno alla famiglia».

A sollevare perplessità è anche l’approccio della religiosa alla sofferenza degli ultimi, che non doveva essere curata ma glorificata, come testimoniò una ex volontaria, dopo una permanenza nella comunità nel 2009: i malati non vengono curati (viene somministrata aspirina ai malati di cancro, il medico passa una volta alla settimana), l’igiene è carente, le religiose non hanno alcuna competenza medica e non inviano i malati gravi nelle strutture ospedaliere. Hemley Gonzalez, altro ex volontario, dichiarò alla CNN che quando propose di installare un boiler per lavare i malati con acqua calda, gli venne risposto: «Qui non si fa così. È la volontà di Gesù». Tutto ciò, rilevò anche un’inchiesta di Radio Canada del 2013, non per carenza di fondi (la congregazione ha risorse finanziarie enormi, passate su diversi conti correnti), ma per la concezione della sofferenza di Madre Teresa.

E proprio la gestione delle finanze è un altro capitolo oscuro. A partire dai donatori, sui quali la religiosa non battè mai ciglio: dal regime dittatoriale di Jean-Claude Duvalier di Haiti, che, milionario in un Paese ridotto all’estrema povertà e accusato di crimini contro l’umanità, le diede un grande sostegno, al finanziere miliardario, cattolico integralista americano Charles Keating, uno dei più grandi truffatori della storia americana, che ingannò più di 20mila piccoli risparmiatori e che Madre Teresa difese al processo nel 1992. Problematiche le sue amicizie con i potenti della Terra, come le immagini dei fiori portati sulla tomba del dittatore albanese Enver Hoxha. Le viene anche rimproverato di non aver mai attinto alle finanze della comunità per dare un aiuto alle popolazioni colpite in India dai disastri ambientali o dopo il disastro di Bhopal, ma di aver investito il denaro nella fondazione di conventi.

Le critiche, tuttavia, non vengono soltanto veicolati da ambienti laici. Il 3 e 4 settembre scorsi Tv2000, canale televisivo controllato dalla Conferenza episcopale italiana, ha mandato in onda – ne parla, ovviamente con toni indispettiti, la rivista Tempi, vicina a Comunione e Liberazione (7/9) – un documentario di produzione francese che descrive luci e ombre della santa, illustrando, tra l’altro, come le case delle Missionarie della Carità siano luoghi fatiscenti, dove le persone prossime a morire vengono assistite nella loro agonia, ma non curate né aiutate a non soffrire, e come Madre Teresa fosse ossessionata dalla sofferenza, oltre a avanzare dubbi sul destino delle donazioni.

Su questi elementi insisteva l’Huffington Post già nel marzo scorso (16/3), in un articolo della giornalista indiana Krithika Varagur che riportava i dati di una ricerca condotta dall’Università di Ottawa che “sfaterebbe” il mito della nuova santa. «Nonostante tutte le sue 517 missioni, che al momento della sua morte erano state organizzate in 100 diversi Paesi del mondo – spiegava l’Huffington – la ricerca ha scoperto che praticamente nessuno di coloro che vi si era recato alla ricerca d’assistenza medica l’aveva poi effettivamente ricevuta. Le condizioni che vi si potevano osservare erano non igieniche, “perfino inappropriate”, l’alimentazione inadeguata, e gli antidolorifici assenti, non certo per mancanza di fondi, nei quali l’ordine di Madre Teresa, famoso in tutto il mondo, in realtà sguazzava, ma in nome di quella che gli autori della ricerca definiscono la sua “peculiare concezione della sofferenza e della morte”. “C’è qualcosa di meraviglioso nel vedere i poveri accettare la propria sorte, sopportandola come se si trattasse della Passione di Cristo. Il mondo ha parecchio da guadagnare dalla loro sofferenza”: lo dichiarò Madre Teresa a un Christopher Hitchens tutt’altro che entusiasta».

