la parola d’ordine del regime di Renzi “non c’è alternativa”

Renzi e Quelli che “non c’è alternativa”

RIFORME E INCIUCI

della bravissima  Luisella Costamagna

Costamagna Luisella

Cari elettori del Pd, vi rendete conto che Renzi è arrivato a Palazzo Chigi senza passare dalle elezioni? 
La Costituzione, lo Statuto dei Lavoratori, il patto del Nazareno e ora Verdini: non si può continuare ad accettare tutto
Già, ma non c’era alternativa.
Ha fatto il Patto del Nazareno con Berlusconi.
Già, ma non c’era alternativa.
Ed è al governo con Alfano.
Già, ma non c’è alternativa.
Adesso Berlusconi è all’opposizione ma c’è Verdini, che ha votato le riforme ed è praticamente in maggioranza.
Già, ma non c’è alternativa.
Ricordate i governi Berlusconi? I conflitti d’interesse, le leggi ad personam, i condoni e gli scudi fiscali, le inchieste, gli attacchi ai magistrati e all’informazione. Ora abbiamo Boschi e Guidi, i decreti e gli emendamenti ad hoc, l’aumento delle soglie di non punibilità penale per gli evasori e la voluntary disclosure, quasi 100 amministratori locali del Pd indagati, arrestati o condannati nell’ultimo anno, la riforma Rai senza spazi per l’opposizione, ce la si prende con talk e magistrati e si vuole mettere il bavaglio alle intercettazioni e riformare il Csm.
Già, ma non c’è alternativa.
All’epoca non facevate i girotondi?
Già, ma oggi non c’è alternativa.

 

Ed eravate al Circo Massimo con Cofferati, contro l’abolizione dell’art. 18, giusto? Ora l’ha cancellato Renzi.
Già, ma non c’era alternativa.
Il Pd era il partito di riferimento dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, degli insegnanti e della Cgil, ora Renzi sta con Marchionne, gli imprenditori, le scuole private e contro i sindacati.
Già, ma non c’è alternativa.
Non si era presentato come il paladino della lotta ai poteri forti? Cosa c’entrano i banchieri, le lobby petrolifere, i finanzieri alla Davide Serra?
Niente, ma non c’è alternativa.
Diceva di essere anche contro il nepotismo: e i favori a padri, amici, fidanzati?
Già, ma non c’è alternativa.
Ricordate le Feste dell’Unità con Guccini e gli gnocchi fritti? Ora c’è la Leopolda con Jovanotti e i menu di Eataly.
Già, ma non c’è alternativa.
E l’Unità di Gramsci? Oggi vi tocca Rondolino. E Berlinguer, la questione morale, la superiorità etica della sinistra, che fine hanno fatto?
Già, ma non c’è alternativa.
Renzi aveva promesso la rottamazione, ma poi ha candidato De Luca.
Già, ma non c’era alternativa.
Ora candida anche chi pagava gli elettori per votare alle primarie.
Già, ma non c’è alternativa.
Per qualcuno erano farlocche anche le primarie che l’hanno eletto segretario. Cuperlo disse “Probabile”.
Già, ma non c’era alternativa.
La minoranza Pd fa sempre così: protesta ma poi accetta tutto. A ‘sto punto potrebbe fare anche a meno di protestare, no?
Già, tanto non c’è alternativa.
Nel programma per le primarie 2012 Renzi scriveva “Aboliamo tutti i vitalizi”, e sosteneva le preferenze perché: “I deputati devono essere scelti tutti direttamente, nessuno escluso, dai cittadini”. I vitalizi sono ancora lì e nell’Italicum ci sono i capilista bloccati.
Già, ma non c’è alternativa.
Cinquantasei costituzionalisti e l’Associazione Nazionale Partigiani bocciano la riforma del Senato.
Già, ma è meglio di niente.
Come meglio di niente? Se è brutta, meglio niente.
Già, ma non c’è alternativa.
Avete paura che Renzi vada a casa?
Già, non c’è alternativa.
Ok, getto la spugna. Con voi non c’è alternativa.
Un cordiale saluto.
© 2016 Editoriale il Fatto S.p.A. C.



non può esserci crescita escludendo i poveri che sono maggioranza nel mondo

“una vera crescita economica deve includere poveri ed emarginati”

 
 

«Che tipo di crescita è quella che esclude la maggior parte della famiglia umana e coinvolge invece solo una sua piccola parte?». La domanda, retorica, è stata posta dal cardinale Luis Antonio Talge, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas internationalis, nel corso dell’intervento pronunciato al convegno della Fondazione Centesimus annus , «Iniziative imprenditoriali nella lotta contro la povertà. L’emergenza profughi nostra sfida». Il Cardinale ha toccato vari argomenti e in particolare quello dei migranti e di una «crescita inclusiva»

Talge cardinale

Tagle ha fatto riferimento agli ultimi quattro pontefici e al loro magistero sociale attraverso quattro testi diversi: le encicliche Populorum progressio di Paolo VI,Sollecitudo rei socialis, di Giovanni Paolo II, Caritas in Veritate di Benedetto XVI, e l’esortazione Evangeli gaudium di Francesco. In tutti questi scritti, ha specificato il Cardinale, si rileva una progressiva preoccupazione per l’estrema povertà in cui versano miliardi persone, per l’assenza di lavoro su scala globale, per il consumo irrazionale delle risorse e per le diseguaglianze fra nazioni e aree continentali. Il tema delle ingiustizie sociali e della loro diffusione a livello planetario, è insomma ben presente nel magistero della Chiesa.
 
