la monaca femminista a favore dei matrimoni gay

Teresa, la suora femminista che dice sì alle unioni civili

LA TEOLOGIA QUEER DI MADRE FORCADES, MONACA BENEDETTINA DI CLAUSURA IN UN MONASTERO DI BARCELLONA

di Fabrizio d’EspositoForcades1

La vita non è mai un percorso lineare. Parola di Suor Teresa che di cognome fa Forcades è ed una cinquantenne teologa di Barcellona. Suor Teresa è una monaca benedettina di clausura e incarna l’ultima, bella e originale frontiera di una teologia aperta e contemporanea agli antipodi del clericalismo di destra in guerra contro le unioni civili italiane e la decisione di papa Bergoglio sulle donne diacono

Da noi, l’editore Castelvecchi manderà in libreria nel prossimo settembre Siamo tutti diversi a cura di Cristina Guarnieri e Roberta Trucco, dedicato all’opera della “suora femminista che sta conquistando l’attenzione del mondo”. Favorevole al matrimonio tra omosessuali, il pensiero di Forcades dà una radice evangelica alla teoria queer, che è l’esatto opposto di quella gender. Nessuna identità da incasellare. Siamo tutti diversi, appunto

Forcades

Parte, suor Teresa, dal brano del vangelo di Giovanni in cui Gesù dice a Nicodemo, fariseo affascinato da Cristo: “Tu devi nascere di nuovo”. Nicodemo, sorpreso: “Come può un adulto tornare nell’utero di una donna?”. Risposta finale di Gesù: “Non è questa la strada della rinascita, devi rinascere in acqua e spirito”. Chiosa la teologa catalana: “Per me questo significa essere queer. Queer è una parola inglese, per noi intraducibile: nel suo senso originario significa ‘strano’, ‘obliquo’, qualcosa che va fuori dal canone. È una parola di rottura con gli schemi abituali con i quali raccontiamo la realtà. Una persona ‘diritta’ è di solito una persona eterosessuale, queer è qualcuno che devia dal percorso lineare”. Suor Teresa dice sì anche alle adozioni dei bambini da parte di coppie omosessuali (ma è contraria alla maternità surrogata): “Nel Medioevo ci sono stati bambini cresciuti in conventi di sole donne o soli uomini e sono diventati santi”.Forcades2

Ovviamente, le tesi di suor Teresa sono combattute da molti vescovi e in giro per il mondo ha dovuto annullare più di una conferenza per il divieto delle gerarchie locali. Da un anno, infatti, madre Forcades è stata dispensata dalla clausura anche per fare politica e battersi per l’indipendenza della Catalogna.




la notte del ‘global debout’ #15M

tutti in piedi nella notte del «Global Debout»

Parigi

oggi è un nuovo #15M, giornata di mobilitazione internazionale per riprendersi le piazze e ripensare la società. Assemblee e dibattiti nelle città di tutto il mondo, tra cui Roma, Napoli e Milano

le manifestazioni a Parigi

 

Il 15 maggio è Global Debout, la prima «notte in piedi» globale. In centinaia di città si scende in piazza per riappropriarsi della parola e dello spazio pubblico rispondendo «alla competizione e all’egoismo con la solidarietà, la riflessione e l’azione collettiva».

Nuit Debout lancia una giornata di mobilitazione globale nel quinto anniversario del movimento spagnolo 15-M, invitando a occupare simultaneamente le piazze di paesi, città e metropoli. Londra, Berlino, Vienna, Madrid, Barcellona, Lisbona, Atene e diverse città italiane tra cui Roma, Napoli e Milano hanno aderito all’iniziativa. La manifestazione prevede lo svolgimento di assemblee di cittadini, dirette live tra le diverse località internazionali e alcune azioni comuni, come il lancio di una campagna di boicottaggio.
Global Debout, che punta a essere il laboratorio per una nuova Internazionale di movimenti e cittadini contro «la precarietà, i diktat dei mercati finanziari, la distruzione dell’ambiente, le guerre e

il degrado delle condizioni di vita », è stato concertato durante i dibattiti del 7 e 8 maggio a place de la République, cui hanno partecipato centinaia di attivisti provenienti da Europa, Turchia e Stati uniti.

«Le battaglie ambientali, per il lavoro e la scuola hanno una causa comune: l’oligarchia finanziaria. E fintanto che saremo divisi perderemo». Così scriveva il giornale francese Fakir a febbraio, poco prima che attorno alle proteste contro la Loi Travail e alla convergenza delle lotte si coagulasse il movimento Nuit Debout.

Da allora sono passati tre mesi e oggi la piazza parigina guarda oltre i confini nazionali: «La riforma del codice del Lavoro francese fa eco a numerose altre leggi adottate all’estero – scrivono gli organizzatori- che hanno diffuso precarietà e miseria. Al crescere delle disuguaglianze su scala globale, la nostra risposta deve essere globale.»

E la risposta è la coesione sociale e la partecipazione alla vita civile. Nelle piazze che hanno risposto all’appello di #globaldebout, come è stato rilanciato sui social media, si svolgeranno assemblee di cittadini con presa di parola libera. Collegamenti telefonici e tramite Periscope, applicazione di Twitter per la trasmissione di riprese in diretta, faciliteranno il dialogo tra le diverse piazze internazionali. Alle 20 (ora locale parigina), un minuto di silenzio, al termine del quale gli attivisti scatteranno in piedi con un urlo di gioia (debout significa «in piedi»). Il 15 maggio è anche un’occasione per lanciare un’azione di protesta comune: una campagna di boicottaggio internazionale. Il primo obiettivo è Coca Cola. Ma l’idea è creare una piattaforma globale su cui i cittadini possano confrontarsi e indicare ogni mese nuove multinazionali da ostacolare.

Poche linee guida e tanto spazio alle proposte locali: «L’obiettivo di Global Debout – spiegano i promotori- non è esportare il movimento di place de la République, ma creare mobilitazioni autonome che rilancino la partecipazione politica e il dibattito cittadino su questioni di comune interesse come il lavoro, le frontiere, l’austerità, il libero mercato». Le ambizioni di Global Debout vanno infatti ben oltre l’impatto mediatico ed estemporaneo di un’azione dimostrativa internazionale. L’intento è creare una rete permanente di movimenti che declini nei diversi contesti locali le medesime battaglie globali e proponga un nuovo modello sociale.