L’accanimento che si registra nei confronti della suora, commenta Varagur, «potrebbe apparire meschino, se non fosse per quella che è stata l’incessante campagna condotta dalla Chiesa per renderla qualcosa di più di ciò che fu. Una campagna che partì quando lei era ancora in vita, all’epoca in cui il giornalista antiabortista inglese Malcolm Muggeridge si accollò la croce di curare l’immagine pubblica di Madre Teresa, prima con un documentario agiografico del 1969, poi con un libro pubblicato nel 1971. Fu lui ad avviare il movimento d’opinione per andare a collocarla nel “regno del mito” più che in quello della storia». «L’immagine di Madre Teresa – conclude la giornalista indiana – rappresenta un reperto della supremazia bianca occidentale. La sua glorificazione avviene a scapito della psiche collettiva indiana, della mia psiche indiana. E di un miliardo di indiani e della diaspora a cui è stato inculcato il concetto che quando sono i bianchi ad aiutarci è diverso, è meglio. A cui è stato insegnato che una conversione forzata non è poi questo gran problema ».

Al di là degli osanna e delle critiche, più o meno feroci, alla religiosa ormai santa, può essere utile ricordare quanto la teologa Adriana Zarri scrisse nel 1997, spiegando il fenomeno Madre Teresa: «Si ebbe un curioso incrocio tra orientalismo formale e occidentalità sostanziale. Le suore di Madre Teresa vestivano in sari e salutavano graziosamente a mani giunte e, nel contempo, sposavano la teologia vaticana. E Madre Teresa, decorata dal Nobel, veniva strumentalizzata senza scrupolo dai promotori delle campagne contro la legalizzazione del divorzio, dell’aborto e via dicendo. E la candida suora ci stava, probabilmente per ingenuità. Le missionarie della carità, nel frattempo si moltiplicano e si moltiplicano anche le onorificenze decretate alla sua fondatrice: dal Nobel in giù moltissime (troppe?) con finanziamenti offerti dai grandi di questo mondo. (…). E i grandi della Terra seguitano a vendere i loro capitalistici pesci, mettendosi in pace la coscienza con danaro ed onorificenze. Madre Teresa è probabilmente troppo candida per comprendere il gioco. E ringraziando Duvalier lo definiva “protettore dei poveri”. Alla sua ingenuità forse appariva tale. Si moltiplicano anche le amicizie prestigiose: come quella per Diana, di cui giustifica il divorzio, dopo averne osteggiato la legalizzazione nell’Irlanda del 1995. Incongruenze e ingenuità dei santi» (v. Adista Documenti n. 64/97).

* Immagine di thierry ehrmann. Tratta da Flickr, immagine originale e licenza.

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la santità di madre Teresa di Calcutta fa discutere …

La polvere e gli altari. La controversa santità di Madre Teresa

la polvere e gli altari

la controversa santità di Madre Teresa

da: Adista Notizie n° 31 del 17/09/2016

In un contesto di grande entusiasmo che ha attraversato trasversalmente credenti e non credenti è stata celebrata, il 4 settembre scorso, la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta. Un evento atteso, auspicato, ma nella pratica già compiuto, si può dire, da prima che la religiosa morisse, il 5 settembre 1997, al quale si è giunti poi in tempi rapidi, con la beatificazione ad appena sei anni dalla morte, nel 2003.

Sulla opportunità della canonizzazione di Madre Teresa, tuttavia, le opinioni sono sempre state divise, perché controversa è stata la sua figura. Sono stati molti, infatti, anche in questa occasione, a ricordare «il lato oscuro» di Madre Teresa, già messo in evidenza in passato in alcune inchieste documentaristiche rimaste celebri.