L’Arcivescovo ha proposto quindi un approccio «ampio» sulla questione dei profughi; in particolare, ha spiegato, «evitando la distinzione fra un rifugiato e un migrante forzato», sarebbe possibile includere fra le emergenze del fenomeno migratorio non solo quanti fuggono da guerre e terrorismo, ma anche coloro che sono in fuga da povertà e calamità naturali. Da questi movimenti forzati di persone, ha aggiunto, sono scaturite «la tratta e i traffici di esseri umani e le nuove schiavitù» cioè un «business multimiliardario». Così per rispondere alla gravità delle diverse crisi sociali in corso, umanitarie ed economiche, è necessario mutare profondamente alcuni stili di vita. In tal senso il Presidente di Caritas internationalis, parla della necessità di tornare a considerare la vita come dono, proponendo cioè una concezione contraria a quella consumistica e utilitaristica oggi prevalente. La gratuità e la fraternità si fondono insieme in una simile prospettiva, per questo fra gli standard economici vanno considerati anche criteri come la giustizia redistributiva e quella sociale che traggono origine dalla solidarietà.
 
«Una delle mie esperienze più strazianti come vescovo – ha raccontato Tagle – è stato quando ho presieduto una liturgia funebre di due bambini, di età compresa tra 6 e 5. Erano fratelli. Sono morti dopo avere mangiato cibo raccolto dal padre da un bidone della spazzatura nei pressi di un ristorante». Come fosse un’abitudine, ha detto ancora Tagle, «il padre andava a cercare cibo scartato dai clienti dei ristoranti ogni volta che non riusciva a guadagnare abbastanza per comprare da mangiare per la sua famiglia». In quella «fatidica» sera i due figli sono rimasti avvelenati. Cosa si può dire – ha osservato l’Arcivescovo – in questi casi? «Come si fa a proclamare la Buona Novella?». Dobbiamo quindi, ha detto ancora il Cardinale, tornare a essere dei «buoni amministratori» del Creato senza pretendere di esserne diventati i proprietari.«In Laudato si’, papa Francesco ci chiede una conversione ecologica integrale nella quale l’ecologia ambientale è collegata all’ecologia umana».
 
Vanno di conseguenza esercitate insieme sia la giustizia ecologica che quella intergenerazionale, serve inoltre un modo responsabile di utilizzare i beni della Terra. La ricerca del bene comune, inoltre, deve trovarsi alla base dell’attività economica, e anzi esserne motoreIl principio di generare la ricchezza dovrà essere accompagnato dalla giustizia distributiva «per realizzare il bene comune». Obiettivo fondamentale di questo percorso è quello di includere nella crescita quanti fino a ora ne sono rimasti esclusi. E questi ultimi sono «gli emarginati, i poveri». I poveri, ha rilevato Tagle, sono esclusi da tutte le previsioni economiche, di gestione dalla vita delle imprese, da ogni forma di pianificazione, non si ragiona sui servizi di cui hanno bisogno.
 
Dunque i poveri costituiscono la maggioranza della popolazione del Pianeta ma spesso sono considerati solo come una sorta di danno collaterale. «Ciò è dovuto al fatto – ha osservato l’Arcivescovo – che molti professionisti, opinion maker, mezzi di comunicazione e centri di potere, essendo situati nelle aree urbane ricche, sono ben lontani dai poveri, e hanno quindi pochi contatti con i loro problemi». La ricerca di una strada per «la crescita inclusiva da parte delle imprese» dovrebbe allora cominciare con «l’ingresso» delle persone povere nella nostra coscienza per disturbarci, per farci da maestri e per indurci a passare all’azione.
da lastampa.it



papa Francesco all’ Europa malata

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la preghiera di un “figlio” ad un’Europa malata

da: Adista Notizie n° 19 del 21/05/2016

papa

Si definisce “un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede”. E, proprio come figlio, quindi parte della casa, può permettersi di coglierne le rughe e le stanchezze. Gli aggettivi che papa Francesco usa per definire l’Europa di oggi paiono impietosi: stanca e invecchiata; decaduta; che vuole dominare spazi invece che generare processi; affaticata. E tutto questo perchè oggi, di fronte alle nuove sfide, non è capace di operare quella “trasfusione della memoria” che le impedisca di “fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati”