L’appello lanciato da Nuit Debout ha dunque destato l’interesse di chi da anni si muove negli spazi interstiziali della politica istituzionale, sperimentando nuove forme di democrazia dal basso. Il 7 e 8 maggio duecento attivisti internazionali, tra cui collettivi italiani di Venezia, Padova, Milano, Parma, Bologna, Pisa, Roma, Napoli, si sono ritrovati a place de la République «per condividere le pratiche di resistenza alle politiche neoliberiste, imparare dalle diverse esperienze di attivismo e trovare un terreno di lotta comune». Tra loro, c’è chi si batte per la riappropriazione dello spazio pubblico, chi per i beni comuni. Chi si oppone al precariato e alle frontiere.

E chi cerca di concertare le diverse lotte. Come l’atelier Esc di Roma, dove gli sportelli Clap (Camere del lavoro autonomo e precario) assistono i lavoratori tirocinanti, intermittenti e disoccupati, e dove il progetto «Decide Roma» ha portato alla stesura collettiva della Carta dei beni comuni, contro lo smantellamento del patrimonio pubblico: «Come Nuit Debout, cerchiamo di ricostruire uno spazio fisico di partecipazione politica secondo i principi di autonomia, autogestione e autogoverno», spiega Giansandro, arrivato a Parigi per condividere i progetti dello spazio romano. Isabella e Simone di Connessioni Precarie di Bologna raccontano l’esperienza dello sciopero sociale italiano contro il Jobs Act nel novembre 2014, e il tentativo di estenderlo oltre le frontiere nazionali attraverso la piattaforma Transnational Social Strike «per toccare tutte le forme di precariato, anche quelle che colpiscono i lavoratori migranti».

I temi della riappropriazione dello spazio pubblico, del rapporto tra precarietà, frontiere e libero mercato rimbalzano da un intervento all’altro. Martin, di Nuit Debout Londra, racconta che il movimento inglese, in mancanza di spazi pubblici, ha stabilito il proprio quartier generale sul marciapiede di Downing Street, di fronte alla residenza di David Cameron.

Dietro di lui, lo striscione appeso al monumento alla Repubblica recita: «Lo spazio pubblico non è in vendita». Alcuni francesi intervengono per denunciare «l’ipocrisia istituzionale sul tema dei rifugiati» e condividere le lotte a fianco dei migranti messi sul lastrico dagli sgomberi. Secondo Alex, di Bruxelles, «la convergenza europea deve avvenire sul lavoro e le frontiere, due temi caposaldo della società che, se rimessi in discussione, fanno crollare il modello attuale di Europa». Il dibattito è proseguito all’interno di gruppi di lavoro, in cui si è discusso di progetti a lungo termine, come il rigetto del Ttip, dei modi di produzione e consumo a danno dell’ambiente e delle persone, dell’Europa fortezza; e altri a breve termine, come l’organizzazione di scioperi sociali, occupazioni di siti emblematici, proteste simultanee, cortei silenziosi. «Il 15 maggio sarà un’opportunità per discuterne in tutte le piazze interessate.»

Lo slogan è stato adottato per accompagnare Global Debout, a ricordare la contrapposizione tra il 99% e l’1% che detiene il potere. Ma la convergenza è un processo complesso e tra gli attivisti internazionali c’è anche chi si dice scettico riguardo alla presa del movimento al di fuori della Francia: «Il 15 sarà un atto simbolico e importante, ma dubito che in Italia possa trasformarsi in qualcosa di continuativo ed efficace», sostiene un attivista di Pisa. Héctor, del movimento Barcelona en Comù e membro della Commissione Internazionale di Nuit Debout la pensa diversamente: «Far salire chi sta in basso e scendere chi sta in alto è un’utopia. Ma sapete una cosa? I have a dream».




anche ‘noi siamo chiesa’ plaude a papa Francesco

Diaconato femminile? Studiamolo. Il papa crea una commissione ad hoc

 

“diaconato femminile? studiamol0” 

da: Adista Notizie n° 19 del 21/05/2016
La creazione di una commissione di studio sul diaconato femminile, annunciata da papa Francesco il 12 maggio scorso davanti a 900 religiose di 80 Paesi, in rappresentanza di mezzo milione di suore, nel corso dell’assemblea triennale dell’Unione Internazionale delle Superiore generali (Uisg), sembra aver aperto una nuova fase nella riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa.

Nel corso dell’assemblea, svoltasi nell’Aula Paolo VI dal 9 al 13 maggio sul tema «Tessere la solidarietà globale per la vita» il papa, infatti, accogliendo le domande fatte da alcune religiose all’assemblea («Perché non creare una commissione che studi la questione?») sembra aver fatto tesoro delle numerose iniziative e delle richieste già provenienti da più parti nella direzione di un’apertura del diaconato alle donne (ne avevamo dato conto sul numero 18/16 di Adista Notizie). Francesco ha accettato la proposta, rispondendo che in passato aveva affrontato la questione con un «buon, saggio professore», esperto dei primi secoli della Chiesa, che gli aveva spiegato come fosse «rimasto un po’ oscuro quale fossero ruolo e statuto delle diaconesse in quel momento» e aggiungendo che sì, «sarebbe fare il bene della Chiesa di chiarire questo punto. Sono d’accordo. Io parlerò per fare qualcosa di simile. Accetto la proposta. Sembra utile per me avere una commissione che chiarisca bene».

Ordinazione diaconale?

La questione centrale, quella destinata a creare perplessità e problemi soprattutto in chi tende a conservare lo status quo di un clero tutto al maschile, è certamente quella di un’equiparazione del diaconato femminile a quello maschile, che rappresenta il primo grado dei ministeri ordinati. Come dire che, con il diaconato alle donne, si apra la strada, in un futuro, al sacerdozio femminile. Sul quale il magistero di Giovanni Paolo II era stato rigido: «La Chiesa non ha alcuna autorità», disse Wojtyla nell’Ordinatio sacerdotalis (1994), di ordinare le donne prete. Eppure, nei primi secoli della Chiesa, il servizio diaconale delle donne nella Chiesa è attestato.

