papa Francesco e il genocidio armeno

“Metz Yeghern”, il “Grande male”

cioè lo sterminio sistematico del popolo armeno avviato il 24 aprile 1915

 

è  carico di risvolti geopolitici, oltre che ecumenici, il viaggio in Armenia che papa Francesco inizia oggi per concluderlo domenica. Il piccolo paese caucasico, infatti, è un crocevia dove, insieme ad antichi contrasti ecclesiologici che divisero la Cristianità nel primo millennio, si contrappongono strategie che coinvolgono la Russia, l’Iran, la Turchia, l’ Azerbaigian e anche gli USA

qui sotto, nei rispettivi link, una breve rassegna stampa:

 

I drammi del Caucaso e il papapapa genocidio1

di Luigi Sandri
in “Trentino” del 24 giugno 2016

È carico di risvolti geopolitici, oltre che ecumenici, il viaggio in Armenia che papa Francesco inizia oggi per concluderlo domenica. Il piccolo paese caucasico, infatti, è un crocevia dove, insieme ad antichi contrasti ecclesiologici che divisero la Cristianità nel primo millennio, si contrappongono strategie che coinvolgono la Russia, l’Iran, la Turchia, l’ Azerbaigian e anche gli USA. Un anno fa il pontefice celebrò solennemente a Roma il centenario di quello che gli armeni chiamano “Metz Yeghern”, il “Grande male”: cioè lo sterminio sistematico del popolo armeno che viveva nell’impero ottomano, avviato il 24 aprile 1915. Furono uccise direttamente, o morirono di stenti mentre venivano deportate nei deserti della Mesopotamia, un milione e mezzo di persone. Alla base di ciò, sostengono gli armeni, vi fu il piano preordinato di compiere un genocidio. Ma sia allora che, poi, nella moderna Turchia, le autorità di Ankara hanno sempre negato questa tesi, ammettendo, sì, che trecentomila armeni furono uccisi, ma precisando che perirono per scontri tra bande in un contesto che vedeva l’impero ottomano in dissoluzione, e che comportò anche quattro milioni di vittime musulmane. Ignorando la tesi turca, Bergoglio un anno fa parlò di “genocidio”, così molto irritando il presidente turco Erdogan. Vedremo, ora, che cosa dirà il papa quando ad Erevan visiterà Tzitzernakaberd, la “collina delle rondini” dove un monumento e un museo commemorano la tragedia di un secolo fa. Ma un altro conflitto incombe: quello del Nagorny Karabach. È, questa, una regione autonoma dell’Azerbaigian, abitata da armeni, da venticinque anni in lotta contro Baku per ottenere l’indipendenza. Il contrasto militare tra le Parti, formalmente, è terminato con l’armistizio del 1994; di fatto però gli scontri continuano. In questa vicenda, la Turchia e gli USA sostengono gli azeri (che sono musulmani), mentre la Russia sta con gli armeni. Ma anche l’Iran islamico difende gli armeni, seppur siano cristiani, perché è in dissidio con gli azeri per questioni di confine. In tale quadro – essendo l’Armenia poverissima e senza risorse energetiche – l’Azerbaigian rifiuta di vendere gas e petrolio al paese nemico, e non vuole che i gasdotti e oleodotti che dal Mar Caspio vanno verso l’Europa passino per l’Armenia. Perciò Mosca e Teheran soccorrono Erevan. Dal punto di vista ecclesiale – a parte un piccolo gruppo di armeni cattolici, che Francesco incontrerà – la popolazione della repubblica caucasica in gran maggioranza appartiene alla Chiesa apostolica armena, che nel 301 formò il primo Stato cristiano della storia; e che dal tempo del Concilio di Calcedonia (451), per divergenze teologiche non è in comunione né con i bizantini né con i latini. Ma, oggi, sono buoni i rapporti tra Roma e Etchmiadzin – la città santa degli armeni, ove risiede il loro “catholicos”, cioè il patriarca Karekin II. In questo complicatissimo intreccio di nodi geopolitici e religiosi irrisolti dovrà muoversi, ora, il papa argentino. 

 

papa genocidio

un viaggio breve – dal 24 al 26 giugno – ma importante per i significati religiosi, ecumenici e geopolitici che riveste, prima tappa di un itinerario che proseguirà a settembre quando Francesco visiterà altri due Paesi del Caucaso
Armenia genocidio1
“Omar Viganò e Valentina Karakhanian: ‘ La Santa Sede e lo sterminio degli armeni nell’Impero Ottomano’. «I documenti vaticani raccontano i continui tentativi da parte dei rappresentanti ecclesiastici di arrestare la strage in atto… la Santa Sede ha percorso tutte le possibili vie per porvi un argine e contenere il furore contro popolazioni inermi”
“Le parole di Francesco sull’uso della parola «genocidio». Il punto interrogativo sulla Dichiarazione congiunta inizialmente prevista e poi cancellata… La presenza di Francesco in preghiera al memoriale del «Grande Male» la mattina di sabato 25 giugno è già densissima di significato Un viaggio dal profondo significato ecumenico”
Armenia genocidio2
“Un paese che ancora vive schiacciato da un passato tremendo… E nel presente… tensioni con la Turchia e… con l’Azerbaigian… Era stata annunciata la firma di una dichiarazione congiunta tra Francesco e Karekin II. Ma… «attualmente» non è più in programma… il Papa, con ciò che accade in Medio Oriente e con il dramma dei rifugiati, non vuole aggiungere benzina sul fuoco”Armenia genocidio



“Non bisogna dimenticare che il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, appartiene anche al criminale”

papa Francesco

anche il criminale ha diritto inviolabile alla vita

di Iacopo Scaramuzzi
in “La Stampa-Vatican Insider” la preoccupazione del papa

«Non bisogna dimenticare che il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, appartiene anche al criminale». Lo afferma papa Francesco nel videomessaggio in spagnolo inviato al «VI Congresso mondiale contro la pena di morte» che si svolge da oggi a giovedì a Oslo (Norvegia)

