anche questo, sì, è un padre!

 

 

SE QUESTO E’ UN PADRE

se questo

Noi che viviamo sicuri
Nelle nostre tiepide case,
Noi che troviamo tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Consideriamo se questo è un padre,
Che cammina nella tempesta e nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un nostro sì o un nostro no.
Consideriamo se questo è un padre,
Senza nome, senza casa, senza patria
Senza più forza di ricordare
Lo sguardo vuoto di passato vuoto di futuro
Le labbra sulla sua bimba
Che stringe al grembo freddo
Freddo come una rana d’inverno.
Meditiamo che questo è stato ed è ancora
Comandiamoci queste parole
Scolpiamole nel nostro cuore
Stando in casa andando per via
Coricandoci alzandoci
Ripetiamole ai nostri figli
Così si rinsalderà la nostra casa
Così la gioia ravviverà i nostri corpi
Così nostri figli volgeranno il viso sul nostro
Così ci riconosceranno come padri.

Ignazio Punzi
(ispirata a Se questo è un uomo di Primo Levi)

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oggi è la festa della terra

chiesa cattolica e ambiente

dai gesuiti al Sudamerica, i religiosi che vogliono proteggere il Creato

Indubbiamente, la recente campagna referendaria ha visto nell’interesse specifico della Chiesa Cattolica per il tema ambiente, uno degli elementi di novità. Questo è il frutto della politica adottata da Papa Francesco che con l’enciclica “Laudato Sì” ha richiamato il tema ambientale all’attenzione del mondo cattolico e non solo. Papa Francesco ha dimostrato vivo interesse per i temi sociali della contemporaneità; per quanto riguarda il tema ambientale, il suo interesse deriva sicuramente anche dal fatto di appartenere all’Ordine dei Gesuiti, che da decenni hanno affrontato il tema.

Si comincia a parlare di “ecogesuiti” nel 1983, quando durante la 33a Congregazione Generale vengono prodotti i primi documenti di riflessione sulle teorie e modalità di produzione economica. La svolta è però del 1999, quando viene pubblicato il documento “Noi viviamo in un mondo frantumato” che pone in evidenza come l’uomo si sia separato dalla natura e come la frattura stia danneggiando il Pianeta e l’uomo stesso. Nel 2008, la 35a Congregazione Generale ritorna sul tema ambientale e nel 2011 arriva il documento: “Ricomporre un mondo frantumato” che ragiona sulle possibili soluzioni ai mali ambientali della nostra epoca.

Inoltre, c’è da sottolineare come la Chiesa Sudamericana – da cui proviene l’attuale Pontefice – sia spesso schierata in difesa dell’ambiente e delle popolazioni indigene: padre Erwin Krautler, della diocesi brasiliana di Xingù, lotta da anni contro il progetto della centrale idroelettrica di Belo Monte ed è stato incaricato da Papa Francesco di collaborare all’enciclica sui poveri e sul creato. Per le sue posizioni a favore delle tribù indigene vive sotto scorta; l’Arcivescovo peruviano Pedro Barreto, presidente del Dipartimento di Giustizia e Solidarietà del Consiglio Episcopale Latinoamericano, si è schierato contro il complesso metallurgico Doe Run-La Oroya. Per le sue attività a favore dei più poveri è stato insignito di diversi premi; il sacerdote argentino Omar Quinteros ha lottato accanto agli abitanti di Famatina per impedire l’apertura di una miniera che avrebbe contaminato l’area con cianuro e ridurrebbe la disponibilità di risorse idriche per la popolazione locale; il vescovo brasiliano di Roraima, Roque Paloschi (autore di un documento che denuncia decine di progetti di centrali idroelettriche in Amazzonia) ha parlato del problema ambientale davanti alla Comision Interamericana de Derechos Humanos, assieme a Pedro Barreto e al Vescono guatemalteco di Huehuetenango, Alvaro Ramazzini, che tuona da tempo contro 4 miniere legali e le 168 non autorizzate che stanno deturpando il suo paese. Nella chiusura del progetto minerario contro cui si battevano gli abitanti di Famatina, in Argentina, fondamentale è stato l’intervento del Vescovo della diocesi Monsignor Marcelo Daniel Colombo che ha a lungo insistito sulla necessità del consenso da parte delle popolazioni locali in situazioni in cui lo sviluppo economico può causare danni all’ambiente e alla salute.

Durante la recente campagna referendaria diversi vescovi e Conferenze Episcopali hanno espresso un forte richiamo alla necessità di intraprendere in modo convinto la strada delle rinnovabili e di uno sviluppo compatibile con l’ambiente.