Soddisfazione delle donne

Generale soddisfazione è stata espressa dagli organismi che si occupano di diritti della donna nella Chiesa. La Women Ordination Conference (Woc) «plaude alle religiose della Uisg per aver dialogato in modo franco con papa Francesco sui ruoli ministeriali e di leadership della donna nella Chiesa, compresa l’apertura del diaconato alle donne», si legge in un comunicato. «La creazione di una commissione per studiare il diaconato sarebbe un grande passo per il Vaticano nel riconoscere la propria storia. La ricerca pluridecennale in questo campo è già stata pubblicata da eminenti voci femministe». La Woc suggerisce che la commissione vaticana comprenda teologhe e teologi esperti nel campo, del calibro di Gary Macy, Dorothy Irving, Ida Raming, suor Christine Schenk, John Wijngaards e Phyllis Zagano. «Tale commissione – scrive la Woc – potrebbe cominciare a ristabilire i valori evangelici di uguaglianza e giustizia», ma rifiuta l’affermazione del papa che una donna non possa celebrare la messa in persona Christi: secondo questa «interpretazione molto debole» e «indifendibile», «la condizione necessaria per rappresentare il corpo di Cristo è un corpo maschile». Dunque, se da un lato la Woc accoglie con soddisfazione questo passo del Vaticano, dall’altro ribadisce che «finché tutte le donne non saranno incluse in tutte le strutture decisionali e come preti e vescovi della Chiesa, l’uguaglianza continua ad essere dolorosamente negata».

«Sono felice, piango», è stata la reazione di Deborah Rose-Milavec, direttrice esecutiva di FutureChurch, secondo quanto riporta la rivista statunitense National Catholic Reporter (12/5). «È una svolta storica di portata immensa, le sue implicazioni porteranno lontano, fin dove le donne riusciranno ad arrivare nella Chiesa». Molto sorpreso si è detto l’arcivescovo canadese di Gatineaumons. Paul-André Durocher, che, allo scorso Sinodo sulla famiglia, aveva sollecitato «l’avvio di un processo che possa eventualmente aprire alle donne l’accesso a questo ordine» (v. Adista Notizie n. 35/15). «Visto che i partecipanti al Sinodo e il papa stesso nella sua lettera [post-sinodale] non hanno fatto un chiaro riferimento al ruolo delle donne nella Chiesa, speravo di aver almeno piantato un seme nel terreno», ha detto al Ncr. «Sono felice che il papa ritenga opportuno percorrere questa strada per studiare il tema più a fondo», ha aggiunto il vescovo. «Credo che debba essere studiato e non vedo l’ora di vedere come creerà questa commissione e come verrà descritta e chi ne farà parte, nonché il frutto del suo lavoro». La cosa fondamentale, commenta Kathleen Sprows Cummings, direttrice del Cushwa Center for the Study of American Catholicism della University of Notre Dame, non è tanto se le donne diventeranno o meno diaconesse (aspetto su cui invita alla cautela), quanto «il fatto che il dialogo sia nato da un incontro con le donne. La Chiesa parla molto sulle donne, ma non altrettanto con loro. Hanno fatto una domanda, lui ha risposto». Equiparare il passo del papa all’annuncio che le donne potranno accedere al diaconato «deforma il messaggio», ha avvertito. «In tantissimi hanno già studiato il tema… Viene studiato in continuazione». E poi, non è detto che un eventuale diaconato femminile sia riconosciuto come ministero ordinato: «Certo Francesco vuole un ruolo più forte per le donne, ma questo implica l’ordinazione?». Per ora non è dato saperlo. Dipenderà anche dallo spazio di manovra di papa Francesco in Curia: se non ha cambiato idea nel frattempo, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede card. Gerhard Ludwig Müller, nel 2002, quando era teologo all’Università di Monaco, si espresse contro l’idea delle donne diacono, definendola «Un divertente anacronismo»: «Ciò che le donne oggi realizzano come docenti di religione, di teologia, agenti pastorali, nonché in innumerevoli attività nelle comunità  – così liquidò la questione – va ben oltre ciò che le diaconesse facevano nella Chiesa delle origini». 

COMUNICATO STAMPA DI ‘NOI SIAMO CHIESA’

Noi Siamo Chiesa
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Benissimo il diaconato femminile ma il sistema ecclesiastico non si opponga. E si vada  oltre       per un protagonismo della donna  che può esprimere nuovi carismi nella Chiesa

Noi Siamo Chiesa condivide in modo incondizionato   la decisione di papa Francesco di aprire concretamente la discussione sul diaconato femminile e quindi sull’accesso della donna ai ministeri ordinati nella Chiesa. Da troppo tempo i movimenti che si ispirano al Concilio hanno chiesto che si andasse in questa direzione. Non si poteva attendere oltre, pena minare la credibilità della Chiesa cattolica. Ci fa piacere che anche i media e l’opinione laica abbiano percepito l’importanza di questo momento che potrebbe veramente essere storico. Sarebbe   anche  l’occasione perché  tutta la teologia dei ministeri possa  essere ripensata secondo le indicazioni  del Concilio.  Le ricerche  ci dicono quale fosse il protagonismo femminile nei primi secoli  anche nella forma dell’imposizione delle mani alle donne incaricate di  particolari ruoli.  In questo modo papa Francesco, con una decisione concreta,  va al di là di  tante sue  affermazioni generali fatte sulla donna nella Chiesa, che avevano però dato l’impressione che egli ignorasse la riflessione della teologia femminista.

Detto ciò, ci rendiamo conto delle forti resistenze presenti nelle strutture ecclesiastiche a  concretizzare l’ipotesi fatta. Sono testimoni  di ciò le due interviste al Card. Kasper di oggi su “Repubblica” e sul “Corriere della sera” . La Commissione, accettata dal papa, per studiare il problema non potrà essere lo strumento per insabbiare la questione nel caso non ci sia largo consenso nell’apparato ecclesiastico . Le riforme non si possono fare senza rotture soprattutto  quando pretende di comandare   una  vecchia cultura maschilista, pronta a usare  belle parole e  argomenti di comodo per non cambiare mai niente.