Per Francesco, la giustizia penale deve essere «aperta alla speranza del reinserimento del colpevole nella società» perché «una pena fine a se stessa, che non dà luogo alla speranza, è una tortura, non una pena». «Saluto gli organizzatori di questo congresso mondiale contro la pena di morte, il gruppo di paesi che lo sostengono, specialmente la Norvegia, paese che lo ospita, e tutti i partecipanti: rappresentanti di governi, delle organizzazioni internazionali e della società civile», afferma Jorge Mario Bergoglio. «Desidero anche esprimere il mio personale apprezzamento, e anche quello degli uomini di buona volontà, per il vostro impegno per un mondo libero dalla pena di morte». «Un segno di speranza è che l’opinione pubblica sta sviluppando una crescente opposizione alla pena di morte, anche quando è usata come mezzo di legittima difesa sociale. Infatti oggi la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il crimine della persona condannata. È un’offesa alla inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo e la società e la sua giustizia misericordiosa. Non rende giustizia alla vittime, ma fomenta la vendetta. Il comandamento “non uccidere” ha un valore assoluto e riguarda tanto gli innocenti che i colpevoli», sottolinea il Papa, che prosegue: «Il Giubileo straordinario della misericordia è un’occasione propizia per promuovere nel mondo forme ogni volta più mature di rispetto della vita e della dignità di ogni persona. Non bisogna dimenticare che il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, appartiene anche al criminale». «Oggi – dice ancora il Pontefice – desidero incoraggiare tutti coloro che lavorano non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche per migliorare le condizioni di reclusione affinché rispettino pienamente la dignità umana delle persone private di libertà. “Fare giustizia” non significa perseguire il castigo fine a se stesso, ma assicurare che la finalità fondamentale delle pene sia la riabilitazione del delinquente. La questione deve essere inquadrata nell’ottica di una giustizia penale che sia aperta alla speranza del reinserimento del colpevole nella società. Non può esserci pena valida senza speranza! Una pena fine a se stessa, che non dà luogo alla speranza, è una tortura, non una pena. Spero – conclude il Papa – che questo congresso possa dare un nuovo impulso all’impegno per l’abolizione della pena capitale. Per questo, incoraggio tutti i partecipanti a continuare con questa grande iniziativa e li assicuro delle mie preghiere». Il VI Congresso mondiale contro la pena di morte è promosso dalla ong francese Ensemble contre la peine de mort e dalla World Coalition Against Death Penalty, di cui fanno parte circa 140 organizzazioni da tutto il mondo. L’incontro avviene ogni tre anni. La prima edizione si è svolta a Strasburgo nel 2001. In base ai dati di Amnesty International 140 paesi hanno abolito la pena di morte, da ultimo, nel 2015, Repubblica Democratica del Congo, le Fiji, il Madagascar e il Suriname. L’anno scorso almeno 1634 persone sono state giustiziate in 25 paesi.




il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica

XIII Domenica Tempo Ordinario Anno C

Ronchi1

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. (…)

Vuoi che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? La reazione di Giacomo e Giovanni al rifiuto dei Samaritani è logica e umana: farla pagare, occhioper occhio.

Gesù si voltò, li rimproverò e si avviò verso un altro villaggio.

Nella concisione di queste parole si staglia la grandezza di Gesù. Uno che difende perfino la libertà di chi non la pensa come lui.

La logica umana dice: i nemici si combattono e si eliminano. Gesù invece vuole eliminare il concetto stesso di nemico. E si avviò verso un altro villaggio.

C’è sempre un nuovo paese, con altri malati da guarire, altri cuori da fasciare, altre case dove annunciare pace. Gesù non cova risentimenti, lui  custodisce sentieri verso il cuore dell’uomo, conosce la beatitudine del salmo: beato l’uomo che ha sentieri nel cuore (Salmo 84,6). E il Vangelo diventa viaggio, via da percorrere, spazio aperto. E invita il nostro cristianesimo a non recriminare sul passato, ma ad iniziare percorsi. Come accade anche ai tre nuovi discepoli che entrano in scena nella seconda parte del Vangelo: le volpi hanno tane, gli uccelli nidi, ma io non ho dove posare il capo. Eppure non era esattamente così. Gesù aveva cento case di amici e amiche felici di accoglierlo a condividere pane e sogni. Con la metafora delle volpi e degli uccelli Gesù traccia il ritratto della sua esistenza minacciata dal potere religioso e politico, sottoposta a rischio, senza sicurezza. Chi vuole vivere tranquillo e in pace nel suo nido sicuro non potrà essere suo discepolo.

Noi siamo abituati a sentire la fede come conforto e sostegno, pane buono che nutre, e gioia. Ma questo Vangelo ci mostra che la fede è anche altro: un progetto da cui si sprigiona la gioiosa fatica di aprire strade nuove, la certezza di appartenere ad un sistema apertoe non chiuso.Il cristiano corre rischio di essere rifiutato e perseguitato, perché, come scriveva Leonardo Sciascia, «accarezza spesso il mondo in contropelo», mai omologato al pensiero dominante. Vive la beatitudine degli oppositori, smonta il presente e vi semina futuro.

Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Una frase durissima che non contesta gli affetti umani, ma che si chiarisce con ciò che segue: Tu va e annunzia il Regno di Dio.Tu fa cose nuove. Se ti fermi all’esistente, al già visto, al già pensato, non vivi in pienezza («Non pensate pensieri già pensati da altri», scriveva padre Vannucci). Noi abbiamo bisogno di freschezza e il Signore ha bisogno di gente viva.

Di gente che, come chi ha posto mano all’aratro, non guardi indietro a sbagli, incoerenze, fallimenti, ma guardi avanti, ai grandi campi del mondo, dove i solchi dell’aratro sono ferite che però si riempiono di vita.

(Letture: 1 Re 19,16.19-21; Salmo 15; Galati 5,1.13-18; Luca 9,51-62).