Un lungo articolo di Maxime Bourdier sull’edizione francese dell’Huffington Post (4/9) ricorda l’articolo velenosissimo del giornalista anglo-americano Christopher Hitchens, che denunciò, nel 2003 sulla rivista Slate, la visione «ultrareazionaria, fondamentalista, anche in termini cattolici ortodossi» di Madre Teresa riguardo all’aborto (definita nel 1994 «la più grande minaccia per la pace»), alla contraccezione e al divorzio (nel 1996 si impegnò perché in Irlanda non passasse la legge che lo avrebbe consentito, ma poi si disse contenta del divorzio della sua amica principessa Diana d’Inghilterra, infelice nel suo matrimonio). La sua concezione del matrimonio e della famiglia, rilevò in un articolo del 2010 la rivista cattolica francese Témoignage chrétien, era fortemente in ritardo rispetto ai tempi: «La donna – questa l’idea di Madre Teresa – è stata creata per amare ed essere amata, è il centro della famiglia. Se oggi esistono problemi gravi, è perché la donna ha abbandonato il suo posto in seno alla famiglia».

A sollevare perplessità è anche l’approccio della religiosa alla sofferenza degli ultimi, che non doveva essere curata ma glorificata, come testimoniò una ex volontaria, dopo una permanenza nella comunità nel 2009: i malati non vengono curati (viene somministrata aspirina ai malati di cancro, il medico passa una volta alla settimana), l’igiene è carente, le religiose non hanno alcuna competenza medica e non inviano i malati gravi nelle strutture ospedaliere. Hemley Gonzalez, altro ex volontario, dichiarò alla CNN che quando propose di installare un boiler per lavare i malati con acqua calda, gli venne risposto: «Qui non si fa così. È la volontà di Gesù». Tutto ciò, rilevò anche un’inchiesta di Radio Canada del 2013, non per carenza di fondi (la congregazione ha risorse finanziarie enormi, passate su diversi conti correnti), ma per la concezione della sofferenza di Madre Teresa.

E proprio la gestione delle finanze è un altro capitolo oscuro. A partire dai donatori, sui quali la religiosa non battè mai ciglio: dal regime dittatoriale di Jean-Claude Duvalier di Haiti, che, milionario in un Paese ridotto all’estrema povertà e accusato di crimini contro l’umanità, le diede un grande sostegno, al finanziere miliardario, cattolico integralista americano Charles Keating, uno dei più grandi truffatori della storia americana, che ingannò più di 20mila piccoli risparmiatori e che Madre Teresa difese al processo nel 1992. Problematiche le sue amicizie con i potenti della Terra, come le immagini dei fiori portati sulla tomba del dittatore albanese Enver Hoxha. Le viene anche rimproverato di non aver mai attinto alle finanze della comunità per dare un aiuto alle popolazioni colpite in India dai disastri ambientali o dopo il disastro di Bhopal, ma di aver investito il denaro nella fondazione di conventi.

Le critiche, tuttavia, non vengono soltanto veicolati da ambienti laici. Il 3 e 4 settembre scorsi Tv2000, canale televisivo controllato dalla Conferenza episcopale italiana, ha mandato in onda – ne parla, ovviamente con toni indispettiti, la rivista Tempi, vicina a Comunione e Liberazione (7/9) – un documentario di produzione francese che descrive luci e ombre della santa, illustrando, tra l’altro, come le case delle Missionarie della Carità siano luoghi fatiscenti, dove le persone prossime a morire vengono assistite nella loro agonia, ma non curate né aiutate a non soffrire, e come Madre Teresa fosse ossessionata dalla sofferenza, oltre a avanzare dubbi sul destino delle donazioni.