Tuttavia, non tutta la Chiesa sembra avere intrapreso con coraggio questa strada.
È di poche settimane fa la polemica che ha investito la diocesi di Siracusa in Sicilia, dopo che il Vescovo aveva deciso di rimuovere il parroco di Augusta, Don Palmiro Prisutto, reo di aver introdotto un’innovazione nella liturgia della messa domenicale: resosi conto di quanti funerali celebrava, ha deciso di elencare, ogni settimana, i nomi dei parrocchiani morti di tumore e altre patologie. È il modo che il parroco ha trovato per denunciare l’impatto sull’ambiente e sulla salute del polo petrolchimico di Augusta-Priolo-Melilli. Tutte le istituzioni, tra cui il Sindaco del paese e il sostituto procuratore che segue l’inchiesta sull’impatto ambientale delle imprese dell’area, si sono schierate a sostegno del parroco che già aveva il sostegno dei fedeli. Alla fine il Vescovo ha dovuto fare marcia indietro.

 

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“un dono per tutti noi”

coerenza evangelica e coraggio

di Orazio La Rocca in “Trentino”

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Ha avuto un bel coraggio papa Francesco a definire «un dono per tutti noi» l’arrivo di rifugiati ed immigrati «in fuga da guerre, fame e malattie»

Va bene che il pontefice argentino parlava – martedì scorso – praticamente in “casa”, al Centro Astalli, l’organismo dei gesuiti preposto all’accoglienza e all’assistenza di migranti ed itineranti. Ma le sue parole hanno fatto immediatamente il giro del mondo e segnato non poche coscienze. Un dialogo fraterno da gesuita – come notoriamente è papa Jorge Mario Bergoglio – a gesuiti, che certamente non avranno avuto niente da ridire su quella parola “dono”, che altrettanto certamente sarà stata causa di non pochi fastidi alle orecchie di benpensanti, fautori del politicamente corretto, difensori dei confini nazionali e – perchè no? – di inguaribili nostalgici di difesa della purezza della razza. Un variopinto “esercito” di paladini di politiche dei respingimenti e delle erezioni di muri e di fili spinati, che ormai non sembra più disposto a stare in silenzio di fronte ai ripetuti appelli che il Papa lancia a favore degli immigrati, spingendosi persino a chiedere loro “scusa” per l’ “indifferenza” con cui nel ricco Occidente – sono parole di Bergoglio – si guarda alle tragedie che da «troppo tempo ormai» si stanno abbattendo su intere popolazioni vittime di guerre e di quanti «si arricchiscono col commercio di armi e ordigni di morte». Parole che nel pieno delle recenti celebrazioni pasquali trovarono concrete anticipazioni nelle prolusioni del Venerdì Santo e nell’omelia della Pasqua, ma che nel rito della Lavanda dei Piedi del Giovedì Santo ha toccato il culmine con papa Francesco che – ripreso in mondovisione – si inginocchia davanti a 12 immigrati, tra cui molti musulmani e diverse donne, per lavare e baciare i loro piedi con atteggiamento di paterno servizio. Gesti eloquenti più di mille discorsi, che hanno poi trovato nuova e rinnovata conferma nel viaggio-lampo all’isola di Lesbo, in Grecia, per visitare, incoraggiare e benedire i profughi, arrivando persino ad ospitarne in Vaticano 12 (tre famiglie di musulmani). Ma, con l’eco del viaggio a Lesbo ancora nell’aria, ecco che al Centro Astalli arriva ancora da papa Bergoglio un nuovo inaspettato intervento a favore di profughi ed immigrati definiti «dono di Dio» , «nostri fratelli nel dolore», che «ogni uomo e ogni donna di buona volontà deve accogliere». Troppo, agli occhi e alle orecchie di fanatici delle politiche dei muri che ormai in quasi tutta Europa incominciano a fare proseliti! Troppo persino per quell’indomita ala di ecclesiastici conservatori e tradizionalisti presenti anche nella Curia vaticana, dove ormai incomincia a fare capolino anche qualche cardinale che non esita a dichiararsi pentito per aver dato il proprio consenso all’elezione di Bergoglio, il quale – però – va avanti come un treno senza lasciarsi intimidire da nessuno, incurante dei mal di pancia sui suoi appelli alla difesa degli immigrati che spuntano sia dentro che fuori dal Vaticano. Il Papa – assicurano Oltretevere i suoi più stretti collaboratori – «è sereno», «non si cura delle critiche», anzi quando si tratta di difendere poveri, bisognosi e ultimi dà il meglio di sé, perchè si muove col Vangelo alla mano, applicando alla lettera gli insegnamenti di Cristo, con particolare fedeltà, attenzione, afflato verso quelle pagine evangeliche che raccontano dell’infaticabile azione di Gesù nel riscatto di quanti vivevano nel bisogno, senza guardare ai colori politici, a ceti sociali e, tanto meno, a eventuali peccati commessi da chi gli si rivolgeva per essere aiutato. Come la peccatrice Maddalena, l’adultera, l’esattorestrozzino Matteo insegnano. Gesù – notano al di là delle Sacre Mura – spiazzò i benpensanti del suo tempo chiedendo ai suoi seguaci di amare i loro nemici e di «porgere l’altra guancia se vi schiaffeggiano», arrivando persino a perdonare i suoi carnefici («Padre perdonali perchè non sanno quello che fanno»): papa Francesco ha fatto, finora, molto meno, ha “solo” chiesto all’Europa e all’Occidente tutto di «accogliere quanti scappano dalle guerre perchè sono nostri fratelli e per tutti noi sono doni del Signore». Pura e semplice coerenza evangelica. Ma se qualcuno non lo capisce, pazienza.