Ronchi

 




il commento di A. Maggi al vangelo della domenica

PRESE LA FERMA DECISIONE DI METTERSI IN CAMMINO VERSO GERUSALEMME

TI SEGUIRO’ OVUNQUE TU VADA

commento al vangelo della tredicesima domenica del tempo ordinario (26 giugno 2016) di p. Alberto Maggi:

Maggi

Lc 9,51-62

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

I discepoli di Gesù lo accompagnano ma non lo seguono. Cioè, anche se sono vicini fisicamente, sono distanti perché loro proseguono l’idea di un messia vincitore e trionfatore. Nel capitolo 9 del vangelo di Luca, dal versetto 51 c’è un brano importante che purtroppo le traduzioni come minimo inesatte o inadatte, non rendono. Infatti se leggiamo questo vangelo è scritto che
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui elevato sarebbe stato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. E poi lo vedremo, in un villaggio di Samaritani non lo accolgono. Ma perché? Allora cerchiamo di tradurre letteralmente il testo e vedremo che questa incongruenza in realtà non lo è.
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui elevato sarebbe stato in alto, quindi Gesù viene presentato dall’evangelista già nel cammino finale verso la città assassina dei profeti, quella che lo ammazzerà. E qui l’evangelista non dice “egli prese al ferma decisione”, ma letteralmente scrive Indurì il suo volto verso Gerusalemme. Questa è un’espressione che appare anche nell’Antico Testamento che significa andare contro qualcuno.
Ad esempio nel libro del profeta Geremia, al capitolo 21, versetto 10, si legge: Volgo la mia faccia contro questa città per farle del male. E’ il Signore che parla. Oppure nel libro di Ezechiele al capitolo 21 versetto 7, il Signore dice: “Figlio dell’uomo, volgi la faccia verso Gerusalemme e parla contro i suoi santuari!”
Allora questa espressione che l’evangelista adopera: “indurì il suo volto verso Gerusalemme”, significa che Gesù va contro Gerusalemme, va per contestare questa città che pretendeva rappresentare Dio in realtà era l’assassina di tutti i profeti inviati da Dio.
Ma i discepoli non lo capiscono. Gesù manda dei messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani… sappiamo la rivalità e l’inimicizia che c’era tra Samaritani e Giudei, si detestavano, era un’inimicizia secolare. Per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Ma non dicono come era Gesù verso Gerusalemme, dicono che Gesù andava a Gerusalemme, ma i Samaritani pensano che, essendo ritenuto questo Gesù il messia, vada a Gerusalemme per prendere il potere e per poi sottomettere i popoli pagani e sottomettere anche i Samaritani.
Ecco perché non lo vogliono ricevere. Sono stati i discepoli che non hanno capito l’intenzione di Gesù. E che non lo comprendano si vede dalla reazione di due discepoli, i più fanatici, Giacomo e Giovanni, che Marco nel suo vangelo chiama “i figli del tuono” per il loro carattere autoritario, e chiedono: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?” Il riferimento al profeta Elia che in un episodio localizzato proprio nella Samaria, brucia cinquanta alla volta degli emissari, dei soldati, che erano andati da lui.
Quindi credono che Gesù sia una sorta di Elia, un uomo che, con la violenza, faccia rispettare la legge di Dio, la volontà di Dio. Ma Gesù si voltò e li rimproverò esattamente come fa con i demoni.
E si misero in cammino verso un altro villaggio, sempre in Samaria. Quindi l’incomprensione, l’ostilità dei Samaritani è dovuta all’incomprensione da parte dei discepoli. E sempre in Samaria ci sono tre individui – uno di questi è invitato direttamente da Gesù – che chiedono di seguirlo. Il numero tre non vuole  essere numerico e indica la totalità, la completezza. Allora sono regole per la sequela di Gesù, valide per tutti. Un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù mette delle condizioni, gli fa capire: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi”. Volpi e uccelli sono gli animali più insignificanti che esistano,  “Ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
Quindi Gesù dice: “Attento! Mi vuoi seguire? Ma non pensare a onore, carriera o successo. Ma, peggio degli animali più inutili e insignificanti, io non ho neanche una casa, non ho nulla dove posare il capo. In mezzo invece l’evangelista presenta l’individuo che Gesù invita alla sua sequela. 
A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Può sembrare disumana questa risposta di Gesù “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”.  Non è una risposta disumana quella di Gesù. Il padre rappresenta il passato. Allora seppellire il padre significa tenere ancora in grande onore, in grande onore, in grande rispetto il passato.
Gesù no, Gesù chiede una rottura radicale con il passato. Il vino nuovo non può essere messo dentro gli otri vecchi, quindi “Lascia che la gente che vive nel passato – i morti – seppellisca i suoi morti. Tu va e annuncia la novità”.
E infine il terzo. “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Nella Bibbia c’era l’episodio conosciuto di Elia che consentì a Eliseo che consentì a Eliseo di andare a congedarsi dai propri familiari. Gesù invece no.
L’urgenza del regno di Dio non permette nostalgie per il passato, ma bisogna distaccarsene radicalmente. E Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”.
Questa frase di Gesù non significa avere un rapporto distaccato o disumano con la propria famiglia, nulla di tutto questo, ma che l’urgenza di annunziare la buona notizia, il regno di Dio, è talmente importante che non si può avere nessuna nostalgia per quello che appare soltanto come il passato.

 




il culmine per l’ ‘anno della misericordia’ – quattro anni di carcere per esercitare la misericordia

migranti-immigrati

Il crimine del samaritano

Accoglienza

Identificati mentre distribuivano generi di prima necessità ai profughi

Rischiano quattro anni di carcere

Luigi Manconi

il manifesto

Alcuni volontari dell’associazione “Ospiti in arrivo” stavano distribuendo coperte e generi di prima necessità a profughi accampati nelle strade di Udine quando sono arrivate le forze di polizia per identificarli.
Per tre di loro – la presidente e la vice presidente dell’associazione e un interprete – è arrivato successivamente un avviso di garanzia e la loro iscrizione nel registro degli indagati relativamente al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

La notizia è di qualche giorno fa ma, a quanto si sa, la Procura di Udine già dal 2013 indagava a proposito dell’aumento del numero dei profughi in città, e della pressione esercitata verso la frontiera di Tarvisio (porta italiana della rotta balcanica dei migranti).

La causa immaginata dalla Procura udinese, a quanto pare, starebbe proprio nell’aiuto, e di conseguenza nell’incentivo, offerto dall’associazione “Ospiti in arrivo” ai richiedenti asilo.
Forte di questa brillante analisi geo-strategica, la Procura rivolge ai volontari l’accusa di aver fornito «indicazioni precise su come muoversi in Italia, in particolare per quanto concerne la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato politico». Accanto a questa, la responsabilità di aver «invaso terreni e edifici privati»: si tratterebbe di strutture e aree abbandonate in cui i profughi si sono sistemati in qualche modo e in cui i volontari si recavano per portare aiuto e mezzi di sussistenza.