Su questi elementi insisteva l’Huffington Post già nel marzo scorso (16/3), in un articolo della giornalista indiana Krithika Varagur che riportava i dati di una ricerca condotta dall’Università di Ottawa che “sfaterebbe” il mito della nuova santa. «Nonostante tutte le sue 517 missioni, che al momento della sua morte erano state organizzate in 100 diversi Paesi del mondo – spiegava l’Huffington – la ricerca ha scoperto che praticamente nessuno di coloro che vi si era recato alla ricerca d’assistenza medica l’aveva poi effettivamente ricevuta. Le condizioni che vi si potevano osservare erano non igieniche, “perfino inappropriate”, l’alimentazione inadeguata, e gli antidolorifici assenti, non certo per mancanza di fondi, nei quali l’ordine di Madre Teresa, famoso in tutto il mondo, in realtà sguazzava, ma in nome di quella che gli autori della ricerca definiscono la sua “peculiare concezione della sofferenza e della morte”. “C’è qualcosa di meraviglioso nel vedere i poveri accettare la propria sorte, sopportandola come se si trattasse della Passione di Cristo. Il mondo ha parecchio da guadagnare dalla loro sofferenza”: lo dichiarò Madre Teresa a un Christopher Hitchens tutt’altro che entusiasta».

L’accanimento che si registra nei confronti della suora, commenta Varagur, «potrebbe apparire meschino, se non fosse per quella che è stata l’incessante campagna condotta dalla Chiesa per renderla qualcosa di più di ciò che fu. Una campagna che partì quando lei era ancora in vita, all’epoca in cui il giornalista antiabortista inglese Malcolm Muggeridge si accollò la croce di curare l’immagine pubblica di Madre Teresa, prima con un documentario agiografico del 1969, poi con un libro pubblicato nel 1971. Fu lui ad avviare il movimento d’opinione per andare a collocarla nel “regno del mito” più che in quello della storia». «L’immagine di Madre Teresa – conclude la giornalista indiana – rappresenta un reperto della supremazia bianca occidentale. La sua glorificazione avviene a scapito della psiche collettiva indiana, della mia psiche indiana. E di un miliardo di indiani e della diaspora a cui è stato inculcato il concetto che quando sono i bianchi ad aiutarci è diverso, è meglio. A cui è stato insegnato che una conversione forzata non è poi questo gran problema ».

Al di là degli osanna e delle critiche, più o meno feroci, alla religiosa ormai santa, può essere utile ricordare quanto la teologa Adriana Zarri scrisse nel 1997, spiegando il fenomeno Madre Teresa: «Si ebbe un curioso incrocio tra orientalismo formale e occidentalità sostanziale. Le suore di Madre Teresa vestivano in sari e salutavano graziosamente a mani giunte e, nel contempo, sposavano la teologia vaticana. E Madre Teresa, decorata dal Nobel, veniva strumentalizzata senza scrupolo dai promotori delle campagne contro la legalizzazione del divorzio, dell’aborto e via dicendo. E la candida suora ci stava, probabilmente per ingenuità. Le missionarie della carità, nel frattempo si moltiplicano e si moltiplicano anche le onorificenze decretate alla sua fondatrice: dal Nobel in giù moltissime (troppe?) con finanziamenti offerti dai grandi di questo mondo. (…). E i grandi della Terra seguitano a vendere i loro capitalistici pesci, mettendosi in pace la coscienza con danaro ed onorificenze. Madre Teresa è probabilmente troppo candida per comprendere il gioco. E ringraziando Duvalier lo definiva “protettore dei poveri”. Alla sua ingenuità forse appariva tale. Si moltiplicano anche le amicizie prestigiose: come quella per Diana, di cui giustifica il divorzio, dopo averne osteggiato la legalizzazione nell’Irlanda del 1995. Incongruenze e ingenuità dei santi» (v. Adista Documenti n. 64/97).

* Immagine di thierry ehrmann. Tratta da Flickr, immagine originale e licenza.