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il commento al vangelo della domenica

 

 

VI DO UN COMANDAMENTO NUOVO, CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI

commento al vangelo della quinta domenica di pasqua (24 aprile 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 13,31-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Nel capitolo 13 del vangelo di Giovanni, l’evangelista presenta l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli e Gesù fino all’ultimo prova a offrire il suo amore anche al discepolo che lo tradirà, a Giuda. Gli offre il pane, che rappresenta la sua vita, ma Giuda non mangia questo pane, cioè non assimila Gesù. Lo prende ed esce. L’evangelista dice che “sprofondò nella notte”. Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], quindi ha preso il boccone, non l’ha assimilato, ma è andato per tradire la persona di Gesù, Gesù disse: “Ora …” In tutto il vangelo è stata annunziata questa ora di Gesù e l’evangelista dice che adesso si sta realizzando. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. Perché Gesù afferma questo dopo che Giuda l’ha tradito per farlo condannare a morte? Perché nell’amore incondizionato che viene offerto anche al nemico lì si manifesta la gloria di Dio, cioè la gloria è la manifestazione visibile di quello che Dio è. E cos’è Dio? Dio è amore che si offre anche al nemico, al traditore. Gesù parla di se stesso come del “Figlio dell’Uomo”, perché usa questa espressione che gli è molto cara? “Figlio dell’Uomo” significa l’uomo con la condizione divina. Quindi Gesù è il figlio di Dio, Dio nella condizione umana, ed è il figlio dell’Uomo, cioè l’uomo con la condizione divina. “E Dio è stato glorificato in lui”. L’evangelista presenta una continua dinamica nella vita di Gesù, che deve essere anche quella del credente, di amore ricevuto e amore comunicato. Poi c’è un versetto che è omesso in molti manoscritti, dove l’evangelista non fa altro che ripetere lo stesso concetto. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Come lo glorificherà 1 subito? Dandogli la capacità di affrontare la morte, dove non sarà una fine, ma un inizio, perché nella morte di Gesù si effonderà lo Spirito sulla sua comunità. Poi Gesù, per la prima volta, l’unica volta, ha un’espressione di tanta, profonda tenerezza verso i suoi discepoli. Li chiama “Figlioli”, letteralmente “figliolini o bambini miei”. “Figlioli, ancora per poco sono con voi. Voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei – ecco qui Gesù sta equiparando i discepoli ai suoi avversari, le autorità – ora lo dico anche a voi: “Dove vado io voi non potete venire”. Perché non possono andare? Perché i discepoli sono pronti a morire per Gesù, ma non a morire come Gesù, a dare al vita con lui e come lui. Ecco perché Gesù dice che per adesso non possono andare dove lui va. E poi ecco la conclusione di questo capitolo straordinario, il capitolo 13, la novità di Gesù. “Vi do un comandamento nuovo”. Gesù non dice: “Vi do un nuovo comandamento”, cioè ci sono quelli di Mosè e adesso vi do il mio. “Vi do un comandamento nuovo”, il termine greco che indica “nuovo” significa il migliore, che sostituisce tutto il resto. L’evangelista l’aveva detto nel Prologo “La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù”. Il nuovo rapporto che Gesù ha instaurato con il Padre e i discepoli non poteva rientrare nei termini dell’antica alleanza e ha bisogno di una nuova alleanza che si esprime in un unico, nuovo comandamento. Quindi “nuovo” in quanto la qualità di questo comandamento eclissa tutti gli altri. “Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi”. E’ importante che Gesù non parla con verbi al futuro, non dice “come io vi amerò”. Gesù non sta annunziando la morte, il sacrificio totale che lui farà sulla croce, ma dice “come io vi ho amato”. E com’è che Gesù ha amato? Siamo nel contesto dell’ultima cena secondo Giovanni, quando Gesù si mise a lavare i piedi ai discepoli. L’amore non è reale se non si trasforma in un servizio che purifica la vita degli altri. Questo è l’amore che Gesù ci richiede. “Come io ho amato voi”. “Così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Il servizio è l’unico distintivo del credente della comunità di Gesù e infatti Gesù conferma: “Da questo”, cioè dall’amore che si fa servizio, “Tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Gesù, con questa dichiarazione molto chiara, esclude ogni altro distintivo. Quindi NO a stemmi, abiti, segni o decorazioni che vogliono mostrare la relazione che uno ha con il Signore, ma soltanto un amore che si mette a servizio degli altri. E quando si ricorre a questi surrogati è una lampadina d’allarme che si accende, una spia che si accende, che forse questo amore che si trasforma in servizio non è talmente abituale da essere l’unico distintivo della comunità cristiana. Quindi Gesù lascia un unico comandamento, lui che l’evangelista aveva presentato come la parola di Dio, il verbo si fece carne, e questa parola di Dio si formula e si esprime con un unico comandamento che eclissa tutti gli altri. 

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