Infine, sempre secondo gli atti della Procura, il «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina» sarebbe avvenuto «a scopo di lucro». Dove per lucro qui si intende la richiesta di accreditamento nell’elenco delle associazioni destinatarie dei fondi del 5 per mille avanzata dalla stessa associazione “Ospiti in arrivo”. Richiesta che in Italia hanno presentato decine di migliaia di associazioni e, nella sola città di Udine oltre 200.
Per questa finalità, insomma, gli attivisti avrebbero «fornito il proprio numero di cellulare a svariati soggetti al fine di assicurarne la diffusione in capo ai clandestini che arrivavano a Udine o provincia, così venendo da loro contattati al fine di poterne poi organizzare il ricovero presso strutture o altro accogliendo e accompagnando circa trenta clandestini afghani presso la Caritas di via Treppo il 29 dicembre». Per questo reato, i volontari dell’associazione, ora potrebbero rischiare fino a 4 anni di carcere.

Di fronte a quel saggio di letteratura burocratica, così maldestramente assemblata, che vorrebbe motivare un pesante provvedimento giudiziario, qualsiasi persona sennata direbbe, come in una scena di teatro da camera: «trasecolo, signora mia». E, invece, non sono molti a trasecolare davanti a quello che appare come un tentativo di sanzionare penalmente ciò che rappresenta un doveroso obbligo che l’articolo 10 della Costituzione prevede e tutela. Tanto più che la Questura di Udine è tra le più lente d’Italia nell’espletare le procedure per la domanda di protezione umanitaria.

Vedremo quale sarà la decisione del Gip, ma intanto sulla piattaforma Change.org è stato lanciato un appello, a prima firma Loris De Filippo, presidente di Medici senza Frontiere, che in poche ore ha raccolto 5 mila sottoscrizioni.
Ma la domanda che questa vicenda pone è un’altra: cos’è diventato oggi il nostro paese? Come è mai possibile che l’atto antico e semplice del samaritano sia considerato nulla di diverso da un crimine? E che la sacrosanta attività di pronto soccorso e il tendere la mano per prestare aiuto possano essere scambiati per una fattispecie penale?




una marcia contro la rassegnazione

la PerugiAssisi del 9 ottobre

contro la rassegnazione e l’indifferenza

marcia

giovedì 23 giugno Conferenza Stampa di presentazione della Marcia Perugia-Assisi della pace della fraternità contro la rassegnazione e l’indifferenza che circondano le tragedie dei nostri giorni: guerre, migrazioni, terrorismo e violenza

 

 Giovedì 23 giugno 2016 

Conferenza stampa  di presentazione della   Marcia Perugia-Assisi   della pace e della   fraternità

Roma, FNSI, Corso Vittorio Emanuele II, 349

Ore 11.30

 

 

“Possiamo fare a meno dell’Europa”. “Dobbiamo impedire a chi cerca rifugio nel nostro continente di arrivare da noi”. “La solidarietà è un lusso che non ci possiamo più permettere!”. “La guerra è inevitabile”

 

Contro queste idee e politiche che alimentano le paure, accentuano le divisioni, avvelenano i rapporti e allontanano le soluzioni domenica 9 ottobre 2016 si svolgerà una nuova Marcia Perugia-Assisi. Sarà la Marcia della pace e della fraternità contro la rassegnazione e l’indifferenza che circondano le molte tragedie dei nostri giorni: dalle guerre alle migrazioni, dal terrorismo alle stragi e alle violenze che si susseguono.

 

Per illustrare le ragioni e gli obiettivi della Marcia Perugia-Assisi, giovedì 23 giugno, alle ore 11.30, si terrà una Conferenza stampa a Roma presso la FNSI (Corso Vittorio Emanuele II, n. 349)

 

Alla Conferenza stampa interverranno tra gli altri: Flavio Lotti, Tavola della pace; Sergio Bassoli, Rete della Pace; Don Luigi Ciotti, Libera; Alex Zanotelli, Missionario; p. Enzo Fortunato e p. Egidio Canil, Sacro Convento di San Francesco d’Assisi; Giuseppe Giulietti, Presidente FNSI; Andrea Ferrari, Presidente Coordinamento Nazionale Enti Locali per la pace e i diritti umani; Franco Uda, ARCI; Fausto Durante, CGIL, Barbara Scaramucci, Articolo 21; Vittorio Cogliati Dezza, Legambiente, Maurizio Simoncelli, Archivio Disarmo; Guido Barbera, CIPSI, Graziano Zoni, Emmaus Italia, Piero Piraccini, Tavola della pace, Emanuele Giordana, Afgana,…

 

Perugia, 20 giugno 2016

 

Tavola della pace

Ufficio Stampa: Amelia Rossi

Cell. 3351401733 – stampa@perlapace.it

www.perlapace.itwww.perugiassisi.org

Rete della Pace

Ufficio Stampa Tel. 068476327

segreteria@retedellapace

www.retedellapace.it




i rom scrivono al nuovo sindaco di Roma

 

LETTERA APERTA A VIRGINIA RAGGI SINDACO DI ROMA CAPITAL

‘nazione rom’

Sindaco Virgina Raggi, chiediamo il rispetto della legalità: unitamente a questa lettera le inviamo “la bozza di delibera”. Chiediamo alla sua autorità di varare il Tavolo RSC, un organismo di governo democratico e con regole chiare e trasparenti per tutti. Il denaro pubblico stanziato dall’UE all’Italia (32 miliardi di euro per il periodo 2014 – 2020 di cui il 20% destinato al sociale) deve essere speso nel modo giusto, corretto e secondo quanto scritto nei programmi finanziati . Il resto è ancora Mafia Capitale

Virginia Raggi Sindaco di Roma Capitale
https://www.youtube.com/watch?v=B2wvN1ZXk2M

Gentile Virginia Raggi,

 

vogliamo farle i nostri complimenti per la vittoria elettorale a Sindaco di Roma Capitale, più che una vittoria un vero e proprio plebiscito. Appena eletta dai cittadini lei ha dichiarato “si apre una nuova era, sarò il sindaco di tutti”.
 
Da oggi lei assume la responsabilità di amministrare la città nel rispetto di leggi e regole. Vogliamo condividere con lei e con l’intero nuovo Consiglio Comunale un cammino da fare insieme, passo dopo passo. E’ ora di lavorare per ricostruire Roma.
 