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la ‘carta di responsabilità’ di oltre trenta sacerdoti e religiosi impegnati contro le mafie

vangelo e legalità

denuncia e misericordia

Antonio Maria Mira

“Siamo sacerdoti, religiosi e religiose impegnati da anni con le nostre comunità e i nostri gruppi a far incontrare le fatiche degli uomini con la tenerezza di Dio”. «Sentiamo la responsabilità di ribadire insieme le nostre scelte, e con le nostre comunità, come Maria, vogliamo impegnarci a riconoscere e a essere strumenti dell’azione misericordiosa e capovolgente di Dio che ‘ rovescia i potenti dai troni e rimanda a mani vuote i ricchi’ ( Lc 1,52-53), perché anche noi come il profeta Geremia nello scrutare questi orizzonti incerti, con gli occhi pieni di speranza vogliamo sussurrare al mondo: ‘ Vedo un ramo di mandorlo’ ( Ger 1,11)»

Sono la frase iniziale e quella finale della «Carta di responsabilità e impegno. Scelte evangeliche per un cammino di liberazione» firmata da oltre trenta sacerdoti e religiosi che collaborano con l’associazione Libera, guidata da don Luigi Ciotti. Sono parroci, vicari espiscopali, direttori di Caritas, animatori di comunità. Vengono dal Sud e dal Nord, portano esperienze di lotta alle mafie ma anche storie di perdono. Per tre giorni hanno pregato e riflettuto nel bellissimo monastero benedettino olivetano di San Magno a Fondi, terra fortemente inquinata dalle mafie, ristrutturato e affidato a don Francesco Fiorillo, parroco attivissimo, che ne ha fatto un luogo di spiritualità. Perfetto per l’annuale incontro dei preti di Libera, quest’anno dedicato a «Misericordia e verità si incontreranno».monastero

Tre giorni di approfondimenti accompagnati dall’arcivescovo di Gaeta, Luigi Vari, dall’economista Leonardo Becchetti, dalla teologa Enrichetta Cesarale, dal direttore de Il Regno, Gianfranco Brunelli, e di riflessioni su fondamentali documenti della Chiesa italiana come Educare alla legalità (1991) e Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno (2010). E soprattutto riflessioni personali di pastori, storie di incontri e di fatiche. Partendo da chi ha messo in pratica la giustizia e la misericordia. «Il giudice Rosario Livatino aiutava le mogli di chi mandava in carcere. Rigido nell’applicare la legge ma pronto alla misericordia. Anche noi non abbiamo fatto sconti a nessuno ma anche immaginando percorsi di aiuto», ricorda don Luigi Ciotti. Così don Marcello Cozzi di Potenza racconta il suo cammino al fianco di tanti collaboratori di giustizia. «L’arma vincente contro le mafie è la ‘confisca’ del bene più prezioso, i loro uomini. Dobbiamo continuare a scommettere sempre di più su questo». Lo pensa anche per don Pino Demasi, parroco di Polistena (Rc): «La grande scommessa è la confisca dei loro affetti. Nel lavoro precedente abbiamo diviso buoni e cattivi, ora vanno raccontate storie di riscatto. Conciliare la chiara scomunica dei mafiosi pronunciata da papa Francesco con la misericordia. Tra Caino e Abele non c’è soluzione di continuità. Contribuisco a mandarli in carcere ma poi da lì mi scrivono di aiutare le loro famiglie».monastero1

Storie ed esperienze che diventano poi gli impegni della «Carta di Fondi» (il testo integrale della carta di Fondi è online sul sito di Avvenire). «Con lo stile di Maria, da figli del Risorto, insieme alle nostre comunità ci impegniamo a non tacere dinanzi alle ingiustizie e a ogni tipo di illegalità, a camminare al fianco delle vittime innocenti delle mafie e di quanti subiscono violenze e sopraffazioni, condividendo il loro dolore e la loro richiesta di giustizia e di verità, a contrastare ogni forma di corruzione perché cancro della civiltà e della democrazia, ad accompagnare il cammino di coloro che intendono pentirsi del male compiuto distinguendo il peccato dal peccatore». Impegni forti che si collegano alle forti parole del Papa. «Ci sentiamo sollecitati – si legge nell’introduzione della Carta – dal Magistero e dall’azione di papa Francesco a favore degli ultimi e degli emarginati, consapevoli che il momento attuale, portatore di grandi e profondi mutamenti, chiedendo la fatica della conversione, genera un diffuso clima di sospetto e spesso di chiusura e di indifferenza di fronte alla vita».