Noi Siamo Chiesa ritiene che ora non si tratti di decidere “se “ istituire il diaconato femminile ma solo “come” organizzarlo. A questo proposito facciamo delle osservazioni:
si tratta anzitutto di prendere atto del fatto che già oggi le donne guidano in gran parte della Chiesa, soprattutto in certe aree del mondo, non solo gli interventi sociali ed educativi, ma anche momenti di preghiera e di celebrazione della Parola di Dio. Si tratta quindi di dare più autorità a situazioni già ben consolidate, nessuna concessione ma un riconoscimento importante  che arriva in ritardo;

papa Francesco sa che c’è  il rischio che l’ampliamento del ruolo della donna possa finire in una maggiore “clericalizzazione” (questo è il termine da lui usato) in cui migliori apparenze nascondano una situazione ben poco cambiata con  una Chiesa che è maschilista in radice come quella che abbiamo oggi. Questo non può e non deve avvenire;

il diaconato sarebbe un passo in avanti ma   non ci sembra debba essere solo modellato sulla chiesa dei primi secoli. Si può pensare ad andare oltre.   Potrebbero   manifestarsi  modi  nuovi , in luoghi e tempi diversi, mediante i quali  lo Spirito  offre alla comunità cristiana carismi preziosi . Pensiamo per esempio, a quanto il ruolo di mulieres probatae potrebbe essere prezioso nella funzione di accompagnamento spirituale di  chi nella comunità è in ricerca o ha problemi esistenziali di qualsiasi  tipo;

se leggiamo il Vangelo vediamo quanto nel “seguito”  di Gesù fossero presenti le donne contro le convenzioni del tempo  e quanto fossero protagoniste in momenti indimenticabili del suo insegnamento. Oltre che col   diaconato nella Chiesa le donne devono diventare protagoniste degli orientamenti pastorali e delle decisioni gestionali  che presiedono alla vita delle nostre parrocchie e di tutte le strutture della vita cristiana (per esempio dei seminari) .

Al popolo cristiano spetta adesso entrare dalla porta che papa Francesco ha iniziato ad aprire. Anche il percorso ecumenico ne sarebbe molto avvantaggiato.

Roma, 13 aprile 2016                                                             NOI SIAMO CHIESA




Calderoli vorrebbe un papa leghista

Calderoli

“il Papa fa politica. Tolgo la sua foto dal mio ufficio”

“il Papa pensa non solo allo spirito ma anche agli spiriti”

diAlberto Maggi 
Calderoli Papa fa politica

“Io non eleggo il Papa, esprimo però un mio gradimento. Ho nel mio ufficio, in Via Bellerio, la foto con papa Bergoglio e ho deciso che la toglierò perché l’ultima cosa che mi aspetto da un Pontefice è che faccia politica”.Roberto Calderoli, vice-presidente del Senato ed esponente della Lega Nord, intervistato da Affaritaliani.it, commenta le parole di Papa Francesco durante il discorso in occasione della consegna del premio Carlo Magno. “Ero rimasto entusiasta all’inizo di questo Papa”, afferma Calderoli, “lo avevo conosciuto e avevo messo la sua foto nel mio ufficio. Ricordo che quando mi ha stretto la mano lo fece in maniera non formale e istituzionale e percepii una persona molto vicina. Non credevo che bastasse poco perché anche lo Stato del Vaticano si mettesse a pensare non solo allo spirito ma anche agli spiriti”, afferma ironicamente Calderoli

“Migrare non è un delitto, però se uno migra deve avere il passaporto o, nel caso, un visto perché diversamente si torna a casa”, spiega il vice-presidente del Senato commentando le affermazioni del Pontefice. “Ammesso che un migrante non sappia la procedura che serve per entrare in un Paese, o torna a casa spontaneamente o a qualunque frontiera di tutto il mondo viene respinto e rimandato dove è venuio. Nel caso poi volesse proseguire comunque viene arrestato e mi auguro sconti la pena nel suo paese d’origine. Queste sono leggi che ciascuno stato ha e devono essere rispettate. Diversamente, se non vengono rispettate, una persona è destinata a rubare o ad ammazzare. Ricordo al Papa – afferma Calderoli – che non ha ancora modificato la regola per cui per entrare nello Stato del Vaticano o si hanno i documenti in regola o si viene respinti o arrestati. Prima di fare proclami al mondo, papa Bergoglio inizi a modificare le regole del suo stato”.

Insomma, in questo modo Francesco alimenta l’immigrazione clandestina… “Non è questo il primo intervento del Pontefice in tal senso. E’ una serie continua di messaggi lanciati da lui e da tanti premier europei che, con il principio della non punibilità e dell’accoglienza, invitano di fatto a far partire la gente”, conclude il vice-presidente del Senato.




il commento al vangelo della domenica

 

LO SPIRITO SANTO VI INSEGNERA’ OGNI COSA 

commento al vangelo della domenica di Pentecoste (15 maggio 2016) di p. Alberto Maggi 

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Gv 14,15-16.23-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