Negli ultimi anni la città è caduta nelle mani della mafia che ha fatto affari sopra la pelle di tutti i cittadini, soprattutto sopra la pelle e la vita dei più poveri, degli esclusi, degli emarginati. Da anni chiediamo a Roma Capitale di rispettare le regole e gli accordi quadro strutturali di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti (RSC).
 
 
Roma Capitale – Campidoglio
 
 
Da quegli accordi è stata varata una Strategia Nazionale con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali UNAR (Presidenza del Consiglio dei Ministri) punto di contatto nazionale. Questa strategia prevede precisi schemi di governance. In pratica a Roma Capitale e nelle città di Napoli, Milano, Torino, Venezia dovevano nascere dei Tavoli di Inclusione composti dai rappresentanti delle amministrazioni e dai rappresentanti RSC. Questi organismi istituzionali avrebbero dovuto decidere le politiche di inclusione su casa, lavoro, scuola e sanità permettendo il superamento dei campi e la piena inclusione sociale. Avrebbero dovuto, perchè, a distanza di quattro anni, questi tavoli non sono mai nati.
 
 
schema di governance della strategia nazionale di inclusione
dei Rom, Sinti e Caminanti – Unar
 
 
Ci ha provato la precedente giunta del Sindaco Ignazio Marino: per mesi, dopo lo scandalo di Mafia Capitale, l’Assessorato al Sociale di Francesca Danese ha lavorato con i nostri delegati per approntare la delibera che avrebbe istituito il tavolo. Il Partito Democratico non ha permesso a quella giunta di votare la sua istituzione, hanno però votato la decadenza del Sindaco eletto dai cittadini.
 
Subito dopo è stato chiesto al Commissario Prefettizio Francesco Paolo Tronca di approvare questo documento urgente. Nessuna risposta è giunta alla nostra richiesta. Nei mesi successivi Roma Capitale ha messo al bando la somma di 8,5 milioni di euro per riperpretare il sistema dei campi. Abbiamo formalmente diffidato il Commissario a proseguire preannunciando azioni legali presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione e presso la Commissione Europea.
 
 
legittima rappresentanza dei Rom, Sinti e Caminanti
 
 
Sindaco Virgina Raggi, chiediamo il rispetto della legalità: unitamente a questa lettera le inviamo “la bozza di delibera”. Chiediamo alla sua autorità di varare il Tavolo RSC, un organismo di governo democratico e con regole chiare e trasparenti per tutti. Il denaro pubblico stanziato dall’UE all’Italia (32 miliardi di euro per il periodo 2014 – 2020 di cui il 20% destinato al sociale) deve essere speso nel modo giusto, corretto e secondo quanto scritto nei programmi finanziati . Il resto è ancora Mafia Capitale.



il documento papale ‘laudato sì’ compie un anno

a un anno da “Laudato sì”

la preoccupazione del papa

di Grazia Francescato
in “l’Huffington Post”

una vera e propria ‘visione del mondo’. Si tratta di una lettura complessiva della realtà di quest’inizio millennio, un’analisi puntuale e profonda dell’intreccio tra crisi ambientale, sociale ed economica nonché un’indicazione precisa e meditata delle possibili vie d’uscita

Buon compleanno, Laudato Si’! Esattamente un anno fa, il 18 giugno 2015, l’enciclica ‘verde’ di papa Francesco veniva presentata al mondo e accolta con favore diffuso e trasversale (ma anche fatta segno di dure critiche, basti pensare agli ambienti conservatori Usa).

Nel primo anniversario, la Chiesa celebra l’evento con una grande conferenza che avrà luogo a Roma il 20 giugno, organizzata dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace e intitolata “Sulla cura della casa comune nell’anno della Misericordia”. A tenere le redini sarà il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio, lo stesso che ha tenuto a battesimo l’enciclica in Vaticano dodici mesi fa.