Non è un documento da ‘primi della classe’. E infatti, si legge ancora, «siamo certi che questi impegni già caratterizzano ogni credente radicato nel Vangelo e che tanti altri fratelli e sorelle, sacerdoti, religiosi e laici vogliano sottoscriverli insieme a noi». Non chiudendo le porte neanche ai mafiosi. «Serve un bagno di umiltà che non vuol dire fare silenzio – sottolinea il padovano don Giorgio De Checchi –. È annuncio di vita non all’acqua di rose, che riconosce limiti e fragilità, che il peccato ci appartiene ma l’amore ci redime».

«Dobbiamo distinguere, dire che il male è male, che la mafia è struttura di peccato ma volgendo lo sguardo a chi lo compie, salvando la sua humanitas », riflette don Ennio Stamile, responsabile calabrese di Libera e a lungo coordinatore delle Caritas regionali. Impegni concreti. Così don Ciotti ricorda come «in grande silenzio stiamo seguendo centinaia di ragazzi, ‘picciotti’, manovalanza dei mafiosi. Opportunità e incontri che spesso hanno cambiato la loro vita». Ma anche, aggiunge, «tante donne che vogliono rompere gli schemi mafiosi». Già tante parrocchie le stanno accogliendo ma, insiste don Luigi, «serve una norma, una ‘terza via’ per persone che non hanno commesso crimini, che vogliono iniziare una nuova vita e hanno bisogno di essere aiutate, anche cambiando nome per salvarle».

Richieste concrete e impegni anche di vita ecclesiale, contenuti nella Carta, «a evitare qualunque forma di religiosità ritualistica e alienante che deturpa il volto paterno di Dio, a vivere ogni manifestazione di pietà popolare nella logica della semplicità e della radicalità evangelica affinché non si trasformino in esaltazione di personaggi potenti e boss mafiosi, e in mortificazione di poveri ed ultimi». Un evidente riferimento ai noti casi di ‘inchini’ ai mafiosi durante le processioni e all’infiltrazione delle cosche nelle feste patronali.monastero2

Vengono poi altri impegni che si collegano direttamente al magistero di papa Francesco. Sul tema dell’immigrazione, «a realizzare luoghi nei quali trovino accoglienza uomini e donne senza nessun pregiudizio di tipo religioso, etnico e sociale, a vivere la misericordia come risposta a ogni tipo di violenza e come accoglienza agli ultimi, ai poveri, agli emarginati e ai migranti». Quello sull’ambiente, «a promuovere e ad affermare i princìpi di una cultura di ecologia integrale, a sentirci parte integrante dell’ambiente perché ogni aggressione a esso venga vissuta come una ferita inferta a ciascuno di noi, a denunciare ogni tipo di connivenza anche istituzionale che favorisce il degrado ambientale agevolando gli affari delle ecomafie». E poi ancora il rapporto con la politica «per non cadere nelle maglie di facili strumentalizzazioni», la promozione di «un’informazione che cerchi sempre la verità e tuteli gli ultimi», la denuncia di «quella finanza che uccide i poveri e crea disuguaglianze sociali su scala planetaria», orientando «le risorse economiche sempre verso il bene comune».

Centrale resta la Misericordia. «Il volto di Caino va rialzato’, dice il cosentino don Tommaso Scicchitano. Ricordando sempre, come sottolinea il friulano don Pierluigi Di Piazza, «che umiltà non è abbassare la testa ma riconoscere i propri limiti: non si abbassa la testa davanti ai soprusi». Pronti ad aprire le braccia al peccatore. Come don Giorgio Pisano, parroco di Portici, che celebra l’Eucaristia nella zona mercatale, «luogo di vita ma anche di profonda ingiustizia e illegalità», dove sta provando a far incontrare le famiglie degli assassini e quelle delle vittime.

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