La festa della Pentecoste segna il passaggio dall’antica alleanza. Infatti del giorno in cui la comunità giudaica celebrava il dono della legge sul monte Sinai a Mosè, proprio in quel giorno irrompe sulla comunità dei credenti in Gesù l’azione dello Spirito. Inizia un rapporto nuovo con Dio. Con Gesù, e con l’azione di questo Spirito, il credente non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, quelle date da Mosè, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. Ecco il dono dello Spirito. In questo giorno di Pentecoste la liturgia ci presenta il vangelo di Giovanni, capitolo 14, dal versetto 15 e ci sono altri versetti che poi vengono più o meno come aggiustati per dare un testo unitario. Dopo avere reso i discepoli capaci di amare nell’ultima cena attraverso il lavaggio dei piedi, Gesù chiede il loro amore. Scrive l’evangelista: “Se mi amate”… è la prima volta in cui Gesù chiede amore, ma lo fa soltanto dopo aver reso i suoi discepoli capaci di amare. “… osserverete i miei comandamenti”. Gesù nell’ultima cena ha lasciato un unico comandamento. Ha detto: “Vi lascio un comandamento nuovo”,  nuovo non significa aggiunto agli altri, ma di una qualità migliore che sostituisce tutti gli altri. E qual è il comandamento? Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Quindi c’è un unico comandamento. Come mai ora Gesù dice: “Osserverete i miei comandamenti”? Quindi sono i suoi comandamenti, non quelli di Mosè. C’è un unico comandamento, che è quello dell’amore, la sua manifestazione esterna in tutte le occasioni in cui si esprime, questi sono i comandamenti. Pertanto non sono dei precetti esterni all’uomo, ma manifestazioni esteriori di una profonda realtà interiore. “E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito”. Questo è un termine greco che è intraducibile nella nostra lingua. Nella precedente edizione della CEI si era tentato di tradurlo in maniera errata, inesatta, con “consolatore”, che proprio non rende. Infatti si ritorna al termine greco “Vi darà un altro Paràclito”. Che cos’è il paraclito? Il paraclito è una persona che viene chiamata in aiuto. Allora si può tradurre in vari modi, ma ognuno di questi non rende in pienezza il termine greco. Si può tradurre forse con “soccorritore”, è quello che più si avvicina. Sarebbe il patrocinatore in tribunale, cioè l’avvocato difensore, l’intercessore. E comunque paraclito non è un nome, ma una funzione, che è l’azione dello Spirito. Quindi traduciamo in maniera comprensibile con “soccorritore”, colui che viene in soccorso. Ma con una differenza. Mentre paraclito è colui che viene chiamato in soccorso, questa azione del paraclito, dello Spirito nella comunità cristiana avviene affinché “rimanga per sempre”. Cioè la presenza dello Spirito non è dovuta a situazioni di pericolo, ma è costante. Questa la garanzia che ha la comunità di Gesù, che Dio non viene incontro nei momenti di bisogno o di necessità, nei momenti di sofferenza della comunità, ma Dio è sempre presente e anticipa la sua azione. Quindi l’azione del soccorritore non si realizza soltanto quando viene invocato, quando viene chiamato, ma è costante e presente nella comunità. E continua Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’evangelista nel Prologo aveva scritto che il Verbo aveva messo la sua tenda fra noi. Ora Gesù lo realizza. Quando c’è questa comunità d’amore, quando questo amore ricevuto da Dio si comunica in amore ai fratelli, dice Gesù “Il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’uomo diventa l’unico vero santuario dal quale si irradia e si manifesta l’amore, la compassione, la misericordia del Padre. Il Dio di Gesù non è un Dio che chiede offerte, ma è lui che si offre all’uomo, chiede di essere accolto nella sua vita, per dilatare la sua capacità d’amare, e renderlo l’unico vero santuario. E’ importante questa dichiarazione di Gesù. Dio non si trova più nel tempio, un tempio dove le persone dovevano andare sottoponendosi a determinati riti di purificazione, un tempio dove alcune persone non potevano mettere piede perché si ritenevano escluse, ebbene questa funzione del nuovo tempio che è la persona, la comunità dei credenti in Gesù, avrà proprio come orientamento di andare verso gli esclusi, verso gli emarginati, verso i rifiutati. Quelli che non hanno potuto avere accesso al tempio ora saranno il tempio di Dio che andrà verso di loro. E continua Gesù: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.”

 La parola del Padre è una parola che ha un’energia e una forza creatrice. Quindi è l’accoglienza di questa parola che fa fiorire la vita nella comunità. E conclude Gesù: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.” Siamo verso la fine, fra poco Gesù sarà arrestato, ma ecco che torna di nuovo questo termine Paraclito. “Ma il Paràclito, lo Spirito Santo”. Per la prima volta Gesù lo chiama “santo”, che non indica soltanto la qualità eccelsa di questo Spirito, ma l’attività, quella di santificare, cioè di separare chi lo accoglie dalla sfera del male per attrarlo e condurlo alla sfera del bene. “Che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Non è un nuovo messaggio, ma una più ampia comprensione del messaggio di Gesù. L’azione e la presenza dello Spirito Santo nella comunità le darà la capacità di offrire sempre nuove risposte di fronte ai nuovi bisogni delle persone.




un nuovo futuro per le donne nella chiessa?

papa Francesco apre al diaconato femminile, una “possibilità per oggi”

annuncia che istituirà una Commissione di studio

papa Francesco ha annunciato che istituirà una Commissione di studio sul diaconato femminile come esisteva nella Chiesa primitiva, ritenendo che le donne diacono sono “una possibilità per oggi”. Il Papa lo ha detto durante l’udienza di oggi in Vaticano con l’Uisg, l’Unione internazionale delle superiori generali, rispondendo a una domanda

Papa Francesco, durante l’udienza cui partecipavano circa 900 rappresentanti dell’Uisg e delle comunità religiose femminili, ha annunciato che creerà una commissione per studiare la possibilità di consentire alle donne di servire come diaconi nella Chiesa, indicando così la possibilità di una storica apertura per porre fine alla prassi di un clero esclusivamente maschile. Nel corso della sessione di domande e risposte, è stato chiesto tra l’altro al Papa perché la Chiesa esclude le donne dal servire come diaconi. Le religiose hanno detto al Pontefice che le donne servivano come diaconi nella Chiesa primitiva e hanno chiesto: “Perché non costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione?”. Il Pontefice ha risposto che una volta aveva parlato della materia qualche anno fa con un “buon, saggio professore”, che aveva studiato l’uso delle donne diacono nei primi secoli della Chiesa. Francesco aveva spiegato che non gli era ancora chiaro quale ruolo avessero tali diaconi. “Che cos’erano questi diaconi femminili?”, ha ricordato il Papa di aver chiesto al professore. “Avevano l’ordinazione o no?”. “Era un po’ oscuro”, aveva detto. “Qual era il ruolo della diaconessa in quel tempo?”. “Costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione?”, ha quindi chiesto Bergoglio ad alta voce. “Credo di sì. Sarebbe bene per la Chiesa chiarire questo punto. Sono d’accordo. Io parlerò di fare qualcosa del genere”. “Accetto”, ha detto il Papa successivamente. “Mi sembra utile avere una commissione che lo chiarisca bene”.




i maggiori esperti di costituzione criticano la riforma

cinque critiche alla riforma

il documento di 56 costituzionalisti

non è che non ci siano aspetti positivi nella riforma costituzionale, tuttavia questi «non sono tali da compensare gli aspetti critici», «per cui l’orientamento resta contrario, nel merito, a questo testo di riforma». Si conclude con queste parole il documento in cui 56 costituzionalisti rivolgono cinque critiche di fondo alla nuova Costituzione fatta approvare dal governo. Interessante è che le firme appartengano a 17 ex giudici della Consulta, ben 11 presidenti emeriti della Corte e 5 vicepresidenti. Tra i firmatari – i nomi di Francesco Amirante (magistrato), Lorenza Carlassare (Università di Padova), Francesco Paolo Casavola (Università di Napoli Federico II), Gianmaria Flick (Università LUISS di Roma), Paolo Maddalena (magistrato) –  ci sono giudici noti per le loro tendenze di centrosinistra come di centrodestra

costituzione

da: Adista Documenti n° 18 del 14/05/2016

 

Di fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma della Costituzione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i sottoscritti, docenti, studiosi e studiose di diritto costituzionale, ritengono doveroso esprimere alcune valutazioni critiche. Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo. Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione.

1. Siamo anzitutto preoccupati per il fatto che il testo della riforma – ascritto a una iniziativa del governo – si presenti ora come risultato raggiunto da una maggioranza (peraltro variabile e ondeggiante) prevalsa nel voto parlamentare (“abbiamo i numeri”) anziché come frutto di un consenso maturato fra le forze politiche; e che ora addirittura la sua approvazione referendaria sia presentata agli elettori come decisione determinante ai fini della permanenza o meno in carica di un governo. La Costituzione, e così la sua riforma, sono e debbono essere patrimonio comune il più possibile condiviso, non espressione di un indirizzo di governo e risultato del prevalere contingente di alcune forze politiche su altre. La Costituzione non è una legge qualsiasi, che persegue obiettivi politici contingenti, legittimamente voluti dalla maggioranza del momento, ma esprime le basi comuni della convivenza civile e politica. È indubbiamente un prodotto “politico”, ma non della politica contingente, basata sullo scontro senza quartiere fra maggioranza e opposizioni del momento. Ecco perché anche il modo in cui si giunge a una riforma investe la stessa “credibilità” della Carta costituzionale e quindi la sua efficacia. Già nel 2001 la riforma del titolo V, approvata in Parlamento con una ristretta maggioranza, e pur avallata dal successivo referendum, è stata un errore da molte parti riconosciuto, e si è dimostrata più fonte di conflitti che di reale miglioramento delle istituzioni.

2. Nel merito, riteniamo che l’obiettivo, pur largamente condiviso e condivisibile, di un superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto (al quale peraltro sarebbe improprio addebitare la causa principale delle disfunzioni osservate nel nostro sistema istituzionale), e dell’attribuzione alla sola Camera dei deputati del compito di dare o revocare la fiducia al governo, sia stato perseguito in modo incoerente e sbagliato. Invece di dare vita a una seconda Camera che sia reale espressione delle istituzioni regionali, dotata dei poteri necessari per realizzare un vero dialogo e confronto fra rappresentanza nazionale e rappresentanze regionali sui temi che le coinvolgono, si è configurato un Senato estremamente indebolito, privo delle funzioni essenziali per realizzare un vero regionalismo cooperativo: esso non avrebbe infatti poteri effettivi nell’approvazione di molte delle leggi più rilevanti per l’assetto regionalistico, né funzioni che ne facciano un valido strumento di concertazione fra Stato e Regioni. In esso non si esprimerebbero le Regioni in quanto tali, ma rappresentanze locali inevitabilmente articolate in base ad appartenenze politico-partitiche (alcuni consiglieri regionali eletti anche come senatori, che sommerebbero i due ruoli, e in Senato voterebbero ciascuno secondo scelte individuali). Ciò peraltro senza nemmeno riequilibrare dal punto di vista numerico le componenti del Parlamento in seduta comune, che è chiamato a eleggere organi di garanzia come il Presidente della Repubblica e una parte dell’organo di governo della magistratura: così che queste delicate scelte rischierebbero di ricadere anch’esse nella sfera di influenza dominante del governo attraverso il controllo della propria maggioranza, specie se il sistema di elezione della Camera fosse improntato (come lo è secondo la legge da poco approvata) a un forte effetto maggioritario.

3. Ulteriore effetto secondario negativo di questa riforma del bicameralismo appare la configurazione di una pluralità di procedimenti legislativi differenziati a seconda delle diverse modalità di intervento del nuovo Senato (leggi bicamerali, leggi monocamerali ma con possibilità di emendamenti da parte del Senato, differenziate a seconda che tali emendamenti possano essere respinti dalla Camera a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta), con rischi di incertezze e conflitti.

4. L’assetto regionale della Repubblica uscirebbe da questa riforma fortemente indebolito attraverso un riparto di competenze che alle Regioni toglierebbe quasi ogni spazio di competenza legislativa, facendone organismi privi di reale autonomia, e senza garantire adeguatamente i loro poteri e le loro responsabilità anche sul piano finanziario e fiscale (mentre si lascia intatto l’ordinamento delle sole Regioni speciali). Il dichiarato intento di ridurre il contenzioso fra Stato e Regioni viene contraddetto perché non si è preso atto che le radici del contenzioso medesimo non si trovano nei criteri di ripartizione delle competenze per materia – che non possono mai essere separate con un taglio netto – ma piuttosto nella mancanza di una coerente legislazione statale di attuazione: senza dire che il progetto da un lato pretende di eliminare le competenze concorrenti, dall’altro definisce in molte materie una competenza “esclusiva” dello Stato riferita però, ambiguamente, alle sole “disposizioni generali e comuni”. Si è rinunciato a costruire strumenti efficienti di cooperazione fra centro e periferia. Invece di limitarsi a correggere alcuni specifici errori della riforma del 2001, promuovendone una migliore attuazione, il nuovo progetto tende sostanzialmente, a soli 15 anni di distanza, a rovesciarne l’impostazione, assumendo obiettivi non solo diversi ma opposti a quelli allora perseguiti di rafforzamento del sistema delle autonomie.

5. Il progetto è mosso anche dal dichiarato intento (espresso addirittura nel titolo della legge) di contenere i costi di funzionamento delle istituzioni. Ma il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche (costi sui quali invece è giusto intervenire, come solo in parte si è fatto finora, attraverso la legislazione ordinaria), bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive. Limitare il numero di senatori a meno di un sesto di quello dei deputati; sopprimere tutte le Province, anche nelle Regioni più grandi, e costruire le Città metropolitane come enti eletti in secondo grado, anziché rivedere e razionalizzare le dimensioni territoriali di tutti gli enti in cui si articola la Repubblica; non prevedere i modi in cui garantire sedi di necessario confronto fra istituzioni politiche e rappresentanze sociali dopo la soppressione del CNEL: questi non sono modi adeguati per garantire la ricchezza e la vitalità del tessuto democratico del Paese, e sembrano invece un modo per strizzare l’occhio alle posizioni tese a sfiduciare le forme della politica intesa come luogo di partecipazione dei cittadini all’esercizio dei poteri.

6. Sarebbe ingiusto disconoscere che nel progetto vi siano anche previsioni normative che meritano di essere guardate con favore: tali la restrizione del potere del governo di adottare decreti legge, e la contestuale previsione di tempi certi per il voto della Camera sui progetti del governo che ne caratterizzano l’indirizzo politico; la previsione (che peraltro in alcuni di noi suscita perplessità) della possibilità di sottoporre in via preventiva alla Corte costituzionale le leggi elettorali, così che non si rischi di andare a votare (come è successo nel 2008 e nel 2013) sulla base di una legge incostituzionale; la promessa di una nuova legge costituzionale (rinviata peraltro a un indeterminato futuro) che preveda referendum propositivi e di indirizzo e altre forme di consultazione popolare.

7. Tuttavia questi aspetti positivi non sono tali da compensare gli aspetti critici di cui si è detto. Inoltre, se il referendum fosse indetto – come oggi si prevede – su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto a un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge. Diversamente avverrebbe se si desse la possibilità di votare separatamente sui singoli grandi temi in esso affrontati (…). Per tutti i motivi esposti, pur essendo noi convinti dell’opportunità di interventi riformatori che investano l’attuale bicameralismo e i rapporti fra Stato e Regioni, l’orientamento che esprimiamo è contrario, nel merito, a questo testo di riforma.

 




la chiesa italiana chiede per tutti i richiedenti il permesso umanitario

la Fondazione Migrantes

“permesso umanitario per tutti i richiedenti”

Perego

È quanto ha affermato monsignor Perego, direttore dell’Ente Cei:

«Sta crescendo il popolo dei diniegati, che potrebbe arrivare a 40mila migranti. Serve valutare, da parte del Governo, questa possibilità per evitare un popolo di invisibili, sfruttati»
«Sta crescendo il popolo dei diniegati, che nel corso dell’anno potrebbe arrivare al numero di 40mila migranti. Serve valutare, da parte del Governo, la possibilità di un permesso di soggiorno umanitario per evitare che si crei un popolo di invisibili, sfruttati».

È quanto ha affermato monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes della Cei, intervenendo ieri al convegno del Cvm a Porto San Giorgio (Fermo), dal titolo «Frontiere umane, Popoli migranti».

«Le Commissioni territoriali di fatto stanno operando sulla base di una lista dei paesi sicuri e stanno negando una forma di protezione internazionale o umanitaria talvolta a nove su dieci dei richiedenti. Questa situazione creerà un fenomeno grave, perché il Governo non sarà in grado di rimpatriare le persone, le persone stesse si renderanno irreperibili e sul territorio si creerà una situazione di insicurezza per le persone migranti o residenti», ha detto Perego.
«Occorre utilizzare uno strumento che il Testo unico sull’immigrazione prevede, cioè un decreto del presidente del Consiglio che offra la possibilità di un permesso umanitario per le persone in fuga da disastri ambientali, da persecuzione politica e religiosa, da sfruttamento grave», ha aggiunto il Direttore della Migrantes.



anche in Spagna i vescovi in linea con papa Francesco fanno fatica

Critiche al vescovo di Madrid: “Ha detto no al card. Müller”

critiche al vescovo di Madrid:

“Ha detto no al card. Müller”

 
da: Adista Notizie n° 18 del 14/05/2016
Fra i vescovi spagnoli più in linea con papa Francesco  è il vescovo di Madrid mons. Carlos Osoro ad essere in questi giorni sotto attacco, additato dal sito web di orientamento conservatore Infovaticana (28/4/16) di aver «proibito che il cardinale prefetto della Dottrina della Fede, card. Gerhard Müller presenti il suo libro Informe sobre la esperanza (Rapporto sulla Speranza, edito per ora solo in spagnolo dalla Bac-Biblioteca de Autores Cristianos, ndr) nella sede dell’Università ecclesiastica di San Damaso» (poi realizzata nella Università dei Legionari di Cristo Francisco de Vitoria il 3 maggio, v. notizia seguente). Il sito web informa che Osoro «non interverrà alla presentazione» perché «non vuol sapere nulla di “un libro contro il papa”».

Marco Tosatti, sul sito “La Madre della Chiesa”, rilanciando la notizia con il titolo “Müller, lo schiaffo di Madrid” (30 aprile), riferisce di aver interpellato la diocesi madrilena, ricevendo risposta dal responsabile della comunicazione dell’arcidiocesi, Rodrigo Pinedo Texidor, il quale ha assicurato che non è vero «che l’arcivescovo di Madrid mons. Carlos Osoro abbia impedito la presenza del card. Müller a Madrid». Ha motivato il rifiuto di concedere i locali della San Damaso per la presentazione dicendo che «semplicemente la casa editrice ha sondato la possibilità di organizzare la conferenza nell’Università Ecclesiastica di San Damaso, però vista la vicinanza della data e la necessità di confermare il luogo dell’evento, in parallelo ha dovuto decidere che esso si svolgesse nell’Università Francisco de Vitoria. Mons. Osoro assisterà alla conferenza e sarà con il card. Müller il martedì».