Anche lo schema del convegno riprende con convinzione il ‘format’ già collaudato il 18 giugno 2015: molta attenzione alla dimensione internazionale, in particolare al dopo Cop 21 di Parigi, con Christiana Figueres, Segretario Esecutivo dell’United Nations Framework Convention on Climate Change; forte ruolo della scienza, rappresentata qui da Maria Cristina De Sanctis, ricercatrice presso l’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziale dell’ INAF; reiterato accento sul dialogo tra le religioni e sulla ‘alleanza’ con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I (un vero antesignano del verbo ecologista nel mondo cristiano) che ha inviato a rappresentarlo l’Archimandrita Athenagoras Fasiolo; sguardo attento alla ‘gente comune’ e alla vita vissuta, in questo caso quella dello studente Francesco Laureti,del liceo classico D’Annunzio di Pescara.Moderatore: Don Walter Insero, rettore della Chiesa degli Artisti a Roma. Un mix sapientemente dosato per riaffermare ancora una volta che la Laudato Si’ non è soltanto un’enciclica ‘verde’, come è stata frettolosamente liquidata da vari media, ma una vera e propria ‘visione del mondo’. Si tratta di una lettura complessiva della realtà di quest’inizio millennio, un’analisi puntuale e profonda dell’intreccio tra crisi ambientale, sociale ed economica nonché un’indicazione precisa e meditata delle possibili vie d’uscita. Arricchita da una dimensione etica e spirituale che costituisce l’autentica ‘anima’ dell’enciclica e la distingue in maniera netta da migliaia di pur autorevoli e interessanti contributi di scienziati,ambientalisti, esperti della questione ecologica e dalla pletora di documenti ,dichiarazioni e pronunciamenti ai vari livelli istituzionali. Quest’approccio del papa è la chiave del successo planetario della Laudato Si’ e, secondo non pochi commentatori, fa dal papa l’unico vero leader oggi presente sullo scenario mondiale. Se il verbo ‘to lead’, infatti, significa ‘guidare verso’, è indubbio che l’unico in grado di proporre una visione del mondo verso cui condurre l’umanità ,di indicare una stella polare che illumini il tormentato cammino degli esseri umani,sia appunto Francesco. Poi si può essere d’accordo o meno con il sui ”progetto per la polis’ (intesa come comunità dei viventi),ma sicuramente è un punto da cui partire, un riferimento di cui si sentiva il bisogno. Folgorati dall’alto respiro di Bergoglio non sono stati solo gli ambientalisti (che ritrovano ovviamente nel documento papale concetti cardine della cultura ecologista, come la ‘conversione ecologica’ lanciata già nei primi anni novanta dal leader ambientalista Alex Langer). Anche ambienti in teoria refrattari come certe enclaves della sinistra hanno trovato nella Laudato Sì un tema su cui riflettere; non si contano i dibattiti e gli incontri organizzati ad hoc (tra i tanti, ricordo quello promosso dall’Archivio Pietro Ingrao alla Camera il 20 aprile scorso alla presenza di Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze e di vari esponenti della sinistra storica). Popolarità trasversale della Laudato Sì che posso testimoniare anche per esperienza personale: almeno il cinquanta per cento degli inviti che ho ricevuto quest’anno da parte di associazioni culturali, movimenti,partiti,sindacati, istituzioni per tenere conferenze e lectures riguardava la
Laudato Si’. E dopo aver pubblicato un mio commento sulle analogie tra il pensiero ambientalista e l’enciclica in un libro “Laudato Si’- Un aiuto alla lettura”, appena uscito per la LEV (Libreria Editrice Vaticana), la percentuale si é ulteriormente impennata. Ma convegni e dibattiti non bastano: nelle dichiarate intenzioni di Bergoglio,che saranno sicuramente riaffermate in quest’anniversario dal Cardinale Turkson, vero e proprio ‘padre’ della Laudato Si’, il documento non è stato redatto per restare a dormire in un cassetto o raggelarsi nell’iperuranio delle teorie,ma per essere tradotto in pratica e diventare strategia operativa nella Chiesa e nella società. Un esempio tra i tanti: a fine aprile scorso i vescovi dello Zambia hanno organizzato a Lusaka una grande conferenza sulla Laudato Si’, dal significativo titolo “Care of our common home in the context of large scale investments – Mining and Agricolture”, indirizzata quindi a due settori,attività minerarie ed agricoltura,in cui si riversano in Africa grossi investimenti delle grandi compagnie,con impatti spesso negativi sull’ambiente e sulle comunità coinvolte. Il documento finale, frutto di un confronto serrato con i dirigenti delle compagnie minerarie,con le autorità dello Zambia e con la società civile,non lascia dubbi fin dall’esordio, che riporta una frase della Laudato Si’ quantomai esplicita: “È imperativo promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività del business. Occorre promuovere i sistemi produttivi alimentari di piccole dimensioni che nutrono la stragrande maggioranza dell’umanità, usando una limitata estensione di terra e producendo minor spreco”. Per essere ancora più chiaro, l’appello dei vescovi esprime forte solidarietà ai poveri,su cui pesano gli effetti nefasti dell’attuale modello di sviluppo e lancia una sfida al settore minerario “affinché inizi a praticare un’attività estrattiva responsabile, che prenda in considerazione le esigenze dell’ambiente e delle comunità coinvolte”. E rivolge identica sfida alle grandi compagnie del settore agricolo indicando nella promozione dell’agricoltura biologica e sostenibile la rotta da seguire nello Zambia e nel continente africano. Ma la Laudato Si’ sta ispirando,oltre che una quota delle alte gerarchie, anche molti movimenti di base della Chiesa: per esempio, la Repam (rete ecclesiastica amazzonica attiva in nove paesi che coinvolge diocesi e realtà locali impegnate nella difesa della foresta e della biodiversità) ha fatto dell’enciclica la sua bandiera nella battaglia per tutelare le etnie indigene e gli attivisti che si oppongono al taglio del legname e ad un’attività estrattiva priva di scrupoli.Tutela quanto mai urgente,visto l’incremento allarmante degli indigeni assassinati nel disperato tentativo di strappare la loro terra ancestrale dalle grinfie delle multinazionali (un caso per tutti: 138 indigeni uccisi nel 2014 soltanto in Brasile,secondo i dati del Consiglio indigenista missionario). Certo, la strada è ancora tutta in salita: che la visione di Francesco si sintonizzi profondamente con la ‘cosmovisione’ dei popoli indigeni e delle comunità rurali in tante parti della terra è un dato certo (basti pensare al rispetto per la Pacha Mama, Madre Terra) ma ovviamente non basta. I meccanismi della globalizzazione sono spietati: “Sto lavorando sul settore agrario e vedo un’agricoltura campesina ed indigena completamente abbandonata. Sto visitando l’Amazzonia in vari paesi e sono rimasto impressionato dalla sua distruzione sistematica e dalle conseguenze che ciò comporta” lamenta Padre François Houtart, sociologo novantunenne che vive a Quito e che è una delle voci più lucide di denuncia ed analisi della ‘crisi multidimensionale’ del mondo odierno. ” E’ un bene che l’enciclica di Francesco parli di questi temi, ma non so quanti l’abbiamo veramente letta”. E messa in pratica,poi……. Ce n’est qu’un debut, insomma…per rispolverare il vecchio slogan sessantottino.E ‘le combat’ si annuncia durissimo. Ma, sempre per citare l’enciclica : “Che le nostre lotte e le nostre preoccupazioni per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza”. Amen.




a due mesi dall’ ‘amoris laetitia’

un limpido cammino

papa-astalli

di Luciano Moia
in “Avvenire”

senza prima accogliere nell’abbraccio della fraternità non si può accompagnare, né aiutare il discernimento e neppure integrare, chi lo desidera, nel cammino della Chiesa. Ecco, questa è l’interpretazione di Amoris laetitia offerta dal Vescovo di Roma alla sua diocesi. (Il papa) ribadisce punto per punto l’esegesi che porta ad apprezzarne la portata evangelicamente rivoluzionaria, segna una traccia interpretativa luminosa e chiara. Che non si può eludere