Melandri

Ha bisogno di fare memoria questa Europa, evocando i suoi padri fondatori che “seppero cercare strade alternative in un contesto segnato dalle ferite della guerra”. E fa questo richiamo davanti a chi ormai ha svenduto l’Europa al modello vincente del pensiero unico e all’ideologia del mercato. Lo dice mentre in Grecia il governo è costretto ad abbassare salari e pensioni, per rispondere ai dogmi della grande finanza. Mentre in Francia il mondo del lavoro protesta per una riforma che priva di diritti dei lavoratori sacrificandoli sull’altare del profitto ad ogni costo. Lo dice mentre non solo si continuano a costruire muri all’interno dei confini europei ma, con l’accordo con la Turchia, ci si affida un governo totalitario pagandolo perchè faccia da baluardo ad una presunta invasione. Costruendo, quindi, un muro invalicabile fra l’Europa e il resto del mondo.

Questa Europa, non facendo memoria, rischia di perdere la propria identità. Di dimenticare le proprie radici. Radici che si sono consolidate “imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro”. Di qui una identità “dinamica e multiculturale”.

Qualcuno ha voluto leggere in questo passaggio una sorta di superamento di quelle che normalmente vengono definite “le radici cristiane dell’Europa”. Dimenticando però che fin dalle sue origini, il cristianesimo è stato proprio capace di operare questa sintesi e che, forse, le stesse radici cristiane dell’Europa stanno proprio in quella capacità di sintesi tra culture. Insiste molto Francesco su questo aspetto: l’Europa deve promuovere una integrazione che trova nella solidarietà la capacità di fare storia. Una solidarietà che genera opportunità per tutti, che supera l’inserimento puramente geografico, per portare ad una “forte integrazione culturale”.

Da questa identità plurale deriva la necessità del dialogo “che dovrebbe essere inserita nei curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline”. “La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo”, realizzando coalizioni non militari o economiche, ma culturali capaci di smascherare i giochi di potere dei gruppi economici.

Solo un’Europa così tornerà ad essere madre, capace di generare. Per questo deve smetterla di vedere i giovani come “il futuro”. Essi sono il “presente”. Perciò devono essere coinvolti attivamente nella sua costruzione. Ma per questo sono necessari modelli economici “più incisivi e più equi” che “perseguano come priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti”. Non ha futuro un’Europa dove i giovani non trovano lavoro.

Detto ai dirigenti europei che da trent’anni hanno scelto di inchinarsi totalmente alle lobby finanziarie, che strangolano i popoli in nome del pareggio di bilancio e del Fair play finanziario, che stanno per firmare il TTIP, questo intervento di Francesco appare non tanto un’invettiva, quanto piuttosto la domanda accorata di un figlio, perchè, ritornando alle proprie origini, l’Europa recuperi un ruolo unico e insostituibile nel mondo.

Eugenio Melandri è saggista e giornalista, missionario saveriano e pacifista negli anni ‘70 e ‘80, già parlamentare europeo con Democrazia proletaria, è oggi presidente dell’organizzazione “Chiama l’Africa”




G. Ferrara non ne può più di papa Francesco e gli grida che cosa deve dire e fare

un Ferrara cagnesco, sbrana Papa Francesco

il suo (durissimo) attacco

Giuliano Ferrara e Papa Francesco

Ci volevano cani e gatti per scatenare (anche) Giuliano Ferrara contro Papa Francesco, il Pontefice interventista (già, interviene su tutto. Anche su cani e gatti, appunto). La polemica sorge dopo le dichiarazioni del Pontefice di sabato, quando ha invitato i fedeli ad amare di più i propri vicini in difficoltà piuttosto che gli animali domestici. E l’Elefantino, su Il Foglio del lunedì, azzanna: “A Ratzinger piacciono i gatti, a Francesco no, cani e gatti entrano come esseri disdicevoli nelle sue parabole del buon vicinato”, premette.

Dunque Ferrara spiega: “Non nutro sentimenti di ostilità preconcetta contro questo Papa, nemmeno contro gli aspetti più convenzionali e banali della sua predicazione, e non ho il sacro fuoco dei suoi fedeli nemici”. Poi, però, la critica da ironica si fa pungente: “Adesso, devo dire la verità, mi aspetto da lui di tutto, quindi niente”. E ancora: “Lasci stare per cortesia gli animali di compagnia e di lavoro, ultimi umanisti civilizzati in un paesaggio di rovine al centro del quale egli desidera insediare la chiesa, bussando importuno alle porte del vicino”.

Dunque l’Elefantino chiude il suo commento con un appello, durissimo: “Ci lasci la nostra privacy di amore e solitudine, il nostro gaudio di conversazione e abbaio, e se proprio vuole fare crociate si occupi dell’aborto, della società neutra di genere, e delle altre mille follie soggettiviste che devastano il senso comune tomista dell’ essere e della realtà. Al rapporto con i vicini di casa ci pensiamo noi: non avranno il nostro odio, ma nemmeno una pelosa e troppo tenera finzione d’amore. Spesso fanno chiasso e non salutano, giustamente, se li incontri per le scale”, conclude.