Dove sono le lauree del vescovo?

L’attacco di Infovaticana ad Osoro non è limitato alla questione della conferenza del card. Muller. Il sito accusa di menzogne il vescovo di Madrid riguardo ai titoli di studio in teologia, filosofia, pedagogia e scienze esatte (Osoro ne parla anche con i media, ma non li presenta) con due articoli: il 18 aprile pubblica “Il Vaticano assicura che Osoro disse che aveva quattro lauree”; il 29 aprile affonda il coltello con un pezzo titolato “Carlos Osoro ha mentito al Vaticano sul suo curriculum”.

Il sito riporta le righe del Bollettino della Sala stampa vaticana che annunciava la nomina di Osoro a Madrid: «Dopo aver studiato Magistero presso la Escuela Normal ed aver esercitato la docenza per un anno a Santander, è entrato nel seminario per le vocazioni adulte Colegio Mayor El Salvador di Salamanca, ove ha frequentato i corsi di Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università di quella città, ottenendo la Licenza nelle due discipline. Ha pure conseguito la Licenza in Scienze Esatte dell’Università Complutense di Madrid e in Pedagogia dell’Università di Salamanca». Se la diocesi, contattata da Infovaticana dà risposte solo evasive, si legge sul sito, sono «fonti della stessa Congregazione dei vescovi», anch’essa contattata, a spiegare che il curriculum di Osoro – nelle parole di Infovaticana – «è stato concordato direttamente con il candidato. La stessa Congregazione assicura che questo tema è sotto segreto pontificio e dunque non possono dire nulla, pur considerando che dovrebbe essere lo stesso vescovo a chiarire i dubbi sulle quattro lauree».

* mons. Carlos Osoro




Europa criminale – parola di Zanotelli

Atti criminali. L’Europa e i profughi

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lo spirito del Migration Compact, la proposta del governo Renzi all’Ue, è lo stesso dell’accordo fatto dall’Europa con la Turchia. Si tratta di deportare migliaia di profughi e di pagare gli Stati africani per il lavoro sporco


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La proposta fatta dal governo Renzi alla Commissione europea per risolvere il “problema” dei migranti in arrivo dall’Africa, la cosidetta Migration Compact, è un brutto passo da parte dell’Italia. Lo spirito del Migration Compact è lo stesso dell’accordo fatto dalla Unione europea con la Turchia. Lo ha detto il nostro ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, parlando a porte chiuse, alla Commissione trilaterale (!): “L’impegno, profuso dall’Europa per la riduzione dei flussi migratori sulla rotta balcanica, va ora usato sulla rotta del Mediterraneo centrale per chi arriva dalla Libia”.

Trovo grave che il governo Renzi ritenga un successo l’accordo Ue con la Turchia. Un accordo abominevole (costato sei miliardi di euro!) che richiederà la “deportazione” in Turchia di migliaia di migranti e profughi. E siccome le deportazioni sono atti criminali, ritengo l’accordo fra Ue e la Turchia un atto criminale. Quella che “I ventotto paesi dell’Unione europea hanno scritto con la Turchia – ha detto giustamente Cristopher Hein, portavoce del Consiglio Italiano per i Rifugiati – è una delle pagine più vergognose della storia comunitaria. È un mercanteggiamento sulla pelle dei rifugiati”. Lasciamo alla Grecia la responsabilità di effettuare i rimpatri (impossibili) in un paese, la Turchia, che non è il loro paese, che non li vuole e per di più, non ha risorse per integrarli.

Ora l’Italia vuole fare lo stesso con i paesi africani. Un primo tentativo del genere era stato fatto con il cosiddetto “Processo di Khartoum” e con il vertice tra Ue e i capi di Stato africani a La Valletta (Malta), lo scorso anno, promettendo ai paesi sub-sahariani un miliardo e mezzo di euro per trattenere i migranti nei loro paesi. Ma con ben pochi risultati.

Ora, dopo il “successo” dell’accordo con la Turchia, l’Italia propone il Migration Compact con i paesi dell’Africa, dai quali provengono i migranti. Con quali strategie? Primo, la creazione di un Fondo europeo per gli investimenti nei paesi africani, stornando i soldi che oggi l’Europa destina all’Africa per opere socialmente utili (purtroppo ridotti al lumicino!). Secondo, la creazione di EU- Africa Bonds per aiutare i paesi africani a crescere e a innovarsi (ritorna il mantra di Matteo Salvini:”Aiutiamoli a casa loro”). Mentre ai governi africani verrebbe chiesto “un  efficace controllo delle frontiere, riduzione dei flussi migratori e cooperazione in materia di rimpatri/riammissioni”. Purtroppo saranno i governi dittatoriali d’Africa a trarne profitto e i popoli a pagarne le conseguenze.

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Il Migration Compact sta ottenendo sempre più consensi a Bruxelles. Angela Merkel, nell’incontro con Renzi a Roma, si è detta d’accordo con il piano, ma non è d’accordo con gli Euro-bonds. Mentre il vice di Juncker, Frans Timmermans, si trova in sintonia con la proposta italiana. Se dopo lo scellerato accordo Ue-Turchia, ora passerà l’accordo capestro con i paesi africani, l’Europa diventerà sempre più una fortezza protetta dal filo spinato, nella quale finiremo per sparare sia per difendere i confini esterni, ma anche quelli interni tra Stato e Stato, perché i migranti continueranno ad arrivare. Naufraga così il sogno europeo.

“L’accoglienza è un dovere dell’essere umano – ha ricordato papa Francesco durante la sua profetica visita a Lesbo – La tragedia umanitaria, che si sta consumando sotto i nostri occhi, in parte l’abbiamo prodotta noi con l’indifferenza e con le guerre che ai nostri confini abbiamo concorso a fare esplodere con il traffico degli armamenti”. Per questo dobbiamo dire No con forza al Migration Compact che verrà pagato da centinaia di migliaia di africani impoveriti. Non è questa la strada per risolvere il problema dei migranti. “Sogno un’Europa – ha detto il papa ricevendo il Premio Carlo Magno il 6 maggio davanti alle massime autorità dell’Unione Europea – dove essere un migrante non è un delitto”.