Documento importante? ‘Sì, ma non è un’enciclica’. Inaugura una nuova stagione pastorale? ‘Sì, ma tutto sommato inciderà relativamente, perché non cambia di una virgola la dottrina’. Prepara un diverso atteggiamento verso le situazioni di fragilità familiare? ‘Sì, ma l’unica apertura davvero significativa è finita in una nota, quindi neppure lui ci crede davvero’. Sono passati poco più di due mesi dalla diffusione di Amoris laetitia e, accanto all’accoglienza consapevole dell’insegnamento e della direzione dati dall’Esortazione apostolica, continuano a fluire – dentro e fuori la Chiesa – anche alcuni tentativi di minimizzarne la portata. Per certi versi favoriti dalla scelta del Papa di non imprimere al documento alcuna assertività normativa ma di privilegiare toni discorsivi, dialoganti, in molti punti colloquiali. Così, al di là delle critiche esplicite di qualche osservatore affetto da congenita avversione alle ‘novità’, da parte di diversi addetti ai lavori è stato possibile interpretare molti passaggi del testo come ipotesi non vincolanti o comunque come ‘valutazioni aperte’ che poi a livello di Chiesa locale avrebbero potuto essere modellate secondo opportunità e sensibilità. Chi fin dall’inizio ha invece letto in Amoris laetitia una straordinaria possibilità di parlare alle famiglie del nostro tempo con un linguaggio nuovo e con uno sguardo di maggiore vicinanza, sottolineando allo stesso tempo l’impegno nella promozione dei percorsi di discernimento personali e pastorali – secondo la lezione del Vaticano II –, ha messo in luce la bellezza di una sfida illuminata da uno sguardo evangelico sorridente, concreto e inclusivo. Ha colto nel testo lo sforzo di sollecitare un nuovo clima pastorale, grazie a scelte di integrazione e di accoglienza. Ha fatto notare che la dottrina di Familiaris consortio – che per oltre trent’anni è stata la ‘magna charta’ della famiglia – non viene intaccata, ma semmai completata e integrata, in quella logica di continuità che da sempre identifica il coerente fluire del magistero. Per riassumere questa complessità di stimoli e di indicazioni, è stata più volte proposta una sintesi concentrata in tre parole: accompagnamento, discernimento, integrazione. Momenti che riguardano tutte le famiglie, è vero, ma che per le situazioni di fragilità e di marginalità si traducono in un messaggio di inedita efficacia: «La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno, di effondere la misericordia a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero» ( Al, 296 e 297). Ma questa interpretazione era davvero rispettosa dello spirito sinodale e, soprattutto, del pensiero di colui che ha poi ripreso e sviluppato le indicazioni delle due assemblee episcopali sulla famiglia? In realtà, il Papa non era più tornato in modo specifico sull’argomento. Giovedì sera però, inaugurando il convegno diocesano di Roma organizzato proprio sulla ricezione pastorale di Amoris laetitia, ha avuto modo di riflettere in modo approfondito sulla ‘sua’ Esortazione e di chiarire implicitamente tanti dei dubbi che aleggiavano sulla corretta lettura del testo. Parlando come Vescovo di Roma, Francesco ha detto che le famiglie vanno accolte nella loro situazione reale, senza idealizzazioni e senza selezioni etiche, che non può esistere una pastorale elitaria che si fonda sulla presunzione dell’appartenenza – per esempio a questa associazione o a quel movimento, ma neppure a quella diocesi che sembra così ben strutturata –, che né lassismo né rigorismo sono giustificabili nella logica del Vangelo, quando ci si trova di fronte a volti di famiglie segnate dalla fatica e dalla precarietà. Ma, soprattutto, ha fatto ricorso alle tre paroline – accompagnamento, discernimento, integrazione – che sono in qualche modo la cornice di quel poliedro in cui Amoris laetitia inserisce l’azione della misericordia, realismo dell’amore di Dio. Anzi, il Papa ha aggiunto un quarto termine, accoglienza, che è premessa e valorizzazione degli altri tre momenti. Senza prima accogliere nell’abbraccio della fraternità non si può accompagnare, né aiutare il discernimento e neppure integrare, chi lo desidera, nel cammino della Chiesa.

Ecco,  questa è l’interpretazione di Amoris laetitia offerta dal Vescovo di Roma alla sua diocesi. Lontana, anzi antitetica, rispetto alle posizioni di chi ha tentato di ridurre la portata dell’Esortazione, di criticarla, di derubricarla a raccolta di buoni di propositi.

D’altra parte un Papa che organizza due sinodi e due consultazioni mondiali, che scrive un ricchissimo documento post-sinodale e che al suo primo discorso pubblico dopo l’uscita del testo, ribadisce punto per punto l’esegesi che porta ad apprezzarne la portata evangelicamente rivoluzionaria, segna una traccia interpretativa luminosa e chiara. Che non si può eludere.




un mondo pacifico si può costruire

Sharing society

 

antidoto alla violenza

la sharing economy deve poter diventare sharing society

l’economia della condivisione deve inverarsi in una società della condivisione

di Nunzio Galantino
in “Il Sole 24 Ore” del 18 giugno 2016

guardare negli occhi il nemico, toccarlo, parlarci è audacia, provarci è rottura di uno schema che porta insospettabili risultatiGalantino

Violenza provocata, violenza subìta. Violenza che ti sorprende mentre sei in casa o che provoca distruzione mentre si sta cercando faticosamente di guadagnare per sé e per gli altri il diritto di vivere la propria condizione. Ma… siamo inesorabilmente condannati alla contrapposizione violenta? Nei giorni passati mi è parso che la risposta fosse purtroppo già scritta e avesse il colore del sangue sparso nelle diverse parti del mondo. Eppure sono possibili risposte diverse, perché vi sono storie diverse. Ugualmente vere. Faticosamente, ma positivamente vere.

Ne scrivo perché le ho incontrate in questi giorni. «Ci avete già rubato la terra e ora mi vuoi rubare anche la forchetta?!». È iniziato così il rapporto tra Kamelia, giovane palestinese, e Elad, giovane israeliano, incontratisi per la prima volta a Rondine, Cittadella della Pace nei pressi di Arezzo. Lei era scesa un’ora prima alla stazione di Arezzo dove lui, arrivato il giorno prima, l’aspettava per accoglierla e accompagnarla appunto a Rondine. Senza ancora stringergli la mano – all’età di 24 anni avrebbe toccato per la prima volta un israeliano senza divisa militare – lei era salita sull’auto da lui guidata per una decina di chilometri. Compiva così il primo atto di fiducia, conseguente a quella scelta di entrare a far parte del percorso di formazione di due anni che, a Rondine, porta al rovesciamento dell’inimicizia in amicizia. Un incontro che subito graffia: guardare negli occhi il nemico, toccarlo, parlarci è audacia. Provarci è rottura di uno schema che porta insospettabili risultati. Sono risultati che qui, a Rondine, crescono sotto gli occhi stupiti degli stessi protagonisti. «Quando ti vidi per la prima volta non ti detti la mano, quando ci salutammo per l’ultima ho scelto di abbracciarti», dice Elmira, ex studentessa azerbajana, a Sevak, ex studente armeno. E, avendo parlato fino a un attimo prima del sangue che ancora si versa in Nagorno Karabakh, aggiunge con un bagliore stupito: «Come è stato possibile tutto questo?». Raccolgo con attenzione questi frammenti di dialogo, che aprono squarci nella riflessione, possibilità fino a ieri insperate e che, quindi, danno ali all’impegno e leniscono un po’ la sofferenza per le vittime di questi giorni e per quelle senza numero di cristiani ancora perseguitati. Se fossero due o quattro i giovani che attestano la disponibilità di Kamelia ed Elad, di Elmira e Sevak, si potrebbe pensare a un caso; invece, incontrando in tre giorni di Festival Internazionale (Youtopic fest) i 30 studenti presenti nello Studentato internazionale e alcune decine dei 170 ex studenti ritornati dai 25 Paesi del mondo, susseguitisi qui per 18 anni, sorge il dubbio contrario. Si giunge, infatti, a pensare che in questa realtà toscana avvenga davvero qualcosa al fondo dell’umano, che possa interessare non solo i protagonisti di tragici conflitti internazionali, ma anche noi, protagonisti spesso distratti e annoiati, spaesati e impauriti, delle nostre società europee. Le politiche che in esse si fanno facendo rischiano sempre più di farci soffocare pigramente nel mediocre paesaggio delle piccole domande, dove il banale finisce per essere il piccolo mascherato da grande. L’unico modo per sfuggire a questo pericolo consiste nel vigilare perché la banalità non prenda il sopravvento sull’autenticità e sul vero e perché la cultura avvelenata del nemico non l’abbia vinta. È incontrovertibile, del resto, che i sentimenti di inimicizia crescono e dilagano in alcuni luoghi del pianeta, attraversando il corpo sociale dell’intera famiglia umana, suscitati e attizzati da potenti trasformazioni. A loro volta, diffidenza e paura generano regressioni difensive che, strutturandosi anche in processi economici e proposte politiche, rallentano il progresso morale e civile, rievocando pericolosi fantasmi. Tra questi, uno appunto è sempre pronto a materializzarsi: il nemico. Il nemico trova sempre categorie umane da vestire con i suoi panni e genera una irresistibile e mostruosa forza attrattiva. La fabbrica del nemico è sempre produttiva: la cronaca, anche quella della settimana che si chiude, stenta perfino a darne conto. Perché… che si può scrivere di nuovo davanti alla follia omicida che spazza via la vita di 49 persone? Da Orlando a Parigi – ripiombata nell’incubo del terrorismo con l’assassinio di due pubblici ufficiali – a Londra, dove è stata barbaramente uccisa una giovane deputata laburista da uno squilibrato pro-Brexit; sul fronte siriano e iracheno, poi,  l’orrore sembra costretto ad arretrare, ma per esplodere in un Occidente ritenuto il principale nemico da abbattere. Sono situazioni che non possono essere affrontate semplicemente con parole di circostanza; portano, piuttosto, a chiedersi cosa stia succedendo nel nostro mondo. Compreso in quello che vorremmo fosse soltanto un mondo sportivo: non basta certo la vittoria della nostra Nazionale sul Belgio, nel quadro degli Europei in Francia, a farci dimenticare le vergognose violenze di questi giorni tra diverse tifoserie, anche qui all’insegna della logica del nemico, quasi che il calcio funzionasse semplicemente da detonatore, valvola di sfogo di disagi sociali, economici, culturali. A Rondine si insegna e si pratica l’opposto; ci si allena a vedere gli altri con uno sguardo nuovo, a creare linguaggi che possano rappresentare un ponte, contribuendo all’accoglienza e all’abbattimento di muri, ostacoli, sospetti e diffidenze. È partendo da esperienze come questa che si mette in piedi un sistema di smontaggio del nemico, di dissoluzione di questa categoria, svelando concretamente come esso sia frutto di una relazione malata, mentre proprio la cura della relazione – di ogni relazione – sia ciò che permette di giungere a guarigione. A Rondine la speranza ha il volto dei 27 studenti – splendidi ragazzi che mi hanno davvero commosso – che hanno concluso l’innovativo progetto di Quarto anno liceale d’eccellenza, provenienti da altrettante scuole e città di tutte le regioni italiane: sono testimoni su scala italiana della possibilità di educare a essere contemporaneamente unici e uniti, differenti e coesi, superando tutti i precursori del “nemico”: pregiudizio, isolamento, sfiducia, perdita di senso. Abbiamo bisogno di riscoprire la forza di una inedita reciprocità tra nemici, una Gegenseitigkeit, come dicono i tedeschi, che letteralmente descrive come due persone acquisiscono ciascuna qualcosa dell’altro, nell’incontro. Proprio attorno alla dinamica dell’incontro – come continua a ricordarci papa Francesco – occorre puntare incessantemente l’attenzione, per riscoprirne il dinamismo spirituale, culturale e sociale, crescere nella verità della relazione, imparare a smantellare difese inutili e autodistruttive, generare saggezza. Ne va della stessa nostra possibilità di restare umani. Del resto, più volte su queste pagine autorevoli studiosi hanno usato la parola fiducia per denunciarne la mancanza e diagnosticare che taluni processi sociali ed economici non potranno mai essere o tornare positivi senza di essa. Anche laddove i numeri e la dimensione più materiale dell’umano formano le coordinate fondamentali, senza “prodotti” immateriali come la fiducia essi non possono di fatto accadere. Per usare un adagio ricordato da Lamberto Zannier, segretario generale Osce, anch’egli presente a Rondine, «si può portare il cammello alla fonte, ma se non vuol bere…». Così, comprendiamo sempre meglio che la sharing economy deve poter diventare sharing society; che l’economia della condivisione deve inverarsi in una società della condivisione, ma questo non avverrà spontaneamente. Dovremo educarci ed educare a tutto questo e dovremo farlo presto, prima che sia troppo tardi. Vi sembra troppo? Forse, ma in tempo di tempeste oceaniche ci deve pur essere qualcuno che si fa carico di indicare la rotta; qualcuno che si faccia testimonianza e provocazione per la politica, a ogni livello, come per quella cultura che crede di risolvere tutto affidandosi a criteri di efficienza e di snellimento burocratico o riducendo impropriamente la rappresentanza, per consegnare il governo a poche persone se non a una sola.

l’autore è Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana